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L’acquisizione del linguaggio nel bambino sordo

2. L’acquisizione del linguaggio

2.2. L’acquisizione del linguaggio nel bambino sordo

Nel bambino sordo l’udito è gravemente compromesso, ma sono intatte le capacità cognitive generali – a meno che alla sordità non si associno altre patologie, ma si tratta di

10 “Uno stile troppo diretto da parte dell’adulto non favorisce l’acquisizione del linguaggio nel bambino e, al contrario, uno stile centrato

sul bambino promuove lo sviluppo comunicativo e linguistico. In quest’ultimo tipo d’interazione l’adulto riprende spesso ciò che il bambino dice ed esplicitamente interpreta, amplia e arricchisce l’informazione spesso parziale e confusa prodotta dal bambino stesso. In questo modo offre al piccolo interlocutore un modello all’interno di uno scambio conversazionale e di un preciso contesto, situazionale e affettivo. […] un’intonazione spesso esagerata aiuta a sostenere l’attenzione, un lessico legato all’esperienza concreta del bambino e frasi semplici da un punto di vista sintattico facilitano la comprensione del messaggio. È infondata l’idea che è dannoso mostrare di capire le parole del bambino (e successivamente le sue frasi) quando sono pronunciate in modo scorretto o contengono errori. […] Ma, al tempo stesso, è fondamentale fornire, in modo naturale e senza esplicite correzioni, il modello corretto […] creando una situazione che salvaguardi e sostenga lo scambio comunicativo” (Caselli, Maragna & Volterra, 2006: 146-148).

casi che qui non trattiamo. Il presente studio si focalizza sui sordi cosiddetti prelinguali, ossia che sono nati sordi oppure lo sono diventati nei primi mesi o anni di vita. Sulla base di quanto già esposto è lampante il rischio che questi soggetti corrono (soprattutto rispetto chi è diventato sordo dopo aver sviluppato il linguaggio11): la mancata acquisizione del linguaggio e tutto ciò che ne deriva a livello cognitivo, emotivo e sociale. Quello che può bloccare o ritardare l’acquisizione del linguaggio è il fatto che il bambino è esposto ad una lingua che utilizza il canale deficitario, ossia la lingua vocale dei genitori udenti – non ci occupiamo qui dei bambini sordi figli di sordi segnanti, i quali costituiscono la casistica opposta. Il bambino sordo ha un apparato fonoarticolatorio (vocale) nella norma che gli consentirebbe di seguire lo schema evolutivo elencato per il bambino udente fino ad arrivare alla produzione di sillabe ben formate (babbling canonico), nei tempi e nei modi previsti. Nella pratica, la mancanza dell’informazione uditiva delle produzioni adulte e di feedback sulle proprie produzioni – il bambino non sente ciò che produce vocalmente e non può regolarsi di conseguenza – impedisce che si realizzi quanto sopra. Il bambino sordo dunque dovrà affrontare notevoli sfide linguistiche, ma ha le basi cognitive necessarie per superarle.

I fattori collegati allo sviluppo del linguaggio sono la gravità della sordità, l’età di diagnosi e d’intervento, il livello intellettivo generale del bambino, la fluenza del segnato in caso di input bimodale – molto spesso solo porzioni degli enunciati indirizzati ai bambini sono accompagnate da segni – ma il secondo fattore risulta essere particolarmente significativo: i bambini identificati prima dei 6 mesi raggiungono generalmente i risultati migliori. Spesso però, nei primissimi mesi di vita del bambino, genitori anche molto attenti non si accorgono della sua sordità. Accade quindi che dopo gli 8 mesi il bambino inizi a diminuire in varietà le consonanti prodotte, ossia esattamente il contrario di quanto accade nello sviluppo tipico e che, sul piano lessicale, si abbiano un marcato ritardo e un incremento molto più lento. Facendo un balzo in avanti, a 6 anni, generalmente, i bambini sordi hanno un vocabolario espressivo paragonabile a quello dei bambini udenti di 3 anni. Un vocabolario limitato – spesso acquisito da un bambino sordo con grande lentezza e fatica – impedisce di leggere per puro divertimento e innesca dunque un circolo vizioso per cui sarà sempre più difficile accrescere il numero di vocaboli conosciuti.

In molti casi, i bambini sordi riescono a cogliere e rielaborare alcuni aspetti dei gesti prodotti, spesso inconsapevolmente, dagli interlocutori udenti, il tutto in maniera più complessa rispetto ai bambini udenti. Tali gesti non sono creati dal bambino

autonomamente, ma sono il risultato di un processo di costruzione attiva di significati, che ha luogo fra adulto e bambino. Prima della diagnosi di sordità infatti, le modalità interattive e comunicative tra i genitori e il bambino sono mutlimodali, ossia si ha un costante e preciso riferimento al contesto situazionale e una ricca comunicazione non verbale, la qual cosa funziona bene anche quando il bambino è sordo. Come preciserò in seguito, principalmente a causa dello shock emotivo subito dai genitori, purtroppo ciò si interrompe con la diagnosi di sordità e l’acquisizione del linguaggio perde ogni sfumatura di naturalezza, trasformandosi in una ininterrotta seduta logopedica (Caselli, Maragna & Volterra, 2006).

In una situazione di sviluppo tipico, il bambino non è esposto al linguaggio solo in maniera diretta, ossia quando un’altra persona gli si rivolge, bensì anche a quello, molto più complesso e ricco, che gli adulti usano tra loro o che gli giunge da mezzi di comunicazione quali la televisione o la radio. Un bambino sordo può trovarsi immerso in un contesto analogo nel caso in cui nasca in una famiglia di persone sorde, nella quale si adotta spesso una modalità di comunicazione adatta alle esigenze particolari del bambino: LIS, Italiano Segnato (IS), lettura labiale o comunque soluzioni “naturali” e utili a garantire uno scambio comunicativo e linguistico basato, questo è il dettaglio fondamentale, sul canale visivo. L’integrità del canale utilizzato garantisce che l’acquisizione della lingua avvenga in maniera spontanea e naturale e nel rispetto delle tappe ed età di sviluppo di bambini udenti esposti alla lingua orale (Caselli, Maragna & Volterra, 2006).

Lentamente, in alcuni ambienti aperti a più opzioni (ri)abilitative, sta prendendo campo l’uso della modalità visivo-gestuale in diversi contesti educativi e alcune famiglie optano per il bilinguismo. Per questo motivo ci soffermiamo brevemente anche sulle caratteristiche di acquisizione della lingua segnata. Bambini sordi esposti alla lingua dei segni presentano una specifica lallazione fonetico-sillabica con le mani e lo stesso avviene in bambini normoudenti nati da genitori sordi, una lallazione con modalità ritmiche di unità segno-fonetiche sorprendentemente simili a quelle della lallazione sonora. Esiste una sensibilità innata a sequenze ritmiche altamente specifiche e presenti anche nelle lingue naturali che non utilizzano il canale uditivo-vocale, la quale permette al bambino di cogliere gli elementi chiave per l’apprendimento linguistico nella voce come nelle mani di un altro parlante (Aglioti & Fabbro, 2006).

Alcuni studi risalenti agli anni Settanta e Ottanta evidenziavano la precoce comparsa dei segni rispetto alle parole in bambini udenti esposti alla lingua dei segni. In realtà ciò dipenderebbe dai diversi tempi di maturazione biologica del sistema articolatorio, poiché quello vocale matura cronologicamente dopo rispetto a quello manuale. Solo il repertorio

lessicale fino ai 18 mesi sembra più ampio nei bambini nativi in lingua dei segni rispetto ai bambini udenti di pari età, ma a partire dai 24 mesi si ristabilisce un equilibrio tra i due gruppi. Interessante è il punto di vista di Oliver Sacks a riguardo:

Anche se un vocabolario dei segni può svilupparsi precocemente, lo sviluppo della grammatica dei segni avviene alla stessa età e nello stesso modo dell’acquisizione della grammatica della lingua vocale. Il passo dello sviluppo linguistico è quindi lo stesso per tutti i bambini, sordi o udenti. Se i segni compaiono prima del linguaggio, ciò accade perché sono più facili da farsi, perché richiedono movimenti muscolari relativamente semplici e lenti, mentre il linguaggio implica il coordinamento fulmineo di centinaia di strutture diverse ed è possibile solo nel secondo anno di vita. Con tutto ciò, si resta stupiti e perplessi di fronte a un bambino sordo che a quattro mesi riesce a fare il segno che significa “latte”, mentre un bambino udente è ancora solo capace di piangere o guardarsi intorno in cerca del latte. (Sacks, 1990: 62)

Come dicevamo, la padronanza di una lingua dei segni richiede un graduale processo di acquisizione legato alla maturazione del sistema motorio del bambino. Una sorta di babbling manuale caratterizza le prime fasi dell’acquisizione nello stesso modo in cui il babbling orale caratterizza l’acquisizione in caso di sviluppo tipico. Sebbene con dettagli diversi rispetto ai bambini udenti, anche perché si tratta di lingue strutturalmente diverse in quanto basate sul canale visivo-gestuale invece che acustico-vocale, i bambini sordi esposti alla lingua dei segni arrivano a una maturazione sintattica e morfologica rispettando essenzialmente le stesse tempistiche.

Studi sempre più numerosi sull’acquisizione della LIS confermano che i processi di acquisizione del linguaggio sono molto legati alle caratteristiche dell’input cui i bambini sono esposti. Inizialmente dunque, come per le lingue parlate, i segni dei bambini esposti a una lingua dei segni non ne riproducono la complessità – sono presenti omissioni, produzioni semplificate o parziali – e l’acquisizione si sviluppa gradualmente nell’arco di diversi anni, dipendendo non solo dalla maturazione del sistema motorio, ma anche dall’esposizione e dalle abilità cognitive del bambino sordo (Caselli, Maragna & Volterra, 2006).

Ciò che è importante è che “I bambini nati sordi, o divenuti tali nei primissimi anni di vita, possono acquisire con estrema facilità e spontaneità una lingua dei segni, che utilizza la modalità visiva in loro integra e, anche se non sentono, imparano a parlare, a leggere e a scrivere” (Caselli, Maragna & Volterra, 2006: 10).