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Gli isotiocianati organici (R-N=C=S), conosciuti anche come “oli di senape”, sono largamente distribuiti in natura e si trovano in molte verdure tra cui broccoli, cavoli, cavoletti di Bruxelles, verza, cavolfiori ed altre piante appartenenti alla famiglia delle Cruciferae (o Brassicaceae) [Zhang e Talalay, 1994]; il consumo di una porzione media di crescione, ad esempio, è associato al rilascio di una decina di milligrammi di fenetil isotiocianato (PEITC) e di sulforafano (SFN) anche se i metodi di coltivazione e di cottura possono influenzare sia la quantità dei precursori glucosinolati contenuti nelle cellule vegetali (glucosidi solforati come sinigrina e glucorafanina) sia la loro conversione nella forma attiva [Chung et al.,1992; Galgano et al., 2007]. In particolare, gli isotiocianati sono metaboliti secondari responsabili del sapore aspro di alcuni condimenti quali la senape e il rafano, particolarmente ricchi di isotiocianato di allile (CH2=CH-CH2-N=C=S), nonché del gusto pungente che si sviluppa dalla masticazione delle parti edibili delle verdure crucifere: quando le cellule vegetali vengono rotte, l’enzima mirosinasi (o tioglucoside glucoidrolasi) promuove dapprima l’idrolisi dei glucosinolati e, in un secondo momento, catalizza il riarrangiamento molecolare (Lossen) degli intermedi di reazione per dare glucosio, isotiocianati e ione idrogeno solfato (HSO4-) come prodotti finali prevalenti. Gli isotiocianati che si formano sono molecole altamente reattive per la presenza di un atomo di carbonio centrale elettrofilo e dunque in grado di reagire rapidamente con gruppi ossidrilici, amminici e tiolici per dare rispettivamente carbammati, tiocarbammati e derivati tioureici (Figura 23) [Zhang e Talalay, 1994]; a dimostrazione dell’effettiva conversione dei precursori glucosinolati in isotiocianati ad opera dell’enzima mirosinasi e della flora batterica intestinale probabilmente coinvolta nel processo in vivo, i tiocarbammati rappresentano il principale prodotto del metabolismo degli isotiocianati nell’uomo [Mennicke et al., 1983].

Figura 23. Gli isotiocianati (ITC) reagiscono rapidamente con molecole contenenti gruppi

nucleofili quali alcoli, tioli e ammine primarie per dare carbammati, tiocarbammati e derivati tioureici [Zhang e Talalay, 1994].

51 Gli isotiocianati (ITC) di origine naturale possiedono spiccate proprietà antifungine, antibatteriche, antiossidanti e cardioprotettive ma, allo stesso tempo, possono espletare una azione citotossica a livello di vari tessuti e favorire la formazione del gozzo tiroideo quando assunti in quantità eccessive [Zhang e Talalay, 1994; Fahey et al., 2001]. Numerosi studi epidemiologici hanno messo in luce una correlazione inversa tra il consumo regolare di frutta e verdura e il rischio di sviluppare sia malattie cardiovascolari che diverse neoplasie, comprese quelle del pancreas e del colon [Olsen et al., 1991; Block et al., 1991; Miller e Snyder, 2012], permettendo così di riconoscere negli isotiocianati un marcato effetto protettivo nei confronti di alcune forme tumorali indotte da agenti chimici [Srivastava e Singh, 2004]; l’azione chemoprotettiva di questi alimenti, infatti, sembra essere legata non solo alle proprietà antiossidanti delle vitamine C ed E, del β-carotene e dei flavonoidi [Steinmetz e Potter, 1991] e alla loro capacità di inibire la formazione endogena di sospettate sostanze cancerogene come gli N-nitroso composti ma anche alla abbondante presenza degli isotiocianati in natura [Longnecker, 1986; O’Neill et al., 1991]. Nonostante non sia ancora del tutto noto il meccanismo con cui effettivamente gli isotiocianati agiscano nella prevenzione dei tumori, i risultati di alcuni studi suggeriscono un loro ampio coinvolgimento nella regolazione del metabolismo di diversi agenti cancerogeni [Prestera et al., 1993]. In generale, tutte le sostanze mutagene ambientali o derivanti dalla dieta subiscono un processo di attivazione endogeno ad opera del complesso enzimatico P-450 che consente l’esposizione di gruppi funzionali reattivi attraverso reazioni metaboliche di fase I; alcuni di questi intermedi sono fortemente elettrofili e quindi capaci di formare velocemente addotti al DNA che, se non riparati, possono causare mutazioni a livello di specifici geni tra cui oncosoppressori e oncogeni. L’inattivazione di questi metaboliti avviene grazie all’attività catalitica di enzimi di fase II che li rendono più polari e più facilmente eliminabili dall’organismo mediante coniugazione con molecole idrofile di grandi dimensioni [Hect, 1999]. A questo proposito, gli isotiocianati non solo inibiscono selettivamente gli enzimi del citocromo P-450 riducendo così l’attivazione di potenziali agenti cancerogeni e la loro interazione con le macromolecole biologiche ma stimolano anche l’espressione di geni che codificano per diversi enzimi di fase II, tra cui glutatione transferasi e NAD(P)H:reduttasi che detossificano eventuali metaboliti elettrofili generati dalle reazioni di fase I e che facilitano l’escrezione della sostanza [Zhang e Talalay, 1994]. Oltre all’azione chemopreventiva, gli isotiocianati sembrano anche esplicare uno spiccato effetto antiproliferativo nei confronti di molte linee cellulari cancerose, comprese quelle pancreatiche; per questo motivo risulta ragionevole ipotizzare un possibile

52 impiego di questi composti di origine naturale e dei loro derivati sintetici nella terapia antitumorale [Yu et al., 1998; Huang et al., 1998; Xiao et al., 2003].

Uno degli isiotiocianati maggiormente studiati, ad esempio, è benzil isotiocianato (BITC), ampiamente sperimentato sulla linea cellulare tumorale del pancreas BxPC-3 e oggetto di un importante lavoro di ricerca condotto nei primi anni di questo secolo; per determinarne l’effetto sulla crescita cellulare, le cellule pancreatiche sono state trattate con concentrazioni crescenti dell’isotiocianato per un tempo pari a 24 ore.

Come riportato in figura 24, il trattamento ha causato una cospicua riduzione della proliferazione cellulare in modo concentrazione dipendente con un valore di IC50 calcolato intorno agli 8 µM e vicino alla quantità di ITC derivante da una dieta ricca di verdure crucifere. Lo stesso esperimento ha poi permesso di osservare un accumulo significativo di cellule in fase G2/M del ciclo cellulare ed una massiccia diminuzione del numero di cellule in fase G0/G1; a seguito dell’incubazione per 24 ore delle BxPC-3 con BITC 10 µM, per esempio, la percentuale di cellule in fase G2/M è risultata circa 3 volte superiore rispetto al controllo [Srivastava e Singh, 2004].

Figura 24. Effetto concentrazione dipendente di benzil isotiocianato (BITC) sulla proliferazione

della linea cellulare tumorale del pancreas.

53 L’esatto meccanismo con cui benzil isotiocianato eserciti questo forte effetto antiproliferativo non è stato ancora completamente chiarito ma sembra essere correlato sia all’arresto del ciclo cellulare in fase G2/M sia all’induzione dell’apoptosi in specifiche linee cellulari tumorali (Figura 25) [Srivastava e Singh, 2004]. Infatti, se da una parte il trattamento delle cellule cancerose pancreatiche BxPC-3 con concentrazioni crescenti di BITC ha mostrato una consistente riduzione dei livelli di molecole regolatrici del ciclo cellulare come Cdk1 e ciclina D, dall’altra ha messo in luce un forte aumento del rapporto tra le proteine pro-apoptotiche Bax e quelle anti- apoptotiche Bcl-2 [Adams e Cory, 1998]. Dall’analisi dei risultati ottenuti è stato inoltre osservato un incremento della proteina caspasi-3 ottenuta per scissione del suo precursore inattivo procaspasi-3 e largamente coinvolta nel processo di morte cellulare programmata [Earnshaw et al., 1999; Thornberry e Lazebnik, 1998] nonché una riduzione concentrazione dipendente dei livelli citosolici e nucleari di Nf-kb, fattore sovraespresso nel tumore del pancreas che promuove la sopravvivenza cellulare [Sclabas et al., 2003]. L’attivazione di NF-kB, eterodimero costituito dalle subunità p50 e p65 normalmente trattenuto nel citoplasma, richiede la fosforilazione della proteina inibitoria IkB sui residui di serina 32 e 36 per poter traslocare nel nucleo e stimolare sia la trascrizione del gene responsabile della crescita cellulare CCND1 che la produzione di proteine anti-apoptotiche appartenenti alla famiglia Bcl-2 [Baldwin, 1996; Gutteridge et al., 1999; Perkins, 2000]; a seguito del trattamento di cellule BxCD-3 con benzil isotiocianato è possibile rilevare una consistente diminuzione dei livelli di ciclina D1, proteina codificata dal gene CCND1, a conferma dell’effetto inibitorio esplicato dallo stesso isotiocianato sul fattore NF-kB [Gansauge et al., 1997]. Risultati simili sono stati ottenuti anche con fenetil isotiocianato (PEITC) su cellule del carcinoma orale a cellule squamose HSC-3; in questo caso, l’effetto sulla progressione del ciclo cellulare si è manifestato con un arresto in fase G0/G1 accompagnato da una netta riduzione delle cellule vive in modo dose e tempo dipendente [Chen et al., 2012].

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Figura 25. Meccanismo proposto per l’apoptosi e l’arresto del ciclo cellulare in fase G2/M indotti

da benzil isotiocianato (BITC) in cellule tumorali pancreatiche BxPC-3 [Srivastava e Singh, 2004].

Così come ipotizzato per H2S, dall’analisi dei risultati di uno studio in vitro condotto sull’isotiocianato sulforafano (SFN) è emerso che anche l’effetto degli ITC sulla proliferazione e sulla migrazione cellulare possa essere di natura bifasica.

Sulforafano

Numerose linee cellulari tumorali umane sono state infatti incubate con diverse concentrazioni di sulforafano, ottenuto a partire da glucorafanina per azione dell’enzima endogeno mirosinasi, e i dati ricavati dall’esperimento hanno mostrato da un lato un forte incremento della crescita

55 cellulare a seguito del trattamento con basse concentrazioni di SFN, dall’altro una cospicua riduzione della loro proliferazione dopo esposizione ad elevate concentrazioni dello stesso isotiocianato (Figura 26 A); risultati analoghi sono stati poi ottenuti anche per i processi di migrazione cellulare (Figura 26 B) ed angiogenesi (Figura 26 C) ed è dunque evidente che l’effetto degli isotiocianati, sulforafano compreso, dipenda fortemente dalla dose e non soltanto dal corredo genetico individuale o dallo stadio del tumore [Bao et al., 2014].

Figura 26. Effetto bifasico di sulforafano (SFN) sulla proliferazione (A) e sulla migrazione (B) di

cellule tumorali della vescica T24 e sul processo di formazione di nuovi vasi sanguigni (C). A 24 ore dal trattamento, basse concentrazioni di SFN (1-5 µM) aumentano significativamente la proliferazione cellulare mentre concentrazioni più alte (10-40 µM) la inibiscono (A); come mostrato dalle curve dose-risposta a campana (B) e (C), le stesse osservazioni possono essere ripetute rispettivamente per la migrazione cellulare e per l’angiogenesi. *p<0.05 e **p<0.01 [Bao et al., 2014].

A

B

56 Oltre alla spiccata azione chemoprotettiva mediata soprattutto dalla regolazione del metabolismo di sostanze cancerogene introdotte con la dieta, basse concentrazioni di sulforafano mostrano quindi anche un chiaro effetto pro-cancerogeno in vitro con un meccanismo che coinvolge probabilmente sia la via di trasduzione del segnale PI3K/AKT/mTOR sia altri elementi implicati nel controllo della crescita cellulare [Zhang et al., 1992; Zhang e Tang, 2007; Bao et al., 2014]; uno di questi è Nrf2, fattore di trascrizione sovraespresso nelle cellule cancerose umane del pancreas e del polmone che induce un aumento della sintesi dell’enzima chinone ossidoreduttasi (NQO1) e di altre proteine ad azione antiossidante, proteggendo così le cellule dallo stress ossidativo dovuto alla formazione di radicali liberi dell’ossigeno e di agenti tossici come H2O2 [Lister et al., 2011; Barrera et al., 2012; Zanichelli et al., 2012]. Nrf2 esercita dunque un’azione citoprotettiva, promuove la crescita cellulare in condizioni di stress e causa resistenza alla chemioterapia [Brigelius-Flohe et al., 2012; Shelton e Jaiswal, 2013]; al contrario, una riduzione dei suoi livelli sopprime la crescita tumorale ed incrementa l’efficacia della terapia nel cancro cervicale [Ma et al., 2012]. Alcuni studi recenti suggeriscono inoltre che l’azione pro- cancerogena di SFN possa essere mediata anche da numerosi componenti dello stroma tumorale tra cui metalloproteinasi (MMP), collagene, microtubuli e integrine ma ulteriori esperimenti sono necessari per comprendere al meglio il meccanismo con cui gli isotiocianati sono in grado di agire a livello endogeno [Shan et al., 2013].

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