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5.4 I L MODELLO DI BUSINESS

5.4.1 La ricomposizione di un settore frammentato

Il modello di business Benetton è nei suoi tratti fondamentali omologo a quello che condusse Henry Ford a realizzare, con il “modello T” e la catena di montaggio, il passaggio della produzione automobilistica dall’artigianato alla grande industria. La Benetton si è cioè proposta di produrre e vendere beni di massa (articoli d’abbigliamento di base, “basic”) a un pubblico di massa (i figli del “baby boom”).

Potrebbe sembrare un’idea imprenditoriale molto semplice e perfino banale. La sua genesi, tuttavia, è situata in un momento storico che vede la maggioranza degli operatori settoriali spostarsi, sotto i colpi dei nuovi paesi industriali, dalla produzione di massa a quella dei beni di alta qualità, ad alto contenuto di moda e di alto prezzo. Vista così risulta pertanto un’idea controcorrente. Anche perché deve

173 Giuseppe NARDIN, La Benetton: strategia e struttura di un’impresa di successo, Viterbo,

coniugarsi con una pratica di bassi prezzi e con l’applicazione estesa delle tecniche del mercato di massa: la produzione in grande serie, la distribuzione su larga scala.

Ma nel tentativo di affermarsi nel settore dell’abbigliamento questa idea si è dovuta scontrare con tre vincoli, ciascuno, per di più, connesso agli altri e rafforzante gli altri: la differenziazione e il rapido cambiamento dei gusti dei consumatori, la parcellizzazione della distribuzione, i modi di produzione semiartigianali. Vincoli tra l’altro che, al momento della nascita di Benetton, non solo erano forti ma in corso di rafforzamento. Non per caso proprio in quegli anni si decretava il successo del “piccolo è bello” e s’imponeva la destrutturazione della grande impresa. Per superarli la semplice idea iniziale ha dovuto farsi sofisticata. Per gestire la propria impostazione di fondo la Benetton ha dovuto, cioè, riprogettare il ciclo produttivo e commerciale dei pullover.

La prima questione da affrontare è stata quella della differenziazione e variabilità della domanda che induce una notevole varietà e variabilità dei prodotti. Questa, a sua volta, determina una limitazione degli effetti d’esperienza in tutte le fasi, riducendo al minimo l’incidenza delle economie di dimensione nel settore dell’abbigliamento.

Benetton l’ha affrontata con un’intuizione che è allo stesso tempo di marketing (la scoperta che per la maggioranza dei consumatori la prestazione fondamentale del

pullover era il colore) e di produzione (la scoperta che, concentrando sul colore le

risposte al bisogno di differenziazione, l’”industrializzazione” del pullover diveniva più semplice).

Sulla scorta di quest’intuizione si è progettato il prodotto: il pullover vario- variabile tanto nel colore quanto nei modelli è stato sostituito da un nuovo pullover vario-variabile nei colori ma unico-costante nei modelli.

Il colore diventava il “consumer benefit” su cui si focalizzava l’azienda, lo strumento primario per rendere vari i capi Benetton e per attribuire loro freschezza di contenuto moda. Ma per fare dei prodotti Benetton dei beni realmente di massa era necessario che questo polo della novità trovasse un contrappeso in un altro polo che garantisce continuità. Questo ruolo all’interno della politica del prodotto fu affidato alla forma che fu impostata per essere piuttosto semplice, “classica”. Tra il colore e il modello veniva quindi ad attuarsi un complesso gioco di squadra. Il primo aveva il compito di smuovere il mercato, di attrarre il consumatore nel negozio, di far scattare l’impulso d’acquisto. Il secondo aveva quello di garantire la “portabilità” del

prodotto, la sua diffusa accettazione, l’eliminazione delle incertezze alla traduzione dell’impulso in atto d’acquisto.

La dialettica colore-foggia ha anche degli altri risvolti. Se in un’ottica di

marketing la classicità della foggia è un complemento della vivacità del colore,

nell’ottica della produzione la forte differenziazione nel colore è uno strumento per rendere accettabile la standardizzazione e la costanza dei modelli.

La progettazione della maglia fatta solo di colore ha cioè consentito di realizzare un pullover più economico – e quindi vendibile a prezzi più di massa – perché semplificato in tutte le prestazioni diverse dal colore ed ha contemporaneamente posto con la standardizzazione dei modelli le condizioni per l’applicazione delle tecniche di massa sia al momento della produzione che a quello della commercializzazione.

La presenza di questa condizione richiedeva adesso una successione di interventi innovativi su ciascuna delle fasi del ciclo di trasformazione manifatturiero e commerciale che la corroborassero e la valorizzassero ai fini del vantaggio competitivo. Il primo intervento è stato fatto sulla distribuzione, creando negozi esclusivi (solo marchio Benetton), di massa (elevatissimo numero di negozi), ubicati in zone ad alta densità di clientela, ricarichi commerciali contenuti.

In generale possiamo dire che la Benetton, per l’acquisizione della leadership di costo, abbia dovuto non limitarsi a gestire gli effetti di scala disponibili ma riprogettare il ciclo produttivo dei pullover.

Questa ridefinizione ha fatto emergere una nuova combinazione delle attività di valore che è risultata per molti versi strutturalmente meno costosa di quella dei concorrenti: si pensi ai secchi tagli di costi derivanti dalla standardizzazione dei modelli, oppure ai risparmi nei costi di gestione derivanti dallo spostamento da monte a valle della tintoria.

La ridefinizione ha fatto soprattutto emergere una catena delle attività molto più sensibile agli effetti scala. Benetton è cioè riuscito a trasformare un settore frammentato in un settore in cui gli effetti dimensione possono diventare una leva competitiva importante e una fonte di concentrazione. Benetton ha quindi riscoperto e opportunamente combinato i diversi tipi di economie di dimensione: di scala, di serie, di esperienza e ha fatto ciò in tutte le fasi dell’attività. Ha riscoperto delle significative economie di scala reali nelle fasi: di tintoria, di magazzino (che è stato addirittura robotizzato), della produzione e

commercializzazione dell’arredo dei negozi e dei computer che collegano rappresentanti e negozi alla casa madre, delle ricerche e sperimentazioni di mercato (ad esempio, la messa a punto della formula del negozio), dell’acquisizione e del trattamento degli ordini, della distribuzione fisica dei prodotti, dell’amministrazione, del management.

Ha riscoperto altrettante significative economie pecuniarie: negli approvvigionamenti delle materie prime, dei semilavorati, dei servizi di rappresentanza commerciale (in funzione di economie di scala reali offerte ai rappresentanti stessi: nella raccolta degli ordini, nell’addestramento dei negozianti, nell’acquisizione delle licenze, nella distribuzione delle informazioni di mercato, ecc.), nei finanziamenti, nella pubblicità, nell’acquisizione dei manager (migliore qualità a parità di prezzo).

Ha soprattutto attivato forti economie di serie nelle fasi: di maglieria, di confezione, di tintoria, di produzione dell’arredamento dei negozi o dei computer, di produzione delle materie prime, di rappresentanza, di comunicazione pubblicitaria (di qui la scelta di campagne eguali in tutto il mondo). In ognuna delle attività così ridisegnate la Benetton ha saputo inoltre generare forti economie di esperienza. Lo dimostra il fatto che essa è riuscita in ogni campo ad operare con forza lavoro meno qualificata e meno costosa della concorrenza.

Fin qui si è visto in azione uno dei tratti più caratteristici della cultura organizzativa Benetton: la forte tensione verso l’industrializzazione dei processi produttivi. Ma c’è un’altra architrave della strategia produttiva Benetton che non può essere ignorata: la valorizzazione dei vantaggi di costo insiti nel decentramento produttivo.

E’ indubbio che, in assenza di quello spiccato gusto industrialistico “fordistico” che traspare dall’impostazione dei suoi stabilimenti, non si spiegherebbe come la Benetton sia potuta arrivare, unica impresa in Italia, ad avere nella maglieria e nelle confezioni d’abbigliamento informale ben 1.500 dipendenti interni. Ma è vero che nella cultura imprenditoriale Benetton è sempre stato molto forte il legame con la matrice tecnico-organizzativa della microimpresa di maglieria italiana. Rispetto ai

competitors internazionali è proprio qui, anzi, il connotato differenziale più forte

della cultura Benetton.

Un connotato che è fortemente radicato nella sua pratica organizzativa. Il gruppo ha infatti una percentuale di ricorso a risorse produttive esterne dell’80% in media e

del 100% nella confezione. In questo esso non si discosta affatto dal “tipo ideale” del maglificio italiano, quello carpigiano. Ma il punto è che quella medesima percentuale si applica a dimensioni di fatturato che, a cospetto di quelle dei maglifici carpigiani (500.000 – 1 milione di euro) appaiono gigantesche (più di 500 milioni di euro).

La particolarità della cultura Benetton sta quindi nella contaminazione tra il “piccolo è bello” e il fordismo. Ne discende la capacità di riprodurre il modello produttivo carpigiano sulla scala delle grandi corporations Usa dell’abbigliamento di massa, la Levi’s le Blue Bell, ecc.

La scelta di ricorrere massicciamente al decentramento produttivo nell’attività di confezione è stata condizionata da due fatti. In primo luogo, dall’alta intensità di manodopera e dalla scarsa sensibilità alla scala delle tecnologie di confezione. In secondo luogo, dalle gravi diseconomie di dimensione, derivanti dal contesto sindacale italiano degli anni Settanta nei costi di acquisizione (nei laboratori il costo del lavoro è inferiore dal 20% a quello interno) e di gestione del fattore lavoro.

La capacità di replicare lo stesso grado di decentramento delle piccole imprese su una scala molto più ampia fa sì che il costo della Benetton in questa fase sia pari a quello dei concorrenti di piccola dimensione e inferiore a quello delle grandi imprese (per la maggiore appropriazione delle “economie esterne” da imperfezioni del mercato del lavoro). Le modalità di rapporto instaurate dal committente Benetton con i suoi sub-fornitori non solo sono tali, per motivi esaminati in precedenza, da consentire ai terzisti di realizzare significative economie di serie e di esperienza. In più il terzista riceve (così come il dettagliante) tutti i servizi Benetton per l’informazione, l’acquisto, il movimento dei materiali, la programmazione produttiva, i sistemi di controllo, la manutenzione, ecc. Si tratta di un’attività il cui espletamento è indispensabile alla Benetton per governare una produzione esterna realizzata da una galassia piuttosto vasta (tra le 200 e le 300 unità) di imprese artigiane (con circa 10.000 addetti). Ma attraverso di essa l’azienda si pone nelle condizioni di disporre di una capacità produttiva aggiuntiva pienamente integrata e flessibile rispetto alle proprie politiche produttive e di mercato. E nel contempo assicura ai terzisti dei risparmi nei costi di struttura che si aggiungono alle economie di serie.

In tal modo, tra l’altro, la Benetton da impresa operante in un’industria manifatturiera ad alta intensità di lavoro si è trasformata in impresa ad alta incidenza

degli approvvigionamenti e corrispondentemente a bassa incidenza del costo del lavoro (l’incidenza sui costi industriali è attorno al 5-10%, contro il 20-30% delle imprese del settore dell’abbigliamento rilevate da Mediobanca) e all’interno di questo ad alta incidenza delle componenti di lavoro terziarie.

5.4.2 L’allentamento dei vincoli finanziari e organizzativi alla