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L‟APOSTOLATO DEI LAICI: MEMORIA DANTESCA ED ALLUSIVITÀ

Dopo la morte di Pio XI, il 2 marzo 1939, il conclave elegge Eugenio Pacelli, che sceglie il nome di Pio XII Proveniente dall‟aristocrazia romana (era infatt

5.2. L‟APOSTOLATO DEI LAICI: MEMORIA DANTESCA ED ALLUSIVITÀ

Gli anni del pontificato di papa Pacelli sono, forse, i più tragici del Novecento: pur impegnandosi con tutti i mezzi a sua disposizione, Pio XII non riesce ad

61 Pio XI, Per il 50° dell’invenzione marconiana della radio, in Atti e discorsi di Sua Santità Pio XII, anno 1947,

vol. IX, Edizioni Paoline, Roma 1952, pp. 308-315: pp. 312-313. Anche su www.vatican.va: Pio XII, Discorso

ai partecipanti al Congresso internazionale per il 50° della scoperta marconiana della radio, 3 ottobre 1947.

62 Cfr. Pio XII, Al Congresso mondiale di Astronomia, in Atti e discorsi di Pio XII, anno 1952, vol. XIV,

Edizioni Paoline, Roma 1953, pp. 315-324. Si può leggere la stessa allocuzione anche sul sito del Vaticano: Pio XII, Discorso di Sua Santità ai partecipanti al Congresso mondiale di Astronomia svoltosi a Roma, 7 settembre 1952, www.vatican.va. Inoltre è stato pubblicato in francese sugli Acta Apostolicae Sedis, anno XXXIV, vol. XIX, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1952, pp. 732-739.

evitare l‟ingresso dell‟Italia nel secondo conflitto mondiale. L‟eco di questo “fallimento”, unita ad una grande sofferenza per le devastanti lacerazioni della guerra, abbraccia e anima la maggior parte dei suoi discorsi. Molteplici sono le sue iniziative per il soccorso dei prigionieri di guerra e celebre è la sua visita, il 19 luglio del 1943, al quartiere romano di San Lorenzo per portare una parola di conforto alle vittime del bombardamento appena concluso. Il pontefice non rinuncia ad iniziative concrete a sostegno di civili e militari vittime della guerra, né evita di intervenire a gran voce per invocare la pace e infondere coraggio63. Il 24 dicembre 1939, Pio XII pronuncia il suo primo discorso natalizio. Rivolgendosi ai cardinali, ai vescovi e ai sacerdoti romani, il papa manifesta la sua gioia per lo scambio vicendevole di auguri e per il dono della nascita di Cristo Redentore, anche se i tempi sono tragici. La vera gioia, «in mezzo all‟urto e al tumulto delle varie vicende del mondo», risiede «nell‟imperturbabilità dello spirito, nella quale, quasi in torre incrollabile alle bufere, con fiducia in Dio si affissa, e si unisce con Cristo». Pur nel trambusto della storia, il cristiano deve, in virtù della sua fede, fare affidamento solo in Dio, essere una «torre incrollabile». La metafora della torre non è invenzione di papa Pacelli: è già biblica, la pietà popolare la relaziona alla Madonna, apostrofata nelle litanie del rosaio come «torre davidica». A mio parere, non è da escludere che papa Pacelli abbia in mente, oltre alla fonte biblica, la metafora della Commedia, perché l‟invito del pontefice è molto simile al benevolo rimprovero di Virgilio che apostrofa con dolcezza il suo discepolo, distratto dalla perplessità delle anime di

Pg V, che non vedono l‟ombra del poeta proiettata a terra. Il maestro interviene,

spronando il poeta pellegrino a non distogliere il pensiero dalla meta:

«Perché l‟animo tuo tanto s‟impiglia», disse ‟l maestro, «che l‟andare allenti? che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla

63 Cfr. A. Maritini, Il pontificato di Pio XII, «La Civiltà Cattolica», quad. 2601 (1958), pp. 233-246: pp. 236-237.

già mai la cima per soffiar di venti;

ché sempre l‟omo in cui pensier rampolla sovra pensier, da sé dilunga il segno,

perché la foga l‟un de l‟altro insolla»

(Pg V 10-18).

Se in questo caso potrebbe trattarsi solamente di una suggestione, inequivocabile è, invece, il recupero di un neologismo paradisiaco nella parte seguente del discorso:

Nel trasumanarsi dell‟uomo in Cristo, Cristo stesso veste di sé l‟uomo, umiliandosi fino a lui per sollevarlo fino a sé in quel gaudio del suo nascimento ch‟è perenne festa natalizia64.

La scelta del verbo «trasumanare» è congeniale a descrivere lo “scambio” tra umano e divino che avviene durante la solennità natalizia, quando Dio sceglie di incarnarsi per assumere la natura umana, offrendo all‟uomo la possibilità di “deificarsi”. All‟inizio della terza cantica, Dante avverte il disagio di descrivere un mondo che non è più paragonabile a nessuna esperienza umana. Il poeta stesso assume una condizione esistenziale diversa, che non sa esprimere se non per negazione:

Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l‟erba che ‟l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verba non si poria; però l‟essemplo basti a cui esperïenza grazia serba.

S‟i‟ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ‟l ciel governi, tu ‟l sai, che col tuo lume mi levasti

(Pd I 67-75).

64 Pio XII, I punti fondamentali per la pacifica convivenza dei popoli, in Atti e discorsi di Sua Santità Pio XII,

anno 1939, vol. I, Edizioni Paoline, Roma 1956, pp. 313-326. (Si può leggere lo stesso testo anche sul sito del Vaticano: Pio XII, Discorso di Sua Santità al Sacro Collegio della Prelatura romana, 24 dicembre 1939, www.vatican.va. Ed anche sulla rivista «La Civiltà Cattolica»: Allocuzione natalizia del sommo pontefice, quad. 2149 (1940), pp. 5-13. Infine sugli Acta Apostolicae Sedis, anno XXXII, vol. VII, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1940, pp. 5-13).

La possibilità trasumanante sostiene con fiducia ogni credente e non può essere «oscurata o turbata da alcun affanno o fatica, da alcuna ansietà o sofferenza che salga o rumoreggi di quaggiù, simile a quella “lodoletta che in aere si spazia / prima cantando, e poi tace contenta / dell‟ultima dolcezza che la sazia” (Pd XX 73-75)»65. Qui il verso dantesco, congeniale a descrivere la condizione esistenziale del credente, serve a creare un paragone per differenza tra chi ha fede e chi non crede, perché se i non credenti si perdono d‟animo, coloro che hanno fede in Dio non temono nulla, anche quando si presentano situazioni tragiche. Il pensiero di papa Pacelli va al suo amato predecessore, che aveva previsto la grande sciagura e si era prodigato con ogni mezzo per poterla evitare, senza, però riuscirci; per la stessa causa lui stesso si era impegnato, giungendo all‟amara constatazione della presenza in Europa di un profondo spirito anticristiano, fautore di astio e violenza, che aveva fomentato il secondo conflitto mondiale66.

Pio XII si preoccupa non solo dell‟aspetto morale, ma anche del problema sociale, della devastazione economica e delle innumerevoli perdite umane che la guerra non potrà non causare. Insiste, di conseguenza, su quelli che devono essere i capisaldi di una pace duratura: assicurare il diritto alla vita e l‟indipendenza politica a tutte le nazioni; lavorare per il disarmo; creare organismi internazionali che si occupino della pacificazione tra i popoli e del rispetto dei diritti inalienabili; revisionare i trattati internazionali nel rispetto delle diversità e delle minoranze. Sottolinea, infine, che per ottenere una pace vera, fondata sulla giustizia, non si può prescindere dalla fede in Dio67. Addita la grotta di Betlemme dove il Dio della pace si è incarnato e invita a seguire sempre il suo insegnamento. Alla nascita prodigiosa si può affiancare un altro evento storico: la pax augustea68. Gli avvenimenti storici della nascita di Cristo e della pacificazione voluta da Augusto si sovrappongono assumendo uno stesso

65 Ivi, p. 315. 66 Ivi, pp. 315-320. 67 Ivi, pp. 320-322. 68 Ivi, p. 324.

significato escatologico, rintracciabile nella pace eterna, nella pace soprannaturale che è molto di più che una sospensione della guerra.

Le tragiche circostanze di quegli anni spingono il pontefice ad intervenire affinché cessino le ostilità belliche, invitando il popolo dei credenti ad impegnarsi concretamente. La lettera del 15 aprile 1940, indirizzata al Segretario di Stato cardinale Maglione, è illuminante a questo proposito. Dopo aver messo in evidenza il proprio impegno69 sul fronte politico e diplomatico, Pio XII mette in risalto la propria partecipazione emotiva alle sofferenze delle nazioni e, constatando l‟inutilità dei suoi sforzi in veste di autorità politico-religiosa, invita i cristiani a riporre ogni fiducia e ogni speranza nella preghiera, attraverso l‟intercessione della Madonna, «giacché, come afferma san Bernardo, “è volere di Dio che noi otteniamo tutto per mezzo di Maria” (Discorso per la Natività

della Beata Vergine Maria)». Il ricorso alla Madre divina si rende, quindi,

necessario perché la Beata Vergine è «tanto potente presso Dio» che, «come canta l‟Alighieri, “qual vuol grazia e a lei non ricorre sua disianza vuol volar senz‟ali” (Pd XXXIII 14-15)»70. Il contesto della tragicità della guerra offre, dunque, al pontefice un‟occasione per soffermarsi su un aspetto fondamentale della pietà mariana, vale a dire l‟intercessione della Madonna, che viene argomentata attraverso l‟uso di due fonti, una appartenente alla teologia propriamente detta e una poetica: il discorso di san Bernardo e i versi 14 e 15 dell‟ultimo del Paradiso. Il Santo Padre recupera il luogo dantesco per coronare la sua disamina mariologica e contemporaneamente mette in evidenza come quel distico sia la rielaborazione del pensiero mistico del più autorevole teologo mariano del Medioevo. Seppure velatamente ed implicitamente, viene a sottolineare che i versi danteschi sono “teologia poetica”, conferendo, così, al

69 «Noi […] non abbiamo lasciato nulla di intentato, ma con tutti i mezzi, di cui potevamo disporre, sia cioè con

pubblici documenti e discorsi, sia con colloqui e trattative, abbiamo esortato al ristabilimento di quella pace e di quella concordia, che deve essere basata sulla giustizia.» (Pio XII, Nuova crociata di preghiere, in Atti e discorsi

di Sua Santità Pio XII, anno 1940, vol. II, Edizioni Paoline, Roma 1955, pp. 129-132: p. 130).

70 Pio XII, Nuova crociata di preghiere, in Atti e discorsi di Sua Santità Pio XII, cit., p. 131. Si può leggere il

testo in latino sugli Acta Apostolicae Sedis, anno XXXII, vol. VII, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1940, pp. 144-146.

poeta di Firenze il ruolo di discepolo di san Bernardo attraverso un raffinato gioco di “scatole cinesi”, per cui si cita prima il teologo di Chiaravalle, poi i luoghi danteschi influenzati dalla lettura del mistico medievale. Si potrebbe dire che la memoria di Dante agisce in maniera preponderante e quasi rafforza la citazione di san Bernardo.

Il 25 febbraio 1941, durante il periodo quaresimale, il pontefice riceve in udienza un folto gruppo di sacerdoti, prelati e seminaristi, provenienti da diverse nazionalità. A loro il papa si rivolge mettendo in risalto il valore del sacrificio di Cristo per la redenzione degli uomini. Le nazioni hanno bisogno di seguire gli insegnamenti della religione per non rischiare in futuro la stessa decadenza e degenerazione del presente. La negazione di Dio corrode gli animi e li imbarbarisce, ma nello stesso tempo si propone come una nuova sfida per i tanti sacerdoti che devono evangelizzare, pur nella difficoltà dei tempi attuali71. A loro spetta il difficile compito di ricondurre l‟umanità esausta e sofferente laddove è la fonte della gioia piena, tanto cercata e anelata dai filosofi antichi, a partire da Aristotele che «desiderò senza frutto quella verità che avrebbe quietato il suo desiderio»72. E qui Pio XII riporta tra parentesi alcuni versi del discorso di Pg III, quelli del momento in cui, vedendo solo un‟ombra proiettata in terra, Dante teme che il suo maestro l‟abbia lasciato. Ma costui lo rassicura affermando che il suo corpo non è con lui e che, quindi, non può adombrare. La paura dell‟Alighieri è motivata dalla non comprensione di ciò che sta accadendo, dovuta ai limiti dalla stessa ragione, sicché Virgilio lo richiama con queste parole:

«Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via

che tiene una sustanza in tre persone.

71 Pio XII, La conoscenza di Dio sorgente di vita spirituale, in Atti e discorsi di Pio XII, anno 1941, vol. III,

Edizioni Pia Società San Paolo, Roma 1941, pp. 44-59: p. 47. (Gli Acta Apostolicae Sedis, anno XXXIV, vol. IX, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1941, pp. 128-147, riportano la stessa allocuzione).

State contenti, umana gente, al quia; ché, se potuto aveste veder tutto,

mestier non era parturir Maria; e disïar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato, ch‟etternalmente è dato lor per lutto:

io dico d‟Aristotile e di Plato e di molt‟altri»; e qui chinò la fronte, e più non disse, e rimase turbato

(Pg III 34-45).

Il desiderio a cui si anela per l‟eternità e che mai potrà essere realizzato è la nota dominante non solo del personaggio di Virgilio, ma anche di tutti gli spiriti magni che abitano il nobile castello. Questa stessa condizione spirituale diventa il paradigma di riferimento per coloro che sono lontani da Dio e che devono essere ricondotti a Lui attraverso l‟azione caritatevole dei sacerdoti. La ragione umana non basta, perché «pur potente che sia non può vedere tutto, “non può trascorrer la infinita via, che tiene una sustanzia in tre persone” (Pg III 35- 36)»73.

Dopo la venuta di Cristo, continua Pio XII, «la fede ci sublima sopra ogni sapere umano»74, per cui tutte le filosofie moderne che prescindono da Dio non fanno altro che allontanare gli uomini dalla felicità e dalla verità. Al contrario i sacerdoti devono invitare gli uomini a credere e ad accogliere le virtù sovrannaturali, per ottenere infine la vita eterna75.

Sullo sfondo del clima teso di quegli anni si inserisce anche il discorso ai parroci e ai quaresimalisti di Roma, del 17 febbraio del 1942, in cui il pontefice spiega i contenuti del Credo Apostolico, argomento di predicazione per la quaresima. Poiché ai sacerdoti spetta il compito di guide delle parrocchie e del popolo di Dio che deve essere indirizzato verso la riconciliazione, è necessaria un nuova sapienza, da cui attingere gli insegnamenti della Chiesa sintetizzati nel Credo. La catechesi si incentra in modo particolare sulla seconda venuta di Cristo e sul giudizio universale: l‟uomo che vive nel mondo lascia sempre un segno del suo

73 Pio XII, La conoscenza di Dio sorgente di vita spirituale, in Atti e discorsi di Pio XII, cit., p. 49. 74 Anche qui si può intravedere una allusione al discorso di san Benedetto di Pd XXII 22-51.

passaggio, egli possiede un corpo, strumento del bene e del male fatto a sé e agli altri, con il quale si presenterà al giudizio di Dio «per gioire o arrossire; per gioire o arrossire […] di quella fama, che spesso il giudizio umano tramuta e travolge fra i mortali, “calcando i buoni e sollevando i pravi” (If XIX 105), infamando i pii e glorificando gli empi»76. Sembrerebbe solo un recupero dotto teso, come in altri casi, a suggellare il discorso del pontefice e ad innalzarne il tono retorico, ma in realtà è molto di più, se si considera il contesto dantesco in cui il verso nasce. Nella terza bolgia dell‟ottavo cerchio infernale Dante prorompe in una acerrima invettiva contro Niccolò III e l‟avarizia dei papi simoniaci, biasimando la donazione di Costantino che ha causato la corruzione della Chiesa. Proprio contro un papa e contro il clero, quindi, si rivolge l‟Alighieri, e questo Pio XII non lo ignora certamente. Anche Eugenio Pacelli si rivolge al clero, ma recuperando la citazione del canto XIX, non solo invita i sacerdoti e i prelati romani ad assumersi le proprie responsabilità non imitando gli esponenti del clero corrotto medievale, ma forse, in un certo senso, manifesta anche il proprio disprezzo per l‟operato dei suoi predecessori simoniaci, che hanno operato male all‟interno della Chiesa.

Il pontefice sprona i sacerdoti a predicare le alte verità di Dio, perché la società contemporanea rischia di perdere il profondo significato della morte. Bisogna allora educare le coscienze per inculcare nei credenti la ferma convinzione che «ogni uomo è responsabile del suo eterno destino e che questo si fissa al momento della sua dipartita dal mondo». Il giudizio ultimo «riserba non solo i premi ai buoni, ma ancora i supplizi ai tristi» e raccoglie le lacrime e la sofferenza dei miseri, «un lamento che la Chiesa ascolta sulla bocca di molti suoi fedeli, ma che essa, fiduciosa nei disegni di quel provvido “Imperator che lassù regna” (If I 124) depone ai piedi del trono di Lui, perchè le bilance della

76 Pio XII, Ai parroci e ai quaresimalisti di Roma, in Atti e discorsi di Sua Santità Pio XII, anno 1942, vol. IV,

Edizioni Paoline, Roma 1955, pp. 20-23: p. 23. (Il testo dell‟allocuzione è stato pubblicato anche sugli Acta

misericordia e delle consolazioni sormontino quelle della giustizia e dei dolori»77.

La spiegazione del Credo Apostolico continua esaminando l‟intercessione dello Spirito Santo che elargisce la sua grazia alla Chiesa in cammino sulla terra e a cui spetta il perdono dei peccati, fino alla vita eterna; quella vita eterna che è poi l‟argomento conclusivo del discorso e quello più ricco di riferimenti e allusioni dantesche:

Chiniamo dunque la fronte, diletti figli, innanzi alla fede; e ciascuno di noi dica a se stesso:

Credo vitam aeternam; quella vita felice che non ha fine. Oggi non è ancora deserta e

disabitata questa «aiuola che ci fa tanto feroci». Oggi ancora l‟uomo è in cammino verso l‟eternità; oggi è il tempo accettevole e di misericordia, di grazia e di remissione dei peccati, di speranza e di salute. Siamo ancora pellegrini verso la patria del Cielo, verso la vita eterna, che il Simbolo ci addita come termine del nostro viaggio nella vita mortale, meta a cui sempre dobbiamo tenere fisso lo sguardo, indirizzare ogni nostro passo e la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore. Eterna sarà anche quella vita immortale, ch‟è la seconda morte degli empi; miseria e pena e tormento senza fine. La vita eterna, per la quale fummo creati ed elevati dalla benignità divina, è gaudio sempiterno, felicità perpetua, ineffabile convivio con gli angeli e coi santi, nella visione aperta di Dio uno e trino78.

Il pellegrinaggio della vita terrena conduce, alla fine, al cospetto di Dio e al suo giudizio, che porterà alla «seconda morte» o alla «visione aperta di Dio», alla dannazione o alla salvezza. Dante, osservatore delle pene, infernali e purgatoriali, e delle gioie paradisiache, fa esperienza indiretta del desiderio della «seconda morte» che hanno i dannati (If I 116-117: «Vedrai li antichi spiriti dolenti, / ch‟a la seconda morte ciascun grida»); fa, inoltre, esperienza diretta della visione di Dio.

Il pontefice continua invitando i sacerdoti a farsi portavoce di questo messaggio e termina con una traslitterazione mutuata dal verso di Dante «verità che tanto ci soblima» (Pd XXII 42), proprio perché ai sacerdoti spetta lo stesso compito di divulgazione del messaggio evangelico che fu di san Benedetto:

77 Ivi, p. 24. 78 Ivi, p. 34.

Additate […] la scienza della salute e la via che conduce al perdono e al bacio di Cristo, al convivio dell‟amicizia divina e del risorgere nel gaudio di un Dio risorto. Siate padri, maestri e medici sapienti e ardenti, che hanno Dio solo nel cuore e il cuore in Dio solo; e Dio largirà alla vostra parola, banditrice della verità scesa dal cielo per lassù sublimarci, quell‟efficacia penetrante e vincente, che è solo vanto e gloria della fede in Cristo, il quale verrà a giudicare i vivi e i morti e a dare a chi lo serve ed ama la vita eterna79.

Quello appena esaminato non è il solo discorso indirizzato ai parroci e i quaresimalisti. Il 23 febbraio 1944 il Santo Padre pronuncia una nuova allocuzione che esordisce proprio con il riferimento alla difficoltà dei tempi; una difficoltà che non ha impedito però a molti sacerdoti di aiutarlo ad alleviare le miserie causate dalla guerra. Per questo il papa è riconoscente, tanto più che essi hanno cercato di sostenere i bisogni dell‟anima attraverso la Parola di Dio trasmessa durante le omelie. Il papa invita i predicatori quaresimalisti a mettere in risalto il ruolo della Chiesa, apostrofata con le perifrasi manzoniane di «madre de‟ santi» e «immagine della città superna», come garante di un ordinamento morale incrollabile. Solo un ordinamento morale che segua i precetti di Dio assicura infatti dignità all‟uomo:

Cosicché solamente se opera entro quell‟ordine, entro quel limite dei dieci comandamenti, la