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PIO XI, IL CANONE DELL‟IMITAZIONE E LA ROMANITÀ DELLA CHIESA

L‟occasione della ricorrenza centenaria aveva fornito a Benedetto XV la possibilità di celebrare il poeta di Firenze come vanto della Chiesa cattolica e suo figlio prediletto. Sulla sua scia, sebbene in modi differenti, si colloca il riuso che dell‟opera dantesca fa Pio XI attraverso un ricco corredo di citazioni disseminate nei suoi documenti ufficiali (in cui ricorrono anche, accanto alla Scrittura, il testo di Manzoni e Zanella). Pare infatti che Achille Ratti avesse larga confidenza con il testo dell‟Alighieri e si dedicasse alla sua lettura durante le ore di riposo dai suoi studi e nei momenti di pausa durante il suo lavoro da bibliotecario1. Divenuto papa egli continua a coltivare questo suo interesse; non a caso conserva sempre sul suo scrittoio la Sacra Scrittura, il Codice di diritto canonico, una copia di Dante e dei Promessi Sposi, insieme all‟Annuario Pontificio2. Padre Agostino Gemelli ci dà testimonianza della sua frequentazione con l‟opera dantesca e ricorda che «molte volte, anzi quasi ad ogni udienza» il pontefice gli recitava «a memoria delle strofe, delle terzine […] di Dante»3. Luoghi della Commedia intervengono spesso a supportare il suo magistero, che si fonda sulla ferma volontà di riportare il mondo a lui contemporaneo alla «vocazione soprannaturale», continuando l‟opera di chi lo aveva preceduto sul soglio pontificio4.

La missione del pontificato di Achille Ratti è quella di ricondurre gli uomini a Cristo e lavorare per il raggiungimento di una nuova pace sociale, servendosi di ogni mezzo disponibile. Il primo fra tutti, in accordo con Leone XIII, Pio X e Benedetto XV, è quello offerto dalla cultura universitaria. Ratti, ancor prima

1 Cfr. A. Gemelli, La grandezza storica di Pio XI, «Vita e Pensiero», n. 3 (1939), pp. 99-117: p. 103.

2 Cfr. A. Gemelli, Il cattolicesimo unico ostacolo contro l’invasione del comunismo secondo l’insegnamento di

Pio XI, «Vita e Pensiero», n. 10 (1936), pp. 451-459: p. 458.

3 Cfr. A. Gemelli, La grandezza storica di Pio XI, cit., p. 114. 4 Ivi, pp. 100-101.

della sua elezione alla cattedra di Pietro, viene inviato da papa Della Chiesa a pronunciare il discorso inaugurale del primo anno accademico dell‟Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che lui considerava istituzione necessaria per promuovere una nuova unità del sapere, fondata sui valori del cattolicesimo e sul presupposto che tutto il creato è opera di Dio e che, quindi, tutta la conoscenza si può ricondurre alla fede. Lo studio della scienza e di ogni disciplina del sapere è necessario, appunto perché, se approfondito, apre alcuni spiragli per la conoscenza del mistero divino e, partendo da Dio, giunge a spiegare e a ricercare i significati più reconditi dell‟animo umano5.

L‟idea di fondare una Università cattolica era nata a Milano nel 1897, durante il XV Congresso Cattolico italiano, ma il progetto non era mai stato realizzato a causa dalla violenza della politica scolastica anticlericale. Solo successivamente, grazie al nuovo clima di dialogo tra Stato e Chiesa, nel 1921, sotto il pontificato di Benedetto XV, si inaugura, nel capoluogo lombardo, l‟Università Cattolica del Sacro Cuore, il cui compito è quello di divulgare un nuovo sapere scientifico e filosofico che non ignori la fede in Dio6.

L‟attenzione per la conoscenza e la passione metodica e meticolosa per la cultura sono i tratti distintivi del temperamento di Achille Ratti, rinvigorito dagli studi severi, dall‟abitudine alla ricerca e all‟analisi di documenti antichi e moderni, e dal suo incarico di bibliotecario. Egli lavora prima presso l‟Ambrosiana, dove approfondisce per ben ventisei anni la ricerca filologica7, e poi, per un breve periodo, presso la Vaticana, adoperandosi non solo per accrescere il patrimonio librario, ma anche per migliorarne la fruibilità attraverso fotoriproduzioni (ed è importante in questa sede sottolineare il suo impegno per divulgare la conoscenza di alcuni codici danteschi istoriati)8. I lunghi anni di lavoro passati a riorganizzare la biblioteca Ambrosiana educano

5 Ibidem.

6 Cfr. P. Bondioli, Pio XI e l’alta cultura, Pio XI e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, «Vita e Pensiero», n.

6-7 (1928), pp. 432-440. Cfr. anche l‟articolo redazionale intitolato Al nuovo pontefice Pio XI, «Vita e Pensiero», n. 103 (1922): pp. 65-66.

7 Cfr. G. Galbiati, Achille Ratti all’Ambrosiana, «Vita e Pensiero», n. 6-7 (1928), pp. 472-481: p. 472. 8 Cfr. G. Borghezio, Pio XI e la Biblioteca Vaticana, «Vita e Pensiero», n. 6-7 (1928), pp. 441-449: p. 446.

Achille Ratti all‟attenzione critica e alla cura filologica con particolare predilezione per i classici. È probabilmente questa dimestichezza con i libri e gli studiosi ad aver sviluppato nel futuro pontefice la capacità di affrontare ogni tematica in aperto dialogo con la società contemporanea9.

Questo suo amore per lo studio e questa sua grande attitudine alla ricerca non vengono meno durante gli anni del pontificato e servono come sostrato per realizzare il suo intento programmatico di restaurare la vita sociale sulla base degli insegnamenti cattolici, prestando maggiore attenzione al trascendente10. Pio XI, infatti, rivendica alla Chiesa cattolica il diritto di educare la società, portando a compimento il progetto di restaurazione del tomismo (ambito da Leone XIII), la sconfitta delle posizioni moderniste eterodosse (ottenuta da Pio X) e il programma di educazione della società alla pace (intrapreso da Benedetto XV)11.

Accanto alla volontà di rifondare una società nuova, fedele ai valori del cattolicesimo, si colloca il progetto di risolvere definitivamente la “questione romana” mettendo fine alla lunga polemica tra Stato laico e Chiesa cattolica. Si deve a lui la “conciliazione” ottenuta con i Patti Lateranensi che, oltre all‟importante significato politico, segnano un punto di svolta nella società del primo Novecento, animata da vasti dibattiti sulle varie espressioni di quel pensiero laico che aveva sempre rifiutato la Chiesa, sia come organismo politico, sia come istituzione sociale e culturale. Il riconoscimento, da parte dello Stato italiano, della sovranità della Chiesa e del suo potere spirituale è una delle conquiste di papa Ratti12.

Con i Patti Lateranensi nasce la Città del Vaticano, indipendente dal governo dell‟Italia, e per la prima volta dal 1870 la Santa Sede riconosce lo Stato italiano, con Roma capitale e il cattolicesimo come religione ufficiale13. In

9 Cfr. S. Vismara, L’attività scientifica del cardinale Ratti, «Vita e Pensiero», n. 99 (1921), pp. 577-587. 10 Cfr. A. Gemelli, La grandezza storica di Pio XI, cit., pp. 102-103.

11 Ivi, p. 106.

12 Ivi, p. 111. Per approfondimento si legga anche: F. Pacelli, L’opera di Pio XI per la conciliazione con l’Italia,

«Vita e Pensiero», n. 10 (1929), pp. 611-626.

questo modo si pongono le basi per smorzare quella polemica anticattolica che una parte laica aveva propagandato. Alla Chiesa viene riconosciuta la libertà di guidare le anime esercitando il proprio potere spirituale, rispondendo ad una esigenza che si era resa esplicita già nelle encicliche sociali di Leone XIII. La

Ubi arcano Dei consilio di papa Ratti, che precede la firma dei Patti

Lateranensi, di fatto non fa altro che ribadire l‟antica concezione della divisione dei poteri e di quella collaborazione, ai fini della felicità dell‟uomo, che era stata ben espressa da Dante nel suo trattato politico. I due poteri pur nettamente distinti e sovrani nei loro rispettivi campi di interevento, quindi non interscambiabili e sovrapponibili, e per questo non in contrasto tra loro, non possono però essere indifferenti l‟uno all‟altro, perché l‟interesse di entrambi è l‟uomo. Devono piuttosto cooperare; e questo è possibile solo se vi è il reciproco riconoscimento di diritti e doveri e la divisione delle sfere di intervento14.

I due poteri collaborano tra loro al servizio dell‟uomo ed entrambi hanno sede nella città che, nell‟ottica papale, la Provvidenza ha scelto come luogo fisico di residenza, ovvero Roma, la città del martirio di san Pietro e l‟antica capitale dell‟Impero di Augusto, centro propulsivo del cristianesimo e centro politico per eccellenza. Sia nei documenti che precedono il 1929, sia in quelli successivi, la città capitolina assurge a simbolo del potere religioso: ne è quasi l‟incarnazione, e si mostra, quindi, come figura della città di Dio, secondo la più canonica delle interpretazioni dantesche. Infatti, l‟affermazione della romanità di Cristo, che Beatrice pronuncia in Purgatorio vaticinando al poeta il suo ingresso e la sua permanenza «in quella Roma onde Cristo è romano»15, è una delle più frequenti tra le citazioni dantesche di papa Ratti. Un primo riscontro testuale si trova nel discorso, indirizzato ai predicatori quaresimalisti, del 27 febbraio del 1922 (pronunciato pochi giorni dopo l‟elezione al soglio di Pietro, avvenuta il 6 febbraio di quello stesso anno). Questo documento mostra come il pontificato di

14 Cfr. F. Olgiati, Un documento a ricordo della Conciliazione, «Vita e Pensiero», n. 2 (1940), pp. 51-56: p. 51-

55.

Pio XI si delinei, sin dai suoi esordi, all‟insegna dell‟affermazione della romanità del pontefice. Difatti, il Santo Padre, dopo essersi congratulato con i presenti per l‟opera di evangelizzazione svolta ed aver sottolineato il loro ruolo di annunciatori delle verità di Dio, nota che la loro missione evangelizzatrice deve partire proprio dalla città eterna: «tale magnifica missione […] è la vostra, in questa Roma, che è cuore e centro della cristianità, in questa Roma, onde anche Cristo è romano»16. Il riferimento al verso del Purgatorio sottolinea il valore dell‟Urbe come città di Dio, perchè sede del vicario di Cristo in terra e, cioè, città del papa; non a caso, di lì a pochi anni, sarà riconosciuta dalla Santa Sede come capitale del regno d‟Italia, oltre che, con la nascita dello Stato Vaticano, come sede pontificia.

Il 24 maggio dello stesso anno vengono ricevuti a Roma i partecipanti al 26° Congresso Eucaristico Internazionale, primo di una nuova serie, dopo la guerra appena conclusa. La superbia dei popoli in conflitto ha relegato Dio lontano dalla società e l‟unico rimedio per garantire una pace duratura è tornare a Gesù nella forma sacramentale dell‟Eucaristia. Il luogo da cui partire, centro propulsore di questo ritorno alla devozione al Santissimo Sacramento, non può che essere la città capitolina, «questa Roma onde Cristo è romano; in questa Roma, che, perciò appunto, è la patria di tutte le anime cristiane dovunque esse si trovano, sotto qualunque latitudine preghino». Dalla città eterna, prefigurazione e anticipazione della città di Dio, il papa, che di essa è il cittadino più illustre, proprio perché successore di Pietro, invita a lavorare per la pace, acché tutti gli uomini si impegnino per rieducare la collettività ai valori religiosi17.

La romanità di Cristo e la concezione di Roma, già dantesca e fatta propria da Achille Ratti, quale centro pulsante del cristianesimo e “figura” della città

16 Cfr. Pio XI, Ai Quaresimalisti di Roma, in Discorsi di Pio XI a cura di D. Bertetto, vol. 1, Libreria editrice

internazionale, Roma 1960, pp. 6-7: p. 6. Lo stesso discorso è stato pubblicato sull‟«Osservatore romano», 27-28 febbraio 1922, n. 49, p. 3, col. 3.

17 Cfr. Pio XI, Per il XXVI Congresso Eucaristico Internazionale, in Discorsi di Pio XI, vol. 1, cit., pp. 12-15: p.

divina, è un motivo ricorrente del magistero del pontefice; proprio per questo scivola da un contesto all‟altro e spesso compare nei discorsi indirizzati ai più svariati interlocutori. Durante l‟udienza concessa ai professori e agli alunni dell‟Università Pontificia Gregoriana, il 21 novembre del 1922, il pontefice manifesta la propria gioia di incontrare coloro che impiegano il proprio tempo e le proprie energie nella ricerca, difficile e complessa, della verità al servizio di Dio e per la divulgazione degli insegnamenti del Vangelo. E il compiacimento di Pio XI aumenta nel constatare che il loro lavoro si svolge concretamente nella città eterna:

La vostra presenza ci dice che la vostra suprema aspirazione […] è la vostra formazione romana. Che questa romanità, che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande poeta […], perché poeta della filosofia e della teologia cristiana, proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l‟opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli. […] Venuti da tutte le parti e rappresentanti di tutte le genti, tornerete alle vostre genti, porterete loro il saluto di Roma e l‟amore di Roma […] portando con voi la benedizione del papa e con essa la benedizione dello stesso Cristo Gesù18.

Il discorso, che è di chiara derivazione dantesca, a mio avviso illustra ampiamente il motivo della romanità, proprio in virtù dell‟investitura che la città del martirio di Pietro riceve in quanto “anticipazione” della città eterna e, quindi, luogo dell‟anima a cui nessuno è estraneo e a cui tutti gli uomini di fede appartengono. Lo stesso concetto di romanità, con le varie ed articolate implicazioni teologiche e politiche, era già stato espresso nella Commedia con l‟identificazione della Roma Celeste con l‟Empireo, nel superamento del dato scritturistico secondo cui a prefigurare il Paradiso era la Nuova Gerusalemme. Tale identificazione assume un grandissimo valore, storico ed esistenziale, se si considera che Pio XI è il firmatario dei Patti Lateranensi e quindi l‟autore della conciliazione del Papato con la Chiesa e del riconoscimento di Roma capitale: cuore della vita politica dello Stato italiano e Sede del Papa. La città capitolina è

18 Cfr. Pio XI, Ai professori ed alunni dell’Università Gregoriana, in Discorsi di Pio XI, vol. 1, cit., pp. 58-60: p.

il massimo simbolo dell‟armonia tra gli uomini; un‟armonia che, in ultima analisi, coincide con la beatitudine eterna; se la città terrena vive in pace, allora diventa simbolo della città di Dio: «Roma in cui Cristo è romano».

Lo stesso riscontro testuale si ritrova nell‟udienza del 21 aprile 1924, riservata ad un gruppo di studentesse polacche; qui l‟invito ad amare sempre la religione richiama alla mente le parole del Vangelo in cui Gesù investe Pietro del mandato di guida della sua Chiesa. Il Santo Padre ribadisce, ancora una volta, lo stretto legame che intercorre tra cattolicesimo e romanità:

Non si è pienamente cattolici se non si è romani, ossia figli di questa Chiesa Romana, di cui il capo sempre presente nel suo Vicario è Cristo, che perciò romano anche Egli. È vero che quando Dante dice Cristo romano parla di un‟altra Roma, la Roma celeste, il Paradiso; tuttavia resta sempre vero che è da qui, da questa Roma terrena che Egli comincia a essere romano, facendo di Roma la sua sede nella persona del Suo Vicario19.

Secondo Pio XI, la città terrena di Roma non solo ha valore sacro in quanto simbolo della città di Dio, ma diventa sede concreta di Cristo romano nella persona del pontefice, vicario di Gesù e romano proprio in virtù della romanità del Figlio.

La stessa citazione figura nel saluto rivolto, il 15 febbraio del 1925, ai pellegrini di Cremona, convenuti per il giubileo. In questa occasione il pontefice indica la città capitolina come patria eletta per tutti i cristiani, poiché vi risiede il Santo Padre e vi è la sepoltura del primo degli apostoli. Un legame profondo lega Roma alla Chiesa e il papa a Roma (come già Dante aveva espresso nella sua poesia, seppure in senso leggermente diverso) proprio perché la città del martirio di san Pietro è la stessa in cui la comunità dei credenti trova il suo centro, ha il suo cuore. E proprio laddove è il cuore della comunione ecclesiale c‟è Cristo; e in questo senso «Cristo è romano»20.

19 Pio XI, Alle studentesse della Polonia, in Discorsi di Pio XI, vol. 1, cit., pp. 232-234: p. 233. Si può leggere lo

stesso discorso anche sull‟«Osservatore romano», 24 aprile 1924, n. 96, p. 3 col. 2-3.

20 Cfr. Pio XI, Al pellegrinaggio cremonese, in Discorsi di Pio XI, vol. 1, cit., pp. 246-349: p. 348. La stessa

La romanità di Cristo e del papa suo vicario è ribadita, sempre con l‟ausilio della citazione dantesca, anche durante l‟udienza concessa agli universitari cattolici di Roma, il 23 marzo 1926. Dopo aver manifestato la propria gioia per il Circolo cattolico degli universitari, giunto ormai al trentesimo anno dalla fondazione, il papa riflette sull‟importanza dello studio inteso non solo come indagine sulle realtà fisiche, ma anche come ricerca delle verità metafisiche che appartengono al mistero di Dio e che racchiudono un messaggio di amore per l‟intera umanità. Proprio agli universitari, e a quelli del Circolo Romano in modo speciale, spetta il compito di divulgare nella società le verità di Dio per mezzo della parola e dell‟esempio. Il pontefice, infatti, coglie l‟occasione a partire dal nome del Circolo (appunto Circolo Universitario Romano) per riflettere ancora una volta sulla romanità. In questa occasione l‟ipertesto dantesco è utile a mettere in risalto lo stretto rapporto tra la Roma terrena e quella celeste, Nuova Gerusalemme, dal momento che «nella mente del divino poeta la visione della Roma del regno celeste è immagine della Roma del regno terrestre», sicché questa identità tra città terrena e città divina mostra in parallelo la vicinanza tra Cristo e il suo vicario in terra allorquando in Bonifacio VIII21 vede rinnovate le umiliazioni della Passione:

Non è lui [Dante] che nel Pontefice romano vede «Cristo esser catto»? Non è lui che nel luogo del Pontefice romano vede il luogo di Cristo? In questo vostro bel nome di romani si contiene dunque tutto ciò che si esprime nella vostra professione di fede, nei vostri propositi di vita individuali, che poi si traducono nel beneficio prezioso del vostro apostolato22.

Qualche anno dopo, il 27 dicembre del 1933, l‟incontro del papa con un gruppo di studenti asiatici, giunti al Vaticano in occasione di un congresso, offre una nuova possibilità per ribadire l‟importanza della romanità e sottolineare

21 Cfr. la terribile premonizione dell‟oltraggio di Anagni pronunciata da Ugo Capeto (Pg XX 82-93): «O

avarizia, che puoi tu più farne, / poscia c‟ha‟ il mio sangue a te sì tratto, / che non si cura de la propria carne? /

Perché men paia il mal futuro e ‟l fatto, / veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser

catto. / Veggiolo un‟altra volta esser deriso; / veggio rinovellar l‟aceto e ‟l fiele, / e tra vivi ladroni esser anciso. /

Veggio il novo Pilato sì crudele, / che ciò nol sazia, ma sanza decreto / portar nel Tempio le cupide vele».

22 Cfr. Pio XI, Agli universitari cattolici di Roma, in Discorsi di Pio XI, vol. 1, cit., pp. 558-562: p. 561. Il testo è

nuovamente il legame tra la città eterna e il papa. Il pontefice è romano per elezione, proprio perché cittadino non solo della Roma dantesca che si identifica con il Paradiso, ma, in modo particolare, della Roma terrena. Si può dire, quindi, che «Cristo è romano», perché il papa, cittadino dell‟Urbe, è vicario di Cristo23. L‟ultimo discorso dedicato alla romanità è quello indirizzato ai giovani del Collegio “Propaganda fide”, convenuti a Roma il 14 agosto 1935. Grande è il compiacimento del pontefice per la possibilità di accogliere, paternamente nella sede che gli è propria, quella famiglia di giovani cattolici. In quanto appartenenti a varie nazioni, questi ragazzi manifestano l‟universalità del cattolicesimo. La loro scelta di farsi missionari tornando verso le case natìe, nei vari paesi del mondo che hanno ancora bisogno di ricevere l‟annuncio del Vangelo, li rende «apostoli della verità cattolica romana, perché dire spirito romano» coincide con la possibilità di esprimere «quello spirito particolare, di cui il Redentore ha voluto che il suo Vangelo […] fosse permeato, perché è stato Egli a fare di Roma il centro della sua fede. Si è potuto così, con profonda verità, dire: “Quella Roma onde Cristo è romano”, non fosse altro perché romana è la persona del suo Vicario e la sua Sede è Roma»24.

Oltre che amante della letteratura e degli studi filologici, Pio XI fu mecenate delle scienze fisiche e naturali, consacrate attraverso la fondazione della Pontificia Accademia delle Scienze, che si prefigge il compito di riflettere sui rapporti tra scienza e religione, riconoscendo a quest‟ultima il ruolo di guida nel variegato panorama del sapere. Ogni disciplina, infatti, è parte della conoscenza globale, che va indagata con i propri metodi specifici, senza che però venga