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Lo splendore delle Fiandre e del Brabante

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1150-1550. Lo splendore di Fiandre e Brabante 27 A differenza delle altre culture germaniche, la letteratura medievale neer-landese comprende soprattutto ed essenzialmente i testi a noi tramandati nel periodo compreso tra 1160-70 e il 1550 in medio neerlandese, ovvero la do-cumentazione scritta a partire dal primo documento Sint Servaes Legende (Leggenda di San Servazio, databile tra il 1160 e il 1170), poema di Heinric van Veldeken nella varietà del Limburgo, fino agli scritti di Anna Bijns, che tem-poralmente coincidono con l’introduzione della stampa, e l’avvio del Rina-scimento e della Riforma. Per ‘medio neerlandese’ non s’intende una lingua standardizzata, il cui uso si sovrappone alle parlate locali, cosa inimmagina-bile nel Medioevo, ma l’insieme dei vari volgari attestati nelle regioni che costituiscono attualmente i Paesi Bassi e il Belgio neerlandofono: più specifi-camente il limburghese, il fiammingo, il brabantino, e in maniera minore l’olandese e il cosiddetto neerlandese nord-orientale medio. I tratti distintivi di questi dialetti vengono ricostruiti sulla base dei documenti ufficiali, come la Stadsrekening Maastricht (1399, Rendiconto cittadino di Maastricht), lo

Sche-penbrief van Oldenzaal (1351, Lettera degli scabini di Oldenzaal) o l’Ambtelijke tekst uit Breda (1269, Testo amministrativo di Breda) che hanno una datazione

sicura, sono scritti nel dialetto locale e conservati nell’originale. Al contrario, non tutti i testi giunti fino a noi sono di facile identificazione, poiché spesso un singolo manoscritto può mostrare tratti appartenenti a dialetti diversi, e ciò per molteplici ragioni: il copista può aver parlato un dialetto diverso da quello usato nel testo da copiare; la mescolanza dialettale può essere voluta dall’autore stesso, per ottenere determinati effetti poetici o per ragioni for-mali come la rima; l’oscillazione può essere ricondotta al prestigio di alcune varietà, come il dialetto fiammingo-brabantino nel XIII e XIV secolo; infine, poiché di molti testi, soprattutto letterari, possediamo soltanto copie di co-pie, tratti arcaicizzanti si possono trovare accanto a innovazioni.

Del periodo precedente, la cui lingua viene comunemente denominata neerlandese antico (o, meglio ancora, basso francone antico) non si hanno, infatti, che scarse e frammentarie testimonianze: alcuni toponimi e glosse in testi latini, il Salterio di Wachtendonck (una collezione di salmi in un dialetto orientale dell’inizio del X secolo); una frase scritta per metà in antico nederlandese e per metà in latino, a conclusione di una lista di nomi di persone che vivevano nel monastero di Munsterbilzen nel Limburgo; il cosiddetto Willeram di Leida (un adattamento del 1100 circa del Canto di Salomone di Willeram, abate di Ebersburg); e la famosa probatio pennae

Hebban olla vogala scoperta da Kenneth Sisam nel 1931 su di un pezzo di

pergamena di rinforzo della copertina di un manoscritto, probabilmente scritta da uno scriba fiammingo dell’abbazia di Rochester nel Kent.

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Tuttavia, presupporre un’intensa attività letteraria, in massima parte non documentata, sembra essere la conditio sine qua non per rendere conto del livello di maestria e raffinatezza presente fin dalle prime testimonianze, come le opere di Heinric van Veldeken e della mistica Hadewijch.

Alla mancanza di una lingua unitaria corrispondeva l’assenza di uno stato unitario. Sulle rovine dell’impero carolingio erano sorti due grandi paesi, la Francia e la Germania, e un numero di principati più piccoli che in termini legali dovevano la loro alleanza ai regnanti francesi o tedeschi, ma che di fatto godevano di piena autonomia politica e prestigio internazionale, come testimoniato, per esempio, dalla contea delle Fiandre con il suo significativo intervento alle crociate e alla lotte di reconquista contro i Mori in Portogallo e Spagna.

Se il Limburgo aveva sviluppato un significativo sistema socioculturale cortese, svolgendo nel XII secolo un ruolo centrale per la politica del Sacro Romano Impero,nel corso del Duecento, in seguito all’estinzione della sua dinastia reggente, passò sotto sfera d’influenza e poi definitivamente sotto il controllo politico del ducato di Brabante con la battaglia di Woeringen (1288) vinta dal duca-poeta Giovanni I del Brabante (Jan I van Brabant), autore di celebri liriche amorose, tra cui Harba lori fa.

Le Fiandre erano invece rimaste sotto la sfera d’influenza della Francia, in qualità di vassallo feudale. Nonostante i pressanti tentativi di annessione da parte del regno francese, la contea delle Fiandre riuscì a conservare il suo status indipendente, anche grazie alla temporanea unione con la contea di Hainaut, fino al 1384, quando entrò a far parte della nuova possente struttura statale del ducato di Borgogna.

Il ducato di Borgogna, nato anch’esso sulle rovine dell’Impero carolingio, era stato legato alla corona francese con alterne vicende fino al 1384, quando Giovanni II il Buono ne riconobbe l’autonomia feudale, investendone il figlio Filippo l’Ardito, che, a seguito di politiche matrimoniali, acquisì anche le Fiandre, l’Artois e la Franca Contea e preparò un legame con la contea di Hainaut. La politica di Filippo, tesa a una progressiva pacificazione e armonizzazione interna, comportò l’istituzione di organismi di rappre-sentanza politica dei gruppi sociali presenti nelle diverse parti del ducato e anche il riconoscimento di autonomie locali. Durante la Guerra dei Cent’Anni, il duca di Borgogna, pur mostrando linee politiche altalenanti, fu ago della bilancia nel conflitto franco-inglese, a seguito del quale consolidò il suo potere interno, estendendo i suoi domini. La politica espansionistica continuò nel XV secolo con Filippo il Buono, mediante l’annessione di Brabante-Limburgo e di Lussemburgo, Hainaut, Zelanda, Olanda e Frisia e

1150-1550. Lo splendore di Fiandre e Brabante 29 la stabilizzazione di un protettorato su Liegi. Con la morte di Carlo il Temerario, il ducato di Borgogna tornò alla Francia, mentre tutti gli altri stati passarono sotto il controllo diretto della famiglia imperiale degli Asburgo alla morte della figlia Maria di Borgogna (1482), andata in sposa a Massimiliano d’Asburgo. Seppure indipendenti tra di loro, le strutture politiche dei Paesi Bassi settentrionali e delle Fiandre avevano sviluppato una fitta rete di scambi economici e culturali ben prima dell’unificazione formale, che si evidenziò nel patto del 1139, che stabiliva vincoli di buon vicinato, sull’esempio dei cantoni svizzeri, tra le Fiandre, il Brabante-Limburgo e l’Hainaut, e che si manifestò in un processo di avvicinamento e assimilazione, rendendo questi territori un’entità omogenea e specifica agli occhi del resto d’Europa. Fu a partire da questo nucleo belga-olandese-lussembrughese che Filippo il Buono cercò di dare coesione, anche giuridico-amministrativa, allo stato borgognone e, pur rispettando le diverse realtà provinciali, convocò gli Stati Generali con i rappresentanti di tutti i paesi che costituivano il suo ducato (1463), istituendo contemporaneamente, per garantire l’unità del governo, il Gran Consiglio a Malines.

Di fronte all’assenza di un potere fortemente centralizzato, non è sor-prendente che lo sviluppo della letteratura abbia seguito la crescita dei vari centri di potere politico ed economico, rappresentati non solo da principati, ducati o contee, ma spesso da quelle città che avevano un certo grado di au-togoverno e d’indipendenza grazie alla spinta dell’emergente classe media (detta comunemente ‘borghesia’). L’attività letteraria durante il Medioevo si concentrò prima nel Limburgo del XII secolo e, in misura minore, dalle Fiandre; nel XIII secolo, con lo sviluppo delle attività commerciali ed eco-nomiche di Bruges, Gand, Damme e Ypres, la scena letteraria fu dominata quasi esclusivamente dalle Fiandre, mentre dal XIV secolo si osserva la co-stante ascesa del Brabante che divenne con il XV secolo il centro dell’egemonia culturale medio neerlandese. Infatti, alla fine del XV secolo, con l’ostruzione dell’estuario dello Zwin, ovvero dell’accesso di Bruges al Mare del Nord, le città delle Fiandre persero di importanza lasciando spazio all’ascesa di Anversa a ruolo di porto marittimo internazionale e maggiore centro finanziario a nord delle Alpi.

Altre città brabantine acquisirono un rilievo politico e culturale sempre più decisivo: Bruxelles, punto centrale dell’amministrazione, e Lovanio, sede dell’università. Dopo la metà del XVI secolo, a seguito della rivolta contro il governo spagnolo, responsabile di una sanguinosa repressione, l’avvio della Guerra degli Ottant’anni e la caduta di Anversa (1585), si verificò una mas-siccia fuga verso il nord e in particolare verso Amsterdam, già da almeno un

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secolo e mezzo il maggior porto europeo per la distribuzione di merci del Mar Baltico. Anversa cominciò a perdere così la sua importanza commercia-le fino a ricevere il colpo definitivo con la chiusura dell’estuario della Schel-da alle imbarcazioni straniere. Il declino della rivale favorì l’ascesa di Am-sterdam, e conseguentemente del suo dialetto.

Il neerlandese moderno standard si basa infatti prevalentemente sul dia-letto di Amsterdam, ma presenta molti tratti tipici dei dialetti meridionali, perché nello spostamento del centro politico, economico e culturale verso il nord del paese fu determinante non tanto la quantità ma la qualità degli immigrati fuggiti dal sud verso il nord. Fra loro vi furono scienziati di fama, studiosi, stampatori e mercanti. Molti insegnanti provenienti dalle regioni meridionali portarono con sé i loro materiali e continuarono a utilizzarli nel-la didattica, influenzando così l’uso delnel-la lingua di Amsterdam e delnel-la sua area.

Come anche altrove nell’Europa occidentale del basso Medioevo, la lette-ratura medievale neerlandese risente inizialmente della profonda influenza della lirica cortese e del romanzo cavalleresco francese, dominio culturale che si protrae fino al XVI secolo grazie al mecenatismo dei vari regnanti: le corti sono centri propulsori per la musica, le arti e la letteratura. Inoltre, al-meno fino al tredicesimo secolo la produzione letteraria è rivolta prevalen-temente all’ordine monastico e all’aristocrazia e soltanto in minima parte al resto della popolazione. Ne consegue che sono soprattutto i temi della poe-sia cavalleresca e agiografica ad essere attestati in un primo tempo.

Se anche il primo documento in medio neerlandese è un’opera agiografi-ca, la Sint Servaes Legende di Van Veldeken, la frammentaria documentazione del periodo giunta a noi testimonia anche di un grande interesse per la ma-teria carolingia, interesse che si prolungherà fino alla fine del XIV secolo. Si pensi ad esempio ai duecenteschi Karel ende Elegast (Carlo e Elegast) e De

Ro-man der Lorreinen (Il roRo-manzo dei Lotaringi), di cui il secondo riprende

lette-ralmente la tradizione dei romanzi su Carlo Magno scritti nel XII secolo, mentre il primo si configura come apporto originale alla tradizione, seppur fortemente contaminato dalla letteratura popolare dei periodi precedenti. L’Oriente diventa nel Duecento, a seguito delle crociate, un tema che s’inserisce nella tradizione classica: abbiamo così il romanzo Partonopeus, in cui l’eroe, nipote del re di Francia, gode dei favori di una potente quanto mi-steriosa regina, oppure il noto Floris ende Blancefloer (Fiorio e Biancifiore). Non mancano nella letteratura del XIII secolo neppure romanzi di materia classi-ca greclassi-ca o latina, desunta principalmente da modelli francesi (Het Prieel van

Dier-1150-1550. Lo splendore di Fiandre e Brabante 31 godgaf) come pure del ciclo bretone (il Moriaen con le avventure di Lancil-lotto e di Walewein, o il più noto Ferguut).

In ambito religioso, continua la poesia agiografica (il vangelo popolare

Vanden Levene Ons Heren, Della Vita di Nostro Signore, oppure l’armonia

evangelica Leven van Jezus, Vita di Gesù), ma ben più interessante è la lettera-tura mistica: oltre al trattato Van seven Manieren van heiligher Minne (I sette

gradi dell’amore sacro) della suora Beatrijs del convento di Nazareth presso

Lierre, non si possono non ricordare gli scritti mistico-teologici della poetes-sa Hadewijch, le Visioenen (Visioni) e le Brieven (Lettere), o le sue poesie in cui l’amore cortese diventa pura spiritualità (Mengeldichten, Poesie varie).

Alle esigenze e agli interessi della nuova classe dei lettori che emerge, nel XIII secolo, nel contesto delle città fiamminghe, risponde la fioritura di altri generi letterari, tra cui la poesia didascalica, di cui senza dubbio Jacob van Maerlant è il maggior rappresentante. Seppur perfettamente inserito nel suo tempo, come dimostrano i suoi rifacimenti della materia classica o arturiana (Alexanders Geesten, Gesta di Alessandro Magno da una parte, e il

Torec e il doppio racconto De Historie van den Grale, Storia del Graal, e Mer-lijn’s Boek, Il libro di Merlino dall’altra), si collega preferibilmente il suo

no-me alle elaborazioni di opere didascaliche latine cono-me il Van der Natueren

Bloeme (Florilegio sulla Natura) e le grandiose opere in versi De Spieghel Hi-storiael (Specchio della Storia) e Rijmbijbel (Bibbia in rima). Lo sguardo

mora-leggiante e satirico sulla società del tempo si sposa perfettamente con un altro genere letterario molto popolare, la fiaba: di particolare rilievo sono l’adattamento degli episodi del francese Roman de Renard, Van de vos

Rey-naert, e l’Esopet (Esopo).

Con il XIV secolo la grande epoca della cavalleria tramonta e così l’epoca delle grandi opere epico-cavalleresche. Le Fiandre sono, insieme al nord d’Italia, la regione più urbanizzata d’Europa. La densità della popolazione ur-bana è altissima, e la borghesia cittadina diventa una realtà predominante. Si assiste alla prima rivolta (1323-1328) che coinvolge contadini e artigiani impe-gnati nel settore tessile, contro la pressione fiscale del conte di Fiandra e la no-biltà francofona e il ceto patrizio e mercantile ad essa associato. Luigi di Mâle, responsabile dell’unificazione delle Fiandre con il Brabante e Limburgo, a dif-ferenza dei suoi predecessori, si circonda di funzionari provenienti dalle Fian-dre (avvocati, notai, consiglieri ecc.) per amministrare il territorio. Questi mo-vimenti sociali determinano la stabilizzazione del fiammingo come lingua amministrativa, come pure la crescita d’importanza della classe borghese, che esige sempre più ordine e disciplina, dottrina e legge e pragmatismo, anche in ambito letterario. Pertanto, gli elementi della tradizione letteraria del secolo

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precedente continuano, ma con una spiccata vena morale, o meglio moraleg-giante e didattica. Esemplificativa a questo riguardo è la rielaborazione dell’epopea della volpe Reynaert, portata a significazioni morali.

Si rielaborano ancora i temi cavallereschi, perché d’interesse anche per l’alta borghesia, ma accanto al romanzo cavalleresco nasce la morale cavalle-resca in rima: in Seghelijn van Jeruzalem (Seghelino di Gerusalemme), sono com-pendiati tutti gli aspetti del romanzo cavalleresco, dal tema dell’amore e del-la lotta per del-la sua difesa per finire con le crociate e del-la conversione dei pagani; in Van den Coninc Saladijn ende van Hughen van Tabaryen (Del re Saladino e di

Ugo di Tabaria), da un originale francese, si espongono i requisiti necessari

per diventare un vero cavaliere. Rispondenti alle stesse esigenze sono, nella traduzione del Roman de la Rose (Romanzo della Rosa) di Hein van Aken, l’accentuato carattere cristiano, il rafforzamento dell’elemento feudale e la diminuzione dell’elemento allegorico in favore del dato realistico. Alla mi-stica visionaria si sostituisce il sistema mistico di Jan van Ruusbroec, che nel suo De Chierheit der gheesteliker Brulocht (Lo spendore del matrimonio spirituale) esemplifica il complesso sistema di rapporti tra Dio e l’anima, con immagini ed esempi tratti dalla vita quotidiana e raccontati in modo realistico. La sua opera esercita una grande influenza sugli scrittori religiosi appartenenti alla cosiddetta Devotio Moderna, che nel XV secolo saranno autori di opere reli-giose in prosa.

L’opera di Jacob van Maerlant è continuata da altri: in primis Jan van Boendale, che in dialetto brabantino compone opere didascaliche, tra cui il lungo compendio in versi della storia universale, Der Leken Spieghel (Specchio

dei Laici), diretto alla borghesia colta del suo tempo. Sull’esempio di Jan van

Boendale nascerà una vera e propria tradizione secolare di moralismo neer-landese, su cui s’inseriranno, fra i tanti, il secentesco Jacob Cats, i settecente-schi Justus van Effen, Betje Wolff e Aagje Deken e l’ottocentesco Hildebrand. Anche le cronache mostrano lo spirito del tempo: Boendale imita lo Spieghel

Historiael nella sua storia del Brabante, mentre altri glorificano conti e duchi

come Melis Stoke nella sua Rijmkroniek (Cronaca in Rima), prodotta alla fio-rente corte di Floris V d’Olanda.

Rispondono ancora ai gusti dei nuovi destinatari borghesi la messa per iscritto di racconti esemplari o exempelen, e la produzione di generi letterari popolari, quali le canzoni religiose e profane, i racconti faceti e le farse,

cluch-ten o sotternieёn. Queste ultime servono come diversivo dopo i seri ed elevati abele spelen, che costituiscono il primo esempio di dramma profano in

Euro-pa, e forse l’unico genere letterario non modellato sull’esempio della lettera-tura francese.

1150-1550. Lo splendore di Fiandre e Brabante 33 Nel XIV secolo il dialetto del Brabante diventa dominante nella produ-zione letteraria, grazie soprattutto a personalità di grande rilievo come Jan van Boendale e il mistico Jan van Ruusbroec. Il prestigio del brabantino con-tinua nel XV secolo, quando inizia a svilupparsi una nuova coscienza lingui-stica in seguito alle mutate condizioni politiche e all’invenzione della stam-pa, grazie alla quale gran parte della letteratura quattrocentesca è giunta fino a noi: per esempio, il dramma Elckerlyc (Ognuno), di cui sarà celeberrimo l’adattamento inglese Everyman, conservato in un incunabolo del 1495. La letteratura, come ogni altra arte in questo periodo, abbandona gradualmente l’afflato didascalico e diventa ‘applicata’: preferisce moralizzare sulla scorta di racconti illustrativi, come dimostra Der minnen loep (Il cammino dell’amore) dell’olandese Dirc Potter.

Le associazioni letterarie cittadine sono una realtà già dal XII secolo. Ad Arras esistono dal 1194 confraternite per jongleurs, comparabili al teatro po-polare burlesco, e dal 1250 la società elitaria Le Puy, che anticipa le gilde let-terarie, Rederijkerskamers o Camere di Retorica, nate intorno al 1440, analoghe alle corporazioni di artigiani e commercianti. Formate da scrittori, poeti e at-tori provenienti dalla classe media, che esprimono, nelle loro opere, idee e tendenze spesso in opposizione con l’aristocrazia, in un primo tempo le Ca-mere sono quasi esclusivamente impegnate nella preparazione di spettacoli teatrali per il popolo: ‘misteri’ e ‘miracoli’. La loro influenza cresce poi a tal punto che nessun festival o processione può svolgersi senza il patrocinio del-la camera. A una di queste è vicina anche Anna Bijns. La produzione delle Camere si è successivamente differenziata per generi testuali – la poesia reli-giosa, la lirica d’amore, i componimenti faceti e triviali, i drammi religiosi o laici –, mantenendo in tutti una notevole attenzione per la tecnica retorica: tra le forme più frequenti il rondò e la ballata o refrein. Tra i numerosi rederijkers o retori vale la pena ricordare Anthonis de Roovere di Bruges. Per quanto ri-guarda il teatro, tra le opere riferite all’attività delle Camere vanno citati

Ma-rieken van Nieumeghen e la moralità Elckerlijc (Ognuno). Sicuramente i drammi

recitati dai retori furono più numerosi di quelli effettivamente giunti fino a noi, anche se le Camere non avevano ancora raggiunto la fioritura che avranno nel secolo successivo. La forma del dramma era già fissata: un chia-ro indirizzo allegorico sposato con la forza realistica della rappresentazione della vita quotidiana.

Accanto alle canzoni religiose, il nuovo pubblico cittadino richiede anche altri tipi di canzoni, come dimostra il Canzoniere di Anversa (Het Antwerps

Liedboek), messo all’indice nel 1546 dalla facoltà di teologia di Lovanio. Le

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canzoni d’amore (De Winter is verghangen, L’Inverno è passato) e a sfondo so-ciale (Ghildeke gheldeloos, Piccola gilda senza denari) scritte dai retori anversesi rispecchiano la vita multiforme dell’epoca borgognona e della città in cui convivono lo splendore della ricchezza e lo squallore della miseria.

Racchiusa tra il Sacro Romano Impero e il regno di Francia, la letteratura medievale dei Paesi Bassi, soprattutto fiamminga, è contrassegnata dal suo ruolo di ‘cerniera’ tra il mondo culturale romanzo e quello germanico. Ma se nel resto d’Europa l’esempio francese assume la funzione di modello da imi-tare, nel caso delle varie regioni neerlandesi la rielaborazione del modello diviene a sua volta fonte d’influenza per l’Europa intera.

FULVIO FERRARI HEINRIC VAN VELDEKEN.

IL SENTE SERVAS TRA EPICA E AGIOGRAFIA1

Heinric van Veldeken, poeta tra i generi e le lingue

È, quella del poeta limburghese Heinric van Veldeken, figura liminare per eccellenza: iniziatore, con la sua Eneide, dell’epica cortese tedesca,

Min-nesänger originale e per molti versi anomalo, egli è al contempo riconosciuto,

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