Si può affermare che in Arabia Saudita la libertà di espressione e di informazione è duramente limitata. Questa condizione potrebbe essere ricollegabile al fatto che, nel panorama del mondo arabo, l’Arabia Saudita rappresenta un elemento di peculiarità in quanto il sistema giuridico e normativo si basa prevalentemente sulle fonti di tipo religioso.204 In effetti, nel paese culla dell’Islam la Shari’a
costituisce la fonte giuridica principale.
Analizzando il testo del rapporto del 26 dicembre 2013 della Universal Periodic Review riguardante la situazione del paese, è possibile osservare che la libertà di espressione sia un concetto piuttosto relativo.205
L’ONG dei Reporters Without Borders ha condotto numerose inchieste per quanto riguarda la situazione della libertà di espressione e di stampa in Arabia Saudita. Lo scorso ottobre, l’organizzazione ha manifestato la sua preoccupazione per il peggioramento della situazione nel paese, anche a seguito dell’uccisione del giornalista saudita Jamal Kashoggi, episodio che va a sommarsi ai più di 15 casi di giornalisti arrestati nel paese nell’arco di un anno. L’indice relativo alla libertà di stampa elaborato da Reporters Without Borders vede il paese posizionarsi al 169 posto, proprio a causa degli abusi e atti di violenza nei confronti dei giornalisti, oltre alla censura dei mezzi di comunicazione e informazione.
Si sostiene che la situazione saudita sia andata peggiorando soprattutto dal momento in cui il principe ereditario della Corona Mohammad bin Salaman è stato nominato vice primo ministro nel giugno del 2017. In effetti, nel paese non sono ammessi né media né partiti politici indipendenti. Il livello di censura appare estremamente elevato e Internet sembra essere l’unico spazio virtuale dove le informazioni possono circolare pseudo-liberamente, in quanto sia i cittadini che i giornalisti autori di eventuali post ritenuti non conformi dalla Monarchia incorrerebbero in grossi rischi. Tale affermazione è resa possibile dal fatto che essi sono sottoposti ad uno stretto controllo da parte delle autorità, pertanto possono essere arrestati in ogni momento secondo le disposizioni previste dalla legge anti-terrorismo o da quella contro i cyber crimini.206
I principali capi di accusa sono infatti la blasfemia, insulti alla religione, l’incitamento al caos e la diffamazione nei confronti dello Stato e del Monarca.
204Valentina M. Donini, Deborah Scolart, La Shari’a e il mondo contemporaneo, Roma, Carocci Editore,
2015, p. 160.
205Report of the Working Group on the Universal Periodic Review, Saudi Arabia, doc. A/HRC/25/3 del 26
Dicembre 2013, p. 13.
Partendo dalla nuova Legge Anti-terrorismo, entrata in vigore a partire dal 1° novembre 2017, è possibile riscontrare che tale norma, composta da 96 articoli, ai sensi del numero 30 dispone che chiunque commetta atti diffamatori, impliciti o espliciti, criticando il Re o il Principe Ereditario, la loro religione e giustizia è ritenuto perseguibile con una reclusione da 5 a 10 anni. Ciò sarebbe reso possibile in quanto la norma presenta una definizione piuttosto lacunosa di “terrorismo/atti terroristici”, lasciando ampio margine di interpretazione alle autorità.207
Tale norma permetterebbe quindi numerosi abusi e violazioni delle leggi internazionali in materia di diritti umani, andando a ledere in particolar modo la libertà di espressione dei cittadini.
Anche la Legge sulla Stampa del 2000 è particolarmente restrittiva. In effetti, gli articolo 3 e 4 stabiliscono che i materiali stampati devono necessariamente richiamare all’Islam, negando qualsiasi tipologia di attività quale pubblicazione di libri, fotografia, produzione artistica, teatrale, televisiva, radiofonica, duplicazione, distribuzione e pubblicazione di materiali, non autorizzate delle autorità. L’articolo 8 sancisce la libertà di espressione, limitata dai criteri sciaraitici, i quali stabiliscono che il materiale in oggetto non deve incitare la diffusione del dissenso fra i cittadini o incoraggiare a commettere crimini di nessun tipo. Anche le pubblicazioni estere sono meticolosamente controllate e approvate soltanto previa verifica dei loro contenuti da parte delle autorità competenti.208
A tal proposito, l’organizzazione RSF ha elaborato un rapporto sulle modalità con le quali il governo saudita boicotterebbe le informazioni dei media stranieri al fine di proiettare internazionalmente un’immagine positiva della monarchia.209 Tali meccanismi sono stati portati alla luce da WikiLeaks
nel rapporto denominato “The Saudi Cables”, nel quale si denunciano i presunti finanziamenti concessi dal governo saudita a giornali o media di altri paesi al fine di garantire una migliore immagine del paese.210
Anche per quanto riguarda i media locali, il monitoraggio da parte delle autorità è estremamente rigido. A partire dalle rivoluzioni del 2011, il governo saudita si è impegnato assiduamente per evitare la diffusione delle idee rivoluzionarie delle primavere arabe di Egitto e Tunisia, ritenute estremamente pericolose e dannose per lo stato arabo in quanto avrebbero potuto alimentare proteste politiche e sociali. Una prima reazione da parte delle autorità saudite fu proprio il blocco di alcuni siti internet pro-rivoluzione creati subito dopo le rivolte tunisine ed egiziane, come ad esempio Saudireform.com. Persino il sito dell’organizzazione Amnesty International fu oscurato seguendo le disposizioni della
207Cfrt. Artt. 1 e ss. della Saudi Law of Terrorism crimes and financing del 2013.
208Cfrt. Artt. 3, 4, 8 della Saudi Law of Printed Materials and Pubblication del 20 novembre 2000. 209https://rsf.org/en/news/how-saudi-arabia-manipulates-foreign-media-outlets .
legge anti-terrorismo. Le autorità inoltre tentarono di attuare un vero e proprio black-out totale dei media riguardo le proteste che interessavano Al-Qatif, un’area ad est del paese.
Tra le accuse più recenti, si ritiene opportuno soffermarsi sul caso del 2017 di boicottaggio di Al Jazeera da parte di Arabia Saudita e di altri paesi della penisola araba come Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Il canale tv nato nel 1996 con base in Qatar rivestì un ruolo estremamente importante nella creazione di una sfera pubblica araba dai confini completamente ridisegnati, focalizzando le trasmissioni sulla questione politica di un’identità araba condivisa da tutto il mondo arabo, permettendo alle persone di comunicare direttamente e immediatamente nello stesso spazio. Questo a riprova del fatto che il potere dei media stava crescendo sensibilmente, tanto da influenzare i processi politici a diversi livelli. In un paese autocratico come l’Arabia Saudita, cambiare i media e la politica nello stesso tempo potrebbero essere considerati come due processi affini e inseparabili. La libertà dei media, infatti, si potrebbe caratterizzare come una precondizione necessaria per una società democratica. Il ruolo assunto da Al Jazeera nel ridisegnare il panorama mediatico arabo attraverso nuove tecnologie di comunicazione fu di estrema importanza.211
La Saudi Press Agency di proprietà statale, accusò l’emittente qatariana di promuovere la propaganda di gruppi terroristici e di aver tentato di creare scismi interni al paese saudita. Diversi uffici del canale vennero chiusi, come quello con sede ad Amman, Libia e Mauritania. La crisi diplomatica con il Qatar ebbe pertanto dei risultati funesti per quanto riguarda la libertà di espressione e di informazione nel territorio arabo. Nel difficile rapporto tra informazione e potere, quest’ultima ne esce schiacciata e duramente compromessa. Lo stesso direttore generale dell’emittente ubicata a Doha, Yasser Abu Hilalah, definì questo provvedimento una vera e propria licenza per uccidere il giornalismo e la libertà dei media nella regione.212
211Ezzeddine Abdelmoula, Al Jazeera and Democratization – The rise of the Arab public sphere, Londra,
Routledge Ed., 2015, p. 123-125.