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e regole descrivono i processi. [1]

I contesti in cui si inferiscono non sono statici ma in continua evo- luzione e cambiamento. Se consideriamo le città come lo stato momen- taneo di un processo in costante trasformazione e sviluppo, i processi responsabili del cambiamento possono essere descritti sulla base di un insieme di regole astratte. Questi processi possiedono una certa conti- nuità ed inerzia nei loro effetti e sviluppo; queste regole, quindi, non sono semplici forme passive di descrizione, ma anche elementi di guida attivi per sviluppi futuri. Definiscono lo spazio di gioco e la possibilità di trasformazioni imminenti. Le regole sono lo strumento che collega l’analisi di una situazione esistente con la sua proiezione nel futuro. Sotto questo profilo esistono, quindi, vari tipi di regole:

«Alcuni [standard] si riferiscono alla forma, alcuni al processo di creazione, altri alla sua successiva esecuzione. Alcuni sono minimi legali; altri sono optimum desiderabili usati come guide nella progettazione; alcuni si riferiscono a modi consolidati di fare le cose (le “buone pratiche” attuali); alcune sono previsioni; altri sono semplicemente standardizzazioni arbitrarie che limitano le variazioni indesiderate della forma».[2]

1  Lehnerer Alexander, Grand Urban Rules. op.cit., p. 66

2  «Some [standards] refer to form, some to the process of creating it, some to its subsequent performance. Some are legal minimums; others are desirable op- timums used as guides in design; some refer to established ways of doing things (“current good practice”); some are predictions (that is, if so many square feet of retail space are provided, that a store will have sufficient business); others are simply arbitrary standardizations that limit unwanted variations in form (screw threads, for exam-ple!)»Lynch, Kevin. Site Planning. Cambridge, Mass. London: The MIT press, 1989 p.242 in Lehnerer Alexander, Grand Urban Rules. Ibidem

La stessa molteplicità delle definizioni applicabili della parola stan-

dard[3] mette in luce il carattere multiplo e processuale di questo con-

cetto. Come enunciato da Falco nello specifico della standardizzazione, si tratta di «un processo continuo di fissazione di gradi misurabili o riconoscibili di uniformità, di accuratezza o di eccellenza»[4] .

Tendenzialmente queste regole rispondono a due domande: Quali sono le motivazioni che le hanno generate?

Quali sono gli obiettivi che vogliono perseguire e le possibilità che pos- sono aprire?

La prima questione sulle origini può essere spiegata in modo più o meno trasparente. Si tratta di codificazioni ufficiali, del modo in cui codici di costruzione e di zonizzazione, leggi, statuti e ogni varietà di prescrizione amministrativa, tentano di mediare tra interessi pubblici e privati, e controllano regole informali e contestuali, date dalle con- venzioni sociali, forze culturali, economiche, tradizioni, tendenze dello “zeitgeist”. Un esempio è quello di Jane Jacobs, che nel suo libro The

Death and Life of Great American Cities ha essenzialmente formulato

una serie di regole, derivate da situazioni reali, progettate per invertire sul deterioramento della città americana, o almeno evitare ripetizione degli errori che, a suo avviso, erano già stati commessi.[5] Nel 1961, ha

formulato quattro regole di base per mantenere la diversità e la vitalità municipale:

(1) Una strada o un distretto deve svolgere diverse funzioni primarie. (2) I blocchi devono essere corti.

(3) Gli edifici devono variare per età, condizioni e utilizzo. (4) La popolazione deve essere densa.

Queste quattro regole possono essere considerate, almeno inizialmente, come la descrizione sommaria idealizzata di Jane Jacobs del Greenwich Village di New York com’era all’epoca.

La seconda questione pone l’attenzione su come le regole possano apri- re possibilità, su come riescano a perseguire i propri obiettivi.

Ogni regola è caratterizzata da una serie di intenti dichiarati, che ne giustificano il proprio esistere. In alcuni casi le regole riescono a rag- giungere i risultati prefissati, in altri non riescono ad ottenerli. Talvolta

3  «La parola inglese standard può assumere diversi valori: nel suo significato origi- nale rimanda al concetto di stendardo, bandiera, insegna in quello tradizionalmente applicato nel campo dell’urbanistica afferisce al concetto di modello, campione, tipo, misura, livello, qualità, supporto, base, piedistallo. Gabellini, Patrizia. Tecniche Urba- nistiche. Op.cit p.73

4  Luigi Falco I nuovi standard urbanistici. 1993 in Gabellini, Patrizia. Tecniche Ur- banistiche. Op.cit p.73

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questi fallimenti sono il risultato di un effetto collaterale ma altre sono la dimostrazione di un fallimento pianificato. Se consideriamo che le norme non sono altro che delle regole introdotte da una legge ed appli- cate da una autorità, appare inevitabile domandarsi: Può accadere che una norma disattenda gli intenti che aveva inizialmente dichiarato? E come è possibile valutare questo effetto?

Secondo Norberto Bobbio, i criteri che regolano le norme non possono essere trattati secondo un concetto di veridicità[6] ma piuttosto rispetto

altri criteri, sintetizzabili in validità, giustizia, efficacia: una norma non può mai essere ne vera ne falsa, ma può essere considerata valida o non valida, giusta o ingiusta, efficace o inefficace.

Il criterio di validità della norma si basa su concetti formulati da Hans Kelsen[7] e rimanda ad un aspetto estrinseco alla singola norma ma

intrinseco all’ordinamento al quale la norma appartiene: una norma italiana può essere non valida in un ordinamento legislativo straniero ma sarà sempre valida in quello di sua pertinenza[8]. Pertanto una norma

all’interno di un sistema definito, sarà sempre valida ma potrebbe non essere efficace o giusta. Vedremo come molte delle norme applicate agli inizi del 1900 sono state il risultato dell’applicazione di norme pro- venienti da contesti completamente diversi: basti pensare allo zoning. Di altra natura è la questione dell’efficacia, che pone il problema se una norma sia «seguita dalle persone a cui è diretta (i cosiddetti de- stinatari della norma giuridica) e, nel caso in cui sia violata, sia fatta valere con mezzi coercitivi dall’autorità che l’ha posta»[9].Rimandando

alle teorie di Ross[10], si tratta di considerare quali regole siano effettiva-

mente seguite dai giocatori, in quanto sentite vincolanti per l’esercizio delle proprie volontà e del gioco in generale: «Che una norma esista in quanto norma giuridica, non implica che essa sia anche costantemente seguita»[11]. Nel caso delle Tenements Law, le norme furono in gran

parte ignorate dagli imprenditori edilizi e quindi del tutto inefficaci per il miglioramento delle condizioni igieniche edilizie cui erano preposte. La giustizia di una norma rimanda ad un ambito prettamente filosofico nel quale viene messo in discussione il contenuto intrinseco della nor-

6  Bobbio Norberto, Teoria della norma giuridica, Giappichelli, Torino, 1958, estrat- to da Filosofie della norma a cura di Giuseppe Lorini,Lorenzo Passerini Glazel, 2012. 7  Giurista e filosofo austriaco considerato il fondatore del normativismo giuridico le cui teorie sono state prese a riferimento da molti autori come appunto Bobbio. Kelsen,Hans, La dottrina pura del diritto (1934), traduzione di R. Treves, Einuadi, Torino, 1956

8  G. Pino, A. Schiavello, V. Villa (a cura di), Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo. (a cura di), Giappichelli, Torino, 2013 p.164 9  Norberto Bobbio, Teoria della norma giuridica, op.cit., p. 191

10 Alf Ross, Diritto e giustizia, a Cura di G. Gavazzi, Einaudi, Torino, 1965 11 Norberto Bobbio, Teoria della norma giuridica, op.cit., p. 191

ma stessa in relazione all’obiettivo ultimo: «Il problema se una norma sia o non sia giusta è un aspetto del contrasto tra mondo ideale e mon- do reale, tra ciò che deve essere e ciò che è» «Nel caso che si ritenga vi siano valori supremi, oggettivamente evidenti, il domandarsi se una norma sia giusta o ingiusta significa domandare se essa sia atta o non atta ad attuare quei valori. Ma anche nel caso di chi non crede in valori assoluti, il problema della giustizia […] di una norma ha un senso; equivale a domandarsi se quella norma sia atta […] a realizzare i valori storici, che ispirano quel concreto e storicamente determinato ordina- mento giuridico»[12].

Parlare di giustizia significa, di fatto, comprendere se una norma abbia raggiunto gli obbiettivi attesi, se abbia rispettato gli obiettivi inizial- mente dichiarati. Vedremo come, in molte norme, gli intenti dichiarati sono stati sostanzialmente diversi da quelli perseguiti. In alcuni casi questo sarà un effetto collaterale, causato da altri fattori inerenti alla validità e all’efficacia della norma stessa, in altri invece si tratterà di un fallimento programmato fin dall’origine.

Quindi cosa significa contenere l’architettura?

Se partiamo dal presupposto che nessuna norma è mai stata introdotta con il chiaro intento di limitare, contenere l’architettura, bisogna sup- porre che questo sia il risultato di un effetto secondario e non program- mato. Ciononostante, se le norme sono processi che descrivono un cam- biamento, che mettono in relazione uno stato iniziale con una visione programmatica, possiamo supporre che le norme contengano al proprio interno un’idea progettuale. Tuttavia, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, sono molti i casi in cui l’architettura parrebbe essere limi- tata dalla norma.

Quando, e in quali circostanze, possiamo dire che l’architettura è argi- nata dalla norma? Quando al contrario possiamo dire che ne è il fonda- mento?

Quando Christopher Alexander, in A new theory of urban design, parla di wholeness[13], riferendosi a quel sentimento di completezza che ca-

ratterizza i centri storici e che non è ritrovabile né riproducibile nelle nuove città, di fatto si sta riferendo a centri urbani che sono anch’essi il risultato di un processo normato, di un controllo sul costruito generato dalla progressiva decodificazione dei valori di una società.

Come già abbiamo accennato riferendoci a Ritter, le norme riflettono i valori culturali e le trasformazioni sociali ed economiche dei luoghi che le hanno generate[14]. La questione non rimanda, quindi, all’esistenza in

12  Ivi, p. 36

13  Alexander, Christopher. A New Theory of Urban Design. New York: Oxford uni- versity press, 1987. Pp. 10-16

14  Krasny, E. (2018). Architecture’s invisible protagonists - Form Folgt Paragraph (Form Follows Rule). Architectural Research Quarterly, 22(2), pp.171-174

sé e per sé della norma, ma al processo che viene messo in atto per per- seguire i valori di quel preciso contesto storico e culturale; rimanda alla temporalità della norma stessa ovvero alla sua capacità di «esprimere una politica»[15].

Le norme come abbiamo già detto sono processi, che partono da una situazione iniziale e tendono verso nuove prospettive. Sebbene le pro- spettive possano essere comuni, i punti di partenza sono sempre di- versi, per quanto simili possano essere. Ogni contesto, ogni città, ogni territorio, è caratterizzato da diversi fattori, politici, economici, sociali e culturali. Ciò che possiamo fare è identificare i processi che hanno soddisfatto gli intenti dichiarati, ovvero hanno soddisfatto il requisito della giustizia, analizzando i rapporti interni ad essi.

Nello stesso modo in cui Ludwig Wittgenstein considerava il linguaggio come una “cassetta degli attrezzi”, come un insieme di parole-strumenti utilizzabili in infiniti modi ed applicazioni[16], così la norma può essere

considerata come una serie di formule-strumenti che possono svolgere diverse funzioni. Ogni norma per perseguire i propri obiettivi utilizza una serie di strumenti, una serie di parametri in grado di consentire il conseguimento delle intenzioni del legislatore.

Il controllo dei limiti di altezza è solo uno dei possibili strumenti appli- cabili. Le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo strumento come oggetto di analisi sono già state descritte nel paragrafo preceden- te, tuttavia sono ancora necessarie alcune ulteriori precisazioni: così come un cacciavite può avere una punta a taglio, a croce, o a testa esa- gonale, così anche le norme che controllano l’altezza possono configu- rare diverse tipologie dello stesso strumento. La funzione in ogni caso sarà quella di avvitare o svitare, ma la forma dello strumento cambierà in funzione della testa della vite, ovvero, fuor di metafora, in funzione alle condizioni del contesto e degli obiettivi da perseguire.

Il processo di una norma allora può essere schematizzato come la sin- tesi di alcuni fattori:

- le condizioni di partenza, ovvero il contesto storico e sociale in cui viene applicata la norma;

- gli obiettivi, in quanto risultati attesi ed inizialmente dichiarati; - la tipologia di strumento applicato.

In relazione ai limiti di altezza H, sulla base delle applicazioni adottate nel corso della storia, è possibile individuare 3 tipologie dello stesso

15  Cristina Bianchetti, op.cit. p.77

16  L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche in Ure Mariano, Filosofia della comunica- zione. Torino : Effatà, 2010 p.98

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strumento:

H come valore estremo: controllo dell’altezza attraverso la definizione di va-lori massimi o minimi, indipendentemente dalla natura degli altri strumenti;

H come variabile proporzionale: controllo dell’altezza in funzione di una altra caratteristica che la condiziona direttamente, in un rapporto esplicitamente formulato dalla norma.

H come variabile correlata: controllo dell’altezza in funzione di altri strumenti. I valori dell’altezza non sono esplicitamente controllati dalla norma ma il risultato del controllo di altri fattori.

La ricerca sarà condotta sulla base di questa classificazione, distinguen- do una prima parte descrittiva da una seconda parte comparativa. Nella prima parte capitolo Strumenti, suddiviso per tipologia, vengono descritte le applicazioni normative sulla base degli intenti dichiarati. I casi rappresentati non hanno la pretesa di essere esaustivi, ma tentano, con la presentazione di un caso emblematico, di descrivere le applica- zioni del controllo dell’altezza nel perseguimento degli obiettivi dichia- rati dalla norma. L’obbiettivo è quello di osservare la norma in quanto processo e i passaggi che la hanno resa più o meno giusta, efficace o

valida.

Nella seconda parte i diversi processi vengono confrontati. Si analizza- no gli effetti delle diverse tipologie di strumento, nelle varie fasi appli- cative, e vengono confrontati gli obiettivi. Poiché lo spazio è un con- testo in continuo divenire, gli effetti degli strumenti saranno analizzati anche in relazione alle varie fasi di applicazione. Sulla base dei risultati ottenuti in questo capitolo verranno redatte le conclusioni.

- Illustrazione 1 a p. 35, Equitable Building New York 1915 - Illustrazione 2 a p. 40, no zoning association da Lehnerer

- Illustrazione 3 a pp.43-44 schema sintetico della crescita di Londra _ _ _ Parigi _._._ New York - - - Chicago ---- in relazione all’aumento della popolazione . Al fine di redige- re lo schema sono stati analizzati i dati di crescita della popolazione in base al centro urbano delle città. Schema illustrativo senza alcuna pretesa scientifica.

II. STRUMENTI

II. STRUMENTI

SICUREZZA

i. Dalla Lex Iulia al referendum