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1. DONNE E FEDE

1.3. I DIVERSI ASPETTI E LE VARIE FASI DELLA RELIGIOSITÀ

1.3.1. Introduzione

Cercare di definire la santità, in qualsiasi epoca e presso qualsiasi religione, quale esperienza spirituale e religiosa, spinge alla consa- pevolezza che i diversi aspetti assunti dal fenomeno attraverso i

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secoli riflettono, in larga misura, il punto di vista della società e gli atteggiamenti mentali dominanti in un dato periodo. Il Medioevo cristiano, a tal proposito, non rappresenta un’eccezione e, di con- seguenza, non sorprende che la società feudale, data la posizione marginale in cui aveva relegato le donne e la visione negativa che di essa aveva, riservi al sesso debole una capacità paradigmatica e di intercessione limitata. In termini di cifre, meno del 10% dei santi venerati in Occidente dal V al XII secolo furono donne; a partire dalla seconda metà del XII secolo, tuttavia, la situazione comincia lentamente a migliorare, e dopo il 1200 l’inversione di tendenza diventa ancora più evidente. Dopo il XIII secolo, per- tanto, si può parlare di una relativa femminizzazione della santità, come fenomeno riconosciuto dalla Chiesa cattolica107.

Facendo riferimento ad un tema così complesso e delicato quale la santità, è chiaro che qualsiasi approccio statistico assuma un significato limitato: le statistiche offrono un aiuto prezioso so- lamente nel caso in cui vengano supportate da altri indicatori che ricoprono un’importanza maggiore nell’ambito del fenomeno che esse intendono valutare. Ciò è esattamente quanto accade con la storia dell’agiografia cristiana dei primi dieci secoli, una storia pri- va di un modello specifico di santità femminile. Tra Tardoantico e Alto Medioevo vi sono state certamente, come in precedenza si è visto, donne martiri, sante badesse e sante regine, ma nulla o quasi le distinse, fatta eccezione per il sesso, dai loro corrispettivi maschili. Pertanto, come si è più volte sottolineato, una donna poteva accedere agli onori della santità soltanto quando la sua

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condotta aveva rivelato virtù tipicamente virili, in quanto, secon- do l’opinione maschile, la natura femminile era indissolubilmente legata alla debolezza e alla sensualità. Di conseguenza una donna poteva liberarsi del pregiudizio che pesava su di lei a priori, uni- camente nella misura in cui riusciva a dominare la propria natura e a comportarsi come un uomo, ossia in maniera razionale. An- che se la Chiesa aveva riconosciuto il loro culto, alcune di queste donne ne trassero profitto indirettamente, in quanto mogli o ma- dri di personaggi famosi che erano venerati come santi. Ad esempio, è il caso di santa Monica, madre di sant’Agostino, di santa Scolastica, sorella di san Benedetto o, nel XII secolo, di santa Cunegonda, sposa dell’imperatore santo Enrico II, cano- nizzato nel 1152, mezzo secolo prima di lei.

Uno sviluppo notevole del culto della Vergine si registrò nel corso del XII secolo; pertanto, non è un caso che la maggior par- te delle cattedrali gotiche erette in quel periodo furono dedicate a lei. Tuttavia, paradossalmente, la glorificazione della figura e il culto della Vergine ebbero un impatto piuttosto limitato sulla santità femminile. La mariologia fu, in primo luogo e in forma quasi esclusiva, un discorso maschile destinato ai chierici, da cui la Chiesa pretendeva con rigore la castità. Maria, essendo vergine e madre, non costituiva un modello credibile per le donne, in quanto incarnava una figura trasgressiva nell’ordine della natura. Indubbiamente, però, lo sviluppo del culto della Vergine in Occi- dente contribuì a mutare in meglio l’immagine della donna in ambito religioso. Nel 1173, di fatto, papa Alessandro III metteva in rilievo un aspetto che a noi potrebbe risultare evidente, ma che non lo era per gli uomini dell’epoca, e cioè che se il Signore scelse

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di nascere da una donna, lo fece non solo per gli esseri di sesso maschile, ma per l’intero genere umano. Un monaco certosino in seguito divenuto vescovo, Ugo di Lincol, alcuni anni dopo si spinse ancora più in là, affermando che se nessun uomo è stato mai chiamato padre del Signore, una donna, invece, poté essere madre del Signore108.

Ma questo atteggiamento di apertura nei confronti delle donne dimostrato, nel XII secolo, da alcuni uomini di Chiesa par- ticolarmente illuminati non risolveva il problema della santità femminile: infatti, una cosa era affermare che le donne potevano sperare nella salvezza, tutt’altra era considerare l’eventualità che esseri cosi inclini al peccato, in particolare a quelli della carne, po- tevano accedere alla santità. Di fatto, l’ostacolo venne aggirato unicamente valutando e superando tali difficoltà nell’ambito della spiritualità penitenziale che alterò profondamente, dopo il 1100, il clima religioso in Occidente. Per quanto riguarda l’agiografia e l’iconografia, l’incarnazione più singolare di questa forma di spiri- tualità furono la Maddalena e il suo numeroso seguito di pecca- trici pentite di origine orientale come Pelagia, Taide o Maria Egi- ziaca. Si trattava di donne che si erano convertite attraverso l’amore e il pentimento, che dopo aver vissuto in maniera tutt’altro che santa - praticando addirittura la prostituzione - ave- vano infine scelto di vivere in comunione spirituale con Cristo, intraprendendo alcune persino la via dell’apostolato. Con queste figure nuove, le cui biografie e il cui culto si diffusero nel II seco- lo, venne affermandosi un’idea di santità che non corrispondeva

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più al modello di perfezione spirituale acquistata attraverso il martirio o legata ad un particolare stile di vita, ma piuttosto era il risultato di una ricerca di Dio. Era un modello di santità accessi- bile a chiunque, con la grazia di Dio, riuscisse ad ottenere il per- dono attraverso un sincero pentimento, consistente nel radicale ribaltamento della propria esistenza e della propria condotta di vi- ta. In quest’ottica particolare, nell’itinerario che porta al raggiun- gimento della santità, le donne risultavano avvantaggiate, in quan- to partivano da un gradino più basso, essendo prive di potere e d’istruzione, e in grado di offrire solo la loro capacità di amare.

Questo contesto spirituale spiega il successo del movimento penitenziale in cui le donne rivestirono sempre più un ruolo di prim’ordine. Nei villaggi e nei centri urbani dell’Italia e del Belgio, dopo il 1170-1180, fecero la loro comparsa nuove forme di vita religiosa in linea con le esigenze dei laici, come le confraternite dei penitenti o i gruppi di beghine. Costoro associavano lavoro e preghiera a uno stile di vita simile a quello dei religiosi, senza pe- rò che ciò implicasse un’esistenza conventuale, appannaggio esclusivo dei ricchi. Pertanto in Lombardia e, successivamente, nell’Italia Centrale, dopo il 1200 si registrarono varie sperimenta- zioni di questo genere: il terz’ordine degli Umiliati e, soprattutto, l’Ordine della Penitenza. Le donne nubili e vedove che vi aderi- vano , in genere, non lasciavano le proprie case, ma sceglievano di condurre all’interno delle mura domestiche un’esistenza di preghiera e di penitenza, compiendo, nel frattempo, attività di as- sistenza ai poveri e ai lebbrosi. Altre ancora, come ad esempio le Anacorete, con il consenso del loro vescovo o delle autorità reli- giose locali, si segregavano in una cella, procurandosi da vivere

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con il proprio lavoro o attraverso le elemosine della comunità. Anche le donne sposate, al pari dei loro mariti, e insieme a loro, potevano entrare a far parte di confraternite di penitenti, ormai spesso legate ai nuovi Ordini Mendicanti, soprattutto ai France- scani e ai Domenicani, che, verso la fine del XIII secolo, tentaro- no di incorporare tali associazioni nel loro terz’ordine109.

Nacquero proprio in questo periodo figure di sante la cui esperienza si discostava completamente dalla norma impostasi fi- no ad allora, e la cui intensa vita spirituale attirò l’attenzione dei contemporanei.

Con queste figure, sia che si trattasse di penitenti laiche […] o di monache di clausura, la natura personale, modellata attraverso la propria esperienza religiosa, si trasfondeva in una scienza di comu- nione con Dio, il cui mistero profondo veniva contemplatio dalla sua creatura - volte con estasi improvvise, a volte con abbandoni di più lunga durata- e i cui «conforti spirituali», per riprendere l’espressione usata nei testi coevi, effondevano una dolcezza illimi- tata110.

Sostanzialmente, nel corso del XIII secolo, venne affermandosi, dai Paesi Bassi all’Italia Centrale, una nuova forma di santità femminile. Tenute lontane dal sacerdozio all’interno della Chiesa, isolate dal mondo esterno da una clausura sempre più rigorosa, alcune donne riuscirono a compensare la posizione marginale da loro occupata nell’ambito della Chiesa riuscendo a passare per portavoce della rivelazione divina: non essendo, infatti, in grado di leggere né di scrivere, queste sante donne miravano, soprattut- to a stabilire un contatto con Dio attraverso il cuore. Così,

109 Cfr. ivi. p. 102. 110 Ibidem.

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nell’intento di dissuadere i contemporanei dal peccare, a livello individuale o collettivo, tramandando loro messaggi del Signore e descrivendo le pene cui sarebbero incorsi se avessero perseverato nella loro condotta iniqua, alcune di queste donne non esitarono a denunciare i mali che affliggevano la Chiesa e i danni che a essa procurava il comportamento di molti chierici.

Una folta schiera di donne sante sul finire del Medioevo, superando gli ostacoli legati al proprio sesso, fu in grado di pro- muovere nuove forme di santità, coniugando insieme libertà evangelica e una fedeltà, in verità a volte sofferta, nei riguardi del- la Chiesa. Lo studio condotto fin qui ha messo alla luce come nelle biografie di queste figure femminili, il matrimonio e la vita familiare abbia sempre occupato un ruolo marginale: in quanto, nel Medioevo, questi aspetti, insieme al lavoro, riguardavano la sfera del profano e raramente venivano considerati al livello spiri- tuale, piuttosto venivano visti come ostacoli al pieno raggiungi- mento di una vita religiosa, anche quando questa era vissuta nel mondo. Pertanto, indizio di un cambiamento rilevante va ritenuto il fatto che donne sposate con figli, come santa Elisabetta di Un- gheria, santa Edvige o santa Brigida di Svezia, potessero essere canonizzate dal pontefice. In tal modo, lo stretto legame esistente tra verginità e santità veniva a dissolversi.

Al di là delle differenze che caratterizzano queste sante del XIII secolo, esse segnarono una svolta nella spiritualità occiden- tale. La condotta che le accomuna può essere definita come una curiosa mescolanza di coscienza aristocratica e di entusiasmo per la rinuncia delle ricchezze e del potere temporale, in conformità con le tendenze più attuali dell’epoca: la povertà di queste nobil-

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donne e principesse dovette apparire agli occhi dei contempora- nei come la più eroica forma di rinuncia possibile, trattandosi di donne che avevano tutte abbandonato quanto di meglio la vita potesse offrire.

Comunque, un ribaltamento simbolico del genere non signi- ficò una rinuncia completa del potere. Al contrario, consentì il configurarsi di un nuovo tipo di potere risultante dalla combina- zione della tradizionale virtus aristocratica con il prestigio sopran- naturale. Così, le principesse sante iniziarono a formulare profe- zie, a leggere nel pensiero, si trasformarono in corpi irradianti lu- ce, ed infine, dopo la morte, ottennero poteri miracolosi. Vau- chez sostiene, senza aver paura di esagerare, che queste vergini aristocratiche, sfruttate dai loro confessori mendicanti come una sorta di medium, aiutarono la religione a permeare il folklore dei popoli dell’Europa centrale e la cultura cavalleresca111. Ma anche

un’altra interpretazione può essere data al successo di questo modello di santità: in realtà, queste sante donne non rappresenta- vano solamente un gruppo rilevante nell’ambito delle nuove ten- denze assunte nel XIII secolo dalla religiosità femminile, ma a lo- ro si deve anche un rilevante mutamento del tipo di santità, di fatto reale e dinastica, dominante fino ad allora soprattutto in Scandinavia ed in Europa centrale. Non sorprende, pertanto, in questo contesto, che i nuovi culti di sante donne diventassero una questione di prestigio dinastico, al punto da innescare una sorta di reazione a catena nel tentativo di ottenere la canonizzazione.

Le sante del Basso Medioevo, nel complesso, si adoperaro-

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no per costruirsi un prestigio incisivo, basato su un potere misti- co e carismatico. Per riuscire in questo scopo le principesse del XIII secolo avevano ancora bisogno del prestigio che derivava loro dalle origini reali o dinastiche. Le condizioni di donne dell’aristocrazia consentì loro di dare un impulso determinante all’ascesa femminile che caratterizzò gli ultimi secoli del Medioe- vo.

Poterono fare a meno dell’alto rango e di una corte presti- giosa invece le sante dell’Italia comunale. Il loro potere si fondò piuttosto sugli strumenti del misticismo politico, supportati da straordinari esercizi di ascetismo, digiuni e persino segni corporali attestanti la passione di Cristo e stigmate. Nel XV secolo questi poteri soprannaturali divennero prerogativa anche delle figlie dei contadini, così come avvenne nel caso di Giovanna d’Arco, con- siderata dai contemporanei non solo una guerriera, ma anche e soprattutto una profetessa.

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