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Il caso italiano: la mancanza di riconoscimento della LIS e la situazione educativa delle persone sorde italiane

1. Approcci, opzioni educative e metod

1.6. Il caso italiano: la mancanza di riconoscimento della LIS e la situazione educativa delle persone sorde italiane

Per una serie di circostanze, l’Italia ha rivestito una notevole importanza nella storia dell’educazione dei sordi. Possiamo distinguere essenzialmente due periodi: quello che precede e quello che segue il Congresso di Milano del 1880. Prima del Congresso di Milano fioriscono numerosi istituti per sordi, istituzioni chiave nella vita delle persone sorde che vi trascorrono lunghi periodi lontano dalle proprie famiglie e vi imparano la lingua dei segni. Nella prima metà dell’Ottocento, molte persone e insegnanti sordi partecipano attivamente al dibattito culturale e pedagogico che sfocia nel bilinguismo – benché non venga usato nello specifico questo termine – lingua dei segni-lingua vocale/scritta, una condizione reale per molti sordi.

Dopo il 1880, le testimonianze dirette dei sordi scompaiono completamente e vengono rimpiazzate da quelle degli educatori udenti influenzati dalle direttive del Congresso di Milano. Tali direttive sanciscono la supremazia del metodo orale, eliminando tutte le esperienze di uso della lingua dei segni e del metodo misto. Le motivazioni sono forse da ricercare, per quanto riguarda l’Italia, nella situazione politica e sociale del tempo, che, all’indomani dell’unificazione, necessita di un’unità anche linguistica. Quando il potere religioso avalla questa necessità, la soppressione della lingua dei segni è completa e approvata a livello internazionale da tutti i partecipanti al Congresso, esclusi gli americani. I sordi non vengono ammessi.

L’educazione ufficiale diviene oralista e la lingua dei segni, bandita e stigmatizzata, continua ad essere usata quotidianamente, ma sempre di nascosto. Parlando degli istituti per sordi e riferendosi, nel dettaglio, all’esperienza di David Wright30, Sacks scrive che “nella scuola il ricorso al linguaggio gestuale fioriva: […] era qualcosa di irreprimibile, a dispetto di qualsiasi punizione e proibizione” (Sacks, 1990: 41). Nonostante ciò, la lingua dei segni viene da allora percepita come un sistema gestuale di basso livello, anche dalle stesse persone sorde che la utilizzano.

Storicamente, il non verbale è sempre stato relegato (soprattutto dalla religione) a una posizione di notevole inferiorità rispetto al verbale, così come il corpo rispetto alla mente. Il linguaggio verbale e scritto è sempre stato il fulcro della razionalità, mentre il gestuale è rimasto collegato a rituali primitivi. Il linguaggio parlato è spesso definito come ciò che ci distingue dagli animali che utilizzano altre forme di linguaggio tra cui il movimento e i gesti. La stessa definizione di “non verbale” definisce le modalità comunicative altre dal verbale sulla base dell’assenza di quest’ultimo e, in questo senso, richiama la dicitura di “non udente”.

Grazie alla diffusione degli studi condotti da Stockoe sulla ASL, all’inizio degli anni Settanta un rinnovato interesse per la lingua dei segni fiorisce presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e apre la strada ad ulteriori studi e a pubblicazioni sempre più frequenti, finché alcune università italiane scelgono la LIS come oggetto di corsi, tesi di laurea e di dottorato. Partendo da una totale mancanza di coscienza, dall’essere discriminata e quindi da caratteristiche d’instabilità e mancanza di standardizzazione, la LIS ha già intrapreso il percorso inverso, soprattutto grazie all’impegno di figure come Virginia Volterra e molti suoi colleghi udenti e sordi. Soprattutto la pubblicazione di dizionari e grammatiche conferisce uno status diverso sia alla LIS, favorendone il riconoscimento didattico, sia alle persone sorde che hanno realizzato o contribuito alla realizzazione di manuali di vario tipo (Caselli, Maragna & Volterra, 2006).

Per fare un esempio pratico riguardo ai benefici del riconoscimento della lingua dei segni, che esuli dal contesto italiano, in alcune comunità rurali del Messico, dove i sordi sono accettati senza riserve, e dove anche gli udenti hanno imparato la lingua dei segni, l’esistenza dei sordi è piena e integrata. Al contrario, la vita dei sordi che vivono a Mérida, in città, è caratterizzata da un basso livello sociale, linguistico, informativo ed educativo e da impieghi quali la vendita ambulante e la conduzione di ciclotaxi. Si tratta di un esempio di come spesso le comunità funzionino mentre il sistema fallisce (Sacks, 1990).

Con la legge 517 del 1977 sull’inserimento dei bambini portatori di handicap nella scuola “normale”, le famiglie dei bambini sordi possono scegliere fra due strutture scolastiche: la scuola speciale e la scuola pubblica dove si attua il processo integrativo. La seconda opzione, in un’ottica d’integrazione, viene scelta dalla maggioranza dei genitori – dobbiamo ricordare che più del 90% dei bambini sordi nascono da genitori udenti. Se non gestita in maniera adeguata, ossia nell’ottica di una reale integrazione, tale opzione può portare al risultato opposto, ossia a una situazione di isolamento del bambino sordo e alla

quasi totale assenza di una situazione comunicativa naturale, di modelli di confronto e di riferimento diversi dal modello udente.

Purtroppo non sempre l’integrazione passa da auspicata a effettiva. Sacks commenta la legge 517 come segue:

Sebbene adottato con le migliori intenzioni, questo provvedimento – di cui si sono avuti riflessi negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in molti altri Paesi – ha introdotto una nuova causa di isolamento e un nuovo ostacolo alle possibilità di comunicazione. […] gli effetti sulle capacità linguistiche dei giovani alunni, sulla loro istruzione, sull’intera loro esistenza sono stati infausti; […] (Sacks, 1990: 23)

La legge 104 del 1992 sancisce la norma di un alunno “speciale” per classe: essendo il bambino l’unico sordo presente, solo con un duro lavoro degli insegnanti e una particolare apertura mentale e sensibilità dei compagni, egli riuscirà a contribuire con la ricchezza della sua diversità al modello educativo e al contesto classe. L’esperienza della Scuola Secondaria di 1° grado Dante Alighieri di Vernio, in Toscana, dimostra che questo è possibile: nella classe prima, dove ho svolto il tirocinio formativo come mediatrice linguistica nell’anno scolastico 2015/2016, l’unico bambino sordo segnante, è seguito dagli insegnanti con affetto e professionalità e gli stessi si assicurano, per quanto possibile, che i compagni comprendano e rispettino la sua diversità, attraverso attività e piccoli dibattiti.

Nel contesto scolastico italiano può presentarsi un’ulteriore difficoltà. Infatti, in Italia, i bambini sordi vengono certificati con handicap sensoriale cosicché la scuola possa richiedere figure deputate al sostegno scolastico di cui abbiamo già parlato. Purtroppo, molto spesso non si tratta di figure specializzate, ad esempio, per la sordità o la cecità, e può capitare che normali professori ricoprano il ruolo di insegnante di sostegno: le famiglie si trovano a combattere contro situazioni del genere che possono avere risvolti drammatici.

Fino ai 5 anni, il bambino sordo protetto e assistito da un nucleo familiare intelligente e attento può sfuggire alle situazioni più difficoltose, ma in seguito, quando entra nel sistema scolastico, i suoi problemi possono aggravarsi in modo preoccupante anno dopo anno, principalmente a causa del ritardo linguistico. Sebbene la vicinanza con persone udenti stimoli il bambino all’apprendimento e all’utilizzo della lingua vocale, non vi sono le premesse perché tale stimolazione diventi effettiva: il bambino cerca spasmodicamente di

uniformarsi all’unico modello che gli viene dato, ossia quello udente, in una condizione di tensione prima e inevitabile frustrazione poi e si sente l’unico bambino diverso nel contesto classe. Emergono aspetti come l’impossibilità per il bambino di svolgere determinate attività, le sue carenze ad esempio nella lettura o nella pronuncia di alcune parole e, a meno che non ci sia quel continuo lavoro di sensibilizzazione da parte degli insegnanti di cui si parlava, un lavoro che non sempre riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati, gli altri bambini tenderanno a tratti a enfatizzare questi aspetti deficitari, con effetti deleteri sull’autostima del bambino sordo. Nelle poche occasioni in cui ciò avviene nella classe della Scuola Dante Alighieri di Vernio – bisogna considerare che si tratta di situazioni di non sempre facile gestione all’interno del complesso contesto della classe – si è notato che il bambino sordo tende a copiare qualsiasi cosa il compagno di banco scriva, semplicemente per uniformarsi alla confortante normalità del gruppo-classe, senz’alcun interesse per la comprensione dei contenuti che spesso, infatti, non si verifica. Nel peggiore dei casi, come evidenziato nel documentario Experiencing Deafhood di Haaris Sheikh (2010), l’autostima del bambino sordo raggiunge livelli minimi ed egli arriverà a pensare di non poter avere una vita come quella di tutti gli altri.

Le difficoltà incontrate dai sordi italiani non si fermano alla scuola dell’obbligo e la presenza dei sordi nelle scuole diminuisce man mano che il livello scolastico si fa più avanzato. Trovato (2014) afferma che non ci sono dati ISTAT sulla frequenza di alunni sordi della secondaria di secondo grado (licei, scuole professionali) e che ricerche condotte negli Stati Uniti spiegano che il successo scolastico degli adulti sordi è legato alle loro capacità di lettura, indicando una convergenza tra capacità di lettura e capacità linguistiche. Trovato conclude che non sapere leggere o non conoscere bene la lingua ostacola i sordi nel successo scolastico e causa l’abbandono degli studi. Se negli Stati Uniti centinaia di persone sorde hanno un titolo di dottorato, in Italia anche solo i laureati sono un numero molto basso e, se anche una persona sorda vuole fare ricerca, spesso deve accontentarsi di farlo per passione, senza retribuzione. Bisogna dire che, con l’importante eccezione del Nord Europa, tutti i Paesi europei perpetuano situazioni simili (Trovato, 2014).

Più di cento anni dopo il Congresso di Milano, nel 1988, il Parlamento Europeo caldeggia per un riconoscimento delle lingue dei segni nazionali e per la conseguente creazione di corsi di insegnamento, dizionari, servizi di interpretariato e la diffusione di programmi televisivi. Tutto ciò nell’ottica di un concreto bilinguismo e di una maggiore integrazione. Nonostante l’Italia non abbia ancora, nel 2016, reso effettive le indicazioni del Parlamento Europeo, di fronte all’impossibilità per i sordi di interagire efficacemente

attraverso la sola lingua vocale e di fronte alla dimostrazione che la lingua dei segni è una lingua a tutti gli effetti, anche qui, negli ultimi vent’anni, si è iniziato a discutere di educazione bilingue.

Il numero delle scuole che ha adottato un modello bilingue lingua italiana-LIS è molto basso, mentre la presenza di operatori sordi, assistenti alla comunicazione sordi o udenti e interpreti è sempre più richiesta. Va sottolineato però che il numero di ore di presenza di queste figure è molto limitato e soggetto a riduzioni di anno in anno. Tutto ciò deriva, in gran parte, dalla mancanza di riconoscimento della LIS: in Europa, solamente Italia e Lussemburgo non si sono ancora adoperati a riguardo, rivestendo il ruolo poco dignitoso di fanalini di coda nel progresso educativo delle persone sorde.

A cominciare dall’inserimento dei bambini sordi nelle classi di bambini udenti fino al contesto dell’istruzione universitaria, la situazione educativa dei sordi italiani non è soddisfacente. In Linguaggio e sordità (Caselli, Maragna & Volterra, 2006), si riportano i risultati di una serie di ricerche che, benché condotte 10 anni fa, sono ancora molto attuali. Le ricerche sono condotte su adulti sordi che hanno frequentato le scuole speciali (la quasi totalità dei casi) e su bambini e ragazzi sordi inseriti in classi di udenti. In molti casi i soggetti non mostrano una buona competenza della lingua scritta e il processo di alfabetizzazione non sembra aver riportato i progressi auspicati negli ultimi decenni, nonostante i cambiamenti avvenuti nel sistema educativo. Considerando l’importanza di lettura e scrittura all’interno del sistema scolastico – la scuola serve, soprattutto inizialmente, proprio per imparare a leggere e a scrivere, così da rendere il bambino indipendente nella fruizione del materiale didattico – e nella vita quotidiana – ad esempio i sordi si servono spesso dei sottotitoli – le lacune nella letto-scrittura mettono le persone sorde in una posizione di grave e ulteriore svantaggio culturale e pratico rispetto agli udenti. Ciò porta le persone sorde ad avere difficoltà sia nell’esprimere contenuti appresi sia nella formulazione di contenuti originali.

Per quanto riguarda l’educazione scolastica del bambino sordo in Italia, anche E.F., Presidentessa della Cooperativa Logogenia, ne evidenzia le carenze:

In Italia il modello educativo adottato col bambino sordo è in genere improntato alla semplificazione dei testi scolastici, per renderne possibile l’accesso anche in mancanza di strumenti linguistici adeguati. Si dà preminenza, infatti, all’apprendimento dei contenuti, a scapito di quello grammaticale e sintattico. Per quanto

riguarda la LIS, non in tutte le scuole è accettata, insegnata e praticata, né è adeguata l’informazione diretta alle famiglie. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che in Italia (a differenza di altri Paesi) la LIS non è stata ancora ufficialmente riconosciuta come lingua, nonostante ne possieda tutte le caratteristiche.

R.C. racconta la propria esperienza come educatrice sorda e commenta la situazione scolastica dei bambini sordi:

A scuola il bambino (sordo) deve imparare bene a scrivere e a leggere e deve beneficiare della presenza di un educatore sordo per un numero sufficiente di ore, ma questo potrà avvenire solo con il riconoscimento della LIS – anche perché al momento non sempre l’educatore sordo è effettivamente riconosciuto dagli insegnanti, spesso è considerato solo una specie di supporto. Se ciò non avviene, come farà il bambino quando dovrà ad esempio andare all’università? Come farà a capire tutte le parole? Segnare e basta non è sufficiente. Gli insegnanti devono lavorare bene con il bambino. In Italia tutto questo manca: quando il ragazzo sordo esce da scuola, cosa fa? O è isolato, o va a divertirsi con altri ragazzi sordi o udenti, e poi? Non c’è niente.

Nonostante si tratti di una testimonianza riguardo al sistema educativo americano, possiamo considerare le parole di Carol Erting, direttrice del dipartimento di Studi sulla Cultura e la Comunicazione della Gallaudet University, come adeguate anche per la situazione italiana:

Often when parents realize that their child is not achiving their potential, they’re made to feel that it didn’t work because they didn’t work hard enough or their child didn’t work hard enough, when the whole premise of what they were told in the beginning, I believe, is flawed. And the basic flaw, I believe, lies in the fact that our school system has not really accepted the fact that deaf children are deaf and have tried throughout the years to make deaf children as much like

hearing children as possible. That’s been the underlying goal.

(Tranchin, 1994)

1.6.1. Il supporto dei nuovi media

Le tecnologie di sviluppo più recenti fanno sì che l’interconnessione umana possa prescindere dalle distanze temporali e spaziali, assegnando un ruolo dominante al canale visivo, come nei casi di videochat, streaming o videochiamate. La comunicazione a grande distanza è resa possibile soprattutto da internet che alcuni considerano il fulcro centrale della comunicazione del nostro tempo, nonché il contenitore di tutta la conoscenza umana. Perché i contenuti presenti in rete siano effettivamente fruibili è necessaria una buona competenza in lingua scritta: non si tratta solo di contenuti come descrizioni di oggetti o saggi accademici, che presentano quasi esclusivamente parti scritte, bensì anche di video, che spesso delegano alla lingua scritta e orale l’espressione di parti del messaggio veicolato.

Il supporto tecnologico, informatico e multimediale è caratterizzato da interattività e ipertestualità: l’uso di supporti come il computer (tablet), internet e la lavagna multimediale ha una rilevanza ancora maggiore per le persone sorde, sia in ambito educativo sia lavorativo, e crea possibilità d’interazione anche a livello internazionale. Di recente formazione grazie a internet è proprio una cultura sorda transnazionale che unisce persone sorde sparse per tutto il globo e culmina in realtà come le organizzazioni internazionali a tutela dei sordi, quali la World Federation of the Deaf (WFD) o l’European Deaf Fund (EDF), ed eventi aggregativi e sportivi come le Deaflympics, ossia le Olimpiadi dei Sordi.

In ambito scolastico, tali supporti permettono di trasformare le modalità di trasmissione del sapere, distanziandosi dalla pedagogia tradizionale per cui l’insegnamento al bambino sordo deve passare solo attraverso il linguaggio vocale e scritto. Imparare a parlare e a leggere le labbra e le parti scritte richiede tempo per un bambino sordo, tempo durante il quale per lo più il bambino rimane escluso dalla fruizione dei contenuti (Caselli, Maragna & Volterra, 2006). I processi comunicativi sono intrinsecamente multimodali, ossia implicano la coesistenza e l’interazione tra canali e codici diversi. Ancora prima della scelta di questo o quel supporto tecnologico, bisogna dunque adottare una sensibilità per gli aspetti multisensoriali della comunicazione e applicarla in tutti i contesti del processo educativo. Dato che le innovazioni tecnologiche possono cambiare positivamente la vita quotidiana dei sordi, è importante che non vengano a mancare nell’ambiente educativo scolastico: la legge

104/92 prevede che le scuole si dotino delle tecnologie necessarie a supportare gli studenti disabili, ma esistono molte situazioni in cui ciò non avviene, come ad esempio classi con un bambino sordo nelle quali i genitori (del bambino o di tutti gli studenti) devono, eventualmente e se ne hanno la possibilità economica, farsi carico dell’acquisto di una lavagna multimediale. Si tratta di una grave carenza del sistema scolastico italiano (ricordiamo che in Italia la cosiddetta scuola dell’obbligo è prevalentemente pubblica), ancor più grave se si pensa all’impatto che può avere sullo sviluppo linguistico e cognitivo del bambino sordo. Infatti, come afferma Lane (2005): “Ci sono delle pessime conseguenze linguistiche e cognitive per il ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Non è accettabile lasciare un bambino senza linguaggio per anni e anni; è un abuso di minore”.