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L’ambiente sociale di lavoro

Nel documento LE DIMENSIONI DELLA QUALITÀ DEL LAVORO (pagine 64-75)

Sezione II – Misurare ed analizzare le dimensioni della QdL

2. Dimensione ergonomica

2.2 L’ambiente sociale di lavoro

In questo paragrafo si osserveranno le variabili che sono in grado di rivelare in che modo le persone abitano, riempiono lo spazio relazionale del proprio ambiente lavo-rativo. Se sono, ad esempio, a loro agio sul luogo di lavoro, se hanno buoni rapporti con i colleghi e con i superiori, se hanno un rinvio positivo dall’intero ecosistema la-vorativo. Banalmente, se si sentono apprezzati sul posto di lavoro.

Si considererà, quindi, “il clima sociale” con l’obiettivo di individuare, e quando pos-sibile classificare, gli ambienti lavorativi che si caratterizzano per il clima positivo fa-vorevole e quelli invece che sono vissuti come ostili, avversi al punto tale da far in-sorgere situazioni di disagio o malessere talmente incresciose da suggerire la presen-za di vere e proprie forme di discriminazione. Disponendosi, quindi, ad osservare l’ambiente sociale di lavoro la prima domanda a cui bisogna tentare di rispondere è “cosa distingue un ambiente lavorativo sano, accogliente da un luogo ostile, discri-minante?”

2.2.1 Il benessere e la soddisfazione sul lavoro

Gli studi sul clima aziendale si sono diffusi in Italia a partire dagli anni ‘80 seguendo la spinta fornita dalle ricerche sul benessere nei luoghi di lavoro e in particolare sulla sicurezza e sulla salute fisica degli individui ed estendendo l’ambito di interesse an-che per le dimensioni psicologian-che e relazionali (Avallone e Paplomatas, 2005).

Tutta-2 Dimensione ergonomica 63 via oggetto di studio è stato, fin dal principio, più lo stress che il benessere lavorativo (Avallone e Paplomatas, 2005), più la “mancata qualità” e il malessere organizzativo, che l’organizzazione proficua e favorevole (Gallino,1983).

“La qualità del lavoro prende la forma di una variabile che si caratterizza per le mo-dalità negative con cui viene contrassegnata dai lavoratori, sarebbe necessario inve-ce individuarne le declinazioni positive, identificando gli elementi distintivi che, se presenti nel contesto lavorativo/organizzativo, possono contribuire alla soddisfazio-ne dei bisogni fondamentali dei lavoratori” (Gallino, 1983).

La diffusione di quest’orientamento ha lasciato delle tracce anche dal punto di vista linguistico, poiché la definizione stessa di “benessere organizzativo”, è apparsa nel dibattito scientifico solo in un secondo momento e si presenta ancora oggi come sommaria e non del tutto in grado di specificare le condizioni in presenza delle quali si può parlare di salute e benessere organizzativo (Avallone e Paplomatas, 2005). No-nostante i ritardi e i limiti, un aspetto importante è stato però riconosciuto e docu-mentato in letteratura, ovvero che gli ambienti di lavoro caratterizzati da un buon clima sociale, i così detti ambienti sani, si distinguono per l’alta produttività, il buon livello di soddisfazione espresso da parte dei lavoratori e lo scarso assenteismo (Aval-lone e Paplomatas, 2005; Gergen e Gergen, 1990; Mayo, 1969).

Le precedenti indagini ISFOL hanno dedicato spazio all’analisi del clima sociale ed hanno utilizzato la “soddisfazione dei lavoratori” come indicatore sintetico del livello di benessere nello svolgimento dell’attività lavorativa. Tale scelta è stata privilegiata nella consapevolezza che, pur trattandosi di un indicatore qualitativo basato sulla percezione soggettiva del lavoratore, il livello di soddisfazione può restituire un’im-magine piuttosto accurata dei punti di forza e delle criticità nel rapporto dell’indi-viduo con il proprio lavoro (ISFOL, 2004).

L’EUROFOUND che dal 1995 attraverso l’indagine European Working Conditions

Sur-vey (EWCS) rileva, ogni cinque anni, le condizioni lavorative degli occupati in Europa,

affronta in maniera residuale gli aspetti connessi alle relazioni lavorative e dedica in-vece molto spazio all’analisi dell’ambiente fisico (rilevando le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro) e agli episodi di molestie e discriminazione. Riguardo al clima sociale rileva sostanzialmente il livello di soddisfazione per il proprio lavoro e l’esi-stenza di un ambiente amichevole.

Osservando i dati europei dal 1995 al 2010, e in particolare esaminando l’evoluzione della soddisfazione espressa nei confronti del proprio lavoro sembra che non sia cambiato molto nel clima sociale dei lavoratori europei. L’alta percentuale di soddi-sfatti1

1. Sono considerati, in questa sede, soddisfatti coloro che dichiarano di essere molto soddisfatti e sod-disfatti. Cfr.

, l’85,6% nella media UE, è rimasta, infatti, quasi invariata nel tempo, mutando in 15 anni di solo 0,3 punti percentuali in più. Tuttavia, considerando i dati di ogni paese, nonché i livelli di soddisfazione, è possibile avere un quadro più dettagliato. Si può ad esempio notare che i molto soddisfatti, il 27,2%, sono calati di quasi cinque 5 punti percentuali nel corso degli anni, e che i paesi dell’area mediterranea mostrano,

al riguardo, percentuali al di sotto della media europea (Spagna 22,8%, Italia 19,3%, Grecia 16,8% e Portogallo 16,1%).

Riguardo all’esistenza di un clima amichevole sul posto di lavoro, le dichiarazioni so-no molto incoraggianti: il 72,2% sostiene di ricevere sempre, o nella maggior parte delle situazioni, l’aiuto dei colleghi e nel 59,1% dei casi l’aiuto da parte del capo. Il 73,6%, inoltre, afferma di avere dei buoni amici sul posto di lavoro, con valori oltre l’80% per i paesi del Nord Europa.

Anche le rilevazioni dell’ISFOL hanno evidenziato, nel corso degli anni, la presenza di un buon clima sociale negli ambienti di lavoro, persino per quelle categorie di lavo-ratori, come i dipendenti temporanei o i lavoratori part-time, che manifestavano, frequentemente, segni di malessere per altre dimensioni (ISFOL, 2004). Che si trattas-se della soddisfazione mostrata nei confronti dei rapporti con i propri pari o superio-ri, del giudizio espresso nei confronti del clima aziendale percepito o della soddisfa-zione complessiva, le opinioni sono sempre state molto positive, e nell’ultima rileva-zione le percentuali di soddisfatti sono ben al di sopra dell’80% (figura 2.1). Inoltre, coloro che dichiarano di sentirsi apprezzati e a proprio agio sul luogo di lavoro sono oltre l’86% (figura 2.2).

Un altro aspetto interessante riguarda il fatto che, mediamente, i più soddisfatti so-no i giovani e le donne, ovvero coloro che so-normalmente incontraso-no più difficoltà nel mondo del lavoro, soprattutto all’ingresso. Tali ostacoli, probabilmente, finiscono per influenzare positivamente la percezione e le aspettative di questa categoria di lavo-ratori e lavoratrici che quando ottengono un impiego, forse già solo per aver conse-guito questo risultato, mostrano segnali di maggiore comfort e benessere per il clima sociale che li circonda.

Figura 2.1 - Clima sociale in ambiente lavorativo per livello di soddisfazione espresso in alcuni items. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

94,8 88,1 93,0 87,3 Rapporto con i colleghi Rapporto con i superiori Clima aziendale Soddisfazione complessiva sul lavoro Insoddisfatto Soddisfatto

2 Dimensione ergonomica 65

Figura 2.2 - Clima sociale in ambiente lavorativo per livello di riconoscimento e agio sul lavoro. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

Provando ad identificare gli ambienti più accoglienti, quelli in cui si rilevano i maggiori livelli di soddisfazione, con i dati a disposizione si può osservare che i luoghi più confortevoli si trovano nel Nord dell’Italia e sono solitamente ambienti di piccole dimensioni. In particolare nel Nord si incontrano i lavoratori che esprimono i maggiori livelli di soddisfazione nei confronti dei rapporti con i colleghi ed i supe-riori, mentre il Sud sembra caratterizzarsi per un maggiore agio e apprezzamento sul lavoro (figura 2.3).

Le aziende che hanno unità locali di piccole dimensioni, come rilevato anche nelle precedenti indagini, sono quelle in cui le persone si sentono maggiormente apprez-zate, soddisfatte e a loro agio sul lavoro, mentre le imprese con unità locali di grandi dimensioni, nonostante mostrino comunque alti livelli di soddisfazione, figurano come le meno accoglienti (figura 2.4).

In generale, l’aspetto che colpisce di più è che i colleghi appaiono come un punto di riferimento importante e contribuiscono a creare ed aumentare la soddisfazione rispetto al clima aziendale.

Per scoprire, invece, quali siano i territori con il peggior clima sociale, gli ambienti più ostili, è necessario considerare le dichiarazioni fornite sulle discriminazioni nei luoghi di lavoro.

Si sente apprezzato sul lavoro Si sente a suo agio sul lavoro

Forte accordo 7,8 4,4 Accordo 82,1 82,0 Disaccordo 9,1 12,3 Forte disaccordo 0,9 1,3 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Si sente apprezzato sul lavoro Si sente a suo agio sul lavoro

Forte accordo 7,8 4,4 Accordo 82,1 82,0 Disaccordo 9,1 12,3 Forte disaccordo 0,9 1,3 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Figura 2.3 - Clima sociale in ambiente lavorativo per area geografica. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

Figura 2.4 - Clima sociale in ambiente lavorativo per dimensione dell’unità locale. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

75 80 85 90 95

Si sente apprezzato sul lavoro

Si sente a suo agio sul lavoro

È soddisfatto del rapporto con i colleghi

È soddisfatto del rapporto con i superiori Soddisfazione complessiva Soddisfazione rispetto al clima aziendale Da 2 a 15 Da 16 a 49 50 e oltre 75 80 85 90 95

Si sente apprezzato sul lavoro

Si sente a suo agio sul lavoro

È soddisfatto del rapporto con i colleghi È soddisfatto del rapporto

con i superiori Soddisfazione

complessiva Soddisfazione rispetto al

clima aziendale

2 Dimensione ergonomica 67 2.2.2 Le discriminazioni e i luoghi del malessere

Quando si parla di discriminazioni sul lavoro, in generale, ci si riferisce a quei com-portamenti in base ai quali si distinguono le persone, e si trattano diversamente, per delle caratteristiche fisiche o delle opinioni personali. Tali comportamenti possono causare discriminazioni dirette o indirette2

Le discriminazioni sul lavoro sono socialmente riconosciute come riprovevoli, ma so-prattutto sono a norma di legge perseguibili.

. Si parla di discriminazione diretta quan-do una persona è trattata per una propria caratteristica, meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un’altra persona in una situazione ana-loga. Un esempio classico di discriminazione diretta è la mancata assunzione di un lavoratore perché straniero; oppure, la mancata promozione di un lavoratore perché ritenuto troppo giovane. La discriminazione indiretta si verifica, invece, quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone con una specifica caratteristica. Un esempio di discriminazione indiretta è l’assegnazione di una particolare indennità solo per i dipendenti che abbiano sempre optato per il full-time. Le donne che più spesso richiedono il part-time per ragioni di conciliazione fra famiglia e lavoro, ne sarebbero indirettamente escluse. Non vi è discriminazione sulla singola persona, ma adottando un simile criterio indubbiamente si avvantaggiano gli uomini rispetto alle donne.

Ogni paese ha introdotto storicamente, nella sua Costituzione, nello Statuto dei la-voratori o nel suo bagaglio normativo, un “codice” che tutela il lavoratore di fronte alle possibili forme di discriminazione. Inoltre a livello comunitario un input impor-tante è stato fornito da due direttive europee3

Tuttavia, nonostante negli ultimi anni il quadro normativo contro la discriminazione si sia ampiamente sviluppato e strutturato in tutti i paesi europei, gli stessi miglio-ramenti non sono stati compiuti nella conoscenza e nella rilevazione del fenomeno. Tralasciando per un istante le difficoltà legate alla rilevazione di aspetti delicati, co-me ad esempio l’orientaco-mento sessuale, il principale ostacolo che s’incontra, in gene-rale, nello studio e nella misurazione del fenomeno consiste nella limitata attendibi-lità e comparabiattendibi-lità dei dati (ILO, 2011). Abitualmente, infatti, le informazioni sono raccolte su base nazionale nell’ambito di ricerche specifiche e raramente i dati pos-sono essere confrontati, oltre che per le differenze in termini di rilevazione, in primis perché molto spesso la discriminazione sul lavoro è definita in modo diverso nei vari paesi. Ne consegue che è molto difficile monitorare e valutare l’impatto delle misure adottate per la lotta alle discriminazioni, poiché se le statistiche non sono esaurienti che hanno sollecitato gli Stati membri a definire norme nazionali che vietino ogni forma di discriminazione (razziale, etnica, di credo o religiosa, d’età, disabilità o orientamento sessuale).

2. Cfr. con l’art. 25 del decreto legislativo 198/2006.

3. La direttiva n.43 del 2000, “The racial equality directive”, che riconosce il principio di parità di trat-tamento fra le persone indipendentemente dalla loro razza e origine etnica, e la direttiva n. 78 del 2000, “The employment equality directive” che riconosce la necessità di combattere qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di individui appartenenti a categorie socialmente svantaggiate.

o sono poco comparabili, la reale portata delle pratiche discriminatorie rimane igno-ta (ILO, 2011).

Tra le fonti attendibili, a livello europeo, si può fare riferimento, sia ai rapporti che l’ILO realizza per monitorare a livello globale le disuguaglianze e le forme di discrimi-nazione esercitate sul lavoro4

Le rilevazioni dell’ISFOL forniscono informazioni importanti per il contesto italiano e identificano, invece, il fenomeno indirettamente, chiedendo agli intervistati se sono a conoscenza di episodi di molestie o discriminazioni nel loro ambiente di lavoro. Questa strada è stata privilegiata per la delicatezza dell’argomento e per la reticenza che normalmente si incontra quando si chiede di raccontare apertamente le proprie esperienze al riguardo (ISFOL, 2004).

sia alla già citata indagine della European Foundation, che raccoglie informazioni domandando direttamente ai lavoratori se hanno subito discriminazioni, sono stati vittime di episodi di violenza fisica o verbale, fenomeni di bullismo o altre forme di molestia ed umiliazione.

Osservando i dati europei, un aspetto singolare che si evidenzia facilmente è che l’Italia figura sempre fra i paesi in cui i livelli di disagio (molestie, violenze e discrimi-nazioni) sono più bassi, mentre paesi come la Finlandia e la Svezia, che vantano una lunga e approfondita tradizione, in termini di normativa e azioni positive intraprese negli anni per favorire l’integrazione e contrastare gli episodi di discriminazione, so-no quelli in cui se ne registraso-no il maggior numero. Sorge spontaneo domandarsi se il nostro Paese sia realmente indenne da queste problematiche o se non abbia ancora sviluppato un sistema immunitario in grado di riconoscere e quindi contrastare que-sti eventi. L’esperienza maturata nella rilevazione del fenomeno rivela, infatti, che ad una maggiore attenzione e sensibilità nei confronti della discriminazione sul lavoro si associa spesso una più alta percezione e diffusione dello stesso, evento solo appa-rentemente contradditorio, ma in realtà alquanto coerente e ragionevole (Giovine et

al., 2004).

Prima di osservare la morfologia delle discriminazioni che emerge dai dati ISFOL è in-teressante segnalare ciò che ha rilevato l’ILO nel suo ultimo rapporto, circa il ruolo e l’impatto che la crisi economica ha avuto nella percezione del fenomeno. L’ILO ha, di fatto, messo in evidenza che nei periodi di recessione economica e di crisi occupa-zionale, le discriminazioni sul lavoro corrono il rischio di essere percepite come meno pesanti o meno gravi, poiché la disparità maggiore, in questi momenti, resta quella del mancato accesso al mondo del lavoro (ILO, 2011).

Questa riflessione aiuta a capire, in parte, perché i dati rilevati dall’ISFOL non sono sostanzialmente peggiorati, anzi sono migliorati, rispetto alle indagini precedenti. Le discriminazioni più diffuse continuano a essere quelle legate alle caratteristiche fisiche, e in particolare quelle relative all’appartenenza di genere e all’età, e le donne continuano ad essere le principali “vittime”. Si attestano su percentuali molto basse (sotto il 3%) le disparità riguardo agli orientamenti politici, sessuali o religiosi. I mi-nori cambiamenti riguardano le discriminazioni rispetto alla propria origine etnica, e

2 Dimensione ergonomica 69 calano di quasi 2 punti percentuali, rispetto alle prime rilevazioni, le discriminazioni segnalate in presenza di un handicap (figura 2.5).

Figura 2.5 - Discriminazioni sul luogo di lavoro per motivazione. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

L’aspetto che colpisce di più riguarda la riduzione delle discriminazioni in base all’età che, oltre a rappresentare uno dei fenomeni maggiormente evidenziati in Europa, ri-guarda soprattutto gli under 30 e non è sostanzialmente diminuito negli altri paesi europei (tranne alcune eccezioni).

Il tema, invece, delle discriminazioni in base all’orientamento sessuale, il più delicato e il più difficile da rilevare (presenta sempre percentuali molto basse) è stato, nel corso del 2011, per la prima volta in Italia al centro di un’indagine nazionale. L’ISTAT ha condotto, infatti, una rilevazione statistica sulle discriminazioni attraverso la qua-le ha raccolto qua-le opinioni e gli atteggiamenti degli italiani nei confronti degli omo-sessuali e dei tranomo-sessuali, investigando, in particolare, le difficoltà che questi ultimi incontrano nella famiglia, nel lavoro e nella società (ISTAT, 2011). Uno degli esiti più interessanti mostrati dall’indagine è l’emergere di un’elevata consapevolezza circa l’esistenza delle discriminazioni associata, tra l’altro, ad una sostanziale condanna di tali orientamenti sessuali, nonché a segnali di apertura nei confronti delle persone con differente orientamento sessuale, soprattutto da parte delle donne e dei giovani, nelle regioni del Centro-nord.

4,9 7,5 3,3 4,0 3,8 1,5 1,9 6,7 7,7 3,3 5,5 3,2 1,3 1,4 5,5 5,4 3,2 2,6 2,0 1,1 1,0 Sesso Età Origine etnica Opinioni politiche Handicap Orientamento sessuale Religione 2010 2006 2002

Rispetto alle discriminazioni segnalate in presenza di un handicap, i veri problemi si incontrano nell’accesso al mondo del lavoro, nonostante l’Unione europea disponga di uno dei quadri giuridici più avanzati per la lotta contro le discriminazioni e in Ita-lia la legge 68/99 rappresenti un valido provvedimento normativo per l’inclusione e il diritto al lavoro dei disabili5

La ricerca di un lavoro per un disabile è quasi sempre lunga e spesso inefficace. L’Ufficio per i Diritti dei Portatori di Handicap delle Nazioni Unite

.

6

(SCRPD) ha rileva-to che nei Paesi industrializzati, la disoccupazione dei disabili raggiunge punte del 70%. Il problema si è aggravato con la recessione economica, poiché in caso di crisi, le aziende possono chiedere la sospensione dagli obblighi previsti dalla legge 68/99 sulle categorie protette. Di fatto, tra il 2008 e il 2009, durante la prima ondata della crisi, l’occupazione dei disabili si è ridotta di oltre un terzo7

Gli episodi di molestie sessuali e soprusi nell’indagine ISFOL sono considerati e se-gnalati separatamente dalle discriminazioni, poiché se la rilevazione delle discrimina-zioni è legata alla percezione soggettiva e al clima sociale diffuso, nel caso delle mo-lestie e dei soprusi, il loro riconoscimento è ancora di più influenzato, oltre che dall’impressione personale, dalla consapevolezza e dalla conoscenza dei propri diritti e delle tutele a cui si può fare ricorso.

.

Tuttavia, anche se questi comportamenti sono più difficili da riconoscere e rilevare, inaspettatamente, sono i più segnalati, i più diffusi (Curtarelli e Tagliavia, 2011). Ed è importante osservare che gli ambienti positivi, quelli in cui si rilevano i maggiori li-velli di soddisfazione (le piccole aziende del Nord), sono anche quelli in cui si segnala la minore presenza di molestie sessuali e soprusi (figure 2.6 e 2.7). Gli ambienti dove si rileva un numero più elevato della media di soprusi e molestie si trovano invece nelle aziende che hanno unità locali di grandi dimensioni, nel settore del commercio e dei servizi, e nelle zone del Centro e del Sud dell’Italia.

Se le segnalazioni sulle discriminazioni appaiono relativamente moderate, i disagi legati alla violazione dei diritti e ai soprusi sono, quindi, più evidenti e manifesti. Si tratta, inoltre, di un fenomeno ampiamente segnalato sia dagli uomini che dalle donne, importante da evidenziare soprattutto per gli effetti che può avere sulla salute e sul benessere dei lavoratori.

5. Quale sia il termine più corretto per definire le persone portatrici di un handicap è una domanda a cui si è tentato di rispondere nel corso degli anni da più parti con risultati lessicali diversi: handicappato, porta-tore di handicap, disabile, persona con disabilità, diversabile, cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/ consulenza-linguistica/domande-risposte/meglio-handicappato-portatore-handicap-disab.Anche “Su-perAbile”, la rivista dell’INAIL dedicata ai temi della “disabilità” ha sollevato la questione pubblicando un’inchiesta dal titolo “Qual è il modo migliore per definire la disabilità?” http://www.superabile.it/web/it/ CA-NALI_TEMATICI/ Politiche_e_Buoni_Esempi/Dossier/info48753561.html

È opinione di chi scrive che i termini vanno considerati e utilizzati valutandone le connotazioni e la funzionalità a seconda del contesto e dell’obiettivo per cui vengono usati. In questo paragrafo sarà utilizzato quindi il ter-mine “disabile” facendo riferimento alla normativa giuslavorista della Legge 68/1999 sulle “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” http://www.parlamento.it/parlam/leggi/99068l.htm

6. Cfr. http://www.un.org/disabilities/default.asp?id=17

7. Cfr.http://www.disabili.com/lavoro/26582-lavoro-nei-paesi-industrializzati-un-disabile-su-due-e-disoccupato.

2 Dimensione ergonomica 71

Figura 2.6 - Molestie e soprusi sul luogo di lavoro per area geografica. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

Figura 2.7 - Molestie e soprusi sul luogo di lavoro per dimensione dell’unità locale. Anno 2010

Fonte: III Indagine ISFOL-QdL

Interessante, infine, osservare a chi si rivolgerebbero i lavoratori in caso di soprusi o discriminazioni, chi sono le persone deputate a ricevere le denunce dei

Nel documento LE DIMENSIONI DELLA QUALITÀ DEL LAVORO (pagine 64-75)