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1. DONNE E FEDE

1.3. I DIVERSI ASPETTI E LE VARIE FASI DELLA RELIGIOSITÀ

1.3.10. Un periodo di crisi

Se dal punto di vista economico e sociale si discute ancora se gli ultimi centocinquanta anni del Medioevo possono esser definiti come un’età di crisi, è invece indiscutibile che il periodo che va dal 1300-1450 rappresenti, per la storia religiosa, una fase di grandi lacerazioni e forti incertezze.

Alla morte di Benedetto XI (1304) ha inizio una lunga fase di assenza del papa da Roma; ritornato il papa (Gregorio XI) da Avignone nel 1377, la situazione degenera ulteriormente, Alla morte del pontefice, infatti, il collegio cardinalizio procede a due elezioni successive: si hanno così due papi, Urbano VI e Clemen- te VII. Da allora, e fino al 1417, la Chiesa non avrà più ina sola ed unica guida, ma due, ed in alcune fasi tre. Ma anche dopo l’elezione di Martino V, nel 1417, la situazione interna della Chie- sa seguiterà ad essere travagliata, dato che papa e Concilio conti- nuano a disputarsi il ruolo di guida della cristianità.

Per la penisola italiana la lontananza da Roma dei papi ha si- gnificato una netta marginalizzazione: sono sempre meno nume- rosi, nel sacro Collegio, i cardinali italiani; la situazione politica si fa sempre più anarchica, con un papa francese che tenta, in gene- re senza risultati, di esercitare il controllo politico in Italia. Infine, sempre meno denaro affluisce a Roma, dato che l’amministrazione curiale si è trasferita ad Avignone e gli affari della cristianità vengono tutti definiti in Curia. Finanche nelle sto-

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ria della santità canonizzata è possibile percepire la crisi italiana: sempre meno inchieste, infatti, che riguardino abitanti della peni- sola vengono autorizzate dal papa; sono davvero pochi i proce- dimenti che arrivano ad un esito soddisfacente: le grandi eccezio- ni sono rappresentate da Tommaso d’Aquino, canonizzato nel 1323 da Giovanni XXII, e Celestino V, la cui santità viene rico- nosciuta nel 1311 da Clemente V.

Difficilmente ci si può rendere conto della profonda lacera- zione che lo scisma ha rappresentato per la cristianità: si pensi, ad esempio, al fatto che gli Ordini Mendicanti, roccaforte dell’ortodossia nei centocinquant’anni precedenti, sono anch’essi divisi in due obbedienze; l’Università di Parigi, la parens scientiarum, la madre di tutte le scienze – e della teologia prima fra tutte – se- condo la celebre bolla di Gregorio IX del 1231, è ora in pina crisi, dopo che, con la sua scelta di obbedire al papa di Avignone pri- ma, con i suoi continui ondeggiamenti poi, non rappresenta più la voce unica della cultura teologica europea.

Inoltre il continente è segnato, per più di un secolo, dal con- flitto che oppone le due più grandi potenze cattoliche: Francia ed Inghilterra. Il disordine politico, le miserie economiche, i conflitti sociali che alla guerra si accompagnano si traducono anche in un’esasperazione del sentimento religioso, in un’ansia di certezze che trova spesso uno sfogo in attese apocalittiche e nella fede dei tanti profeti, che fanno risuonare, in tutta Europa, la loro parola ispirata.

Infine, sullo sfondo le grandi pestilenze: dalla prima e più celebre, quella del 1348, la peste nera, alle tante ricomparse dei decenni successivi, che decimano la popolazione e rendono ancor

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più percepibile alla coscienza del singolo cristiano la fragilità dell’esistenza terrena.

È dunque questo, assai brevemente, il quadro che condizio- na gli sviluppi della religiosità in Europa alla fine del Medioevo. Si cercherà adesso di tracciare i caratteri dell’esperienza religiosa in area italiana.

L’attesa della fine, il senso della precarietà del vivere, la ne- cessità di sostituire nuove forme di solidarietà a quelle consuete, familiari o di vicinato, che la peste ha distrutto, sono ad esempio alla base della nascita o del crescente successo, delle confraternite in area toscana. Anche a Roma le confraternite registrano incre- menti nelle iscrizioni e, soprattutto, nei lasciti testamentari che sono all’origine della loro floridezza economica. In più sembrano particolarmente moltiplicarsi e meglio organizzarsi le istituzioni ospedaliere cittadine139.

Naturalmente l’assenza del papa da Roma è sentita in Italia come una sorta di mutilazione, ragion per cui si alzerà la voce delle grandi mistiche del tempo, italiane o italianizzate, a invocare la necessità del ritorno del Pontefice nella sua città d’elezione. Donne diversissime tra loro come la senese Caterina, figlia di un modesto artigiano, e la svedese Brigida, giunta a Roma per il Giubileo del 1350, di stirpe nobile, sono concordi in questa loro persuasione che sia la volontà di Dio che il Papa torni a Roma. La mistica di Caterina e di Brigida, pur per tanti versi simile a quella delle innumerevoli donne pie delle età precedenti, ha avuto la possibilità di essere benevolmente ascoltata, e più tardi uffi-

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cialmente riconosciuta come ispirata da Dio e quindi confermata con la canonizzazione, poiché si tratta di una capacità visionaria che si manifesta in perfetta obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e si fa pilastro delle barcollanti istituzioni140. A questa caratteristi-

ca Caterina unisce quella di porsi come perfetto esempio delle virtù di carità che dovrebbero connotare una mantellata, e cioè una penitente sotto la guida spirituale dei domenicani. La grande fama goduta da Caterina ancora in vita, gli straordinari doni di cui fu dotata, la ricchezza e la novità della sua esperienza mistica, la lingua in cui si è espressa, tutti questi elementi hanno concorso a garantirle un’enorme successo. Alla fine del Medioevo e all’inizio dell’età moderna, l’imitazione di Caterina sarà frequente come, al- cuni secoli prima, lo era stata quella di Francesco d’Assisi, anche se questa volta, ed è la prima volta, si tratta di una donna141.

Così come in precedenza si è visto, donne come Caterina e Brigida non si limitano a descrivere le proprie esperienze di co- munione con Cristo, ma hanno anche il chiaro intento di voler agire concretamente nella realtà politica del tempo, anche se in maniera velata. Non si tratta però di casi isolati: anche le mistiche francesi dell’età dello scisma incarnano le voci di semplici cristiani di fronte all’inaudita divisione, e sono allo stesso tempo strumen- to per chi utilizza la loro capacità profetica per la propria causa. Il caso più celebre di mistica politica è naturalmente Giovanna d’Arco. Ma tale atteggiamento non è destinato ad esaurirsi: nella Roma di Eugenio IV, Francesca Romana tenta di intervenire per riconciliare il papa con il Concilio di Basilea; e negli anni ancora a

140 Cfr. Vauchez, (1989a: 366-368, 399-405). 141Cfr. Barone (1994: 104).

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seguire l’Italia vedrà il proliferare di profetesse di corte, che met- tono il loro carisma al servizio della politica142.

A questo punto gli uomini di Chiesa ebbero realmente paura di queste donne così numerose che avevano acquisito un tale presti- gio e potere presso i fedeli. In altri termini, ritengo che la rilevante ascesa delle donne sante, il loro naturale conformarsi a determinati ideali religiosi contemporanei, e soprattutto la loro capacità di con- vertire il prestigio soprannaturale in potere politico nel contesto di culti dinastici a nord delle Alpi, e della regione cittadina a sud delle stesse, contribuì ad una sorta di emancipazione femminile, ma produsse al tempo stesso una reazione di angoscia nei ceti dirigenti della cristianità. È molto probabile che i sentimenti contraddittori generati da queste sante così carismatiche abbia contribuito a far sì che l’immagine spaventosa della strega, che compare alla fine del Medioevo, avesse dei connotati essenzialmente femminili, come quelli descritti nel Malleus maleficarum (che offre lo studio particola- re di un caso volto a spiegare «perché le donne fossero particolar- mente inclini alle superstizioni diaboliche!») e a far in modo che le vittime della caccia alle streghe fossero delle donne143.

142 Cfr. ivi, p. 105.

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2. Sant’Agata: vita, martirio, traslazione

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