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L’allentamento dei vincoli finanziari e organizzativi alla crescita

5.4 I L MODELLO DI BUSINESS

5.4.2 L’allentamento dei vincoli finanziari e organizzativi alla crescita

Si sono fin qui viste le modalità attraverso le quali la Benetton è riuscita a ricomporre un settore frammentato come quello della moda.

Accenniamo ora brevemente alla sperimentazione compiuta dall’azienda sui sistemi per allentare i vincoli finanziari e manageriali alla crescita accelerata dell’impresa. Conviene anche in questo caso partire dallo stadio della commercializzazione. Non c’è dubbio che creare dal nulla una catena mondiale che attualmente conta 5.000 negozi non sia un’impresa né facile sotto il profilo manageriale né poco onerosa dal punto di vista finanziario. Essa richiede, anzi, mezzi finanziari giganteschi e del tutto fuori portata rispetto alle disponibilità iniziali dei fondatori e alla loro capacità di mobilitazione creditizia.

Richiede inoltre uno staff manageriale di grande dimensione ed esperienza che i quattro fratelli Benetton non avevano, né potevano acquisire o creare in breve tempo (“Quello che ci consente di raggiungere l’optimum è avere in mano il punto vendita: con una distribuzione diversa ci riusciremmo”, dirigente Benetton). E va aggiunto che la catena di negozi non poteva essere sviluppata a piccole dosi. Si sarebbe rischiato di perdere i clienti indipendenti prima ancora di avere attivato una domanda “captive” adeguata a sostenere la produzione.

Seguì un’altra scelta cruciale della famiglia imprenditoriale (e innovativa per una cultura manageriale che postula nelle attività strategiche l’investimento diretto) che decise di concentrare i limitati mezzi finanziari e le energie imprenditoriali nella realizzazione solo dei prototipi dei negozi e di “appaltare” a terzi la loro riproduzione su scala allargata. “Non bisogna come imprenditore nascente fare il missionario troppo a lungo. Una volta sgrezzata l’idea, farla recepire da un gruppo è essenziale per poter svolgere un gioco di squadra” (Luciano Benetton).

Selezionarono quindi nella cerchia delle loro conoscenze questi potenziali imprenditori. Essi furono individuati tra i loro stessi rappresentanti.

Si trattava di figure d’interfaccia che conoscevano sia i problemi dell’industria, sia quelli del commercio. E che erano già affiatati con l’azienda, adesso avrebbero dovuto estendere e modificare i propri compiti: da intermediari tra l’azienda e i clienti a intermediari che sono anche clienti dell’azienda, da incaricati della gestione dei clienti a incaricati della creazione dei clienti, da vettori del “sell in” a vettori del “sell in” e del “sell out”, ecc. E avrebbero dovuto assumersi un maggior rischio. Avrebbero d’altra parte avuto un grado di associazione ai frutti del successo Benetton molto forte e la prospettiva di cumulare con un’unica attività due fonti di reddito: il margine di intermediazione e l’utile sull’attività di vendita al dettaglio.

A loro volta i rappresentanti, non avendo tutti i mezzi né le energie manageriali necessarie ad uno sviluppo adeguato e celere della rete nella loro zona, passarono il testimone a delle altre figure. Allo scopo coinvolsero molti gerenti nella proprietà dei punti vendita o associarono degli investitori locali nello sviluppo di minireti di negozi.

In questo modo lo sviluppo accelerato della catena non ebbe ad incepparsi e fu raggiunta rapidamente quella soglia dimensionale in cui i benefici superano i costi ed oltre la quale il processo di crescita si autoalimenta.

A questo punto i Benetton avevano in mano non solo un modello di business completo ed in azione, ma anche una formula di sviluppo imprenditoriale. Uno sviluppo che era prevalentemente estensivo ma che aveva anche connotazioni qualitative. Ognuno degli “associati” non si limitava infatti a produrre su scala allargata la stessa impostazione ma apportava il suo contributo all’arricchimento del “know how” collettivo: imparava nel fare, trasferiva il comportamento appreso a nuovi “adepti”, imparava a trasferire conoscenze e comportamenti ma anche ad apprendere da chi lui stesso aveva formato, faceva nuove conoscenze, le sperimentava, le trasferiva agli altri membri del gruppo. Il modello di business, già ricco fin dalla nascita per la necessità di combinare “know how” manifatturieri e commerciali, venne così articolato e perfezionato fin nei più piccoli particolari.

Questo stesso meccanismo di sviluppo poteva essere applicato anche alla sfera della produzione.

Infatti, contemporaneamente alla proliferazione della rete di negozi e per effetto di essa, anche la sezione manifatturiera del sistema Benetton era forzata ad una rapidissima crescita. Anch’essa era tale da impattare in breve tempo con la ristrettezza della base finanziaria e manageriale. L’impatto era reso più rapido e

brusco dalle scelte Benetton di integrare nell’attività del maglificio gli impianti di tintoria e di adottare in tessitura i macchinari a più alta intensità di capitale.

Fu deciso pertanto di realizzare, mentre il treno era in piena corsa e proprio per evitare delle soste che gli facessero perdere l’abbrivio, una suddivisione del convoglio, che stava diventando troppo lungo. Alla locomotiva centrale vennero quindi aggiunti nuovi locomotori. Venne cioè stimolato il sorgere all’esterno della sfera del controllo societario di alcune nuove aziende manifatturiere. Esse furono invitate a specializzarsi nella subfornitura di alcuni prodotti, linee, fasi di lavorazione e nella supervisione di intere sezioni della rete di laboratori esterni. Si selezionarono quindi all’interno dell’azienda dei quadri affidabili, con adeguata esperienza e dotati di spirito imprenditoriale cui venne affidata la missione di creare questa “prima cintura” del decentramento.

Attraverso questo ampio ricorso alla collaborazione di organizzazioni esterne, Benetton riuscì dunque, in tempi estremamente rapidi, a far crescere sia la presenza sul mercato sia il grado di controllo del ciclo verticale.

La crescita mediante il ricorso all’esterno è stata alternativa a quella interna (investimenti diretti) ma anche diversa sia dall’uso del mercato (di fornitura o subfornitura) sia dalla crescita esterna nell’accezione classica (partecipazioni di minoranza o “Joint venture”).

Gli interlocutori esterni non si sono mossi in modo indipendente. Hanno operato ed operano per la Benetton in modo virtualmente esclusivo. Sono stati anzi delegati a gestire passaggi importanti e non di rado strategici del suo modello di business. Sono stati invece, a parte rare partecipazioni, del tutto indipendenti sul piano societario. E non sono stati neanche vincolati da rigide procedure contrattuali (i contratti sia con i dettaglianti che con i rappresentanti sono molto semplici; si limitano a stabilire l’esclusività del rapporto con Benetton).

Malgrado ciò il loro modo di operare si è storicamente dimostrato coerente con le esigenze del modello Benetton, anzi coerente in modo creativo. E il rapporto tra questi partner indipendenti s’è dimostrato duraturo, anzi più duraturo di alcuni di pari importanza interni dell’organizzazione. Dopo il 1980 gran parte del vertice manageriale che aveva gestito lo sviluppo aziendale dalla nascita è stato modificato. Mentre non si hanno notizie di avvicendamenti significativi tra i rappresentanti, tra gli altri titolari di altri titolari di sbucatene di negozi, tra i “general contractors” del decentramento produttivo. Con molti di questi interlocutori la collaborazione è stata

anzi sviluppata: alcuni rappresentanti sono stati invitati a partecipare all’ingresso sui mercati esteri, a diversi “general contractors”è stato chiesto di esplorare nuovi segmenti d’attività manifatturieri.

A garantire la coerenza strategica, la fertilità e la durata nel tempo delle relazioni di decentramento organizzativo non sono state tanto, quindi, complesse costruzioni di ingegneria societaria, né sofisticati dispositivi contrattuali, quanto meccanismi meno facilmente codificabili di carattere informale.

Come si è visto il decentramento è sempre stato preceduto da un’attenta selezione dell’interlocutore. Si è accompagnato all’instaurazione di relazioni tali da coinvolgerlo nelle sorti della combinazione d’affari più larga. Ha teso a muovere nell’interlocutore tasti più profondi di quelli strettamente economici (“Luciano Benetton è il miglior uomo marketing d’Europa”, “Luciano può vendere qualsiasi prodotto. Lui ci ha insegnato tutto”, dichiarazioni dei rappresentanti). Ha avuto insita una costante attenzione a stabilire convergenze su orizzonti di lungo termine.

Tra la Benetton e i suoi “associati” si sono venute in tal modo instaurando delle relazioni che sono eminentemente di mercato ma, in una certa misura, sono anche di “clan” e che in questo senso rimandano a certi stili di gestione che la ricerca manageriale ha riscontrato, nel corso di recenti e assai stimolanti analisi, nel sistema imprenditoriale giapponese. Come spiegare, altrimenti, dichiarazioni di questo tipo: “Sono una benettoniana, sono cresciuta professionalmente e come persona qui dentro e la Benetton e cresciuta con me, i prodotti, i tessuti, i negozi sono molto migliorati nel tempo”.