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Capitolo 2 La prospettiva della psicologia cognitiva 62

2.17 Interazione come cooperazione o competizione 128

Al di là dell’utilità euristica di distinguere fra processi controllati e automatici e fra processi cognitivi e affettivi, la maggior parte dei giudizi e dei comportamenti è il risultato della loro interazione.

Behavior emerges from a continuous interplay between neural systems […] Three aspects of this interaction bear special emphasis, which we labeled “collaboration”, “competition” and “sense-making”145.

145 C. Camerer, G. Loewenstein and D. Prelec, “Neuroeconomics: how neurosciences can inform economics”, cit., p. 28.

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Nella visione di Camerer, la cooperazione contiene l’idea che per prendere una decisione, “which is to say “rationality” in the broad non technical sense of the word146”, non occorra trasferire il potere dal livello automatico, affettivo a quello deliberativo, quanto piuttosto assicurare un appropriato livello di cooperazione fra i diversi sistemi. La competizione, invece, riflette il fatto che i diversi processi – in particolare, come si è detto, quello affettivo e quello cognitivo – possano andare in direzioni opposte e trovarsi a competere per il controllo del comportamento. Infine, l’interpretazione fa riferimento al modo in cui diamo un senso ai processi di cooperazione e competizione, e in generale alla tendenza a cercare spiegazioni soddisfacenti per il nostro comportamento. In questo caso, trattandosi di un processo cognitivo impegnato, attraverso una consapevole riflessione, a individuare le ragioni del mio agire, l’interpretazione tenderà a trovare spiegazioni della sua stessa natura, e cioè intenzionali.

Riguardo ancora alla cooperazione, va sottolineato che il bilanciamento fra i sistemi sembra essere una premessa indispensabile per giudizi e scelte “equilibrate”, mentre fra gli stili di decisione estremi si situano da un lato i comportamenti impulsivi, che sono vulnerabili e si lasciano influenzare troppo facilmente, e dall’altro quelli ossessivamente prudenti, che non si risparmiano calcoli interminabili anche per le scelte più semplici.

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L’importanza della dimensione affettiva nelle decisioni non è comunque in discussione, sia in funzione collaborativa che competitiva. Damasio147 ha ipotizzato l’esistenza di input provenienti dal sistema affettivo sotto forma di valutazioni affettive delle opzioni di scelta, e ha denominato tali input “marcatori somatici”. I suoi studi hanno mostrato che individui senza difetti cognitivi ma con gravi deficit affettivi incontrano grandi difficoltà nel prendere decisioni, e quando ci riescono si tratta in genere di cattive decisioni. Non basta sapere quel che si dovrebbe fare, bisogna anche sentirlo. Decisioni insoddisfacenti possono anche scaturire da un impedimento esercitato dal pensiero deliberativo, che impedisce di esprimere le reazioni emotive scatenate dalla questione in gioco o dalle distorsioni di giudizi cognitivi che possono essere originate dall’influenza che gli affetti hanno sui ricordi o sulle percezioni, connotandoli in senso positivo e negativo. In tutti i casi, il ruolo delle passioni dipenderà anche dalla loro intensità.

The extent of collaboration and competition between cognitive and affective systems, and the outcome of the affect when it occurs, depends critically on the intensity of affect148.

147 A.R. Damasio, Descartes’ error: emotion, reason, and the human brain, New York, Putnam, 1994.

148 C. Camerer, G. Loewenstein and D. Prelec, “Neuroeconomics: how neurosciences can inform economics”, cit., p. 30. Dello stesso parere anche Loewenstein, Out of control: visceral influences on behavior”, Organizational Behavior and human decision processes, 1996, 65, pp. 272-292.

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Se è di bassa intensità, l’affetto avrà un ruolo prevalentemente consultivo, che secondo diverse teorie149 consiste nel fornire informazioni, o motivazioni, che vengono utilizzate come input per le scelte. A un livello medio di intensità corrisponde invece una maggiore consapevolezza dei potenziali conflitti fra input cognitivi e affettivi, ed è a questi livelli che si osservano i tentativi di esercitare l’autocontrollo che sono stati l’oggetto di molti studi150. Al livello più alto, perdiamo il controllo.

Finally, at even greater levels of intensity, affect can be so powerful as to virtually preclude decision making. No one “decides” to fall asleep at the wheel, but many people do. Under the influence of intense affective motivation, people often report themselves as being “out of control” or “acting against our own self-interest”151.

Va sottolineato che, al di là della distinzione fra le due diverse tipologie di processi mentali, nell’analisi di Camerer la decisione viene comunque identificata con la razionalità, in quanto è un atto deliberato e consapevole, per cui in assenza di queste due caratteristiche non si può parlare di decisione.

149 A. R. Damasio, cit; P. Slovic et al., “Risk as analysis and risk as feeling: some thoughts about affect, reason, risk and rationality”, Risk analysis, 2004, v. 24, n. 2, pp. 311-322. 150 Fra I più noti, J. Elster, Ulysses and the Sirens, Cambridge, Cambridge University Press, 1977, T.C. Schelling, Choice and consequence, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1984.

151 C. Camerer, G. Loewenstein and D. Prelec, “Neuroeconomics: how neurosciences can inform economics”, cit., p. 31.

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L’interpretazione è un’altra forma di interazione fra sistemi neurali, e si è già sottolineato come si tratti di uno degli aspetti più importanti, assieme alla automaticità e alla modularità, del funzionamento del cervello umano. L’idea è che il nostro continuo sforzo di interpretare i nostri comportamenti, di dare una struttura narrativa alla nostra vita mentale, scaturisca da un forte impulso del cervello al conferimento di senso. Si spiega così anche l’illusione di poter sempre trovare il significato di ciò che facciamo, nonostante la maggior parte dell’attività neurale sia in realtà inaccessibile.

Riguardo a questa forma di inaccessibilità cognitiva, gli esperimenti di Libet152avrebbero mostrato che il preciso momento in cui diventiamo consapevoli dell’intenzione di compiere un’azione in realtà sarebbe successivo all’iniziale onda di attività cerebrale associata a quell’azione di circa 300 millisecondi. La risposta comportamentale seguirebbe a sua volta la sensazione dell’intenzione di altri 200 millisecondi. Ci sarebbe perciò una lacuna temporale fra l’inizio dell’attività neurale e l’istante in cui sentiamo di aver deciso di compiere l’azione. Nella coscienza viene registrata una regolare combinazione della sensazione di intenzione seguita dal comportamento manifesto, ma dato che l’attività neurale che precede l’intenzione è inaccessibile, sperimentiamo ciò che chiamiamo il libero arbitrio, che non sarebbe altro che la conseguenza dell’impossibilità di identificare qualcosa che sia causa del sentimento dell’intenzione. Poiché il comportamento segue sistematicamente l’intenzione, abbiamo la sensazione che l’intenzione,

152 B. Libet, “Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action”, Behavior and brain sciences, 1985, 2, pp. 146-159.

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espressione del nostro libero arbitrio, sia la causa dell’azione, quando invece sia l’intenzione sia l’azione sarebbero causati da eventi neurali precedenti, inaccessibili alla coscienza.

Riguardo al tema dell’illusorietà del libero arbitro, l’esperimento di Libet è molto discutibile se non altro perché presuppone l’esistenza di una sorta di centro unificato di comando cui farebbero capo sia il centro della visione sia la facoltà del ragionamento pratico, troppo simile all’omuncolo cartesiano153 e che si rivelerebbe palesemente inefficiente. Se intendiamo il processo decisionale come il risultato di diversi eventi neurali distribuiti su più livelli, invece che come un singolo atto istantaneo, la tesi della negazione del libero arbitrio perde consistenza. Questa descrizione è invece più interessante se la leggiamo come una reazione all’inaccessibilità cognitiva, come testimonianza dello sforzo di non rinunciare mai a trovare una spiegazione ai nostri comportamenti che ci confermi nel ruolo di protagonista.

The brain contains a specific cognitive module that binds intentional actions to their effects to construct a coherent conscious experience of our own agency154.

153 D. Dennett, Freedom evolves, London, Allen Lane, 2003, pp. 227-242.

154 P. Haggard, S. Clark e J. Kalogeras, “Voluntary action and conscious awareness”, Nature

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