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questione della datazione, giungendo a una conferma e a una precisazione del periodo di

questione della datazione, giungendo a una conferma e a una precisazione del periodo di reda-zione già in precedenza individuato da altri studiosi. Per una sintetica descrireda-zione in lingua ita-liana del codice e un riassunto del dibattito relativo alla sua datazione, funzione e committenza cfr. F.FERRARI, Esmoreit: un «dramma cavalleresco» in ID (a cura di), Un’artistica rappresentazione di

Esmoreit, figlio del re di Sicilia, Trento, Università di Trento, 2001, pp. 7-71. Gli abele spelen si

pos-sono leggere nella loro interezza sul sito <http://www.dbnl.org>, che li ha digitalizzati seguendo l’edizione contenuta in P. LEENDERTZ, Middelnederlandsche dramatische poëzie, Leiden, A.W, Sijthoff’s, 1907.

4 I titoli riportati nel codice sono, rispettivamente: Een abel spel van esmoreit tconincx sone van

cecielien ende ene sotternie daer na volghende; Een abel spel ende een edel dinc vanden hertoghe van brwyswic hoe hi wert minnende ene joncfrouwe die met sijnder moerder diende. Ende ene sotternie na volghende; Een abel spel van lanseloet van denemerken hoe hi wert minnende ene joncfrouwe die met sijder moeder diende. Ende ene Sotternie na volghende; Een abel spel vanden winter Ende vanden somer. Ende ene Sotternie na volghende.

5 Su Vanden Winter ende vanden Somer, la differenza di questo testo con gli altri tre drammi definiti abele spelen e i possibili rapporti tematici cfr. J.H.METER, Harmony and disharmony in a

court drama of the Netherlands: Vanden Winter ende vanden Somer in S.HIGGINS (a cura di), Euro-pean Medieval Drama 1 (1997). Papers from the First International Conference on EuroEuro-pean Medieval Drama (Camerino 28-30 June 1996), Turnhout, Brepols, 1997, pp. 133-146.

Gli abele spelen. Drammi cavallereschi sulla scena 101 tenuti nel Codice Van Hulthem e ponendolo in relazione con testi non desti-nati alla rappresentazione teatrale tramandati nella tradizione nederlandese e, più in generale, europea. La definizione ‘dramma romantico’ è tuttavia talmente vaga da risultare di scarsa utilità, mentre quella di ‘dramma corte-se’, al contrario, rimanda a un contesto di produzione e di ricezione troppo ristretto, quello delle corti aristocratiche, mentre il teatro medievale è feno-meno essenzialmente urbano. I motivi narrativi e lo stile di questi tre dram-mi riprendono comunque in tutta evidenza quelli della letteratura cortese e, più genericamente, cavalleresca: una letteratura che, nel tardo Medioevo, circolava ben al di là degli ambienti di corte e si era diffusa nell’ambito della più vasta élite cittadina e mercantile, subendo, inevitabilmente, modifiche e adattamenti in un processo di progressivo adeguamento ai nuovi contesti di ricezione. Per queste ragioni è preferibile attenersi alla definizione ‘dramma cavalleresco’, che non contraddice la loro destinazione a un pubblico ben più vasto di quello di una corte.

Le linee narrative

Una rapida esposizione delle storie narrate nei tre drammi dovrebbe essere sufficiente a mettere in rilievo la libera utilizzazione e ricomposizione, da par-te dell’autore (o degli autori) di motivi narrativi diffusi un po’ in tutta la letpar-te- lette-ratura cavalleresca europea, e spesso presenti anche nel patrimonio fiabesco.

L’azione di Esmoreit si apre con la nascita inattesa di un erede – Esmoreit, appunto – all’ormai vecchio re di Sicilia. Il malvagio e ambizioso Robbrecht, nipote del re, vede così sfumare all’improvviso la prospettiva di ereditare il regno e decide di uccidere il cuginetto. Nel frattempo, a Damasco, l’astrologo Maestro Platus legge nelle stelle che è nato in terra cristiana (in

Kerstenrijc) un principe che rappresenta una minaccia alla vita del suo

so-vrano. Si reca quindi in Sicilia per rapire il bambino e, al suo arrivo, s’imbatte in Robbrecht sul punto di annegare Esmoreit in un pozzo: paga dunque una forte somma e porta il principino con sé a Damasco, dove il re lo affida alle cure della figlia Damiet, senza però rivelarle le sue vere origini. In Sicilia, intanto, Robbrecht ha accusato la regina sua zia di aver ucciso il proprio figlio; il re, accecato dalla collera, l’ha fatta rinchiudere in una torre. L’azione del dramma compie ora un salto di diciott’anni: Esmoreit è ormai un uomo e Damiet se ne è innamorata, senza però osare rivelargli il proprio amore per timore della punizione paterna. Ascoltando casualmente i lamenti di quella che crede essere sua sorella, Esmoreit viene a sapere di non essere

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figlio del re di Damasco e parte immediatamente alla ricerca dei veri genito-ri, portando intorno al capo, a mo’ di turbante, la fascia in cui era stato av-volto da neonato. Il principe giunge così in Sicilia, in prossimità della torre in cui è rinchiusa la regina, che riconosce in lui il figlio misteriosamente scomparso: la famiglia si riunisce nella gioia, la regina è scagionata ed Esmo-reit si converte al cristianesimo. Non sono ancora svelate, tuttavia, le circo-stanze in cui è stato rapito il principe neonato. Non vedendolo far ritorno a Damasco, nel frattempo, Damiet e Platus decidono di travestirsi da pellegri-ni per partire alla sua ricerca: anche in questo caso i personaggi arrivano ca-sualmente proprio là dove devono arrivare per raggiungere il loro scopo, ed Esmoreit, sentendo la voce di Damiet che chiede la carità, la riconosce. Il re di Sicilia accoglie amorevolmente la principessa e annuncia l’intenzione di abdicare in favore del figlio e della sua futura sposa. A questo punto Platus riconosce in Robbrecht colui che gli aveva venduto il bambino: Robbrecht viene impiccato, giustizia è fatta e un discorso edificante di Esmoreit chiude l’azione del dramma.

La storia narrata in Gloriant si apre con il motivo dell’innamoramento a distanza: nonostante le insistenze dei suoi cortigiani, preoccupati per la mancanza di un erede, Gloriant, duca di Brunswijk (la tedesca Braunsch-weig) rifiuta di sposarsi, non ritenendo nessuna donna degna di divenire sua moglie. Altrettanto restia a sposarsi è la principessa mora Florentijn, figlia del Rode Lioen, il Leone Rosso di Abelant. La fanciulla ha però sentito parlare del duca Gloriant, a cui sente di essere affine, e tramite il messaggero Rogier gli invia un proprio ritratto. Gloriant s’innamora immediatamente delle sembianze della principessa e promette di raggiungerla in Abelant entro set-te settimane. Quando però confida allo zio il suo nuovo amore, viene a sape-re che un odio implacabile oppone la sua stirpe a quella di Flosape-rentijn: suo zio e suo padre hanno infatti ucciso in battaglia il padre, lo zio e due cugini del Leone Rosso, che da allora aspetta l’occasione di vendicarsi. Gloriant non si lascia comunque dissuadere, affida allo zio il governo del ducato e parte in incognito «ghelijc enen ridder van avonturen» («come un cavaliere di ventu-ra», vs. 509). Quando, nel cuore della notte, arriva alle porte di Abelant, vie-ne subito riconosciuto dalla principessa: i due amanti si preparano alla fuga, ma vengono sorpresi dal nipote del Leone Rosso, Floerant, che sottrae a Glo-riant la spada e corre quindi ad avvertire il suo signore. GloGlo-riant e Florentijn vengono imprigionati e condannati, l’uno a morire impiccato, l’altra a bru-ciare sul rogo. Il fedele Rogier libera però Gloriant e gli restituisce la spada, e nel momento in cui Florentijn sta per essere giustiziata, fuori dalle porte del-la città, il duca interviene a sorpresa e del-la libera. I tre fanno quindi ritorno a

Gli abele spelen. Drammi cavallereschi sulla scena 103 Brunswijk; Florentijn e Rogier sono ormai convertiti al cristianesimo e le nozze sanciscono il lieto fine.

Rispetto agli altri due drammi cavallereschi, Lanseloet van Denemerken presenta indubbiamente caratteristiche proprie, che hanno indotto alcuni studiosi a supporre che sia all’opera in questo caso un autore diverso, o forse lo stesso autore in un’altra fase della sua produzione6. Quel che appare evi-dente già a una prima lettura è infatti un maggiore realismo, una minore re-ticenza ad affrontare temi delicati quali la violenza sessuale e il matrimonio dopo la perdita della verginità. In apertura del dramma, il giovane principe di Danimarca Lanseloet lamenta il suo amore senza speranza per la bella Sanderijn, fanciulla al servizio della regina madre, le cui origini sono meno nobili delle sue. Proprio la differenza di rango fa sì che Sanderijn, che pure è innamorata del principe, ne respinga il corteggiamento, mentre la madre rimprovera aspramente il figlio che rivolge così in basso il proprio amore. Per liberarlo da quella che ai suoi occhi appare una sconveniente ossessione, la regina propone al figlio di aiutarlo a passare una notte con la cameriera; in cambio lui deve però prometterle di congedarla in malo modo. Pur renden-dosi ben conto della bassezza di un tale comportamento (il testo fa uso qui del termine dorperheit, ‘villaneria’, a indicare il contrario della nobiltà d’animo), Lanseloet acconsente, pur di avere la possibilità di soddisfare il proprio desiderio, e si consola sperando che Sanderijn non se la prenda a male davvero. La regina convince quindi la sua cameriera ad entrare nella stanza del figlio, dicendole che è ammalato e che ha bisogno di assistenza. Quanto avviene nella stanza non viene ovviamente rappresentato: nella sce-na che segue immediatamente, Sanderijn, sconvolta per la brutalità dell’amato, fugge dalla reggia e si mette a vagare per la foresta. Qui incontra un cavaliere che rimane rapito dalla sua bellezza e le propone subito di ac-compagnarlo al suo castello e divenire sua moglie. Sanderijn, paragonandosi a un albero a cui un falco ha strappato un fiore, gli fa capire di aver perduto la verginità, ma il cavaliere le risponde che «ene bloeme en es niet» («un fio-re non è nulla», vs. 507), e la pfio-rende con sé. Nel frattempo Lanseloet si di-spera per la fuga della fanciulla e decide di inviare il servo Reinout a cercarla per riportarla alla reggia, nonostante l’opposizione della famiglia. Dopo un anno, Reinout giunge nella foresta dove Sanderijn ha incontrato il cavaliere e

6 Cfr. G.STELLINGA, Zinsvormen en zinsfuncties in de abele spelen, Groningen-Djakarta, J.B. Wolters, 1954; G.A. VAN ES, Het negeren van tijd en afstand in de abele spelen, «Tijdschrift voor Taal- en Letterkunde», LXXIII, 1955, pp. 161-192; A. DABRÓWKA, Untersuchungen über die

mittelniederländischen Abele Spelen (Herkunft-Stil-Motive), Warszawa, Uniwesytet Warszawski,

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si imbatte in un guardaboschi, che gli racconta del matrimonio e lo conduce dalla sua signora. Invano Reinout cerca di convincere Sanderijn a fare ritor-no in Danimarca, descrivendole la disperazione e il pentimento di Lanseloet: Sanderijn è ormai felice con il suo sposo e nemmeno per un attimo è tentata di lasciarlo. Per non ferire troppo il suo signore, Reinout, al ritorno, gli rac-conta di aver trovato Sanderijn nella lontana città africana di Rawast, ma che la fanciulla è morta nel sentirsi rammentare il suo amore danese. A questa notizia Lanseloet muore di dolore, esprimendo la speranza di poter rivedere l’amata in cielo.

Drammi cavallereschi e stile astratto

Chiunque sia l’autore – o gli autori – di questi tre drammi, si tratta eviden-temente di qualcuno che ha avuto modo di leggere (o di ascoltare) diversi ro-manzi cavallereschi. Il cortigiano malvagio e infido, la lettura nelle stelle di un pericolo imminente, l’amore tra un giovinetto e una fanciulla meno giovane che egli crede essere sua sorella, il viaggio in incognito di un’innamorata alla ricerca dell’amato che non fa ritorno come promesso, il rifiuto di sposarsi, l’innamoramento per un ritratto, l’amore contrastato tra due famiglie nemiche, la madre maligna e intrigante di un sovrano o di un principe, l’incontro con un guardaboschi dall’aspetto grottesco: sono, questi, motivi che troviamo dis-seminati un po’ in tutta la letteratura medievale e che vengono ricomposti in intrecci narrativi relativamente semplici e lineari, funzionali ad una rappresen-tazione che non doveva essere eccessivamente lunga e che doveva lasciar spa-zio, al termine, alla messa in scena di una farsa7.

La concisione imposta dalle modalità della rappresentazione viene facili-tata da uno degli elementi stilistici principali che il romanzo cavalleresco – e di conseguenza il dramma cavalleresco che ne deriva – ha largamente in comune con la fiaba e che, seguendo Max Lüthi, definiremo ‘stile astratto’8. La caratteristica forse più peculiare dello stile astratto consiste in una radica-le subordinazione delradica-le categorie di spazio e di tempo alradica-le esigenze della narrazione. Il protagonista di una fiaba, di un romanzo cortese o – più gene-ricamente – cavalleresco, non ha bisogno di interrogarsi sulla direzione da prendere per raggiungere un determinato obiettivo: sarà la narrazione stessa

7 Ognuno dei drammi conta all’incirca un migliaio di versi: 1142 Gloriant, 1018 Esmoreit e 952 Lanseloet van Denemerken.

8M.LÜTHI, Das europäische Volksmärchen – Form und Wesen, Bern, A. Francke Verlag, 1947, trad. La fiaba popolare europea – forma e natura, Milano, Mursia, 1979.

Gli abele spelen. Drammi cavallereschi sulla scena 105 a condurlo esattamente là dove è opportuno che arrivi per lo sviluppo dell’azione, ed egli arriverà esattamente nel momento in cui è necessario che arrivi per assicurare la conclusione appropriata della storia. I luoghi dell’azione appaiono dunque parcellizzati in caselle, ognuna delle quali co-munica con tutte le altre: al personaggio è sufficiente spostarsi da una casella all’altra per procedere nell’avventura. Altrettanto parcellizzata appare la dimensione temporale: ognuno dei personaggi è cristallizzato in un ruolo che non viene modificato dallo scorrere del tempo, a meno che questo non sia necessario allo sviluppo dell’azione. Esmoreit passa così dalla più tenera infanzia alla maturità, mentre Damiet rimane immutabile nel suo ruolo di fanciulla: i diciott’anni passati dal momento in cui il principino le viene affi-dato non intaccano la sua giovinezza e la sua bellezza, e non le impediscono quindi di sposare, al termine del dramma, il giovane di cui, in precedenza, era stata «suster ende moeder» («sorella e madre», vs. 272) adottiva. Tempo e distanza non rappresentano ostacoli al passaggio da un momento all’altro dell’azione: i personaggi si spostano da una scena all’altra senza che lo spet-tatore percepisca uno scarto, la presenza di un intervallo, anche quando quest’intervallo viene segnalato dalle battute dei personaggi9.

Quest’uso delle categorie di spazio e di tempo è particolarmente funzio-nale alla messa in scena dei drammi cavallereschi. Pur nella quasi totale as-senza di didascalie – le pochissime riportate nel codice si limitano a indicare azioni che devono svolgersi sulla scena senza essere accompagnate da battu-te: il suono del corno da caccia in Lanseloet van Denemerken, ad esempio, o l’impiccagione del cortigiano traditore in Esmoreit – è però evidente che ognuno dei drammi si svolge su due sole scene: la Sicilia e Damasco in

Esmo-reit, Brunswijk e Abelant in Gloriant, la reggia e la foresta (che dev’essere

immaginata come assai distante) in Lanseloet van Denemerken. Ed è altrettanto evidente che entrambe le scene venivano rappresentate simultaneamente sullo stesso palcoscenico: i personaggi possono infatti spostarsi dall’una all’altra nel corso di una sola battuta. In Gloriant, ad esempio, il monologo del duca di Brunswijk (vss. 568-615) ha inizio subito dopo la battuta con cui lo zio, Gheraert di Normandia, gli augura buon viaggio; nel corso del mono-logo, Gloriant giunge in vista della città di Abelant e, al termine, si trova da-vanti alle sue porte. In Lanseloet van Denemerken un monologo relativamente lungo di Sanderijn segue immediatamente la didascalia «Nu heeft si gheweest met hem in die camere» («Ora è stata insieme a lui nella stanza», tra il verso 321 e il verso 322); nel corso del monologo (vss. 322-365), che ha

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dunque inizio alla reggia di Danimarca, Sanderijn esprime il suo dolore per l’inganno subito e per il disprezzo che le è stato dimostrato, prende la deci-sione di lasciare la reggia, s’incammina, vede la foresta, vi penetra e scorge infine la fonte presso cui, subito dopo, incontra il cavaliere che la prenderà in sposa. In Esmoreit Damiet si trova ancora a Damasco quando decide di travestirsi da pellegrino insieme all’astrologo Platus; quando però incomin-cia a chiedere la carità, la sua voce viene udita da Esmoreit, in Sicilia. Che non sia possibile supporre un’interruzione nel corso della battuta di Damiet per consentire un cambiamento di scena è confermato dal fatto che il primo verso con cui la fanciulla chiede la carità rima con il verso immediatamente precedente:

Platus, meester, ga wi dan ghelijc of wi waren pilgherijm. Ay, en sal hier iemant sijn, die ons beiden iet sal gheven, twe pilgherijms, die sijn verdreven

ende vanden roevers af gheset? (vv. 868-873) Platus, maestro, andiamo dunque

e travestiamoci da pellegrini.

*spostamento di luogo dell’azione da Damasco alla Sicilia+ Ah, c’è dunque qualcuno

che voglia dar qualcosa a due pellegrini, scacciati e derubati dai predoni?

Sempre l’uso della rima, inoltre, garantisce che non si realizzavano inter-ruzioni nella rappresentazione anche quando, spostandosi da una scena all’altra, prendeva la parola un personaggio diverso: la regola generale è in-fatti che l’ultimo verso pronunciato da uno dei personaggi rimi con il primo della battuta del personaggio che prende la parola subito dopo10. Prendiamo

10 La funzione di questo uso della rima (la cosiddetta Reimbrechung) era probabilmente quel-la di facilitare agli attori quel-la memorizzazione delle parti. È però interessante notare che il mecca-nismo viene meno in alcuni casi strutturalmente significativi, a marcare una svolta decisiva nel-la rappresentazione: in Esmoreit (vss. 386-387) l’assenza di Reimbrechung segna uno scarto tem-porale di diciotto anni; in Gloriant (vss. 284-285 e 710-711) coincide con momenti di svolta dell’azione. La distribuzione della rima tra le battute dei diversi personaggi, al di là della fun-zione puramente mnemonica, contribuisce quindi a determinare il ritmo della narrafun-zione drammatica e ad enfatizzare alcuni momenti decisivi. Cfr. G.STUIVELINK, De structuur van de

Gli abele spelen. Drammi cavallereschi sulla scena 107 ad esempio il primo cambiamento di scena in Esmoreit: il primo personaggio a presentarsi al pubblico, all’inizio del dramma, è il perfido Robbrecht, che nel monologo iniziale racconta la nascita del cugino, dà sfogo alla sua rabbia ed esprime l’intenzione di uccidere il bimbo appena se ne presenterà l’occasione. Subito dopo la scena si sposta a Damasco, dove Platus, sconcer-tato da quel che ha letto nelle stelle, chiama il suo signore per avvertirlo del pericolo:

Robbrecht: Al dus soe sal mi bliven dlant, machic vol bringhen dese dinc. Meester: Waer sidi, hoghe gheboren conic,

van Damast gheweldich heer? (vss. 56-59) Robbrecht: Sarà così mio questo paese,

se i miei piani porterò a compimento. Meester: Dove siete, nobile sovrano,

di Damasco possente signore?

Nel Lanseloet van Denemerken il dialogo in cui il principe danese incarica Reinout di andare alla ricerca di Sanderijn si conclude con una riaf-fermazione del suo amore per la fanciulla fuggita:

Wantse mijn herte met trouwen mint:

mijn oghen nie liever wijf en saghen (vss. 578-579). Perché con fede l’ama il mio cuore:

i miei occhi mai videro donna più cara.

Immediatamente dopo questa battuta, la scena si sposta di nuovo nella foresta, dove il guardaboschi – unica figura comica del dramma – si lameta per non aver mai trovato durante il suo servizio una fanciulla, come i n-vece è capitato al cavaliere suo signore. Il suo monologo si apre dunque con il verso «Met rechte mach ic mi beclaghen» («A ragione posso lamen-tarmi», vs. 580) che rima appunto con « saghen » del verso immediatamen-te precedenimmediatamen-te. Lo spostamento di scena dalla reggia danese alla foresta rappresenta anche uno spostamento nel tempo: al termine del suo mono-logo, infatti, il guardaboschi viene avvicinato da Reinout, che afferma di aver già viaggiato a lungo:

Ich hebbe ghesocht die vrouwe rene

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