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Iran: tra engagement e containment

3.4 Il caos mediorientale

3.4.2 Iran: tra engagement e containment

La discontinuità maggiore, fra Donald Trump e Barack Obama, però, si riscontra principalmente in merito alla questione iraniana e, quindi, con riferimento al Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), stipulato fra i cosiddetti paesi del P5+1 (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito e Germania) e la Repubblica Islamica.

I paesi del P5+1 si impegnavano, così, a rimuovere un determinato numero di sanzioni nei confronti dell’Iran, fornendogli, inoltre, accesso a 7 miliardi di fondi precedentemente congelati in banche straniere; infine, accettavano di sospendere l’embargo ai danni dell’industria automobilistica e aeronautica iraniana. In tal modo, si forniva al regime la possibilità di risollevare la propria economia stagnante, in cambio, però, dell’impegno iraniano a fermare l’arricchimento dell’uranio e ad accettare il controllo da parte di ispettori internazionali. L’accordo, all’epoca, non fu sottoposto al Senato, dove avrebbe dovuto ottenere 60 voti per poter essere ratificato, cricostanza poco probabile visto che la camera era nella mani dei Repubblicani; pertanto, il Jcpoa venne classificato come ordine esecutivo402.Trump ha più volte definito l’accordo come il peggiore, nella storia dell’America403, minacciando più volte il ritiro dal Jcpoa se il Congresso non

avesse apportato degli emendamenti per rendere alcuni termini più restrittivi404.

Tuttavia, nel maggio 2018, il Presidente ha annunciato egualmente il ritiro degli Usa dall’accordo e l’imposizione delle sanzioni antecedenti la firma del Jcpoa. Le motivazioni che hanno spinto Trump a procedere a tale azione sono chiare: in primo luogo, l’accordo non prende in considerazione l’arsenale iraniano di missili balistici né il comportamento assertivo della teocrazia; in secondo luogo, alla scadenza dell’accordo nel 2030, le cosiddette ‘’sunset clauses’’, in definitiva, avrebbero lasciato irrisolta la questione nucleare, non precludendo in alcun modo che l’Iran possa dotarsi dell’atomica in un prossimo futuro405.

401 Sloat A., Op. Cit.

402 Sherman W. R., ‘’How We Got the Iran Deal’’, in Foreign Affairs, Settembre/Ottobre 2018, p. 193. 403 Trump D. J., Op. Cit., p. 39.

404 Mohseni P., Nowrouzzadeh S., ‘’Trump’s Dangerous Shift on Iran’’, in Foreign Affairs, 15 Ottobre 2017. 405 Landler M., ‘’Trump Abandons Iran Nuclear Deal He Long Scorned’’, in The New York Times, 8 Maggio 2018.

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Trump è profondamente convinto, grazie alla sua esperienza di deal maker, di poter riuscire a strappare al regime khomeinista un accordo più vantaggioso dal punto di vista statunitense. La tattica negoziale da adottare, secondo il Presidente, sarebbe quella della ‘’maximum pressure’’ che era riuscita a portare al tavolo negoziale persino Kim Jong-Un406.

Tuttavia, se per Trump l’obiettivo è quello di ottenere un nuovo accordo, per molti ‘’falchi’’ della sua amministrazione l’obiettivo rimane quello del regime change: il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, ha più volte sostenuto che l’obiettivo finale dell’amministrazione rimane il cambio di regime; parimenti, il Segretario di Stato, Mike Pompeo, ha affermato che ‘’Congress must act to change Iranian beahviour, and ultimately, the Iranian regime’’. Lo conferma il fatto che la Cia rimane in contatto con i gruppi dissidenti, ostili al regime407.

Il ritiro degli Usa dal Jcpoa è stato accolto in maniera prevedibilmente negativa dall’Iran: il Presidente Hassan Rouhani ha garantito che l’accordo sarebbe sopravvissuto nonostante tutto; dall’altro, però, ha aggiunto che, qualora il Jcpoa dovesse fallire completamente, l’agenzia atomica iraniana riprenderebbe l’arricchimento dell’uranio nel giro di poche settimane. Allo stesso modo, anche Francia, Regno Unito e Germania hanno espresso preoccupazioni per l’incertezza che circonda il futuro del tanto sudato accordo; i leader europei hanno però sottolineato il loro continuo impegno a rispettare i termini del Jcpoa, nonostante la minaccia del Presidente Trump, che ha ammonito come qualsiasi nazione che aiuti l’Iran col suo programma nucleare sarà severamente sanzionata. Anche il Ministero della Difesa russo ha espresso profonda delusione nei confronti della decisione unilaterale di Trump e del rifiuto da parte dell’America di onorare i propri impegni408.

Al contrario, la mossa di Trump ha avuto, ovviamente, il plauso di due alleati storici dell’America in Medio Oriente, Israele e l’Arabia Saudita, entrambi frustrati dall’engagement di Obama nei confronti del regime khomeinista. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, infatti, ha affermato che il Jcpoa aveva eliminato qualsiasi freno all’aggressività iraniana nella regione e che, sebbene con notevole cautela, è possibile scorgere alcune similarità fra il regime khomeinista e quello nazista. Tale paragone, peraltro irrazionalmente forzato, è stato però ripreso anche dall’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, il Principe Khaled bin Salman, che ha paragonato

406 Idem.

407 Etzioni A., ‘’What America Wants from Iran Can’t Be Achieved by Regime Change’’, in The National Interest,

1 Luglio 2018.

408 Borger J., Dehghan S. K., Holmes O., ‘’Iran deal: Trump breaks with European allies over 'horrible, one-sided'

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l’accordo con l’Iran all’appeasement che, negli anni ’30, aveva permesso l’ascesa di Hitler e della Germania nazista409.

Nonostante le similitudini molto forzate, Trump ha più volte espresso il desiderio di migliorare le relazioni con le monarchie del Golfo, allo scopo di contenere quella che viene individuata come la volontà egemonica di Teheran. In particolare, gli interessi di Washington e Riyadh convergono su importanti dossier, fra i quali spicca il contenimento dell’Iran nel teatro siriano e in quello yemenita, nel quale i sauditi, con l’appoggio degli Usa, sono impegnati nella lotta contro i ribelli sciiti Houthi, sostenuti da Teheran410.

Non sono quindi motivazioni meramente ideologiche quelle che portano Trump allo scontro con l’Iran: la dottrina dell’offshore-balancing impone il contenimento dell’aspirante egemone regionale tramite i partner locali o, nel peggiore dei casi, l’intervento diretto. Tale strategia sembra, peraltro, confermata dal Segretario di Stato, Mike Pompeo, che chiarisce che il Presidente, sebbene non voglia un altro disastroso intervento militare nella regione, non dimostra alcuna esitazione nell’utilizzo dello strumento militare411.

Lo strategia dell’attuale amministrazione appare dunque evidente: attraverso la reintroduzione delle sanzioni, precedentemente eliminate dal Jcpoa, Trump si è posto l’obiettivo di mettere il regime khomeinista alle strette per costringerlo a rinunciare al proprio programma nucleare e riportarlo al tavolo negoziale; nell’ottica trumpiana, però, l’accordo, questa volta, dovrebbe essere ‘’final and fully verified’’. Con il primo termine si intende impedire in maniera categorica il verificarsi di possibili riprese future del programma nucleare, cosa che le già citate sunset clauses del Jcpoa non permettevano; con l’espressione fully verified, invece, si vuole sottolineare l’importanza di un più rigido e intrusivo regime di ispezione, controllo e monitoraggio rispetto al precedente accordo412.

Tuttavia, è altamente improbabile che Trump riesca nel suo intento: in primo luogo, perché nonostante la rigidità delle sanzioni, che hanno lo scopo di ridurre a zero la quota di esportazioni di petrolio dell’Iran, il regime può contare sulla domanda di importazioni cinese; nonostante ciò, sul lungo periodo, per scongiurare ulteriori contromisure americane, Pechino potrebbe decidere di abbandonare Teheran al suo destino413. In secondo luogo, è difficile che le élite iraniane accettino un nuovo accordo proprio perché, in virtù del ritiro americano dal Jcpoa, non sono più disposte a

409 Simon S., Stevenson J., ‘’Trump’s Dangerous Obsession With Iran’’, in Foreign Affairs, 13 Luglio 2018. 410 Al-Rasheed M., ‘’Trump and Saudi Arabia’’, in Foreign Affairs, 16 Marzo 2017.

411 Pompeo M. R., ‘’Confronting Iran’’, in Foreign Affairs, Novembre/Dicembre 2018, p. 62. 412 Ibidem, p. 63, 64.

413 Esfandiary D., Tabatabai A M., ‘’Will China Undermine Trump’s Iran Strategy?’’, in Foreign Affairs, 20 Luglio

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fidarsi di quello che, nella loro visione, è l’atteggiamento meramente strumentale e arrogante nei confronti degli accordi internazionali da parte degli Stati Uniti414.

Probabilmente però, anche in questo caso, l’ostacolo più grande per la strategia di Donald Trump è rappresentato dai ‘’falchi’’ della sua amministrazione: quando Pompeo critica il sistema politico iraniano, soprattutto con riguardo ai diritti umani, sostenendo che il regime dovrebbe raggiungere standard qualitativi simili a quelli americani, fa trasparire una sorta di wilsonismo ‘’neocon’’ che sembra auspicare più per un cambio di regime che per un cambio di comportamento415, in contraddizione con lo spirito jacksoniano del Presidente. Per questi motivi, dunque, sarà molto difficile per Trump ottenere un nuovo e migliore accordo con la teocrazia iraniana. Al 45esimo Presidente americano l’onere della confutazione.