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L‟UNIVERSO CHE SI «SQUADERNA» E IL «LIBRO DELLA NATURA» TRA DANTE E GALILEO

Dopo la morte di Pio XI, il 2 marzo 1939, il conclave elegge Eugenio Pacelli, che sceglie il nome di Pio XII Proveniente dall‟aristocrazia romana (era infatt

5.1. L‟UNIVERSO CHE SI «SQUADERNA» E IL «LIBRO DELLA NATURA» TRA DANTE E GALILEO

Pontefice di alta cultura, Pio XII si fa promotore dell‟alto valore della ragione umana come mezzo per raggiungere la verità, sia in campo etico che in campo scientifico. Egli considera la natura come il luogo in cui Dio si mostra all‟uomo e come ambito di analisi privilegiato per lo scienziato, il quale deve leggere l‟impronta divina in ogni cosa, senza che la dignità del suo studio venga messa in secondo piano. Papa Pacelli ammira le conquiste del sapere scientifico, addita

1 Cfr. M. Sànchez Sorondo, Servo di Dio Pio XII, in Idem, I papi e la scienza nell’epoca contemporanea, Jaca

il legame di queste con l‟eterno, incoraggia gli studiosi, i filosofi, i ricercatori, ai quali si rivolge parlando il loro linguaggio, quasi da pari a pari, in quanto “scienziato” lui stesso come membro onorario dell‟Accademia Pontificia2.

L‟interesse per la scienza è un punto nodale nel magistero di papa Pacelli e si può ben comprendere solo illustrando la situazione della cultura contemporanea, di cui il pensiero scientifico è sicuramente l‟ambito più problematico. Non a caso sono i discorsi a valenza “scientifica” quelli in cui si cita maggiormente la fonte dantesca.

È soprattutto contro la deriva del pensiero cattolico che il pontefice prende ferma posizione, confermando l‟adesione della Chiesa al sistema tomista e rinnegando, sulla scia del predecessore Leone XIII e della Aeterni patris, le concezioni filosofiche eterodosse e sincretiche3. Il 12 agosto del 1950 Pio XII divulga l‟enciclica Humani generis (punto di arrivo del suo magistero in materia teologica e filosofica), poiché ritiene necessario intervenire per porre ordine nel pensiero cattolico, dal momento che alcuni teologi e filosofi hanno cominciato a mettere in dubbio le posizioni del magistero papale, contravvenendo alle indicazioni del Concilio Vaticano I, che avevano stabilito per ogni credente le piena fedeltà al dettato del papa. Il documento rivaluta fortemente la ragione umana, capace e degna di comprendere, seppure solo in parte, Dio e la sua esistenza. L‟intelletto umano, che per sua naturale predisposizione cerca la verità, può spesso imbattersi in problematiche che trascendono la logica, per questo è necessario che si presti fede alla rivelazione, che può ben indicare quale sia il comportamento morale più giusto. Molte scuole filosofiche dell‟epoca, però, sostiene il pontefice, negano la naturale propensione della ragione umana a ricercare la verità ultima e trascinano gli uomini nell‟errore. Pio XII elenca dettagliatamente i sistemi di pensiero che si discostano dalla fede cattolica e che

2 Cfr. G. Caprile, Profilo di Pio XII, «La Civiltà Cattolica», quad. 2553 (1956), pp. 314-321: p. 318. 3 Cfr. A. Gemelli, Presentazione, «Rivista di filosofia neoscolastica», n. 1 (1951), pp. 1-2.

per questo sono considerati aberranti: sono l‟evoluzionismo, il comunismo, il materialismo dialettico, l‟esistenzialismo e lo storicismo4.

Ancor più nocivo è il relativismo di pensiero che permea la cultura contemporanea e porta al rifiuto di verità ferme e incrollabili. Questo ha causato la perdita, per il Novecento, non solo delle più importanti virtù religiose, ma anche dei fondamentali valori umani; la mancanza di fede nelle verità soprannaturali ha avuto come conseguenza il relativismo morale e l‟accettazione di sistemi filosofici irrazionali e «assurdi». Per porre rimedio a questa assenza di moralità è necessario, per papa Pacelli, ritornare ai valori del cristianesimo e recuperare, di conseguenza, un nuovo umanesimo5.

L‟enciclica nasce dalla profonda esigenza di avversare le varie forme di filosofia contemporanea, infarcite di “pensiero debole”6. Il documento però non si prefigge il solo scopo di condannare gli errori e i falsi orientamenti del pensiero contemporaneo; il papa, pur volendo mettere in guardia dai pericoli di una speculazione che si discosta dal magistero della Chiesa, vuole contemporaneamente sottolineare il ruolo attivo che la ragione umana svolge nella ricerca delle verità di Dio7. Parallelamente a questo argomento, si riconosce nuova importanza alla metafisica e viene confermato il ruolo centrale del tomismo8.

Maggiore cruccio del pontefice è constatare che alcuni pensatori cattolici in realtà aderiscono alla parola di Dio per pura forma, non prestando fede alle indicazioni del magistero della Chiesa. E sono gli stessi dotti cattolici che, spinti da «zelo imprudente», propongono una revisione del metodo e dei contenuti teologici, senza la minima approvazione da parte dell‟autorità ecclesiastica e del

4 Cfr. Pio XII, Lettera enciclica Humani generis, «Rivista di filosofia neoscolastica», n. 1 (1951), pp. 4-29: pp.

5-7. Il testo in latino è pubblicato su www.vatican.va.

5 Cfr. A. Gemelli, Il significato storico della Humani generis, «Rivista di filosofia neoscolastica», n. 1 (1951),

pp. 30-40: pp. 30-34.

6 Ivi, pp. 34-35.

7 Cfr. C. Calvetti, Dai commenti alla enciclica Humani generis, «Rivista di filosofia neoscolastica», n. 1 (1951),

pp. 85-90: pp. 88

8 Cfr. F. Olgiati, Rapporti tra storia, metafisica e religione, «Rivista di filosofia neoscolastica», n. 1 (1951), pp.

papa. Implicitamente arrivano, così, a mettere in discussione il principio di autorità che Cristo stesso ha conferito a Pietro e ai sui discepoli e, quindi, ai loro successori9.

In campo teologico queste posizioni eterodosse hanno dato vita a grande confusione, fino a negare la fondatezza delle verità di fede e, per scongiurare il pericolo di una “anarchia” di pensiero, il pontefice addita la strada del tomismo (già mostrata da Leone XIII)10.

Con la Humani generis, quindi, il papa conferma e sottolinea, ancora una volta, la scelta della Chiesa in materia di teologia, confutando espressamente le critiche, mosse da alcuni, che imputavano alla Scolastica la “colpa” di essere solamente il prodotto della mentalità medievale e non un sistema organico e aperto su cui poter impostare anche le nuove acquisizioni scientifiche11.

Prima della conclusione, viene analizzato il rapporto che esiste tra scienza e fede, che è forse il centro nevralgico del documento. Papa Pacelli annota fermamente che certe «questioni», pur appartenendo all‟ambito «delle scienze positive», chiamano in causa anche la religione, specialmente quando si discostano dalle verità di fede della Scrittura e abbracciano teorie che, come l‟evoluzionismo, non sono ancora state chiaramente dimostrate. Questo non vuol dire che il magistero della Chiesa debba radicarsi su posizioni reazionarie, confutando e avversando le nuove scoperte. Eugenio Pacelli, come membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze, di fatto, dimostra profondo interesse per l‟operato dell‟istituzione e per gli argomenti di ricerca esaminati e approfonditi dai suoi membri. Le allocuzioni sulla strutturazione della materia, sulle leggi fisiche che sovrintendono alla distribuzione e alla formulazione dell‟energia, sulla cosmologia e la natura dei corpi celesti, diventano occasioni per riflettere sul rapporto tra scienza e fede12.

9Cfr. Pio XII, Lettera enciclica Humani generis, cit., p. 9.

10 Ivi, pp. 11-17. (Cfr. anche C. Calvetti, Dai commenti alla Enciclica Humani generis, cit.). 11 Ivi, p. 21.

12 Cfr. M. Sànchez Sorondo, Servo di Dio Pio XII, in Idem, I papi e la scienza nell’epoca contemporanea, cit., p.

I discorsi di Pio XII all‟Accademia delle Scienze, pur spaziando sugli argomenti più disparati, finiscono inequivocabilmente per riflettere sulla vastità dello spazio creato, sull‟universo, sede e immagine di Dio. Ed è forse questo il motivo per cui su un totale di nove prolusioni ben cinque contengono riferimenti espliciti alla fonte dantesca, che mascherati sotto la veste di citazioni dotte, in realtà mostrano il palinsesto di una forte rete di allusioni e, quindi, comunione di intenti tra il pontefice e il poeta.

Il 3 dicembre 1939 il papa pronuncia il suo primo discorso all‟Associazione in occasione dell‟inaugurazione del nuovo anno scientifico. Esordisce riferendosi all‟opera del suo predecessore Pio XI, che aveva voluto la costituzione di quell‟istituzione, riformando e dando nuova veste all‟antica e illustre Accademia dei Lincei. La ricerca delle norme regolatrici dell‟universo e lo stupore davanti alla loro perfezione hanno nobilitato la ragione umana, alla quale Dio, creatore del moto degli astri, ha concesso la possibilità di “conoscere”, ma non di comprendere in modo esaustivo, poiché i suoi atti sono sempre un mistero. Così l‟uomo sapiente ha cercato di spiegare e decifrare la natura e lo spirito che la anima, cercando, in ultima analisi, la verità che in ogni cosa si manifesta. L‟uomo brama più di ogni cosa la cognizione della verità e si prodiga con tutto se stesso per conoscerla attraverso ogni sua attività umana, pur nei propri limiti:

L‟arte nostra sagace misura la verità dei nostri arnesi e strumenti, dei nostri apparecchi e congegni, trasforma e incatena e doma la materia, che la natura ci offre, ma non la crea; e deve restare paga a seguire la natura, come il discepolo fa col maestro, del quale imita l‟opera. Quando il nostro intelletto non si conforma alla realtà delle cose o è sordo alla voce della natura, vaneggia nell‟illusione dei sogni, e corre dietro a vanità che pare persona. Onde disse bene il sommo Poeta italiano che «natura lo suo corso prende dal divino intelletto e da sua arte … che l‟arte vostra, quanto puote, segue, come il maestro fa ‟l discente, sì che vostr‟arte a Dio quasi è nipote» (If XI 99-105)13.

13 Pio XII, L’uomo sale a Dio per la scala dell’universo. Discorso per la sessione plenaria dell’Accademia, 3

dicembre 1939, in M. Sànchez Sorondo, I papi e la scienza nell’epoca contemporanea, cit., pp. 71-80: p. 73. Si può leggere lo stesso testo, intitolato Inaugurazione IV anno della Pontificia Accademia delle Scienze, anche su

Atti e discorsi di Sua Santità Pio XII, anno 1939, vol. I, Edizioni Paoline, Roma, 1952, pp. 274-289. La stessa

prolusione è stata pubblicata anche sul sito del Vaticano: Pio XII, Discorso di Sua Santità in occasione della

La possibilità conoscitiva permette all‟uomo di indagare la natura rispettando i limiti posti da Dio, perché l‟uomo non può creare, ma solo interpretare e scoprire. Ad avvalorare il discorso di Pio XII intervengono i celebri versi di Dante che mettono in evidenza la “parentela” dell‟azione umana che interviene sulla natura (arte), collaborando con l‟opera del creatore; essendo il lavoro umano figlio dell‟uomo, esso stesso è, di conseguenza, “nipote di Dio”. L‟utilizzo della fonte è quindi congeniale a ribadire e spiegare, per mezzo della plasticità dell‟immagine poetica, ciò che il pontefice ha già detto.

Se il lavoro umano rende concretamente visibile l‟apporto dell‟uomo alla creazione, a maggior ragione “nipote” di Dio è l‟intelletto, che, in quanto dono supremo del Creatore, conferisce all‟uomo la possibilità non solo di indagare la natura e le sue leggi, ma di arrivare, in parte, alla conoscenza del Creatore stesso. Per questo l‟ingegno umano, libero dagli errori e dai pregiudizi, può comprendere anche la verità metafisica, scoprendo il limite della conoscenza sensoriale. L‟ingegno umano può riconoscere che «la natura è figlia di Dio, misurata nella sua verità dalla mente divina», la quale permette all‟uomo, creatura creata e parte della stessa natura, di comprendere che anche la verità della scienza è figlia della creazione e, quindi, “nipote” di Dio14.

Arte, lavoro, scienza, filosofia e ogni disciplina che coinvolga il pensiero e l‟azione dell‟uomo provengono da Dio e sono figlie dell‟uomo, nipoti di Dio. Il discorso del pontefice allarga il significato della fonte dantesca estendendo la “parentela” divina ad ogni apporto dell‟umanità alla creazione, comprese le scienze fisiche e naturali e la tecnologia.

Lo scienziato è quindi scrutatore della natura ed evocatore della verità che nella natura risiede; seppure abitatore del cosmo, egli è sempre un forestiero, che occupa momentaneamente «la stanza» che Dio gli ha dato. L‟uomo, «divino straniero», pur essendo «delle create cose la più bella», non può limitarsi al contingente, perché la sua «fronte […] guarda il ciel e al cielo tende». E qui il

pontefice innalza il tono della sua allocuzione: per esprimere la grandezza dell‟uomo, creatura suprema di Dio, non basta la prosa, serve la poesia, e dunque egli recupera due fonti diverse, ma che si compensano. Cita per primo alcuni versi del carme La bellezza dell’universo di Vincenzo Monti, che intervengono per delineare la grandezza dell‟uomo: «Ancor dell‟alta origine divina / i sacri segni riconosco; ancora / sei bello e grande nella tua rovina» (vv. 223-225). E continua il suo discorso evidenziando il percorso di ascesi dell‟uomo verso l‟Altissimo, un percorso che, partendo dalla terra sale per gradi fino al cielo e si ferma davanti alla vastità dell‟universo. Qui è la sede simbolica del Paradiso, dove il pensiero umano, scientifico e filosofico, non può far altro che cedere il passo all‟adorazione mistica. Ciò che il pontefice sta mettendo in evidenza è un percorso simile a quello compiuto da Dante, che conclude, infatti, il suo viaggio verso Dio con la visione suprema, avvertita per immersione mistica, per contemplazione, e non per procedimento speculativo.

Dall‟adorazione, prosegue Pio XII, scaturisce la gioia del conoscere e del sapere, la gioia di percepire «anche poco, dello smisurato pelago di verità che ci circonda, noi vaganti nelle navicelle della nostra vita con la bussola del nostro ingegno».Torna la metafora purgatoriale della navigazione, tanto cara a tutta la cultura classica, e che il papa non può ignorare, dal momento che, mentre pronuncia questo discorso agli accademici, ha in mente esattamente il percorso conoscitivo che è alla base della Commedia. Papa Pacelli, in effetti, sta parlando di una conoscenza che partendo dal dato creato, si innalza a Dio e alle cose divine, illustra un sapere scientifico che ricava il proprio significato da una prospettiva escatologica, perché effettivamente permette all‟uomo di conoscere Dio attraverso l‟indagine della natura.

Chi indaga i fenomeni del cielo arriva necessariamente a Dio e in Lui trova la sua gioia. Pio XII definisce l‟indagine scientifica come una «crociera intellettuale», che può anche presentare il rischio di naufragio. A suggellare il concetto interviene la citazione di Pd XIII 121-123: «Vie più che ‟ndarno da

riva si parte, / perché non torna tal qual e‟ si move, / chi pesca per lo vero e non ha l‟arte», affidata al discorso di san Tommaso sulla sapienza15. Peggiore della non conoscenza della verità e degli strumenti per giungere ad essa è la presunzione di chi crede erroneamente di essere nel vero: inutilmente si allontana dalla riva il pescatore che crede di saper pescare, ma in realtà non è in grado di farlo.

La ricerca del vero nella natura è la strada autentica che permette al pensiero umano di progredire. Gli scienziati contemporanei possono temprarsi seguendo le tracce dei grandi del passato, indagando con il loro stesso ardore, perché «poca favilla gran fiamma seconda» (Pd I 34)16. Il verso dantesco, usato come citazione proverbiale, è congeniale a rafforzare il concetto: alle scoperte antiche seguono quelle nuove, che migliorano le condizioni di vita e arricchiscono il sapere; un sapere che, però, si fonda sempre su quella «poca favilla» degli antichi e che può «gran fiamma» “secondare” se indirizzato nella maniera giusta.

L‟uomo può così elevare la propria conoscenza fino al cielo per dono di Dio:

Questa meravigliosa elevazione che fa l‟uomo nel cielo sopra le città e le pianure e i monti del globo a Noi pare che Dio l‟abbia concessa all‟ingegno umano nel nostro secolo per rammentargli una volta di più come da «l‟aiuola che ci fa tanto feroci» (Pd XXII 151) l‟uomo possa ascendere a Dio per quella medesima via per la quale discendono le cose; cosicché, mentre tutte le perfezioni delle cose discendono ordinatamente da Dio, sommo vertice degli esseri, l‟uomo invece, cominciando dalle inferiori e salendo di grado in grado, possa avanzarsi nella conoscenza di Dio, prima causa, sempre più nobile di ogni suo effetto17.

La terra, apostrofata dantescamente come piccola aiuola, si pone in antitesi con l‟universo, che può essere conosciuto e scrutato dall‟uomo seguendo, come già si è detto, un percorso di risalita dal dato fisico a quello metafisico. L‟obiettivo di questa ricerca è la verità; per questo la Chiesa affianca, appoggia e incoraggia lo studio scientifico che spiana la strada al progresso.

15 Ibidem. 16 Ibidem. 17 Ivi, p. 75.

Ogni scienza umana, nell‟ottica del papa, è al servizio di Dio, poiché l‟uomo dispone di due «libri» che contengono e illustrano gli stessi princìpi e che si pongono le stesse finalità: «nel quaderno dell‟universo» l‟intelletto umano studia le «cose buone fatte da Dio»; «nel quaderno della Bibbia e del Vangelo» la ragione cerca e indaga «l‟intimo mistero di Dio». L‟uomo ricerca nella natura e nella fede una medesima verità che possa dare significato alle cose, e la Chiesa si fa maestra di questo percorso di scoperta e studio18.

L‟uso della metafora galileiana del libro della natura si ripropone per ribadire la stessa concezione di Galileo, che affermava la non contraddizione tra fede e ragione, e viene arricchita dall‟immagine dantesca del “quaderno dell‟universo” di Pd XXXIII 85-87 («Nel suo profondo vidi che s‟interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l‟universo si squaderna»), secondo la quale la natura creata si ricapitola in Dio e da Lui riceve il suo valore escatologico. Infatti, il concetto fondamentale attorno a cui ruota non solo questo discorso, ma tutto il magistero di papa Pacelli in materia scientifica afferma la non contraddizione tra fede e ragione, perché lo stesso «sigillo di verità non è diversamente da Dio impresso nelle fede e nella ragione». Fede e ragione si compensano: «la retta ragione dimostra i fondamenti della fede e il suo lume ne chiarisce i termini, e la fede preserva da errori la ragione»19.

Il discorso del pontefice prosegue paragonando l‟assise degli scienziati moderni agli «spiriti magni» rappresentati nell‟affresco di Raffaello La scuola di Atene, dove i grandi sapienti discutono sulle verità ultime delle cose e sul significato della vita e del creato. Questi grandi uomini sono animati dalla sete di conoscenza (che tuttavia non può che rimanere implacata), perché avvertono in loro «uno spirito immortale che li sospinge in alto, ma non sentono lo spirito che vivifica e dà loro le ali al volo». Ai grandi del passato è concesso un “volo”, forse più simile a quello dell‟Ulisse infernale che a quello del Dante paradisiaco, perché a loro manca la possibilità di ritornare alla fonte della verità suprema, che

18 Ivi, p. 76. 19 Ibidem.

ignorano. Al dipinto “pagano” si oppone La disputa del Sacramento, che mostra la vera conoscenza, il “volo” supremo di ritorno a Dio, attraverso i gradi segnati dal santo aquinate:

Nel disegnare queste due viventi scene pare che il genio di Tommaso d‟Aquino abbia guidato la mano di Raffaello, additandogli i tre gradini della conoscenza riguardo a Dio: il primo raffigurato nell‟accolta delle scienze, per cui l‟uomo sale dalle creature a Dio col solo lume naturale della ragione; il secondo, simboleggiato nell‟altare del Sacramento, sintesi e centro della verità divina trascendente l‟umano intelletto e discendente poi quaggiù per modo di rivelazione presentata alla nostra credenza; il terzo, svelato nell‟apparizione della corte celeste intorno a Dio allo sguardo della mente umana, sollevata a vedere perfettamente le cose rivelate. Dalla scienza alla fede; dalla fede alla visione intuitiva della prima e somma verità, fonte di ogni verità20.

Il discorso sulla scienza si arricchisce dell‟apporto della teologia scolastica, che identifica la possibilità di indagare la natura come il primo stadio per la conoscenza divina, cui fa seguito la fede che conduce alla visione, dantescamente intesa.

E che il pontefice stia alludendo a Dante è confermato dalla parte seguente dell‟allocuzione, che è quasi una parafrasi dell‟esperienza trasumanante del poeta:

Oh quando ci sarà dato di elevarci lassù a essere discepoli di tanto Maestro, e contemplarlo e udirlo; e alla sua ineffabile scuola e nella sua luce divina, con l‟occhio dell‟anima, conoscere il magistero e l‟arte, le cagioni e gli effetti, la materia, le formazioni e l‟ordine di quanto è sparso e compreso nel cielo e nella terra, di quanto è mondo e natura; e nel volume dell‟eterne e infinite idee del Verbo divino intendere tutto, nell‟attimo di uno sguardo, più di quel che faremmo in mille anni di studio, e meglio che se possedessimo l‟acume di tutti i più forti ingegni della terra, e più perfettamente che se mirassimo le cose in se stesse!21