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Il fenomeno conciliativo moderno in Italia: mezzi autonomi e mezzi eteronomi Le peculiarità dell’arbitrato

4. Altre questioni in tema di arbitrato

4.4. L’arbitrato di equita’

La trattazione di questa particolare forma di arbitrato è fondamentale perché risulta strettamente collegata ad una tematica di grande interesse per il presente lavoro e che verrà affrontata nel successivo capitolo. Mi riferisco al problema inerente la possibilità per il mediatore di applicare alla sua decisione le norme che non siano giuridiche.

L’art. 822 c.p.c., intitolato appunto “Norme per la deliberazione”, pone come regola quella della decisione secondo diritto, salvo il caso in cui le parti autorizzino l’arbitro, rituale o irrituale, a decidere secondo equità. L’idea che si è diffusa è quella per la quale l’arbitrato di equità rappresenta un miglioramento rispetto al giudizio di diritto, poiché porrebbe rimedio alle ipotesi in cui l’applicazione rigida delle norme del codice comporterebbe conseguenze inique125. Una concezione di questo tipo, nel nostro ordinamento, è apparsa per certi versi inattuale. Taluno ha ritenuto che uno sguardo più attento all’art 12 delle

preleggi, in tema di interpretazione delle norme giuridiche, rivela infatti come

l’interprete sia già autorizzato a utilizzare tutti i canoni ermeneutici già conosciuti126. Egli può facilmente ovviare a fattispecie astratte particolarmente rigide per il tramite delle clausole generali, le quali indicano un criterio di giustizia delegando però all’interprete una funzione sostanzialmente integrativa del sistema, caratterizzata da profili creativi127. La differenza quindi tra i due tipi di giudizi risiederebbe nel fatto che il giudice di diritto deve argomentare

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Si tenga presente che quando le parti autorizzano un arbitro a pronunciarsi secondo equità, esse non intendono concludere una transazione ma intendono comunque decidere sulla stessa. Non abbandonano cioè l’idea di stabilire i torti e le ragioni. Si veda sul punto F. BENATTI,

Arbitrato di equità ed equilibrio contrattuale, in Riv. Trim. dir e proc civ. 1999, p. 837 e ss.

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Si pensi alla norma di chiusura contenuta sempre nell’art. 12 che rinvia ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Si parla comunemente di analogia iuris ed anche in questo caso il giudice non può ritenersi svincolato dall’obbligo di ricavare i principi da un’analisi della legislazione vigente. Sul punto si ponga attenzione al pensiero di Mengoni, richiamato da F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, IV edizione, op.cit., p. 51.

127L’interpretazione creativa non può mai significare personalizzazione dell’operazione

ermeneutica nel senso che l’interprete sarebbe autorizzato a fissare la regola secondo parametri che a lui appaiono più giusti. Sul punto si veda sempre F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, op.

riconoscendo importanza fondamentale alle regole positive; viceversa l’arbitro di equità può adottare ragionamenti diversi e pervenire a risultati differenti, salvo le ipotesi in cui si tratti di norme di applicazione necessaria128. Nel corso degli anni sono state elaborate diverse tesi sulla natura del giudizio di equità. Esse sono sostanzialmente riconducibili alla tesi soggettiva, per cui l’arbitro di equità applica al caso concreto il proprio senso di giustizia, decidendo secondo coscienza129; alla tesi oggettiva, per cui l’arbitro applica regole diffuse nella comunità, dunque preesistenti130; alla tesi riduzionista, per la quale l’arbitro è sempre vincolato al diritto positivo, che va semplicemente plasmato sul caso concreto. Chiaramente la prima tesi è stata abbandonata sia per il rischio di una pronuncia arbitraria e improvvisata, sia perché si ritiene che l’equità sia immanentemente integrata col diritto, il che smentisce la circostanza per cui l’arbitrato di equità sia alternativo all’arbitrato di diritto. Anche la tesi riduzionista non può essere accolta poiché nega di fatto una differenza tra arbitrato di diritto e arbitrato di equità, che al contrario esiste. La tesi senza dubbio più diffusa è senza dubbio quella oggettiva: anch’essa sembra nata per controllare l’operato degli arbitri, ma individua regole preesistenti di equità. Le norme di equità sono comunque delle norme giuridiche che si distinguono dalle norme positive solo ed esclusivamente per la fonte di provenienza. Deve essere dunque probabilmente accolta la tesi per cui esse rappresentano una eccedenza della giustizia sul diritto131. Peraltro, se l’arbitro di equità deve applicare le regole preesistenti, allora

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L’arbitrato di equità permetterebbe quindi di elaborare nuove soluzioni, non ottenibili nemmeno con tecniche di interpretazione avanzate. Si veda sul punto F. FESTI, L’arbitrato di

equità, in Contratto e impresa 200 , p. 141 e ss.

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L’equità non si contrappone al diritto; tra i due concetti esiste un rapporto di continuità. La legge talora è formulata in modo astratto e per un numero indefinito di casi e talvolta la sua applicazione può apparire iniqua. Da ciò discende la funzione correttiva dell’equità. Sul punto si veda F. BENATTI, Arbitrato di equità… op. cit., p. 837 e ss.

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L’equità consisterebbe pertanto in una serie di norme oggettive preesistenti alla lite, che si differenziano da quelle positive solo per la fonte: esse provengono infatti dal sentire comune nello stato di evoluzione della società civile, sono cioè emanazioni della cultura economica e sociale di un determinato periodo storico. Si veda in proposito F. GALGANO, Diritto ed equità nei

giudizi arbitrali, in Contratto e impresa, 1991, p. 475 e ss.

131 La tesi oggettiva è stata nel tempo approfondita . Sono stati individuati i principali criteri

formanti l’equità, nel principio della buona fede, negli usi onesti nel commercio, nel principio di ragionevolezza, nel principio di efficienza. Questi gli approfondimenti operati da un’autorevole

la sua decisione si presterà a divenire precedente. Merita una riflessione, in questa sede, anche il tema dell’impugnabilità del lodo di equità. In particolare, l’art 829 c.p.c., rubricato proprio “Casi di nullità”, esclude l’impugnabilità del lodo di equità, pertanto l’unico controllo esperibile residua quello sulla motivazione. Controllo che sarebbe escluso nell’ipotesi in cui si aderisse alla tesi soggettiva. Tuttavia, sempre dal dato normativo, comprendiamo l’esistenza di una limitazione a detta inimpugnabilità. Essa non può estendersi alla violazione delle regole fondamentali del nostro ordinamento. La tesi dominante ritiene che sia preferibile che gli arbitri non possano disapplicare le norme imperative esistenti nel nostro ordinamento.

SEZIONE III