In occasione della prima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1946 si mise l’accento sul concetto della libertà di informazione, ritenuta uno dei diritti umani fondamentali nonché una delle pietre miliari di tutto il vasto panorama di libertà contemplate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Il concetto precitato implica il diritto alla ricezione, alla trasmissione e alla pubblicazione di informazioni e notizie in qualunque luogo ed in qualunque momento, senza interferenze. Tale libertà fu in parte limitata attraverso l’adozione della Risoluzione numero 110 (II) datata 3 novembre 1947, la quale condannava ogni forma di propaganda che istigasse reazioni implicanti una minaccia per la pace e la sicurezza nazionale.135 Durante la stessa sessione venne adottata una seconda risoluzione,
la numero 127 (II) del 15 novembre 1947, la quale invitava i Governi degli Stati membri ad elaborare speciali misure nazionali da adottare nel caso di necessario intervento finalizzato a combattere la diffusione di notizie false o distorte che potrebbero essere fonte di contrasti fra gli Stati.136 Le due
risoluzioni esaminate nelle righe precedenti costituirono dei limiti non indifferenti al concetto di libertà di espressione, in quanto autorizzavano appunto l’impiego di specifiche misure atte a ridimensionare la sfera di azione di tale libertà.
Ciononostante, la libertà di espressione e di opinione non venne preclusa dall’inclusione nei corpi dei maggiori strumenti giuridici internazionali riguardanti il rispetto dei diritti umani, assumendo un ruolo sempre più rilevante. Tali strumenti solitamente dedicano un apposito articolo alle disposizioni concernenti la libertà di espressione. Nel caso della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, l’articolo 19 ribadisce il diritto di ogni individuo di godere della libertà di espressione e di opinione senza interferenze e, inoltre, il diritto di ricercare e fornire informazioni e idee attraverso qualunque mezzo e senza limitazioni territoriali.137
Anche il Patto sui Diritti Civili e Politici stabilisce alcune disposizioni a riguardo. In effetti, l’articolo 19 impartisce delle disposizioni di carattere generale, mentre il successivo dichiara che gli Stati sono tenuti a proibire attraverso apposite norme la propaganda istigante alla guerra e all’odio nazionale, religioso o razziale che andrebbe ad alimentare l’ostilità, la discriminazione e la violenza.138 Alcuni
135Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Mesures to be taken against propaganda and
the inciters of a new war, doc. No. 110 (II) del 3 Novembre 1947.
136Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, False and distorted reports, doc. No. 127 (II)
del 15 Novembre 1947.
137Cfrt. Artt. 19 della Dichiarazione Unievrsale dei diritti umani del 10 dicembre 1948. 138Cfrt. Artt. 19 del Patto sui diritti civili e politici del 1966.
Stati non ritennero opportune le precisazioni dell’articolo 20, tanto che ben 16 membri tra i quali Australia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Svizzera, apposero delle riserve all’articolo in questione.139
In rapporto al concetto di libertà di espressione, si è dimostrato nei precedenti paragrafi il fatto che sussiste una sensibile variazione del contenuto nella concezione appartenente ai paesi di tradizione islamica a differenza di quella occidentale. In effetti, le disposizioni regionali concernenti tale libertà assumono delle variazioni in base al contesto geografico in cui sono state elaborate.140
Nella sua concezione sociale e collettiva, la libertà di espressione risulta fondamentale per la formazione dell’opinione pubblica, utile anche per lo sviluppo di partiti politici, sindacati società culturali e scientifiche eccetera. Di conseguenza, anche la cosiddetta “freedom of speech” è essenziale per ogni individuo per lo sviluppo di una società democratica basata sul pluralismo, sulla tolleranza e sull’apertura mentale. In generale, le limitazioni applicabili alla libertà di parola sono permesse solo nei casi in cui vengono prescritte dalla legge. Nel caso del mondo arabo, pertanto, si ritiene possibile affermare che tali limitazioni derivano anche dal forte legame con le disposizioni coraniche e l’assoluta priorità della Legge islamica.141
Infatti, anche in alcuni strumenti giuridici costituzionali sono posti dei limiti a tale libertà, basti pensare al caso della Costituzione Iraniana del 1979 la quale dichiarava nell’articolo 24:
“Publications and the press have freedom of expression except when it is detrimental to the fundamental principles of Islam or the rights of the public. The details of this exception will be specified by law.”142
Come si può notare, le disposizioni contenute in tale articolo esortano alla censura in conformità con i criteri della morale islamica.
Analizzando ad esempio la legge fondamentale che disciplina la struttura dello Stato, è possibile osservare che anche in tal caso sono sancite delle restrizioni a tale libertà.
In effetti, secondo l’articolo 26:
“The State shall protect human rights in accordance with the Islamic Shari’ah”143
139Fonte datiUnited Nations Treaty Collection, Status as at 15 Jan 2019
https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?chapter=4&clang=_en&mtdsg_no=IV-4&src=IND .
140Dinah L. Shelton, op. cit., p. 163. 141Ann Elizabeth Mayer, op. cit., p. 63. 142Ibidem, Appendix A, page 198.
Pertanto, si ritiene possibile l’applicazione dei criteri interpretativi analizzati nei precedenti paragrafi. Anche le Conclusioni e raccomandazioni del Convegno del Kuwait del 9-14 dicembre 1980 risultano interessanti a tal proposito. In effetti, in sede di discussione di tale convegno, organizzato dalla Commissione Internazionale dei Giuristi congiuntamente all’Università del Kuwait e all’Unione degli Avvocati Arabi, emersero delle considerazioni relative ai diritti civili e politici. Per quanto riguarda la libertà di espressione, si afferma che tutti gli Stati islamici detengono l’obbligo di garantire agli individui l’esercizio di tale diritto, incitandoli a promuovere un dialogo costruttivo che possa contribuire al rafforzamento di tale concetto, sottolineandone però l’applicazione nel contesto islamico.144
In conclusione, si afferma che la prospettiva arabo-islamica riguardo la libera manifestazione del pensiero è molto diversa dalla concezione che caratterizza i paesi occidentali. Essa è soggetta a forti limitazioni imposte dai requisiti islamici che devono essere necessariamente soddisfatti e rispettati. Il secondo capitolo di questo studio dedicherà ampio respiro all’analisi di tale questione, prendendo in esame casi specifici forniti da alcuni Paesi appartenenti alla Lega Araba.
144Andrea Pacini, L’Islam e il dibattito sui diritti dell’uomo, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni