CAPITOLO 2. ARGOMENTI PER UNA STORIA INTERNAZIONALE DELL’ACCESSO AL
3. Accedere a un cibo accettabile dal punto di vista della propria identità religiosa
3.2 L’accesso al cibo secondo la cultura alimentare islamica
4. L’Europa e l’accettabilità culturale delle tradizioni gastronomiche asiatiche, africane e
americana
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1. La storia dell’accesso al cibo nello spazio euro-mediterraneo come paradigma della
storia del diritto al cibo adeguato
Il problema di accedere a un cibo accettabile secondo le proprie identità culturali si pone
soprattutto nei periodi storici in cui tali identità sono messe in crisi da nuovi modelli e diverse
culture. Periodi in cui diversi fattori portano popoli diversi a scontrarsi in guerre e vecchie e nuove
forme di colonialismi; oppure a incontrarsi nei traffici commerciali o culturali, per confluire talora
in nuovi sistemi giuridici. Queste riflessioni non riguardano solo la nostra contemporaneità, in
continua tensione tra la “macdonaldizzazione” delle abitudini alimentari e la riscoperta del cibo
regionale, tra fast e slow food, tra fascino per il cibo esotico e i tentativi di imporre, soprattutto nei
Paesi più poveri, alimenti estranei e invasivi della biodiversità locale. Si tratta invece di tematiche
che hanno contrassegnato altre epoche storiche, talora molto lontane nel tempo ma molto vicine
rispetto alle dinamiche.
Il capitolo sulla storia internazionale dell’accesso al cibo adeguato propone un focus sulla
scala euro-mediterranea dell’età medioevale, perché riflette in modo paradigmatico dinamiche
internazionali che ritornano in altri contesti e in altri periodi.
Il problema di potersi alimentare secondo i propri modelli alimentari si pose, infatti, già con
la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.c.), che simbolicamente segnò il momento in cui
iniziarono a incontrarsi le diverse culture alimentari dei popoli dell’area mediterranea e di quelli
dell’area mitteleuropea. Lo scontro fra romani e germani, fra un modello che i romani chiamavano
“civile” ed un altro chiamato “barbaro”, si era verificato, infatti, anche sul piano dei modelli
alimentari, di fronte ai quali anche la tradizionale politica romana della progressiva assimilazione
dei popoli conquistati e riorganizzati in province (che aveva sostituito la nozione del “diverso” di
impronta greco-ellenistica) non riuscì a spuntarla. Queste due culture alimentari si incontrarono a
partire dal V e VI secolo, per poi integrarsi progressivamente negli anni successivi. Per capire in
che modo sia stato possibile garantire a questi diversi popoli di poter accedere al cibo nel rispetto
delle proprie tradizioni alimentari, creandone progressivamente una nuova, occorre richiamarne
brevemente le loro diverse caratteristiche.
1.1.Il cibo accettabile dalla cultura alimentare del mondo classico
Tre erano i punti decisivi del regime alimentare del modello classico: la convivialità, il
genere di cibi consumati, la cucina e la dietetica
150.
1) La convivialità. «Non ci sediamo a tavola per mangiare, ma per mangiare insieme»
scriveva Plutarco
151. La convivialità, che distingueva l’uomo civile dalle bestie e dai “barbari”
(considerati prossimi allo stato ferino) era chiaramente conosciuta anche dalle popolazioni
mitteleuropee, ma erano le regole a marcare la differenza, come l’abitudine di miscelare acqua e
vino, e il banchetto, convivium, che anche etimologicamente (cum vivere) è l’immagine stessa della
vita in comune. La tavola funzionava da elemento di aggregazione, di scambio, era luogo di identità
del gruppo, ma poteva diventare anche spazio di emarginazione: farne parte o esserne esclusi aveva
il suo significato
152. Stessa valenza simbolica del convivium ha il simposio, ovvero l’atto del bere
insieme
153.
150
M. MONTANARI, Sistemi alimentari e modelli di civiltà, in MONTANARI M. -FLANDRIN J.L. (a cura di), Storia
dell’alimentazione, Roma – Bari, Editori Laterza 2007, pp. 73-82. 151 P
LUTARCO, Quaestiones convivales 2.10. Sulla convivialità come caratteristica del principio di solidiarietà fraterna cfr. infra cap. 8.
152
Sul significato del banchetto greco cfr. P.SCHMITT PANTEL, I pasti greci, un rituale civico, in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 112-123; sul banchetto tra gli Etruschi cfr. G.SASSATELLI,
L’alimentazione degli Etruschi, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 135- 144 in particolare pp. 142 -144 , sul significato del pasto e del convivium a Roma cfr. F. DUPONT, Grammatica
50
2) La dieta “mediterranea”. Le principali caratteristiche di un sistema di alimentazione
definibile come “mediterraneo” aveva i suoi punti di forza nella c.d. economia agricola classica, la
quale era basata sul grano, la vite e l’ulivo, e sul convincimento che gli alimenti costitutivi di
identità dell’essere umano erano pane, vino ed olio
154. Il tratto comune tra questi alimenti era il
modo del loro approvvigionamento: essi erano infatti ottenuti mediante un “addomesticamento”
della natura. La cultura alimentare classica, infatti, non aveva un grande apprezzamento per la
natura incolta: la parola civiltà deriva etimologicamente dalla nozione di città, ossia «un ordine
artificiale creato dall’uomo per differenziarsi e separarsi dalla natura»
155. In quest’ottica anche
l’agricoltura era “agricoltura per la città”, organizzata nell’ager
156, che si differenziava dal saltus
157,
verso cui si nutriva una forte diffidenza, nonostante pratiche di sfruttamento della palude e del
bosco fossero marginalmente conosciute
158.
3) La dietetica. La cultura alimentare e gastronomica antica era finalizzata a correggere la
natura attraverso l’arte della cottura, della conservazione dei cibi, dei condimentim, dei modi di
successione delle vivande, vivendo in stretta simbiosi con la dietetica. La dieta è la “regola”, la
norma quotidiana che deve informare il pasto. Secondo Ippocrate, ogni uomo ha il diritto e il dovere
di cibarsi nel rispetto delle proprie e specifiche condizioni personali, ovvero salute, genere di
attività svolta, sesso, età e altre condizioni esterne. Cucina e dietetica parlano lo stesso linguaggio e
i criteri del gusto si intrecciano con quelli della salute, intesa come equilibrio
159. Il cristianesimo
trasmetterà al Medioevo il modello alimentare classico, arricchendolo di nuovi significati
160.
1.2. Il cibo accettabile dalla cultura alimentare germanica
Del tutto diverso era il concetto di accettabilità del cibo nel sistema alimentare dei c.d.
“barbari”.
Rispetto al tema dell’accesso ai mezzi di approvvigionamento del cibo- la terra e il suolo in
particolare - le popolazioni celtiche e germaniche, da secoli abituate a convivere con le grandi
foreste del centro e nord Europa, avevano privilegiato lo sfruttamento della natura vergine e degli
spazi incolti (il saltus romano). Così caccia, pesca, raccolta di frutti selvatici, allevamento brado nei
boschi, soprattutto di onnivori, equini e bovini, erano le attività tipiche di questo sistema di vita, nel
145-160 in particolare pp. 155-160. Questa valenza simbolica del banchetto ha un suo rilievo anche nel Medioevo e come per la scomunica - nel senso di allontanamento dalla comunità religiosa – prendeva sovente la forma di allontanamento dalla mensa comune, sia della società laica che di quella ecclesiale e monastica; Sul significato del banchetto nel Medioevo cfr. G.ALTHOFF, Obbligatorio mangiare: pranzi, banchetti e feste nella vita sociale del Medioevo in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 234 -242.
153 Va ricordato che mentre nell’antica Grecia il simposio era atto separato, con il quale si celebrava la sacralità del
vino, il quale, causando ebbrezza favoriva il contatto con il divino, a Roma il vino divenne una semplice bevanda, parzialmente desacralizzata dalle sue funzioni. Cfr. sul punto M.VETTA, La cultura del simposio, in M.MONTANARI- J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 124-134.
154 Gli dei infatti si alimentavano in modo diverso; sull’alterità dell’alimentazione divina cfr.O.L
ONGO, Il cibo degli altri, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 201-210.
155
M.MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma – Bari 1993, 7-49, in particolare 12.
156 L’ager era l’insieme dei terreni coltivati, ovvero lo spazio di produzione circostante lo spazio urbano. 157 Il saltus era la natura vergine, non antropizzata, non civile, non produttiva.
158
In quest’ottica l’uomo “civile” era essenzialmente il mangiatore di pane (le carni erano pensate soprattutto per il sacrificio agli dei) e il guerriero-tipo era quello come Cincinnato, che veniva in guerra direttamente dal lavoro dei campi per farvi subito ritorno, appena conclusa la missione
159 Cfr. I.M
AZZINI, Alimentazione e medicina nel mondo antico, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia
dell’alimentazione, cit., pp. 191-200.
160 In particolare il cristianesimo sacralizza pane, vino e olio (utilizzati per il sacramento eucaristico i primi due e per
quello battesimale – crismale l’ultimo) e desacralizzando la carne (visto che il sacrificio di Cristo era ormai compiuto una volta per tutte non era più necessario offrire sacrifici animali), e favorendone la diffusione nella quotidianità. Cfr. in argomento M.MONTANARI, Sistemi alimentari cit., p. 81.
51
quale era la carne, non il pane, il valore alimentare di primo grado. Tra le bevande invece erano
prediletti il latte di giumenta, il sidro e la cervogia (liquido composto di orzo e frumento ancora
privo del luppolo che comparirà un millennio più tardi). Lardo e burro sostituivano l’olio per ungere
e cuocere. Anche la cottura era differente: cibo arrostito al fuoco per i popoli nord europei e cibi
lessati per quelli mediterranei
161.
Le differenti abitudini alimentari si riflettevano anche nel mito e nelle pratiche religiose tipiche
della mitologia norrena
162. Un’altra differenza culturale tra tradizioni alimentari germaniche e
classiche risiedeva nell’approccio al cibo. Mentre nella cultura celtico-germanica il grande
mangiatore era proposto come personaggio positivo
163, nella cultura greco-romana l’ideale supremo
era quello della misura: accostarsi al cibo ma senza voracità e ostentazione; gli eccessi erano in tal
senso visti con sospetto o con disprezzo.
1.3. Il cibo accettabile secondo la nuova cultura alimentare medioevale
Lo scontro/incontro fra romani e germani, fra un modello che i romani chiamano “civile” e
un altro che chiamano “barbaro” si è giocato dunque anche sul piano dei modelli alimentari:
agricoltura versus uso del bosco, domestico vs. selvatico, pane versus carne, vino versus latte o
birra, città versus villaggi, frugalità/misura del pasto versus abbondanza. Miti e schematismi, certo,
perché anche i romani mangiavano carni e anche i “barbari” consumavano cereali, ma da principio
le difficoltà di accettare i modelli alimentari altrui furono elevate. Il primo strumento di
integrazione «fu, molto semplicemente, il potere. L’affermarsi politico e sociale delle tribù
germaniche, diventate un po’ ovunque il ceto dirigente della nuova Europa, diffuse in modo più
ampio la loro cultura e i loro atteggiamenti mentali, e con essi una maniera nuova (rispetto alla
tradizione greca e romana) di intendere il rapporto con la natura selvatica e gli spazi incolti,
avvertiti non più come una presenza ingombrante o come un limite alle attività produttive
dell’uomo, ma piuttosto come spazi da usare (…). Parallelamente la carne diventò il valore
alimentare per eccellenza»
164. Dal canto loro, le tribù germaniche cedettero al fascino del modello
romano e ne assorbono via via i valori nel campo istituzionale, legislativo, sociologico, tecnologico,
ma anche in quello dell’economia e dell’alimentazione
165.
L’altro elemento di integrazione fu la diffusione del cristianesimo come religione ufficiale
dell’Impero, da cui non tarderanno ad essere conquistate anche le aristocrazie “barbariche”
166.
161 Per gli antropologi questi metodi diversi di cottura derivano da nozioni di violenza, irruenza e bellicosità nel primo
caso e nozioni di domesticità e “civiltà” nell’altro. Così M.MONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., p. 36.
162 Per mitologia norrena (o anche nordica o scandinava) si intende l'insieme dei miti appartenenti alla religione
tradizionale pre-cristiana dei popoli scandinavi. Essa è considerata un ramo della mitologia germanica (nella quale è inclusa anche la mitologia anglosassone o inglese), che è il nucleo mitematico più antico. La mitologia germanica ha a sua volta radici nella mitologia indoeuropea. La mitologia norrena era intessuta di vicende che vedono come protagonista il grande maiale (o cinghiale), Sæhrímnir menzionato sia nell'Edda poetica (XIII secolo) che nell'Edda in prosa (1220). Cfr.
Edda (voce) in Treccani/enciclopedia.it), maiale che, dopo esser stato mangiato, torna in vita per fornire nuovo cibo il
giorno successivo oppure la grande mucca, Auðhumla, dalle cui mammelle scorrevano quattro fiumi di latte, che nutrì il gigante primordiale Ymir.
163 Aristofane ricordava che «I Barbari ti credono uomo solo se sei capace di mangiare una montagna». 164 M.M
ONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., pp. 19-21. Insieme ai questi fattori politici, religiosi e culturali, giocò un ruolo significativo, nel mutamento della cultura alimentare, il cambiamento dello spazio fisico: l’aumento dell’incolto e l’abbandono dell’ager, dovuto al contrarsi della popolazione, costrinse in qualche misura a utilizzare il bosco più di quanto fosse stato fatto in età classica.
165 M.M
ONTANARI, Romani, barbari, cristiani. Agli albori della cultura alimentare europea, in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 213-216.
166
Si diffuse così il valore del pane, che, al pari della carne, iniziò a godere dello statuto di cibo primario e indispensabile (M. MONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., p. 29; dall’XI sec. il pane assume un ruolo decisivo nell’alimentazione dei ceti popolari, tant’è che tutto il resto viene definito “companatico” cfr. ibidem pp. 62-67); stessa cosa dicasi del vino, che iniziò a coesistere con la birra; quest’ultima, dopo un primo periodo di diffidenza, fu accettata anche nelle prassi religiose. Il Concilio di Aix del IX secolo fissò addirittura una sorta di “tavola delle corrispondenze” della
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Dopo una prima fase di ostilità netta e una di accettazione reciproca, si iniziò insomma a
diffondere un modello alimentare “romano-barbarico”
167di accesso al cibo. Un modello ispirato
alla varietà delle risorse e dei generi consumati nel quale, pur con le differenze regionali, i frutti
della terra (ortaggi, legumi, cerali) si integrano ampliamente con le risorse dell’incolto (selvaggina,
pesce, bestiame allevato nelle radure e nei boschi), consentendo ai contadini europei dell’alto
medioevo di fruire di una dieta sicuramente più equilibrata di quanto non fosse dato riscontare in
altre epoche
168.
Tale modello trovò in Carlo Magno uno dei suoi primi interpreti: egli, sovrano radicato
profondamente nella cultura germanica del suo popolo, nel momento in cui decise di rivestirsi dei
panni di imperatore sacro e romano, assunse da un lato tutto il fardello di “equilibrio e misura”
conferitogli dal nuovo ruolo, mentre dall’altro mantenne le sue radici franche
169.
2. Accedere a un cibo adeguato al proprio “stile di vita”
La storia evidenzia che il tema dell’accesso al cibo non tocca solo il problema del rispetto
delle diverse tradizioni alimentari dei popoli (e del diritto a “coniarne” di nuove), ma riguarda anche
il tema delle diverse modalità di accedere al cibo da parte delle differenti classi sociali e gruppi.
L’elemento in comune tra queste polarità sta nel fatto che le differenze sociali si
traducevano in forme che oggi definiremmo di discriminazione alimentare, atteso che ai lavoratori
era precluso il cibo dei guerrieri, ai poveri quello dei ricchi (e viceversa), e che gli abitanti del
contado non godevano degli stessi diritti dei cittadini a essere nutriti dalle autorità pubbliche.
Talora queste differenze erano frutto di scelte, ma molto più spesso erano frutto di precise
volontà politiche, le quali erano sovente giustificate da teorie medico-scientifiche.
Una prima differenza/discriminazione nell’accesso al cibo nell’Europa medioevale era
rappresentata dall’essere contadini o guerrieri. Prima dell’età carolingia, la presenza sociale di un
ceto misto di contadini-guerrieri non poneva differenze nette tra stili di vita e modelli alimentari.
Poi le differenze si fecero più marcate, da un lato per il trasformarsi di tanti liberi in contadini
dipendenti e, dall’altro, dal progressivo costituirsi di una casta militare professionale. Da quel
momento la società civile si separa in due gruppi distinti: quelli che combattevano (bellatores), a
cui spetta il compito di proteggere la società dai suoi nemici, e quelli che lavoravano (laboratores),
che avevano invece il compito di nutrirla
170. Su queste basi, i rustici vennero esclusi dalle attività
silvo-pastorali per essere relegati alla mera funzione di produttori (rectius coltivatori) e consumatori
dei prodotti della terra (cerali, legumi, ortaggi), mentre ai guerrieri e ai potenti era riservato lo
spazio venatorio.
Ma le differenze più sensibili nell’accesso al cibo erano quelle tra ricchi e poveri e tra
abitanti del contado e cittadini.
quantità di birra o vino che i canonici potevano consumare giornalmente.Così M.MONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., pp. 28-29.
167 M.M
ONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., p. 30.
168 M. M
ONTANARI, Romani, barbari, cristiani. Agli albori della cultura alimentare europea, cit., p. 215 in M. MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 215-225, in particolare pp. 218-220.
169 Questo traspare nell’immagine che ci è stata lasciata del suo comportamento alimentare; il suo biografo descrive
l’imperatore franco come «moderato nel mangiare e nel bere … ma più moderato nel bere mentre nel mangiare non riusciva a fare altrettanto … (la cena quotidiana infatti) era “solo” di quattro portate, senza tener conto degli arrosti, che i cacciatori erano soliti infilzare nello spiedo e che egli mangiava molto più volentieri di qualsiasi altro cibo». Cfr. EGINARDO, Vita di Carlo Magno (a cura di G. Bianchi), Roma, Salerno editrice 1980 p. 68 e 69.
170 Su questi aspetti cfr. M. M
ONTANARI, Contadini, guerrieri, sacerdoti. Immagine della società e stili di
alimentazione, in MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 226-233, in particolare p.228-229.
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2.1. L’accesso al cibo del povero e l’accesso al cibo del ricco
In età classica si riteneva valido l’assunto che si dovesse mangiare secondo la qualità della
persona: il cibo doveva essere cioè assunto in base all’età, il sesso, gli umori, lo stato di salute
nonché il tipo di attività svolta, inoltre erano rilevanti il clima, la stagione e ogni altra condizione
ambientale.
La “qualità della persona”, secondo la visione ippocratica
171, era concetto che si riferiva
all’essere umano nella sua fisicità e naturalità, l’uomo senza aggettivi, l’uomo tout court
172.
In età romana, invece, pur essendo difficile rinvenire l’espressione ricco e povero, già
comparivano differenziazioni tra cibi destinati a schiavi, piuttosto che a soldati, plebe, nuovi ricchi,
aristocratici. Tali differenze si riflettevano tanto nella produzione e distribuzione degli alimenti
173che nella legislazione
174, fino ad interessare gli assetti organizzativi delle istituzioni addette
all’approvvigionamento alimentare
175.
Il concetto di “qualità della persona” si accentuò sempre più nell’Alto medioevo, tanto che
tale idea si distanziò definitivamente dall’idea ippocratica di qualità fisica, per iniziare «a coincidere
sempre più con lo stato sociale dell’individuo, la sua posizione gerarchica, il suo potere
(soprattutto)»
176. La “qualità della persona” cambiò di significato, venendo a indicare così non più
l’identità fisiologica dell’individuo, ma la sua appartenenza sociale.
La dietetica, di conseguenza, perse il carattere di norma igienico-sanitaria e iniziò ad
assumere il significato di norma sociale e codice di comportamento
177.
La concezione di “qualità della persona”
178determinò un progressivo divario qualitativo e
quantitativo tra gli alimenti accessibili alle differenti classi sociali
179: i ceti dirigenti, ad esempio, si
distinguevano per mangiare molto nei periodi di carestia - l’eroe del romanzo cavalleresco è anche
171 Ippocrate di Kos (vissuto intorno al 460 - 377 a.C) è stato medico, geografo e aforista greco ed è considerato il padre
della medicina.
172 Va tuttavia precisato e ricordato che in età classica quando si parla di essere umano ci si riferisce solo a quello di
sesso maschile, libero e dotato di un certo censo e della cittadinanza.
173 Persino il dono alimentare si differenziava a seconda che fosse dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto o tra
socialmente eguali! Cfr. a tal proposito M.CORBIER, La fava e la murena: gerarchie sociali dei cibi a Roma, in M. MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit. . pp. 161-177 in particolare pp. 165-167.
174
Si pensi alle c.d. leggi suntuarie che limitavano le spese voluttuarie e di lusso dei “ricchi” e avevano ad oggetto non solo le spese per i vestiti ma anche per regolamentare banchetti, nozze, battesimi e funerali. Sulle leggi suntuarie nell’antica Roma M. CORBIER, La fava e la murena: gerarchie sociali dei cibi a Roma, in M. MONTANARI- J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit. pp. 161-177.
175
Si pensi all’”evergetismo”, attraverso il quale il ricco “evergete”, un privato che faceva normalmente parte dell’élite politica e sociale, erogava beni, spesso alimentari – come grano, miglio - a favore della collettività pubblica. Su questo fenomeno cfr. P.GARNSEY, Le ragioni della politica: approvvigionamento alimentare e consenso politico nel mondo
antico, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit. pp. 178-190, in particolare 184- 187.
176 Cfr. M.M
ONTANARI, La fame e l’abbondanza, pp. 106-115.
177 M.M
ONTANARI, Contadini, guerrieri, sacerdoti. Immagine della società e stili di alimentazione, in MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 226-233, in particolare p. 229.
178
Questa nuova nozione di “qualità della persona” era ben presente in età carolingia, se i capitolari regi avevano dato disposizione che per il viaggio i missi fossero forniti di cibo «in rapporto alla qualità della persona». Essa, inoltre, era tale da coinvolgere persino l’immagine simbolica del pasto spirituale: il monaco Appiano scriveva nella sua Vita