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16 Ivi, fol. 232v

La morale dei segni … 157 e rinuncia alla propria vita, abbandonandosi ad una forma passiva di suici-dio – la malattia, la malinconia – indicato da Seneca come la prova suprema di saggezza che un uomo possa affrontare. In diretto contatto con le due fa-zioni contendenti – il Duca d’Alba, da una parte, con le sue milizie imperiali, e il Conte di Egmond, dall’altra, rappresentante delle autorità locali – Key preferì rinunciare alla propria vita, cadendo in uno stato d’insanabile abulia, pur di non tradire i principi basilari della fermezza, della giustizia e della rettitudine: valori assai diffusi in ambito neostoico, come attestano le rifles-sioni di Coornhert e Lipsius. Le implicazioni morali del fare pittorico fini-scono per mettere il maestro in una posizione di necessaria ‘autorinuncia’. Chi dovrebbe, infatti, essere ritratto dai suoi pennelli ‘virtuosi’? I vincitori o i vinti, gli onesti o gli incauti, gli alleati della causa spagnola o i fautori dell’autonomia delle Province?

La risposta ad un simile quesito troverà la sua traduzione forse più em-blematica in una serie di incisioni eseguite da Hendrick Goltzius intorno al 1578. La serie raffigura, non a caso, la tragica vicenda di Lucrezia, l’eroina romana, consorte fedele e virtuosa del soldato Collatino (figg. 1-3)17. Un dato essenziale di cui tenere conto è che l’opera venne realizzata da Goltzius poco dopo il suo trasferimento ad Haarlem, in compagnia, come si è detto, del maestro Coornhert, allora impegnato nella stesura dei suoi più importanti trattati di argomento etico.

La storia di Lucrezia rimanda ad un importante topos comportamentale, basato sulla commistione di valori come fedeltà (individuale) e giustizia (col-lettiva), assumendo persino implicazioni politiche, oltre che etiche. Stando al racconto di Tito Livio, in occasione dell’assedio di Ardea presieduto dal ti-rannico sovrano Lucio Tarquinio Superbo, due dei suoi figli, accompagnati da un cugino – Collatino, marito di Lucrezia – decisero di ritornare per un breve periodo a Roma, in modo da visitare le rispettive mogli. Rientrati in città, i due fratelli trovarono le consorti che partecipavano ad un sontuoso banchetto, circondate da uomini che, sotto gli abiti fastosi ed eleganti, non nascondevano le loro intenzioni a compiere azioni tutt’altro che virtuose. La serie incisa da Goltzius si apre, infatti, con la rappresentazione di un elegan-te banchetto (fig. 1). Sullo sfondo, a destra, i due soldati – ancora ignari di quanto sta accadendo all’interno della sala – appaiono in procinto di entrare nell’ampia stanza, illuminata da candele che provocano un singolare effetto

17 A proposito di questa serie di incisioni si vedano i dati proposti da W.STRAUSS, Hendrick

Goltzius, 1558-1617. The Complete Engravings and Woodcuts of, New York, Abaris Books, 1977, p.

54. Per la connotazione prettamente neostoica della serie si rimanda a R.DE MAMBRO SANTOS,

158 Ricardo De Mambro Santos

chiaroscurale. In primo piano si staglia la rumorosa compagnia di uomini e donne riuniti intorno ad una tavola, con l’inserto magistrale del domestico, sulla destra, impegnato a prendere una brocca di vino nel bacino posato per terra, in uno scorcio di derivazione prettamente tintorettesca.

A differenza delle due altre donne, coinvolte in un festino lussurioso, la moglie di Collatino, Lucrezia, si trova invece a casa, intenta a filare insieme ad alcune serve, nella calma intimità di un focolaio virtuoso ed ospitale, rappresentato dall’incisore nella seconda stampa, che esalta il temperamento pudico e l’atteggiamento irreprensibile dell’eroina. La metafora del tessere matasse di fili sottili, in una composizione che ricorda l’iconografia delle ine-sorabili Parche, rafforza ulteriormente il tema centrale dell’immagine con-cernente l’intrinseca fragilità e la fugacità dell’esistenza umana, sempre in preda agli imprevedibili mutamenti della Fortuna. La donna, ancora ignara del futuro che le riserva il Destino, occupa l’asse mediano della scena, impe-gnata ad avvolgere una matassa di cotone. Abbigliata con eleganza non ostentata, in un vestito reso con morbide gradazioni chiaroscurali, questa fi-gura testimonia da una parte l’interesse di Goltzius per le opere di Heem-skerck e denuncia dall’altra la formazione presso Coornhert, laddove rivela la comune tendenza di questi maestri a tornire, con asprezza quasi metallica, il panneggio delle figure femminili, catturate nella serrata violenza dei tratti a bulino. Sullo sfondo, a sinistra, i tre soldati, inquadrati sotto l’arco d’ingresso – uno dei quali (Collatino?) rivolge già lo sguardo verso la tran-quillità dell’interno casalingo – si preparano a varcare la soglia della virtuosa dimora. Sulla destra, in un’agghiacciante metonimia, l’incisore rappresenta una porta semiaperta, invitando così lo spettatore a penetrare le ombre pro-fonde della camera da letto: ombre che alludono, inequivocabilmente, al mi-sfatto raffigurato nella terza scena, nonché alla tragica fine di Lucrezia.

Il terzo riquadro (fig. 2) mostra il momento culminante del drammatico incontro: Sesto Tarquinio, pochi giorni dopo la prima visita a casa di Lucre-zia, insieme a Collatino, si reca da solo presso la casta dimora, per profanar-ne l’alcova. Nuda e sconsolata, minacciata dal coltello che l’uomo tieprofanar-ne in mano, Lucrezia, in preda alla disperazione, rovescia la brocca d’acqua posa-ta per terra, ai piedi del letto, ed è costretposa-ta a subire la violenza del soldato, accecato dagli istinti bestiali. Sullo sfondo della scena, a sinistra, l’artista in-serisce un brano raffigurante Sesto e Lucrezia prima del fatidico episodio nella camera da letto, rappresentato in primo piano, capovolgendo così – come spesso accade nelle opere del Manierismo nordico – la sequenza tem-porale degli avvenimenti narrati: seduti intorno alla tavola, in un atteggia-mento decoroso e sorprendentemente pieno di contegno, i due personaggi

La morale dei segni … 159 sullo sfondo sembrano intrattenere una tranquilla conversazione privata; il cane, adagiato ai piedi della donna, ne ricorda metaforicamente la fedeltà matrimoniale, non ancora messa alla prova, né macchiata dal soldato.

Il quarto riquadro (fig. 3) conclude la narrazione per immagini della vicen-da, presentando i cinque personaggi principali – Lucrezia, suo padre, il marito e i figli del tiranno Tarquinio – coinvolti in un’azione teatrale ed enfatica, pro-ponendo una messa in scena emotivamente coinvolgente, memore senz’altro delle lezioni delle Camere di Retorica. Nella gestualità esasperata delle figure e nell’andamento irregolare del ductus grafico è possibile ravvisare un dialogo intervisuale con il lessico stilistico di Coornhert. Tale dialogo va, tuttavia, ben al di là della mera riappropriazione stilistica e si presenta soprattutto sul piano delle implicazioni filosofiche dell’immagine, laddove propone una lettura del tema del suicidio come esempio estremo del mantenimento delle virtù perso-nali: una lettura di ascendenza squisitamente neostoica.

Nella rappresentazione ideata da Goltzius, Lucrezia, dopo aver racconta-to ai parenti il misfatracconta-to subiracconta-to, sostenendo con disperaracconta-to ardore la propria innocenza, si toglie la vita con una pugnalata al cuore. Lo scandalo porta alla nascita della Repubblica18. La fuga del sovrano da Roma, e la conseguente istituzione di una repubblica oligarchica, viene raffigurata infatti sulla sini-stra della composizione, collegando in tal modo il sacrificio di Lucrezia con un preciso avvenimento storico, dalla portata collettiva: l’atto estremo del suicidio, inteso come atto di sostanziale legittimazione stoica, finisce per coincidere con l’avvento stesso della Repubblica romana e l’espulsione del nemico dai territori invasi. Considerato, inoltre, il contesto politico in cui operava Goltzius allorché realizzò queste stampe – caratterizzato dalla defi-nitiva capitolazione dell’esercito spagnolo nei territori delle Province setten-trionali, e dalla conclusione del tormentato assedio di Haarlem19, un fatto, quest’ultimo, che permise a Coornhert di rientrare finalmente nella sua città, portando con sé il giovane Goltzius – le vicende dell’eroina romana assumo-no un’ulteriore implicazione metaforica, mettendo in evidenza il solido le-game riscontrabile tra l’elogio delle virtù personali, custodite fino al parossi-stico suicidio, e il necessario ripristino dell’ordine comunitario, con il risulta-to di un proficuo ririsulta-torno alla vita civile, agli scambi sociali.

Valori etici di matrice neostoica informano, dunque, sia la parabola artisti-ca di Willem Key, sia la rappresentazione della storia di Lucrezia. Nel artisti-caso di

18 W. STRAUSS, Hendrick Goltzius, cit., p. 58.

19 Sulla drammatica situazione di Haarlem negli anni tra l’assedio dell’esercito asburgico (1572-1573) e il ‘grande incendio’ (1576) si veda J.I.ISRAEL, The Dutch Republic. Its Rise, Greatness

160 Ricardo De Mambro Santos

Key, la morte del pittore – intesa stoicamente come rinuncia ad assoggettarsi alle imposizioni di ogni nemico del benessere pubblico – si riallaccia alla pro-fonda dimensione etica in cui si compie il suicidio di Lucrezia, come atti sim-metrici di una rinuncia ‘fisica’ che sottolinea la ferrea decisione a non rinun-ciare al proprio essere ‘morale’. Sebbene coinvolti in situazioni con esiti diversi – Key non riuscì, infatti, a sventare il complotto udito durante la conversazio-ne tra i due nobili, mentre Lucrezia poté chiedere giustizia al cospetto dei pa-renti, favorendo così la formazione della Repubblica romana – entrambi i per-sonaggi preferiscono affrontare la morte piuttosto che macchiarsi di disonore. Integri e risoluti, consapevoli delle radicali conseguenze delle loro scelte, Wil-lem e Lucrezia illustrano il giusto comportamento umano secondo gli ideali della riflessione neostoica. Un comportamento, del resto, analogo a quello che Coornhert, Lipsius e Van Mander richiedono ad ogni individuo, affinché la sua esistenza possa essere doppiamente ‘virtuosa’: sul piano individuale e col-lettivo, ma anche sul versante etico ed estetico.

Fig. 1. Hendrick Goltzius, Banchetto a casa di Tarquinio. New York, Metropolitan

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Fig. 2. Hendrick Goltzius, Lucrezia e Sesto Tarquinio. New York, Metropolitan

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Fig. 3. Hendrick Goltzius, Il suicidio di Lucrezia. New York, Metropolitan Museum of

MARCO PRANDONI IL PARNASO DEI PAESI BASSI POESIA RINASCIMENTALE ‘MODERNA’

Francofilia e francofobia1

L’infrastruttura delle Camera di Retorica è essenziale per l’introduzione dell’umanesimo in volgare nei Paesi Bassi del Cinquecento. I rederijkers pagano gli ideali erasmiani e si propongono come elementi guida di un pro-cesso di civilizzazione delle élite urbane. Un rederijker di Anversa come Cor-nelis van Ghistele sente ad esempio l’esigenza, verso la metà del secolo, di tradurre in una lingua accessibile ai ceti medi, alla ricerca di raffinamento intellettuale, i grandi capolavori delle letterature antiche2. Il principio infor-matore è quello dell’umanesimo civile, associato alle esigenze di democra-tizzazione dell’accesso al sapere della Riforma Protestante, che presto attec-chisce nei centri urbani, specie portuali, dei Paesi Bassi3. Curiosamente, le Camere di Retorica rimangono però a lungo diffidenti verso la stampa, giu-dicata sinonimo di riprovevoli ambizioni di gloria e di scarsa qualità. Inoltre, la lingua fortemente artificiosa di cui si servono, tutta giocata su funamboli-smi etimologici e prestiti creativi dal francese, mal si presta alla standardiz-zazione sovraregionale, resa necessaria dalla stampa e dal crescente deside-rio di nobilitare il volgare rispetto al latino e agli altri volgari europei ‘con-correnti’4.

Infatti, l’emancipazione del libro in volgare porta con sé problemi di normalizzazione linguistica. Ad Anversa, nel Cinquecento uno dei centri

1 Il contributo rielabora M.PRANDONI, Vive la France, A bas la France! The Contradictory

Atti-tude Toward the Appropriation of French Cultural Elements in the Second Half of the Sixteenth Century, Especially in Forewords of ‘Modern’ Poetry Collections in J.KONST-B.NOAK (a cura di),

Wissenstrans-fer und Auctoritas in der frühneuzeitlichen niederländischsprachigen Literatur, Berlino, Vandenhoeck

& Ruprecht, in corso di stampa.

2 A partire dalla traduzione di Terenzio nel 1555.

3 H PLEIJ, Het gevleugelde woord. Geschiedenis van de Nederlandse literatuur 1400-1560, Amsterdam, Bert Bakker, 2007.

4 Sulla concorrenza dei volgari nell’Europa del Rinascimento, cfr. P.BURKE, Languages and

Communities in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 2004.

Specifica-mente dedicato ai Paesi Bassi il volumetto P.BURKE, Towards a Social History of Early Modern

164 Marco Prandoni

mondiali del libro stampato5, sono attivi grammatici e lessicografi, come ad esempio il correttore di bozze dell’editore-stampatore Plantin, Cornelis Ki-liaen6. La tensione verso una lingua standardizzata, già resa difficoltosa dalla notevole frammentazione dialettale, porta così ben presto a un atteg-giamento puristico verso i prestiti lessicali dal latino e soprattutto dal fran-cese, che ancora imperversano ad esempio nella traduzione di Terenzio del

rederijker Van Ghistele, derisa per questo sessant’anni dopo da Bredero

nel-la prefazione a Moortje. Il seconel-lare influsso culturale francese, specie nelle Fiandre e nel Brabante, particolarmente acuitosi nel periodo borgognone, ha infatti ‘imbastardito’ la lingua, come si sente ripetere a una voce da una schiera pressoché compatta di intellettuali a cui sta a cuore la lingua ma-dre, dal 1550 in poi: grammatici e lessicografi (come Spieghel nella gram-matica del Twe-spraak vande Nederduitsche Letterkunst, Dialogo sulla

gramma-tica neerlandese, pubblicata nel 1584 dalla Camera di Retorica di

Amster-dam, con introduzione di Coornhert), ma anche giuristi, musicologi, scien-ziati come Simon Stevin, che nel 1600 riesce a ottenere la creazione di una scuola di ingegneria con lezioni in volgare, legata all’università di Leida, e ovviamente poeti7. La maggior parte di loro tende a minimizzare l’arco cronologico del contatto linguistico tra neerlandese e francese, situandone l’origine all’affermazione della corte asburgica a Bruxelles nel primo Cin-quecento: un fenomeno recente e circoscritto, che può essere ancora sradi-cato, con la creazione di parole di nuovo conio germanico, al posto dei ‘barbarismi’.

È curioso come quest’atteggiamento puristico, talora ai limiti del fanati-smo, conviva con un’entusiastica francofilia da parte dei poeti, tanto i

rederi-jkers quanto i cosiddetti ‘moderni’. Per i rederirederi-jkers del pieno Cinquecento,

spesso bilingui, è fondamentale la lezione dei cugini francofoni della Seconde

Rhétorique, anche se un maestro dell’arte retorica neerlandese, Matthijs de

Castelijn, ci tiene a mantenere separati i due ambiti linguistico-culturali. Matthijs de Castelijn è figura-snodo fondamentale tra la poesia dei rederijkers e quella dei poeti che si autoproclamano ‘moderni’, di matrice

5 Mentre la prima fioritura editoriale era stata in Olanda, dove il tessuto sociale era meno sviluppato ma la Devotio Moderna aveva diffuso l'amore per il libro, a Delft, Haarlem e soprat-tutto Gouda, con un editore importante come Geerard Leeu.

6M. VAN DER WAL-C. VAN BREE, Geschiedenis van het Nederlands, Utrecht, HES, 1992, pp. 186-199.

7 Sulla ‘questione della lingua’ neerlandese nel Rinascimento, cfr. L. VAN DEN BRANDEN, Het

streven naar verheerlijking, zuivering en opbouw van het Nederlands in de 16e eeuw, Gent, Koninklijke

Vlaamse Academie voor Taal- en Letterkunde, 1956 e M. VAN DER WAL, De moedertaal centraal.

Il Parnaso dei Paesi Bassi. Poesia rinascimentale ‘moderna’ 165 le, votati a un’arte più elitaria ed individualista rispetto a quella delle Came-re di Retorica, e cultori di una poesia che non è più solo o tanto celebrazione di un’occasione festiva della comunità o tenzone artistica, ma silenzioso dia-logo intertestuale su carta con altri poeti e con i potenziali lettori. De Caste-lijn viene chiamato nel frontespizio dell’opera dall’editore Cauweel «excel-lent poëte moderne» – dunque, non rederijker/retrosijn o rijmer, rimatore8 – e mostra di conoscere, almeno di nome, i classici antichi. Tuttavia non arriva a pubblicare la sua opera, ligio alla dimensione primariamente orale delle Camere e alla loro diffidenza verso la stampa. La sua ars uscirà quindi po-stuma, per volontà dell’editore Cauweel. L’influenza della moderna poesia rinascimentale francese, dei seguaci di Clément Marot e della Pléiade, è poi pressoché assente nel suo trattato, in cui la metrica romanza, che conta le sil-labe e non le arsi, come si vedrà, è solo una delle tante possibilità. Per i poeti di marca rinascimentale, invece, il confronto-scontro con la moderna poesia francese, con le sue forme versificatorie e strofiche e il suo idioma poetico, è imprescindibile: inizia nelle Fiandre, da sempre porta d’accesso della cultura francese, continua all’interno delle comunità di profughi calvinisti all’estero e poi nella Repubblica delle Province Unite, dove emigrano tanti intellettuali meridionali.

In anni di grandi sconvolgimenti e di rinnovamento religioso, molti di questi poeti ‘moderni’ si cimentano anche con la traduzione del Salterio, an-che in questo caso sul modello francese9. I salmi, così importanti nelle comu-nità riformate per cementarne il senso di appartenenza e la fede, specie in momenti di sofferenza10, e per sostituire in parte quello che per i cattolici è l’elemento figurativo – rifiutato in quanto giudicata blasfema qualsiasi rap-presentazione antropomorfica della divinità – hanno infatti a partire dal 1543 come punto pressoché unico di riferimento la traduzione di Marot e Beza, approvata da Calvino, e le musiche che per quella traduzione erano state composte ex novo.

8 In Francia si assiste alla stessa evoluzione: Thomas Sebillet non parla più di rymeur bensì di poète nella sua Art poétique français del 1548, che avrà largo seguito nei Paesi Bassi. Cfr. W. WATERSCHOOT,Marot or Ronsard? New French Poetics among Dutch Rhetoricians in the Second Half of the 16th Century in J. KOOPMANS ET AL. (a cura di), Rhetoric-Rhetoriqueurs-Rederijkers, Amsterdam, North-Holland, 1995, pp. 141-156.

9S.J.LENSELINK, De Nederlandse psalmberijmingen van de Souterliedekens tot Datheen, met hun

voorgangers in Duitsland en Frankrijk, Dordrecht, Van den Tol, 1983.

10 Cfr. J. DE BRUIJN-W.HEIJTING (a cura di), Psalmzingen in de Nederlanden. Vanaf de zestiende

166 Marco Prandoni

Gand, 1565

Il pittore-poeta Lucas d’Heere pubblica la raccolta Den hof en boomgaert

der Poësien (Il giardino e l’orto della poesia): il genere è quello delle silvae11. Il frontespizio annuncia un’opera scritta «naer d'exempelen der Griecsche, La-tijnsche, en Fransoische Poëten» («secondo gli esempi dei Poeti greci, latini e francesi»). È quindi evidente l’intento di Lucas di richiamarsi ai modelli del Rinascimento internazionale, antichi e moderni, di contro a pratiche poetiche autoctone, in fiammingo, definite nella prefazione autoriale francamente «ongeschict en ruut» («inadeguate e rozze»), bisognose quindi di raffina-mento. Questo poliedrico ‘Marot fiammingo’ è sensibile all’arte rinascimen-tale, anche se probabilmente non tocca mai l’Italia12: dopo essersi formato alla scuola del pittore romanista anversese Floris, negli anni 1559-60 è stato attivo negli atelier di arazzi di Fontainebleau, presso la regina madre Cateri-na de’ Medici13. In una breve premessa, l’editore Manilius, nel dare alle stampe questo raffinato libro in ottavo, sente il bisogno di rassicurare il let-tore che possa sentirsi disorientato dall’uso di una metrica sconosciuta, fon-data sul principio dell’isosillabismo. A differenza delle lingue romanze, il verso neerlandese infatti, come per le altre lingue germaniche, è tonico: non il numero delle sillabe, bensì quello delle arsi fa da principio organizzatore del verso. Così era stato nei vari generi in versi medievali, così era ancora nella produzione delle Camere di Retorica, le quali avevano iniziato solo di recente a porre delle limitazioni alla lunghezza dei versi. Forme ‘moderne’, rinascimentali, dunque, ma non solo. A epigrammi, sonetti, epitaffi, epistole si affiancano nell’opera di D’Heere infatti dei refrein, genere per eccellenza dei rederijkers. Un’analisi attenta dei destinatari di questi componimenti, da intendere in gran parte come poesia sociale, d’occasione, rivela una forte di-versificazione: epigrammi erotici per le dame della buona società di Gand, sonetti per intellettuali, refrein per altri rederijkers14.

Il tono è prevalentemente leggero, vicino a certe badineries dei seguaci di Marot, i versi non sempre ben forgiati, i temi quanto mai vari: poesia sulla

11 Si veda B. RAMAKERS, Kunst en kunstenaarschap bij Lucas d’Heere, «Jaarboek van ‘De Fonteine’», LVI-LVII, 2006/2007, pp. 43-73.

12B.W.MEIJER, Lucas de Heere in H.DEVISSCHER (a cura di), Fiamminghi a Roma,

1508-1608. Kunstenaars uit de Nederlanden en het Prinsdom Luik te Rome tijdens de Renaissance, Brussel,

1995, pp. 226-229.

13 Cfr. F.A. YATES,The Valois Tapestries, London, Routledge,1975.

14 Se n’è occupato in numerosi studi Werner Waterschoot, molti dei quali sono raccolti in: W. WATERSCHOOT, Schouwende fantasye. Opstellen, Gent, Academia Press. Qui si rimanda all’edizione L. DE HEERE, Den hof en boomgaerd der poësien, W.WATERSCHOOT (a cura di), Zwolle,

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