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1. Genitori udenti, figlio sordo

1.7. Le famiglie udent

I bambini sordi fanno parte di una popolazione eterogenea a livello familiare: possono avere fratelli o essere figli unici, vivere in famiglie allargate, avere genitori sposati o single, separati, divorziati, possono essere figli adottivi o affidatari. Ognuno di questi dettagli ha un’influenza notevole sia sul bambino sordo sia su coloro che lo circondano, con conseguenze estremamente varie.

Scendendo più nel dettaglio, una variabile importante è la differenza tra madri e padri per quanto riguarda percezione e accettazione della sordità del figlio. Il livello delle capacità comunicative delle madri è solitamente più alto di quello dei padri e sembra che su di esse ricada la responsabilità di assicurare una comunicazione chiara nel contesto familiare (Meadow-Orlans, Mertens & Sass-Lehrer, 2003). I padri udenti di bambini sordi sono spesso meno propensi a partecipare a incontri di vario genere o ad imparare la lingua dei segni. Infatti, l’approccio del padre alla sordità del figlio è spesso più problematico rispetto a quello della madre e i padri hanno solitamente bisogno di più tempo per abituarsi alla sordità.

For a Deaf Son è un documentario che ho già citato più volte, di grande sensibilità e

onestà, girato da un regista americano che è prima di tutto il padre udente di Thomas, un bambino sordo profondo. Il complesso percorso di accettazione da parte del padre passa proprio attraverso il documentario che lui stesso afferma essere l’unico modo che ha trovato per avvicinarsi al figlio. È anche un modo per ammettere le proprie mancanze e descrivere le delicate dinamiche familiari. Attorno ai 4 anni, nonostante le protesi e le sedute di logopedia, il bambino sembra bloccato nel suo sviluppo del linguaggio ed è la madre Laurie a occuparsi di continuare la riabilitazione a casa. Il padre ammette:

Laurie was especially frustrated. It’s hard to say this now, but I had let her take most of the responsibility for dealing with Thomas’ deafness. She was stronger, and it made it easier for me. When I was given a chance to make a documentary about Thomas, Laurie knew it was a way for me to get more involved.

Un altro padre cerca di spiegare le sue difficoltà derivanti dal dover trasferire ai professionisti il controllo della vita del figlio:

[…] the father wants to feel in control and […] the father’s esteem is stomped. […] You have to put your confidence in another person. The father is in the back seat. Many others feel the same way, and it’s like your child is someone else’s. It forces you to trust other people, and that’s why you don’t see fathers as involved. (Meadow-

Orlans, Mertens & Sass-Lehrer, 2003: 147)

Se è la madre a passare molto tempo con il figlio sordo, tra i due può crearsi un legame forte, ancora più forte perché spesso è l’unica a capire il suo linguaggio. In conseguenza di ciò, il padre può risultare escluso da tale legame. Laborit descrive le conseguenze dell’instaurarsi di un codice comunicativo efficace tra lei e la madre, definito “ombelicale”:

Da quel momento in poi, non c’è stato più posto per l’altro, mio padre. Quando mio padre tornava da lavoro, era così difficile, passavo poco tempo con lui, non avevamo un codice “ombelicale”. Articolavo

qualche parola, ma lui non capiva quasi mai. Soffriva vedendo che mia madre comunicava con me in un linguaggio di una intimità che a lui sfuggiva. Si sentiva escluso. E lo era in modo del tutto naturale, perché non era una lingua che potessimo condividere tutti e tre, né con qualcun altro. E lui voleva comunicare direttamente con me. Tale esclusione gli ripugnava. Quando tornava a casa, la sera, non riuscivamo ad avere alcuno scambio. Spesso andavo a tirare mia madre per il braccio per sapere che cosa diceva. Avrei tanto voluto “parlare” con lui. Sapere tante cose di lui. (Laborit, 1995: 24)

La testimonianza di una madre parla anche dei risvolti che il percorso di accettazione della sordità del figlio può avere sulla vita di coppia:

I don’t know if it’s true for everyone, but my husband took a lot longer to get through the denial phase than I did. Hand in there, because you are supporting your spouse too. And don’t argue or fight with him, just listen to their feelings and explain that things aren’t the way we want them to be. […] it can ruin your marriage… You are now at a high risk for divorce because you have a child with disability […] It’s really important to keep talking to your spouse and try to look in the same direction. (Meadow-Orlans, Mertens & Sass-Lehrer, 2003: 148)

Il supporto di ognuno dei genitori all’altro può avere un forte effetto rassicurante e, come sottolineato da M.M.C., madre di 3 figli di cui 2 sordi, la cura della relazione di coppia è fondamentale per affrontare qualsiasi scelta e percorso. Accade spesso che, per un certo periodo, uno dei due genitori debba sostenere le difficoltà da solo, poiché all’altro serve un po’ più di tempo per abituarsi alla situazione e, come già affermato, nella maggioranza dei casi è la madre che deve occuparsi di ciò. Bambini problematici o con disabilità possono essere fonte di maggior stress per la coppia, ma possono anche rafforzare i legami familiari. La testimonianza di M.M.C. lo conferma: “La separazione creatasi con mio marito sul piano emotivo e psicologico è stata per entrambi una dura prova, rielaborata negli anni con tanta pazienza e amore”.

M.M.C. distingue tra la sua percezione della sordità e quella del marito. Come madre di un figlio udente e del neonato sordo, le problematiche principali riguardavano l’esprimere

i propri sentimenti e ciò che stava vivendo, oltre alle difficoltà nel dialogo con il coniuge e con tutte le persone “esterne” alla loro esperienza. Il marito dimostrava invece una chiusura quasi totale al confronto e al dialogo, la mancanza di volontà di approfondire gli stati emotivi e i blocchi personali, oltre a una enorme difficoltà a mettersi in gioco cambiando prospettiva e immaginando progetti e strade alternative. Inoltre, M.M.C. percepiva il rischio di diventare una mamma “iperspecializzata” sulla sordità del figlio (leggeva molto, frequentava corsi di LIS, incontri con altri genitori e con la scuola).

M.M.C. sottolinea però l’importanza del nucleo famiglia: “La sordità dei miei figli è visibile nelle relazioni, è in questo che sono fragili, per questo è la RELAZIONE tra tutti i componenti della mia famiglia ciò che mi sta più a cuore”. M.M.C. afferma anche che non è facile integrare i bisogni di tutti i membri della famiglia poiché secondo la visione clinica della sordità tutto dev’essere incentrato sul figlio sordo. Al contrario, lei desidera mettere al centro tutti i componenti della famiglia, mettere tutti i figli sullo stesso piano, nonché curare la relazione con il marito. M.M.C. afferma che non c’è alcun tipo di sostegno ai genitori come coppia, un sostegno che sia utile e accessibile, anche economicamente: “manca un progetto per e con la famiglia del bambino sordo”.

Il fatto di avere più figli, di cui uno o più sordi, crea sicuramente una situazione di complessa gestione. M.M.C. parla della nascita del secondogenito sordo con riferimento al primogenito udente:

Il nostro primo figlio F. aveva 2 anni e mezzo quando è nato G. Ci siamo rapportati a lui in maniera serena, nella forma del gioco. Non ci sono state grosse difficoltà di accettazione da parte sua a quel tempo: [G.] era semplicemente il fratellino. Crescendo, F. si è formato un proprio pensiero sulla sordità, in costante revisione. Stiamo scrivendo insieme un libro di racconti che spieghi cosa sia significato per lui avere un fratello sordo. […] Non è affatto semplice avere un fratello sordo!

I fratelli udenti del bambino sordo sperimentano la diversità fin da piccoli e questo può arricchire la loro sensibilità, a meno che non li si trascuri e non si faccia loro vivere la sordità del fratello in maniera negativa. Essi necessitano di molte attenzioni, innanzitutto perché, come affermato da M.M.C., non tutte vanno riservate al figlio sordo e anche perché

dovranno sviluppare una personalità forte e sana. Nel documentario For a Deaf Son, la testimonianza di Matthew, fratello maggiore del piccolo Thomas, ne conferma la necessità:

The first time someone made fun of my brother being deaf, it really hurt me a lot. And then people find out that it did hurt me so other people tried it and then denied it. [They said:] “At least I don’t have a deaf brother” and, like, when we were playing a game and someone yells “Come on, Matthew, come on, follow me!” and you don’t hear him and they go “You’re deaf just like your brother!” (Tranchin, 1994)

I genitori udenti del bambino sordo, soprattutto in casi come questi, in cui ci sono anche altri figli, devono gestire una situazione molto complessa sia a livello emotivo che organizzativo e quotidiano. M.M.C. parla delle sue principali paure, ma anche delle gioie:

[Ho il] timore che possa chiudersi in sé. Il timore di non comprenderlo appieno e di non riuscire a fargli percepire tutto l’amore che abbiamo per lui. Di non aver costruito un “legame” abbastanza forte nei primi anni. […] il timore di non essere sempre un buon riferimento, per via della lingua. Le gioie sono tutte quelle che un figlio sa dare: vederlo sicuro di sé, autonomo, in grado di interagire con tutti, solare e aperto e vivere ogni momento al suo fianco trasmettendo amore e fiducia.