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L’INTEGRAZIONE DEI SISTEMI AMBIENTALE E SANITARIO PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA

Nel documento ISBN 978-88-448-0400-8 (pagine 126-190)

Presiede la Sessione

S3.1

Gisberto Paoloni

ARPA Marche Direttore Generale

Obiettivo della Conferenza, come ha affermato il Subcommissario ingegner Sartori, è di dimostrare la trasversalità delle tematiche ambientali.

Abbiamo già visto come l’inquinamento dell’aria incida fortemente sul degrado del patrimonio artistico e con quanta passione il personale delle Sovrintendenze chieda al mondo della ricerca e alle Agenzie ambientali soluzioni, prevenzione quando possibile, o comunque ele-menti per stabilire priorità: in pratica, senza tutela ambientale la sal-vezza del patrimonio artistico è più difficile.

Nel pomeriggio affronteremo il tema del bilancio ambientale: cerche-remo di dimostrare che contabilizzare gli effetti ambientali degli inve-stimenti significa dare concretezza, con i numeri, al paradigma dello sviluppo sostenibile.

Oggi tratteremo un argomento non nuovo, ma certamente attuale, anzi urgente in termini sociali, di qualità della vita e di grandi risparmi eco-nomici in campo sanitario: parleremo della stretta interconnessione tra ambiente e salute.

Con il pragmatismo che ci distingue, parliamo in concreto dell’integra-zione dei due sistemi. Fare oggi per il domani ciò che dovevamo aver già fatto ieri e cioè il giorno dopo la promulgazione della legge 61/94.

Tutte le articolazioni dello Stato, nella chiarezza delle specifiche com-petenze, devono interagire per collaborare, non solo per dovere nor-mativo ma persino per reciproca convenienza, per rispondere alle esi-genze del nostro utente/cliente, ovvero per il cittadino.

Mentre il “chi fa che cosa” è chiaro, ovviamente sempre perfezionabi-le, il “che fare insieme” è una nuova declinazione del problema: ci vuole una diversa cultura, dove non si è bravi singolarmente, anzi, non si raggiungono risultati se non con l’unione delle forze in campo. Pensiamo all’impatto ambientale (VIA, VAS, VIS), alla valutazione del rischio, alla comunicazione del rischio, senza esagerare né sottovalu-tare, anzi con la fermezza degli organismi terzi e autorevoli, senza nascondere i “dubbi” o meglio i limiti della scienza e della ricerca.

L’informazione ambientale, in ottemperanza a tante decisioni europee, ha trovato nel decreto legislativo 195/2004, che parte dalle enuncia-zioni di Aarhus, la corretta impostazione normativa per affrontare, in modo efficace, le problematiche relative alla comunicazione dei dati ambientali e la loro relazione con i rischi per la salute.

Oggi tratteremo, grazie a validissimi esperti, alcuni argomenti dei due sistemi – l’ambiente e la salute – e, grazie al clima costruttivo e propo-sitivo che caratterizza questa Conferenza, vi sono le condizioni per ten-tare concreti passi in avanti verso l’integrazione di sistema.

Parleremo di inquinamento dell’aria, di inquinamento acustico, di siti inquinati, di rapporti europei con l’ISPRA, di industria e città e, quindi, di ricerca, di epidemiologia ambientale, di inquinamento e salute, di effetti sanitari da inceneritori, della costruzione di piani sanitari e ambientali. Ascolteremo le considerazioni del Subcommissario inge-gner Sartori e, quindi, dopo la discussione, sentiremo le conclusioni della dottoressa Anna Maria De Martino, rappresentante del Ministero della salute che sostituisce il dottor Oleari, impossibilitato a intervenire. Il Sistema agenziale ha un’antica confidenza con il dottor Oleari, auto-revole dirigente generale del Dipartimento Prevenzione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dai tempi della “Commissione Oleari” del 2000 sull’integrazione ambiente/salute: ascolteremo, dunque, con piacere la dottoressa De Martino presente in sua vece.

S3.2

Relazione introduttiva Giuseppe Ambrosio

Ministero delle politiche alimentari, agricole e forestali Capo di Gabinetto

Ritengo di notevole importanza questa Undicesima Conferenza Nazionale delle Agenzie; la prima dopo l’istituzione dell’ISPRA. Gli organizzatori dell’ISPRA, dell’Agenzia del Lazio e del Ministero del-l’ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno prestato una particolare attenzione al tema del miglioramento della qualità della vita in funzione dell’integrazione delle politiche ambientali e della salu-te, di cui noi, come Ministero per le politiche agricole, in qualche maniera, siamo coinvolti in qualità di accertatori di impatti in ambiti

particolarmente rilevanti.

Scorrendo i titoli delle relazioni, leggo che la sessione sarà conclusa con una relazione dal titolo “Verso Piani sanitari e ambientali naziona-li”, nei confronti della quale il mio intervento si porrà come un’integra-zione.

Penso che, per troppo tempo, abbiamo considerato – sia a livello sta-tuale (con riferimento alle varie amministrazioni centrali) che a livello regionale (con riferimento ai vari assessorati) – le singole politiche, se non in maniera avversativa, almeno disgiunta, quasi come se una poli-tica dell’ambiente a livello nazionale o regionale fosse separata rispet-to alle altre politiche della salute, dell’agricoltura, della pesca o dell’ac-quacoltura.

Il fatto che la sessione di questa mattina riguardi proprio la necessità dell’integrazione delle varie politiche, credo che sia un elemento estre-mamente importante e significativo, perché vi è una trasversalità delle politiche, una trasversalità delle funzioni e, quindi, una necessità che le funzioni stesse vengano organizzate e gestite in maniera sintonica, in modo che le amministrazioni e i decisori politici e i gestori abbiamo un quadro di riferimento unitario. Ciò vale soprattutto quando ci si trovi a confrontarsi con le complesse realtà che l’evoluzione scientifica ci pone. E il caso di come venga affrontata e trattata le questione degli OGM, anche a livello europeo, è un indicatore chiaro.

Siamo, dunque, inseriti in una realtà complessa, in cui le sensibilità degli altri partner europei spesso, molto spesso, sono differenti dalle nostre. Alla cultura liberale, o liberista, di alcuni paesi del Nord Europa (Gran Bretagna piuttosto che Olanda), è contrapposta una visione nostra, più prudente e legata alla tutela dei territori, delle culture e delle tradizioni locali, più rispettosa degli ecosistemi particolari, riferiti a sin-gole porzioni di territorio dei paesi membri.

Devo osservare che il Piano di azione europeo per l’ambiente e la salu-te 2004-2010, che sta per scadere, costituisce, in qualche maniera, il punto di riferimento, la stella polare dei lavori di questa mattina, ma rappresenta anche una tensione a cui deve tendere l’insieme delle fun-zioni e delle istitufun-zioni rappresentate in questa Conferenza. In questo senso, è di fondamentale importanza il ruolo delle Agenzie territoriali per l’ambiente che deve essere quello di favorire la messa in rete, la messa a sistema delle singole realtà e delle singole competenze. Devono essere studiate, sfuggendo alle ritrosie e alle gelosie

istituzio-nali, le interconnessioni tra le diverse realtà e le diverse funzioni per-ché, rispetto alle competenze del Ministero della salute o alle altre com-petenze del Ministero delle politiche agricole, ci sia una rete naziona-le di monitoraggio, di presidio dell’ambiente in funzione della tutela della salute dei cittadini. È, inoltre, di fondamentale importanza, il ruolo dell’ISPRA, che non ha ancora spento la prima candelina. L’ISPRA è una sfida importante perché mettere a fattore comune un’Agenzia con istituti di ricerca come ICRAM e INFS è un compito tutt’altro che facile. Il Commissario e i Vicecommissari lo stanno svolgendo in manie-ra diligente, pur attmanie-raverso la necessità di manie-raccordare sensibilità diver-se di tre realtà che devono esdiver-sere mesdiver-se a fattore comune, proprio per far fronte a quell’esigenza di fare rete, di fare sistema, a cui ho fatto riferimento prima.

Noi del Ministero per le politiche agricole guardiamo con particolare attenzione, interesse e amicizia agli sforzi che si stanno compiendo per consentire all’ISPRA di partire e svolgere le proprie funzioni nel miglior modo possibile, sia sul versante delle attività che svolgeva l’ex ICRAM – riferite allo sviluppo sostenibile delle attività di pesca, di acquacoltu-ra e di tutela delle risorse marine viventi in mare – sia sul versante delle funzioni che svolgeva l’ex INFS.

Intendo adesso segnalare due questioni: la prima attiene proprio alle funzioni svolte dall’ex INFS e la seconda riguarda gli OGM.

Nel ribadire la necessità, a livello nazionale, di costituire una rete, di fare sistema, dobbiamo meditare appropriatamente sulla necessità di avere un’azione comune sulla questione del prelievo venatorio perché, se tale prelievo deve essere comunque sostenibile rispetto alla necessi-tà di salvaguardare la rinnovabilinecessi-tà delle risorse, è pur vero che, rispet-to a una tematica come quella, per esempio, dello srispet-torno, non può non considerarsi che siamo di fronte a un fenomeno assurdo e ridicolo. Infatti, in una regione come quella del Mediterraneo, in cui per tutti i paesi il prelievo compatibile e razionale dello storno è ammesso – mi riferisco ai paesi membri dell’Unione europea, cioè Spagna, Portogallo, Francia, Grecia e a quelli che sono stati aggregati recente-mente, cioè Slovenia, Malta, Cipro – l’unica eccezione è rappresenta-ta dall’Irappresenta-talia. Tutti possiamo osservare quello che, in una città come Roma, lo storno causa nella zona della Stazione Termini, piuttosto che all’Eur (deiezioni sulle autovetture piuttosto che sui passanti). Ben mag-giori sono, tuttavia, gli impatti che questa specie ha sulle colture. Dico

questo, nonostante io non abbia mai sparato un colpo di fucile in vita mia; ma le contraddizioni sono evidenti, ed è chiaro che è necessaria una maggiore ragionevolezza negli approcci. Se siamo in presenza di un unico ecosistema e di un unico stock, analogamente i comportamen-ti che dobbiamo avere a livello di colletcomportamen-tività sciencomportamen-tifica e a livello di decisori politici devono essere coerenti. Proprio in virtù di tale coeren-za, è opportuno sviluppare un’azione unitaria e univoca nei confronti dell’Unione europea.

Per quanto riguarda l’aspetto relativo agli OGM, è chiaro che, come accennavo precedentemente, la nostra posizione non può che essere diversa rispetto ai paesi che hanno una posizione più liberista in eco-nomia e che, magari, sono più dediti di noi a traffici commerciali. Mi riferisco, per esempio, ai nostri partner olandesi che hanno posto all’at-tenzione del Consiglio dell’ambiente – il 2 marzo scorso, e il 23 marzo scorso, del Consiglio dell’agricoltura – la necessità di prevedere che tutto ciò che viene definito a livello comunitario, relativamente all’iscri-zione nel Registro delle varietà di organismi geneticamente modificati, venga trasposto in maniera automatica nelle legislazioni nazionali. Questo è un approccio che non possiamo condividere. Non possiamo condividerlo non solo in ragione della necessità di tutela delle agro-bio-diversità e delle produzioni locali; non perché animati da una logica di veto ovvero di arcano protezionismo, ma non possiamo condivider-lo in una condivider-logica di tutela della salute, di tutela dell’ambiente, di tutela dei singoli ecosistemi: Il fatto che, in alcuni e appropriati ambiti, possa essere utilizzata una coltivazione OGM non significa che la stessa col-tivazione OGM possa essere indifferentemente impiegata in altri ambi-ti e in altri ambienambi-ti. È differente impiegare tali colambi-tivazioni in estensio-ni territoriali assolutamente amplissime dall’impiegarle in estremamen-te ridotestremamen-te, come lo sono sicuramenestremamen-te dalle nostre parti. Non a caso, a livello regionale, quindici Regioni italiane si sono dichiarate “OGM free”.

Vi è una difficoltà nel mettere a punto piani di coesistenza delle filiere – transgenica, biologica e convenzionale – proprio perché gli impatti delle coltivazioni geneticamente modificate sono sicuramente rilevanti non solo sui terreni e sulla conservazione della agro biodiversità, ma anche perché vi sarebbero certamente problemi relativamente alla sal-vaguardia degli ecosistemi.

interes-sante incoraggiarvi a cercare soluzioni equilibrate. Il Ministero dell’am-biente, il Ministero della salute e noi stessi, per la piccola parte di nostra competenza, dobbiamo incoraggiare i vostri sforzi, così come, soprattutto, le Regioni e le ARPA che fanno direttamente riferimento a voi, perché crediamo che il miglioramento della qualità della vita deri-vi e discenda dal lavoro che voi siete chiamati a fare e che farete in maniera sicuramente efficace, superando, come ho detto all’inizio, gelosie e ritrosie e mettendo sempre più a fattore comune esperienze, competenze e funzioni. Ricordiamo sempre che la Funzione Pubblica è una e unitaria, perché l’interesse alla qualità dell’ambiente, alla quali-tà della salute, al miglioramento della qualiquali-tà della vita è unico. Concludo dicendo che, se abbiamo avuto la possibilità di presentare all’UNESCO, come capifila, insieme a Spagna, Grecia e Marocco, la dieta mediterranea come patrimonio dell’umanità, questo deriva dal fatto non che abbiamo singoli prodotti da tutelare, ma abbiamo da tutelare una qualità della vita che è anche uno stile di vita, una cultura della vita. Questo, credo, dimostri come la qualità della salute e la qua-lità dell’ambiente, grazie a voi e grazie al nostro Sistema, debbano essere necessariamente tutelati, perché sono convinto che la salvaguar-dia degli ecosistemi particolari, come quello della regione mediterra-nea, siano un esempio che, con orgoglio, possiamo portare all’atten-zione del mondo intero.

S3.3

Rischi emergenti: conoscere per agire Luciana Sinisi, Francesca De Maio, Sabrina Rieti

ISPRA

L’efficienza dei sistemi di prevenzione ambientale e sanitario nonché il miglioramento delle condizioni di vita hanno consentito, nel tempo, l’abbattimento di molti dei tradizionali fattori ambientali di rischio per la salute.

Di contro, specie nelle aree urbane dove vive oltre il 70% della popo-lazione , i mutamenti degli stili di vita, delle pressioni ambientali, degli scenari socio-economici e tecnologici, stanno determinando un quadro di esposizione globale dell’ambiente di vita a fattori di rischio di natu-ra chimica, fisica e biologica che non trova riscontro nelle epoche pre-cedenti.

Le tradizionale capacità di risposta istituzionale (leggi, normative di settore, monitoraggio ambientale e sorveglianza sanitaria, informazio-ne e comunicazioinformazio-ne) può essere messa a dura prova, inoltre, da due altri elementi fondamentali: la velocità con cui i nuovi scenari di espo-sizione si realizzano e il loro collegamento con fenomeni globali in continua evoluzione, quali trend di urbanizzazione, globalizzazione, cambiamenti climatici, uso di nuove tecnologie, pratiche agricole, stili di vita, che sono spesso estranei a logiche e capacità di controllo loca-le.

Si sta, quindi, realizzando una serie di condizioni di esposizione che annoverano fattori o determinanti più complessi, che configurano una serie di rischi emergenti al quale il Sistema delle Agenzie è, o sarà a breve, chiamato a rispondere, sia per adempiere al proprio mandato, sia per avere le capacità di risposta a una società sempre più esigen-te a livello informativo e che riconosce nella qualità degli ambienti di vita una delle maggiori “preoccupazioni” per sé e per l’avvenire dei propri figli.

A conferma di ciò, la recente indagine Eurobarometro del 2008 della Commissione europea evidenzia che oltre l’80% dei cittadini intervista-ti dei 27 paesi dell’Unione associa la qualità della vita ai fattori ambientali. All’interno di questa statistica, la media dei cittadini italia-ni non è da meno: l’86% di loro percepisce la qualità della vita come dipendente dallo stato dell’ambiente, dandone quasi lo stesso peso dei fattori economici (89% degli intervistati).

I rischi emergenti: una definizione funzionale. Classicamente, i rischi

emergenti possono essere divisi in emergenti (nuovi) o riemergenti ma, adottando una definizione operativa, si possono definire emergenti i rischi: 1) che non esistevano in precedenza; 2) che sono presenti da tempo ma non considerati in passato, perché di recente la ricerca ha individuato come pericolosi oppure perché ne è aumentata la percezio-ne presso la popolaziopercezio-ne; 3) per cui le condizioni ambientali, e quin-di le probabilità quin-di esposizione, risultano aumentate

In sostanza: tutti quei rischi a cui potrebbe corrispondere un’assenza o una carenza di sistemi organizzati di analisi e di gestione del rischio, compresa un’efficace comunicazione. Un problema che riguarda soprattutto pianificatori, operatori dei sistemi di prevenzione e pro-grammatori della ricerca.

environment, nella definizione anglosassone) rappresenta una sfida

isti-tuzionale sostanzialmente aperta che deve confrontarsi:

– con rischi noti, su cui c’è consenso scientifico consolidato (l’inquina-mento atmosferico ne è un buon esempio) ma la cui gestione ancora necessita di un’azione integrata con altri determinanti quali politiche di mobilità5, nuove tecnologie, efficienza energetica;

– con un sistema di regolamentazione e prevenzione costruito su sce-nari di rischio tradizionale che necessita di essere adattato ai nuovi scenari ambientali di rischio quali, per esempio, i cambiamenti clima-tici (basti pensare ai nuovi rischi di malattie infettive, allergiche, sicu-rezza alimentare), trend di urbanizzazione (impatti su salute/qualità della vita e pianificazione urbana), stili di vita (uso di apparecchi

wireless per esempio).

Cambiamenti climatici: isole di calore, sicurezza alimentare, pollini.

Oltre a una variazione osservata del trend delle temperature a livello globale6, nell’ultima decade si è anche registrato un aumento esponen-ziale di eventi meteorologici avversi, quali alluvioni, siccità, uragani e tempeste, con un aumento del 400% della popolazione colpita nella Regione pan europea delle Nazioni Unite rispetto alla decade prece-dente, nei soli eventi classificati come disastrosi. Le anomalie termiche osservate, tra l’altro riguardano anche alcune caratteristiche di rilievo per il rischio sanitario: in oltre 40 anni di osservazioni7, i dati mostra-no come ci sia stata una diminuzione del numero medio dei giorni di gelo e, in contemporanea, un aumento del numero medio di giorni esti-vi unito a un aumento del numero medio di notti tropicali.

Tutti questi fattori incidono sulla salute umana sia direttamente (per esempio: ondate di calore e mortalità cardiorespiratoria o danni diret-ti da annegamento, traumi, ecc.) ma anche indirettamente, influendo sulla qualità di acqua, alimenti e aria urbana.

Le condizioni di esposizione ai rischi da ondate di calore sono mag-giori in ambito urbano per le sinergie (negative) con le isole di calore urbano (è stata osservata una differenza fino a 8°C rispetto alla

peri-5Gli indicatori ambiente e salute sviluppati in ISPRA mostrano che, ancora nel 2006, oltre il 35% della popolazione totale e circa il 30% della popolazione fino a 20 anni erano esposti a valori di concentrazione media annua di PM10oltre il 40 µg/m3.

6IPCC 2007. WG1-AR4.

feria extraurbana) ma, in generale, l’aumento delle temperature incide, per esempio, sulla sicurezza batteriologica e chimica degli alimenti o sulle pratiche agricole mirate alla conservazione delle derrate alimen-tari che sfruttano specie più resistenti ma, al contempo, più idroesigen-ti. È stata osservata una correlazione lineare tra aumento delle tempe-ratura e casi di salmonellosi e il ricorso a nuove molecole o a un uso più intenso di fitofarmaci può essere più frequente visto che, a tempe-rature elevate, i pesticidi si degradano più rapidamente diventando meno efficaci nel contrastare le infestazioni, e che le specie infestanti sono sensibili alle variabili meteo-climatiche.

I pattern di temperatura influenzano anche i pollini e, quindi, le allergie. In ambiente urbano, i cambiamenti climatici hanno indotto non solo un’alterazione significativa della stagione pollinica, che si è allungata (in media di 10-11 giorni negli ultimi trent’anni in Europa)8, accompa-gnandosi a un’anticipazione della fioritura delle specie vegetali, ma anche un aumento della circolazione trasfrontaliera che porta all’inse-diamento di specie alloctone allergizzanti, causando un aumento di tipo, sensibilità e numero della popolazione allergica. Inoltre, studi con-dotti negli ultimi anni indicano che le emissioni di CO2influiscono sulla crescita vegetale e produzione di pollini e, inoltre, gli episodi più fre-quenti di vento intenso provocano le cosiddette “tempeste polliniche”, per il rilascio contemporaneo di grandi quantità di pollini anche da specie diverse, con aumento della gravità delle crisi allergiche.

Da questo punto di vista risulta, quindi, importante un’attenta pianifica-zione della gestione del verde urbano, in particolare nelle scuole, per la prevenzione della salute respiratoria dei bambini allergici e/o sog-getti a malattie respiratorie ma, anche, un’integrazione dei monitorag-gi ambientali e sanitari. In quest’ultimo ambito, le attività delle Agenzie ambientali che hanno partecipato alla costruzione delle reti di monito-raggio dei pollini divengono strategiche se correlate al Sistema sanita-rio nazionale, facendo in modo che quest’ultimo possa utilizzare i dati delle reti di monitoraggio per la pianificazione e la programmazione delle proprie campagne (vaccini, terapie mirate, ecc.).

Non va, comunque, neanche trascurato il ruolo dell’ozono nello scate-namento delle crisi allergiche.

I cambiamenti climatici stanno causando effetti anche sull’incidenza di malattie infettive da vettori.

L’European Centre for Desease Prevention and Control (ECDC) riporta come la zanzara tigre (Aedes Albopictus), a partire dalla sua introduzio-ne in alcuni paesi europei introduzio-nel 1975, si sia ampiamente diffusa introduzio-nei paesi

Nel documento ISBN 978-88-448-0400-8 (pagine 126-190)