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2.3.3 L’IRAN A QUARANT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE

L’Iran è uno degli Stati che maggiormente utilizzano la tradizione religiosa come una barriera atta al respingimento e al rifiuto della concezione universalistica dei diritti umani. Tale approccio nei confronti della materia è dovuto al fatto che lo Stato iraniano considera l’Islam Sciita come la religione ufficiale di stato, che si dichiara in effetti una repubblica islamica, elevando la Shari’a al livello di fonte primaria del sistema giuridico del paese. Effettivamente, le norme islamiche regolamentano gran parte della sfera legislativa dello Stato, partendo dal diritto di famiglia, sino ad arrivare al diritto penale.195 Si può affermare che proprio per queste motivazioni, spesso la legge

islamica entra in conflitto con i diritti dell’uomo, tanto sul piano concettuale quanto su quello pratico e questa intima contraddizione caratterizza profondamente lo Stato iraniano.

Le restrizioni al godimento dei diritti e delle libertà fondamentali sono riscontrabili già nel testo della Costituzione del 1979. In effetti, analizzando il testo è possibile osservare come i criteri religiosi siano utilizzati al fine di giustificare li limitazioni anche di diritti di tipo costituzionale.196 L’articolo 20

della Costituzione sancisce la libertà di pubblicazione, escludendo da essa i libri considerati eretici o offensivi nei confronti della religione di Stato. Il successivo articolo numero 21, invece, prevede la libertà di associazione limitata nei casi in cui tali gruppi di persone non si riuniscano a scopo di provocare disordini religiosi. L’articolo 25 limita la libertà di stampa qualora si tratti di pubblicazioni relative a materiale ingiurioso nei confronti del credo religioso. L’articolo 28 invece, lede anche il diritto al lavoro di un individuo, in quanto afferma che la possibilità di un individuo di scegliere un mestiere deve essere conforme all’Islam e all’interesse pubblico.197 Lo stesso Ayatollah Khomeini

dichiarò che voleva una Costituzione elaborata secondo la prospettiva islamica, priva di qualunque influenza intellettuale – riguardante quindi anche i diritti umani – proveniente da correnti totalmente estranee all’Islam.

Tale affermazione è riscontrabile nel fatto che, proprio per evitare di scontentare il Clero, i diritti umani godono solamente di un breve accenno nella Costituzione, sottolineando che si tratta di una materia che deve essere subordinata al criterio islamico. Nell’articolo 4, infatti, si stabilisce che uomini e donne hanno il diritto ad essere egualmente protetti della legge e di godere dei diritti politici, economici, sociali e culturali in conformità con la legge Islamica.198In particolare, la libertà di

espressione e di opinione viene severamente limitata. Come si può evincere dall’articolo 168, la

195Sami A. Aldeeb Abu-Sahlieh, op. cit., p. 18-19. 196Ann Elizabeth Mayer, op. cit., p. 68.

197Cfrt. Artt. 20, 21, 25, 28 della Costituzione Iraniana. 198Ibidem, articolo 4.

Costituzione stabilisce secondo i criteri islamici che i responsabili di offese politiche a mezzo stampa saranno processate e perseguite secondo la legge.199

Le restrizioni in questione sono particolarmente preoccupanti nel caso iraniano in quanto l’Islam costituisce non solo la religione di stato, ma addirittura il fulcro dell’ideologia nazionale, la quale prevede che le Leggi Divine siano le uniche necessarie a regolamentare in modo corretto la umma. Esaminando il rapporto del 2004 della missione speciale delle Nazioni Unite relativa alla situazione della libertà di espressione nel paese, si evince che i miglioramenti non sono ancora da ritenere sufficienti e soddisfacenti. Nel documento si denunciano le lacune e l’incompatibilità della Costituzione con gli standard internazionali dei diritti umani, come precedentemente analizzato. Inoltre, la denuncia viene estesa anche ad altri strumenti giuridici nazionali.200

In primo luogo, si critica la legge sulla stampa adottata nel 2000, poiché ai sensi dell’articolo 12, tutti gli articoli considerati ateistici o pregiudizievoli nei confronti dell’Islam, i quali costituiscono una minaccia alla sicurezza della repubblica islamica e delle autorità religiose all’interno e all’esterno del Paese devono assolutamente essere censurate.

In secondo luogo, si sostiene che il Codice Penale contenga alcune disposizioni severamente limitanti nei confronti della libertà di espressione e di opinione. In effetti, l’articolo 500 prevede l’incarcerazione per coloro che sono ritenuti colpevoli di propaganda contro lo Stato; l’articolo 513 prevede l’imposizione della pena di morte per diffamazione nei confronti della religione islamica; infine, l’articolo 698 prevede punizioni corporali come la fustigazione per gli individui responsabili della diffusione di fake news, causa di malumori e confusione nella popolazione.201

Successivamente, il Relatore denuncia il pessimo trattamento riservato a giornalisti ed intellettuali da parte delle autorità, le quali concederebbero la consultazione di un avvocato agli individui incarcerati solamente in seguito di un lungo periodo di isolamento e di trattamenti degradanti. Anche agli studenti viene riservato un trattamento similare.

Il relatore speciale dedica particolare attenzione al caso di una giornalista, fotoreporter e film-maker iraniano-canadese: Zahra Kazemi. La donna fu arrestata il 23 giugno 2003 mentre scattava delle foto ad alcune persone che protestavano davanti alla prigione di Evin contro la detenzione dei loro familiari, arrestati a seguito alle loro manifestazioni. Si afferma che Zahra Kazemi stava svolgendo regolarmente il suo lavoro, poiché in possesso di regolare permesso concessole dalle autorità competenti. Tuttavia, la donna fu arrestata e interrogata 4 giorni dopo senza la presenza di un avvocato

199Cfrt. Artt. 168 della Costituzione Iraniana.

200Report submitted by the Special Rapporteur on the right to freedom of opinion and expression, Ambeyi

Ligabo – Mission to the Islamic Republic of Iran, doc. E/CN.4/2004/62/Add.2 del 12 gennaio 2004, par. 16 – 34.

in sua difesa. Il 27 giugno, la giornalista fu trasportata all’ospedale, dove rimase in stato di coma per dieci giorni sino al 10 luglio, quando purtroppo morì. Le cause del decesso non furono chiare, in quanto il Pubblico Ministero rilasciò varie versioni, dichiarando prima che la donna morì a seguito di complicanze dovute a gravi disturbi gastrointestinali, successivamente dichiarò una morte per soffocamento, ma nessun esame autoptico indipendente fu autorizzato. Il caso resta tuttora irrisolto. La Corte d’appello del Quebec si è occupato del caso Khazemi C. Iran stabilendo nella sentenza che lo Stato iraniano risulta colpevole di violazione di norme di jus cogens e di atti di tortura afronte dei fatti subiti dalla giornalista.202

Anche per l’Iran, sono state riscontrate delle critiche negative da parte dell’organizzazione dei Reporters Without Borders i quali documentano diversi casi di violazioni relative alla libertà di stampa anche nel mese di gennaio del 2019. Si denunciano numerosi episodi di giornalisti arrestati in seguito alla pubblicazione nei social networks di contenuti ritenuti offensivi, e per questo condannati in alcuni casi anche a pene corporali come la fustigazione.203 Ed è per queste motivazioni che nella

classifica mondiale riguardante l’indice di libertà di stampa, l’Iran si piazza al 164° posto.

202Corte d’appello del Quebec, sentenza no. 305034 2014 SCC 62 del 10 ottobre 2014, p. 230 203https://rsf.org/en/news/iranian-journalists-sentenced-imprisonment-flogging .