CAPITOLO 2. ARGOMENTI PER UNA STORIA INTERNAZIONALE DELL’ACCESSO AL
1. La storia dell’accesso al cibo nello spazio euro-mediterraneo come paradigma della storia del
Il problema di accedere a un cibo accettabile secondo le proprie identità culturali si pone
soprattutto nei periodi storici in cui tali identità sono messe in crisi da nuovi modelli e diverse
culture. Periodi in cui diversi fattori portano popoli diversi a scontrarsi in guerre e vecchie e nuove
forme di colonialismi; oppure a incontrarsi nei traffici commerciali o culturali, per confluire talora
in nuovi sistemi giuridici. Queste riflessioni non riguardano solo la nostra contemporaneità, in
continua tensione tra la “macdonaldizzazione” delle abitudini alimentari e la riscoperta del cibo
regionale, tra fast e slow food, tra fascino per il cibo esotico e i tentativi di imporre, soprattutto nei
Paesi più poveri, alimenti estranei e invasivi della biodiversità locale. Si tratta invece di tematiche
che hanno contrassegnato altre epoche storiche, talora molto lontane nel tempo ma molto vicine
rispetto alle dinamiche.
Il capitolo sulla storia internazionale dell’accesso al cibo adeguato propone un focus sulla
scala euro-mediterranea dell’età medioevale, perché riflette in modo paradigmatico dinamiche
internazionali che ritornano in altri contesti e in altri periodi.
Il problema di potersi alimentare secondo i propri modelli alimentari si pose, infatti, già con
la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.c.), che simbolicamente segnò il momento in cui
iniziarono a incontrarsi le diverse culture alimentari dei popoli dell’area mediterranea e di quelli
dell’area mitteleuropea. Lo scontro fra romani e germani, fra un modello che i romani chiamavano
“civile” ed un altro chiamato “barbaro”, si era verificato, infatti, anche sul piano dei modelli
alimentari, di fronte ai quali anche la tradizionale politica romana della progressiva assimilazione
dei popoli conquistati e riorganizzati in province (che aveva sostituito la nozione del “diverso” di
impronta greco-ellenistica) non riuscì a spuntarla. Queste due culture alimentari si incontrarono a
partire dal V e VI secolo, per poi integrarsi progressivamente negli anni successivi. Per capire in
che modo sia stato possibile garantire a questi diversi popoli di poter accedere al cibo nel rispetto
delle proprie tradizioni alimentari, creandone progressivamente una nuova, occorre richiamarne
brevemente le loro diverse caratteristiche.
1.1.Il cibo accettabile dalla cultura alimentare del mondo classico
Tre erano i punti decisivi del regime alimentare del modello classico: la convivialità, il
genere di cibi consumati, la cucina e la dietetica
150.
1) La convivialità. «Non ci sediamo a tavola per mangiare, ma per mangiare insieme»
scriveva Plutarco
151. La convivialità, che distingueva l’uomo civile dalle bestie e dai “barbari”
(considerati prossimi allo stato ferino) era chiaramente conosciuta anche dalle popolazioni
mitteleuropee, ma erano le regole a marcare la differenza, come l’abitudine di miscelare acqua e
vino, e il banchetto, convivium, che anche etimologicamente (cum vivere) è l’immagine stessa della
vita in comune. La tavola funzionava da elemento di aggregazione, di scambio, era luogo di identità
del gruppo, ma poteva diventare anche spazio di emarginazione: farne parte o esserne esclusi aveva
il suo significato
152. Stessa valenza simbolica del convivium ha il simposio, ovvero l’atto del bere
insieme
153.
150
M. MONTANARI, Sistemi alimentari e modelli di civiltà, in MONTANARI M. -FLANDRIN J.L. (a cura di), Storia
dell’alimentazione, Roma – Bari, Editori Laterza 2007, pp. 73-82. 151 P
LUTARCO, Quaestiones convivales 2.10. Sulla convivialità come caratteristica del principio di solidiarietà fraterna cfr. infra cap. 8.
152
Sul significato del banchetto greco cfr. P.SCHMITT PANTEL, I pasti greci, un rituale civico, in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 112-123; sul banchetto tra gli Etruschi cfr. G.SASSATELLI,
L’alimentazione degli Etruschi, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 135- 144 in particolare pp. 142 -144 , sul significato del pasto e del convivium a Roma cfr. F. DUPONT, Grammatica
50
2) La dieta “mediterranea”. Le principali caratteristiche di un sistema di alimentazione
definibile come “mediterraneo” aveva i suoi punti di forza nella c.d. economia agricola classica, la
quale era basata sul grano, la vite e l’ulivo, e sul convincimento che gli alimenti costitutivi di
identità dell’essere umano erano pane, vino ed olio
154. Il tratto comune tra questi alimenti era il
modo del loro approvvigionamento: essi erano infatti ottenuti mediante un “addomesticamento”
della natura. La cultura alimentare classica, infatti, non aveva un grande apprezzamento per la
natura incolta: la parola civiltà deriva etimologicamente dalla nozione di città, ossia «un ordine
artificiale creato dall’uomo per differenziarsi e separarsi dalla natura»
155. In quest’ottica anche
l’agricoltura era “agricoltura per la città”, organizzata nell’ager
156, che si differenziava dal saltus
157,
verso cui si nutriva una forte diffidenza, nonostante pratiche di sfruttamento della palude e del
bosco fossero marginalmente conosciute
158.
3) La dietetica. La cultura alimentare e gastronomica antica era finalizzata a correggere la
natura attraverso l’arte della cottura, della conservazione dei cibi, dei condimentim, dei modi di
successione delle vivande, vivendo in stretta simbiosi con la dietetica. La dieta è la “regola”, la
norma quotidiana che deve informare il pasto. Secondo Ippocrate, ogni uomo ha il diritto e il dovere
di cibarsi nel rispetto delle proprie e specifiche condizioni personali, ovvero salute, genere di
attività svolta, sesso, età e altre condizioni esterne. Cucina e dietetica parlano lo stesso linguaggio e
i criteri del gusto si intrecciano con quelli della salute, intesa come equilibrio
159. Il cristianesimo
trasmetterà al Medioevo il modello alimentare classico, arricchendolo di nuovi significati
160.
1.2. Il cibo accettabile dalla cultura alimentare germanica
Del tutto diverso era il concetto di accettabilità del cibo nel sistema alimentare dei c.d.
“barbari”.
Rispetto al tema dell’accesso ai mezzi di approvvigionamento del cibo- la terra e il suolo in
particolare - le popolazioni celtiche e germaniche, da secoli abituate a convivere con le grandi
foreste del centro e nord Europa, avevano privilegiato lo sfruttamento della natura vergine e degli
spazi incolti (il saltus romano). Così caccia, pesca, raccolta di frutti selvatici, allevamento brado nei
boschi, soprattutto di onnivori, equini e bovini, erano le attività tipiche di questo sistema di vita, nel
145-160 in particolare pp. 155-160. Questa valenza simbolica del banchetto ha un suo rilievo anche nel Medioevo e come per la scomunica - nel senso di allontanamento dalla comunità religiosa – prendeva sovente la forma di allontanamento dalla mensa comune, sia della società laica che di quella ecclesiale e monastica; Sul significato del banchetto nel Medioevo cfr. G.ALTHOFF, Obbligatorio mangiare: pranzi, banchetti e feste nella vita sociale del Medioevo in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 234 -242.
153 Va ricordato che mentre nell’antica Grecia il simposio era atto separato, con il quale si celebrava la sacralità del
vino, il quale, causando ebbrezza favoriva il contatto con il divino, a Roma il vino divenne una semplice bevanda, parzialmente desacralizzata dalle sue funzioni. Cfr. sul punto M.VETTA, La cultura del simposio, in M.MONTANARI- J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 124-134.
154 Gli dei infatti si alimentavano in modo diverso; sull’alterità dell’alimentazione divina cfr.O.L
ONGO, Il cibo degli altri, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 201-210.
155
M.MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma – Bari 1993, 7-49, in particolare 12.
156 L’ager era l’insieme dei terreni coltivati, ovvero lo spazio di produzione circostante lo spazio urbano. 157 Il saltus era la natura vergine, non antropizzata, non civile, non produttiva.
158
In quest’ottica l’uomo “civile” era essenzialmente il mangiatore di pane (le carni erano pensate soprattutto per il sacrificio agli dei) e il guerriero-tipo era quello come Cincinnato, che veniva in guerra direttamente dal lavoro dei campi per farvi subito ritorno, appena conclusa la missione
159 Cfr. I.M
AZZINI, Alimentazione e medicina nel mondo antico, in M.MONTANARI-J.L.FLANDRIN (a cura di), Storia
dell’alimentazione, cit., pp. 191-200.
160 In particolare il cristianesimo sacralizza pane, vino e olio (utilizzati per il sacramento eucaristico i primi due e per
quello battesimale – crismale l’ultimo) e desacralizzando la carne (visto che il sacrificio di Cristo era ormai compiuto una volta per tutte non era più necessario offrire sacrifici animali), e favorendone la diffusione nella quotidianità. Cfr. in argomento M.MONTANARI, Sistemi alimentari cit., p. 81.
51
quale era la carne, non il pane, il valore alimentare di primo grado. Tra le bevande invece erano
prediletti il latte di giumenta, il sidro e la cervogia (liquido composto di orzo e frumento ancora
privo del luppolo che comparirà un millennio più tardi). Lardo e burro sostituivano l’olio per ungere
e cuocere. Anche la cottura era differente: cibo arrostito al fuoco per i popoli nord europei e cibi
lessati per quelli mediterranei
161.
Le differenti abitudini alimentari si riflettevano anche nel mito e nelle pratiche religiose tipiche
della mitologia norrena
162. Un’altra differenza culturale tra tradizioni alimentari germaniche e
classiche risiedeva nell’approccio al cibo. Mentre nella cultura celtico-germanica il grande
mangiatore era proposto come personaggio positivo
163, nella cultura greco-romana l’ideale supremo
era quello della misura: accostarsi al cibo ma senza voracità e ostentazione; gli eccessi erano in tal
senso visti con sospetto o con disprezzo.
1.3. Il cibo accettabile secondo la nuova cultura alimentare medioevale
Lo scontro/incontro fra romani e germani, fra un modello che i romani chiamano “civile” e
un altro che chiamano “barbaro” si è giocato dunque anche sul piano dei modelli alimentari:
agricoltura versus uso del bosco, domestico vs. selvatico, pane versus carne, vino versus latte o
birra, città versus villaggi, frugalità/misura del pasto versus abbondanza. Miti e schematismi, certo,
perché anche i romani mangiavano carni e anche i “barbari” consumavano cereali, ma da principio
le difficoltà di accettare i modelli alimentari altrui furono elevate. Il primo strumento di
integrazione «fu, molto semplicemente, il potere. L’affermarsi politico e sociale delle tribù
germaniche, diventate un po’ ovunque il ceto dirigente della nuova Europa, diffuse in modo più
ampio la loro cultura e i loro atteggiamenti mentali, e con essi una maniera nuova (rispetto alla
tradizione greca e romana) di intendere il rapporto con la natura selvatica e gli spazi incolti,
avvertiti non più come una presenza ingombrante o come un limite alle attività produttive
dell’uomo, ma piuttosto come spazi da usare (…). Parallelamente la carne diventò il valore
alimentare per eccellenza»
164. Dal canto loro, le tribù germaniche cedettero al fascino del modello
romano e ne assorbono via via i valori nel campo istituzionale, legislativo, sociologico, tecnologico,
ma anche in quello dell’economia e dell’alimentazione
165.
L’altro elemento di integrazione fu la diffusione del cristianesimo come religione ufficiale
dell’Impero, da cui non tarderanno ad essere conquistate anche le aristocrazie “barbariche”
166.
161 Per gli antropologi questi metodi diversi di cottura derivano da nozioni di violenza, irruenza e bellicosità nel primo
caso e nozioni di domesticità e “civiltà” nell’altro. Così M.MONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., p. 36.
162 Per mitologia norrena (o anche nordica o scandinava) si intende l'insieme dei miti appartenenti alla religione
tradizionale pre-cristiana dei popoli scandinavi. Essa è considerata un ramo della mitologia germanica (nella quale è inclusa anche la mitologia anglosassone o inglese), che è il nucleo mitematico più antico. La mitologia germanica ha a sua volta radici nella mitologia indoeuropea. La mitologia norrena era intessuta di vicende che vedono come protagonista il grande maiale (o cinghiale), Sæhrímnir menzionato sia nell'Edda poetica (XIII secolo) che nell'Edda in prosa (1220). Cfr.
Edda (voce) in Treccani/enciclopedia.it), maiale che, dopo esser stato mangiato, torna in vita per fornire nuovo cibo il
giorno successivo oppure la grande mucca, Auðhumla, dalle cui mammelle scorrevano quattro fiumi di latte, che nutrì il gigante primordiale Ymir.
163 Aristofane ricordava che «I Barbari ti credono uomo solo se sei capace di mangiare una montagna». 164 M.M
ONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., pp. 19-21. Insieme ai questi fattori politici, religiosi e culturali, giocò un ruolo significativo, nel mutamento della cultura alimentare, il cambiamento dello spazio fisico: l’aumento dell’incolto e l’abbandono dell’ager, dovuto al contrarsi della popolazione, costrinse in qualche misura a utilizzare il bosco più di quanto fosse stato fatto in età classica.
165 M.M
ONTANARI, Romani, barbari, cristiani. Agli albori della cultura alimentare europea, in M.MONTANARI-J.L. FLANDRIN (a cura di), Storia dell’alimentazione, cit., pp. 213-216.
166
Si diffuse così il valore del pane, che, al pari della carne, iniziò a godere dello statuto di cibo primario e indispensabile (M. MONTANARI, La fame e l’abbondanza cit., p. 29; dall’XI sec. il pane assume un ruolo decisivo nell’alimentazione dei ceti popolari, tant’è che tutto il resto viene definito “companatico” cfr. ibidem pp. 62-67); stessa cosa dicasi del vino, che iniziò a coesistere con la birra; quest’ultima, dopo un primo periodo di diffidenza, fu accettata anche nelle prassi religiose. Il Concilio di Aix del IX secolo fissò addirittura una sorta di “tavola delle corrispondenze” della