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1. DONNE E FEDE

1.2. A NCUNI CENNI SULLLE PRIME FORME

1.2.4. Le prime regole monastiche per le

Alla fine del IV secolo quindi il movimento monastico è in piena espansione e ha definito una ricchissima cultura dell’uomo e delle sue relazioni con Dio. Compaiono così le prime regole monasti-

94 Il motivo del viaggio diventa la forma d’espressione di un viaggio interiore,

l’illustrazione dell’interna ascesi dell’autore scandita dagli incontri con coloro che pri- ma di lui o lei si sono avventurati nelle lande sconosciute del loro cuore per ricalcare le orme del Salvatore e ritrovare quel Cristo che il rumore della città e i suoi allettamenti avevano occultato; cfr. Devoti (1992: 188).

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che, quelle di Pacomio in Egitto, di Basilio in Cappadocia e di Agostino nell’Africa nord occidentale, tutte indirizzate a monaci, ma ben presto osservate anche da monache. È ormai certo che le prime regole monastiche prendessero vita in monasteri doppi, va- le a dire composti da una comunità maschile e da una comunità femminile96.

Si sa poco sulle norme che regolarono le vita monastica femminile in Occidente, e quel poco per lo più riguarda le comu- nità fondate da esponenti dell’aristocrazia senatoria romana97.

Inoltre la lettura delle regole aiuta solo in parte a ricostruire la vita nei monasteri, tanto più che per un certo periodo di regole espli- citamente scritte per le comunità femminili non ne esistettero: le prime di cui si giunse a conoscenza nell’Occidente latino sono quella di Pacomio, tradotta da Girolamo, e la redazione breve

96 L’espressione “monastero doppio” è già in uso in questa stagione. Essa designa due

comunità, una di monaci, l’altra di monache, stabilite in uno stesso luogo – non neces- sariamente entro la stessa cinta muraria – che militano sotto una regola e un’autorità. Sovente è in comune anche il patrimonio e i due corpi comunitari formano giuridica- mente un’unica persona morale. Monasteri doppi si trovano in ogni area di diffusione del movimento monastico. Spesso le monache guadagnano la sopravvivenza lavoran- do la lana anche per i fratelli e ne ricevono in cambio del cibo. La cultura monastica dei primi secoli riconosce a uomini e donne la possibilità di dare la medesima resa spi- rituale; fra i due sessi intercorrono relazioni simbiotiche, delle quali l’istituto del mona- stero doppio è lo specchio. Tale istituto si distingue peraltro da quello del monastero misto, che raduna uomini insieme con vergini in situazioni poco chiare, ed è deprecata dai concili ecclesiastici e dai divulgatori dell’ideale ascetico; cfr. Carpinello (2002: 17- 18). Già attestate nel III secolo, non poco imbarazzo provocarono ai Padri le virgines

subintroductae, che avevano affidato la tutela del proprio pudore alla convivenza con

asceti; cfr. Consolino (1994: 23). Nell’alto Medioevo l’Italia si conferma una terra in cui i rapporti tra religiosi e religiose sono particolarmente difficili: a ragion di ciò po- che sono le tracce o addirittura nessuna di monasteri doppi presenti nel territorio; cfr. Barone (1994: 86).

97 Mentre per monachesimo orientale si è in possesso di quel ricchissimo documento

che è la Historia Lausiaca di Palladio, non esiste per l’Occidente alcun testo che, per va- rietà e ricchezza, possa anche lontanamente paragonarsi ad esso: le sole testimonianze di cui disponiamo riguardano infatti la vita ascetica abbracciata da donne della nobilitas romana; Per una visione più ampia in merito si legga il paragrafo della Consolino: Il

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della regola basiliana, tradotta da Rufino.

La vita interna nei monasteri patrizi di Marcella e di Lea a Roma e in quelli d’oltremare, in Palestina, è storicamente ben do- cumentata nell’epistolario di Girolamo; le sue 121 lettere costitui- scono, in tutti i sensi, la fonte più ricca per una conoscenza utile sulle donne religiose di quel tempo. Pur essendo possibile rinve- nire in molte lettere riferimenti e chiarimenti a situazioni inerenti al vissuto delle vergini e vedove associate, è l’epistola CVII quella che offre una serie di precetti che ogni monaca deve seguire, se vuole raggiungere la perfezione dello spirito98. Non si tratta, però,

di una Regola vera e propria, dato che in realtà si parla dell’educazione cristiana di una bambina, Leta; il contenuto sem- bra più un breve trattato di pedagogia, in cui Girolamo, profondo conoscitore delle consuetudini e delle Regole monastiche orienta- li, illustra alla destinataria la quotidianità propria del vivere in monastero, «temprandola di quel quid nobilissimo dell’essere cri- stiani alla maniera latina, mai incline ad estremismi di sorta»99.

Anche l’epistola XXII, quella sulla verginità, la CVIII e la CXXV non mancano di insegnamenti propri del vivere in religione: im- parare ogni giorno un piccolo passo della Bibbia o i Salmi a me- moria, vivere nascoste al mondo, ascoltare letture edificanti nel tempo del refettorio, evitare le futili compagnie e il parlare vuoto, vivere con umiltà, praticare la povertà, l’obbedienza e la mode- stia, vestire e nutrirsi come si addice ad un’anima tesa al raggiun- gimento degli ideali ascetici, e altro. Girolamo raccomanda alle monache anche il lavoro, utile al corpo come all’anima per sfug-

98 Per l’intera epistola vedi Cola (1996-1997: 289-308, vol. 3). 99 Musardo Talò (2006: 38).

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gire alle insidie dell’ozio; e inoltre, è fondamentale nel suo pensie- ro la preparazione culturale delle monache, anche se sembra esse- re una preoccupazione superflua, considerata la provenienza so- ciale delle sue discepole.

Alla fine del IV secolo, grazie all’operato di Ambrogio, si avvia quel fertile programma di canalizzazione dell’istituzione monastica nei ranghi della Chiesa ufficiale, a cui d’ora innanzi i vescovi daranno un impulso carismatico. In effetti, tra il IV e il V secolo, nelle diocesi dell’Italia settentrionale, il monachesimo femminile, come quello maschile, vive una stagione intensa grazie ad un comune programma di incentivazione del vivere in religio- ne, portato avanti dai vescovi, quasi sempre monaci. Fioriscono nuovi centri monastici, come la comunità di vergini consacrate attiva nella città di Piacenza, presso San Michele, voluto dal ve- scovo Sabino per la sorella Vittoria; o il monastero dei Santi Me- dici Cosma e Damiano di Brescia, coevo a quello maschile di San Faustino, Ambedue eretti dal vescovo Onorio100. Ma situazioni

simili probabilmente si ebbero in altre diocesi di antica istituzio- ne, come Bologna, Ravenna, in alcuni centri della Toscana, dell’Umbria, delle Marche e del Lazio, i cui vescovi, il più delle volte di estrazione monastica, predicavano ideali di vita ascetica e fondarono comunità religiose. Tra l’altro è importante ricordare che quasi tutti i membri della prime generazioni di presuli dell’Occidente furono abati o monaci: la letteratura agiografica al- tomedievale, in pratica di esclusiva estrazione monastica, è ricca di nomi di vescovi vissuti tra il IV e il V secolo, quasi tutti fonda-

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tori di comunità maschili e femminili. Una siffatta ricchezza di presenze monastiche nei vari comprensori episcopali subalpini soffre però della mancanza di regole interne della vita claustrale. Infatti, ogni comunità viene governata secondo norme e consue- tudini proposte dalle varie monache, scelte dal vescovo a guida del monastero. Una legislazione ufficiale e comune a più centri religiosi o l’idea di quello che più tardi sarà un “ordine monasti- co” – le due cose pensate al femminile – sono ancora lontane di molti secoli.

Una prima Regola in questi termini, anche se molto breve, è quella di Sant’Agostino, il quale fondò nella sua diocesi monasteri non solo per i chierici, avviando così il sacerdozio monastico, e preoccupandosi anche delle comunità femminili che si trovavano sotto la sua giurisdizione episcopale: a tal ragione compilò la pri- ma Regula monastica, più tardi codificata e universalmente rico- nosciuta come tale in tutto l’Occidente. Con Agostino, quindi, ha inizio la storia della legislazione monastica femminile. Nell’intenzione del suo autore, questa composizione inizialmente si mostrò più come una fraterna obiurgatio nei confronti di un monastero di vergini ribelli. Posta in calce all’epistola CCXI101,

dal titolo Ad sanctimoniales, vede come destinataria la monaca Feli- cita, eletta badessa del monastero di Ippona, dopo la morte della sorella di Agostino, la vedova Perpetua. La Regula, scritta tra il 420 e il 425, si compone di sedici brevi capitoli; i primi quattro

101 La Regularis informatio, più nota con il titolo Ad sanctimoniales, sembra essere una

limpida rielaborazione al femminile della Praeceptum ad servos Dei, composta da Agosti- no nel 397 per i suoi monaci chierici; dunque va riconosciuta la priorità del Praeceptum sulla Regularis informatio, che pure rimane il primo modello in assoluto di legislazione monastica femminile; cfr. in merito Musardo Talò (2006: 44, nota 33), la quale riman- da ad uno studio critico di L. M. Verheijen, La règle de S. Augustin.

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sono indirizzati alla comunità, ribellatasi alla superiora, e i restanti dodici capitoletti sono delle prescrizioni riguardanti la povertà e i beni in comune, l’invito a praticare l’umiltà e la carità, il modo di intendere la preghiera corale e il canto, l’astinenza e il prendere i pasti, il trattamento speciale per le monache inferme, la virtù della modestia, la correzione fraterna, il divieto della proprietà privata, l’igiene102 e l’assistenza nelle malattie, il perdono delle offese,

l’obbedienza, le attribuzioni della badessa e, infine, l’invito a con- siderare la Regula come lo specchio dell’anima.

Altre comunità femminili nelle regioni dell’Africa sono ri- cordate in alcuni scritti di Agostino, e comunque già al tempo di Cipriano e Tertulliano si ha notizia di vergini velate; ma è in dub- bio se vi fossero comunità organizzate già prima dell’epoca del santo d’Ippona. Quando, non molto tempo dopo, nell’Africa set- tentrionale il cristianesimo e le forme di ascetismo entrano in crisi – a causa della controversia dei donatisi, più tardi con l’invasione dei vandali e poi con l’arrivo della dominazione islamica – la Regu-

la di Agostino comincia timidamente a circolare, offrendosi come

primo disegno organizzativo sistematico all’interno di abbazie e clausure dell’alto Medioevo.

L’esperienza monastica, anche se alla maniera orientale, co- mincia a coinvolgere ed affascinare il vasto territorio delle Gallie: in questi luoghi, infatti, prese a svilupparsi un ampio movimento

102 È curioso, non tanto il fatto che il bagno sia previsto una volta al mese, quanto

piuttosto che al bagno non possano andare in un numero inferiore di tre. Infatti, le tentazioni carnali sono trattate con maggiore preoccupazione, come se la donna su questo terreno fosse più fragile. Il testo denuncia tra le righe forme di omosessualità femminile, sia fra le secolari che fra le religiose; ragion per cui raccomanda alle mona- che che escono dal monastero di non «eccitare la concupiscenza» e di non andare mai, per l’appunto, al bagno in coppia, ma almeno in tre; cfr. Carpinello (2002: 17).

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di anacoreti, che ben presto si arricchì di seguaci femminili. Per- tanto, tra il IV e il V secolo, il monachesimo femminile gallico si consolida soprattutto grazie all’azione di alcune grandi figure di vescovi, i quali svolgono un ruolo determinante nell’impianto del monachesimo occidentale.

È un monaco, Giovanni Cassiano, invece l’artefice, sempre nel V secolo, di una più omogenea fondazione di monasteri femminili, come quello in Provenza, a Marsiglia; egli provò a dare alle monache una sorta di Regola, nelle cui norme comincia a tra- sparire già il clima della clausura alla maniera occidentale: qui l’ideale monastico sembra più consono alla cultura cristiana lati- na, anche se la struttura è data dall’esperienza del monachesimo primitivo orientale, con cui l’autore era stato in contatto fino al 385. Le sue Collationes, fatte di testimonianze e di ricordi maturati negli anni vissuti in Egitto, costituiranno materia di studio e di meditazione per tutti i monaci e le monache dell’Occidente cri- stiano tardo antico e alto medievale. Ma è il De institutis caenobio-

rum, composto per i monastero di Apt, in Provenza, l’opera che

offre a Cassiano il primato tra i teorici del monachesimo occiden- tale, per aver egli elaborato un formulario da seguirsi nei mona- steri delle diocesi provenzali. «La sua non era una Regola vera e propria, ma, sia nei cenobi femminili che in quelli maschili, lo scritto dava l’avvio ad una forma vitae che sapeva già di monache- simo nostrano»103.

Emerge, tuttavia, che tutte le forme di Regole a noi note messe in pratica tra i secoli IV e V all’interno delle case di mona-

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che tacciono ancora sul concetto e sul voto di clausura, cioè su un elemento portante e primario di tutto il monachesimo successivo medievale e moderno, e che troverà applicazione per la prima volta nella Regola di Cesario d’Arles104. Destinata al monastero in

cui era badessa la sorella Cesaria, in Marsiglia, essa può conside- rarsi la prima Regola redatta specificamente per donne. Basata e ispirata alla Regola agostiniana, nella sua versione maschile, scopo esplicito della Regula sanctarum virginum, dichiarato all’inizio della componimento, è trasmettere gli insegnamenti dei Padri adattan- doli al sesso femminile. In questo organico compendio precetti- stico non sfugge il rispetto e l’alta considerazione della donna che l’autore ha mutuato dalla più genuina tradizione paleocristiana e che si sostanzia in una sorta di articoli, validi a tracciare quello che è il modello della vita perfetta di una claustrale in tutta la sua oggettiva interezza e validità105. Se nella prima e nella seconda

parte Cesario segue passo passo l’opera agostiniana, a volte con-

104 La storia della legislazione monastica ha istituzionalizzato i nomi di quattro grandi

patriarchi del monachesimo cristiano: i santi Basilio, Agostino, Benedetto e Francesco, la cui autorevolezza e sapienza hanno portato, nei secoli, alla concezione di un corpus normativo scritto, capace di dare ordine, equilibrio, e concretezza alla vita interno di monasteri. Tuttavia, si sottace il contributo prezioso apportato da Cesario d’Arles al fenomeno del monachesimo femminile. Per i secoli dell’alto Medioevo egli fu, per il monachesimo femminile, l’equivalente di Benedetto da Norcia per il monachesimo maschile, dimostrandosi un acuto e profondo conoscitore dell’animo femminile. Elet- to nel 503 vescovo d’Arles, per quarant’anni nella sua pastorale considerò prioritario lo sviluppo di una pedagogia monastica. Lo scopo – nuovo e originale per il monache- simo occidentale ed estraneo anche alla Regola di san Benedetto – era quello di desti- nare e canalizzare in un ruolo ecclesiale la presenza e l’attività di tanti monasteri, che numerosi sorsero nel territorio della sua diocesi tra il 512 e il 534, specialmente quelli femminili, a cui offrì, con gli Statuta sanctarum virginum, un nuovo e solido programma di spiritualità. Pertanto, stupisce la contenuta divulgazione di questa sua Regula indiriz- zata alle congregazioni femminili del Medioevo, quando perché in essa sono presenti già in toto le connotazioni essenziali di tutta la successiva legislazione delle clausure di donne; cfr. Musardo Talò (2006: 58-59).

105 Eppure, questa regola non trovò vasta eco nelle clausure del tempo, adombrata e

sorpassata, nella seconda metà del VII secolo, dalla Regula cujusdam patris ad virginis, resa attiva nei numerosi monasteri doppi; cfr. Lunardi (1974-2003: 1223, vol. I).

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taminandola con un’altra opera di autore incerto, è solo in una sezione prescrittiva che l’autore fornisce il suo personale apporto, che prevede la clausura e che costituisce la parte più originale dell’opera: questo è il primo caso in assoluto in cui è espressa- mente prevista la clausura106. Pertanto è possibile affermare che la

Regola di Cesario, in potenza, si mostra come esempio di codifi- cazione compiuta e idonea alla struttura di ogni forma monastica femminile del Medioevo.

Con il V secolo può dirsi conclusa la prima fase della storia del monachesimo femminile nell’Occidente, caratterizzatasi, all’origine, su un tipo di ascesi domestico-aristocratico e poi – con l’affiancarsi dell’opera dei vescovi nelle diocesi – allargatosi ad altre fasce sociali, che ne hanno dilatato la consistenza, ren- dendo necessaria l’apertura di nuovi e numerosi monasteri di donne consacrate, evolvendo in tal modo nella più classica e for- tunata forma del monachesimo di tipo associativo cenobitico. Si tratta di una fase lunga e sofferta a causa delle numerose con- traddizioni culturali che l’hanno caratterizzata, per gli eroici tenta- tivi di riscattarsi di continuo – anche inconsciamente, con elevate forme di misticismo e con assoluta dedizione agli ideali evangelici – da una cultura, anche quella cristiana, che per certi aspetti ne offendeva la dignità, ponendo la figura femminile in un ruolo su- balterno rispetto a quello maschile. Resta il fatto, tuttavia, che, a differenza di quello maschile, il monachesimo femminile appare

106 Per una visione più ampia e completa in merito ai primi esemplari di regole redatte

per i monasteri femminili si veda il paragrafo Le regole e relativa bibliografia di Conso- lino (1994: 32-41).

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meglio strutturato, e pur non essendoci univocità legislativa, in tutti i monasteri di donne era in auge un codice interno che ne salvaguardava la coesione sociale, il perseguimento degli obbietti- vi spirituali, l’unità d’intenti e una discreta partecipazione alla vita comune.

Pertanto, già alla fine del V secolo, la donna religiosa la si vede destinata a rimanere relegata nella vita del chiostro, lontana dalla vista degli uomini da qualsiasi ruolo attivo all’interno della Chiesa e della società e avulsa da ogni forma di potere spirituale. Tuttavia, una simile condizione non deve sembrare necessaria- mente restrittiva, in termini tutti negativi, dato che la stessa edu- cazione religiosa che la donna riceveva, incentrata sui testi della patristica, le faceva avvertire come naturale questa sua minorità e limitatezza, originatasi con Eva nell’Eden. Molte donne, comun- que, da questa condizione seppero e vollero elevarsi con la scelta della vita contemplativa, con la rinuncia al mondo, giungendo a quel modello mistico di sponsa Christi, mirabilmente perseguito da tutta la cultura monastica femminile dei secoli a venire.

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