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L’ARCHITETTURA NUCLEARE DI ENZO VENTURELL

Nel documento Contaminazioni tra arte e architettura (pagine 167-171)

Enzo Venturelli nasce a Torino nel 1910.

A 17 anni è già allievo dell’ingegnere Arrigo Tedesco-Rocca, nel cui studio svolge un precoce apprendistato. Dal 1936 Venturelli collabora, tra i vari professionisti, con gli architetti Melis e Demunari, fino alla laurea che consegue nel 1939.

I primi lavori, che passano inosservati, mostrano chiaramente le influenze del razionalismo. Lo testimoniano opere quali il cinema-teatro Principe (1945), in Via Principi d'Acaja, demolito poi nel 1994, “nella cui limpida composizione echeggiano geometrie neoplastiche e concrete”1, e la sala da ballo Eden (1947-48), “bizzarra commistione di

eleganza ed estro eccentrico” 2.

Il cinema-teatro Principe, di chiaro impianto razionalista con alcuni riferimenti al neoplasticismo olandese, senza dubbio si colloca fuori dagli schemi dell'architettura di regime ed ai tentativi di modernismo realizzati in città nei primi anni del dopoguerra.

La facciata è scandita da aperture orizzontali disegnate in un equilibrato rapporto tra i vuoti ed i pieni. Il contenuto rigoroso della superficie piana, i limitati aggetti delle bocche di lupo, le aperture delle piccole finestre unitamente alla parte inferiore degli ingressi denunciano una ricerca compositiva di sapore astratto risolta con un raffinato equilibrio.

È la casa Mastroianni (1953-1954) a determinare l’affermazione di (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 51) Enzo Venturelli, Cinema Principe, 1945, facciata esterna.

1 Luisa Perlo, L’architetto nucleare, in “Afterville”, autunno-inverno 2007, pag. 1. 2 ibidem

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Venturelli. Progettata sulla collina di Cavoretto per lo scultore Umberto Mastroianni e destinata ad ospitarne anche lo studio, la casa si configura come l’opera che esplicita l’inversione linguistica di Venturelli: un complesso plastico-dinamico di ascendenza futurista, riflesso della “visione artistico-idealistica dell’architettura” 3 opposta al

dettato modernista e alle “abusate forme scatolate lineari e piatte” dell’edilizia dilagante nel periodo postbellico. Si tratta di un’architettura esplosa, di impronta organica, che si connota per i volumi aggettanti corrispondenti, nelle intenzioni del progettista, a una distribuzione interna più idonea alle esigenze d’uso, pur scontrandosi con le richieste della committenza e l’insufficienza di mezzi.

Casa Mastroianni diviene oggetto dell’attenzione da parte degli ambienti internazionali, ma in Italia Bruno Zevi non esita a stroncarla4.

Per soddisfare le esigenze fisiche e psicologiche della vita moderna, Venturelli lavora a forme dell’abitare per giungere a formulare un’architettura per l’era nucleare5: edifici sopraelevati, traffico veicolare

sotto la linea di terra, elicotteri in volo, che danno vita a una città che sembra uscita da un film di science fiction di là da venire. La mostra parigina all’Office National Italien du Tourisme, nel 1958, segna l’inizio di un successo che solo la ritrosia e la scelta di restare a Torino mancheranno di alimentare6.

Su “Le Monde” André Chastel parla di “un’architettura che risponde ai

Enzo Venturelli, casa –studio dello scultore Mastroianni, 1953-54. (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 57)

3 ibidem

4 Dovranno trascorrere quarant’anni prima che Zevi riveda la propria posizione, definendo Casa Mastroianni “opera stravagante, nel senso positivo del termine, di rottura linguistica che cresce con il tempo”. (ibidem)

5 Sono presenti forti analogie, sebbene non formali, con la “città nucleare” del Joe Colombo folgorato dal verbo “atomico” di Baj e Dangelo.

167 bisogni del secolo. Questa aspirazione non è nuova”, scrive, “le

soluzioni di Venturelli talvolta lo sono”.

Contestualmente alla mostra vengono presentati il Manifesto dell’architettura nucleare e gran parte dei progetti eseguiti fin dai primi anni ’50: abitazioni, edifici pubblici, ville, chiese che saranno alla base dell’ampio disegno della cosiddetta urbanistica spaziale7, definizione

che darà il titolo al volume edito nel 1960. Nel 1952, anno del Manifesto del movimento spaziale per la televisione, Venturelli firma una Stazione radio-televisiva fatta di capsule sferiche simili a bulbi oculari. Nel 1953 viene concepita l’antropomorfa Villa nell’abetaia, i cui ambienti ovoidali richiamano gli spazi uterini della Endless House di Frederick Kiesler. Costruzioni con strutture a ponte, un teatro, un padiglione espositivo, una Chiesa spaziale, passerelle sospese, e poi torri a dischi sovrapposti e nuclei abitativi fondati su modelli cellulari che sembrano prefigurare visioni metaboliste come la Spiral Housing di Kiyonori Kikutake o la Nakagin Tower di Kisho Kurokawa, piani sfalsati per “aggregazioni tridimensionali dove la differenza d’uso dei piani permette una maggiore fruibilità degli spazi” che ritroveremo nell’utopia sociale dell’Habitat di Moshe Safdie.

Gli antefatti culturali rimandano alle prefigurazioni urbane di Antonio Sant’Elia e Virgilio Marchi, innestate su una visione apocalittica della città: ammorbata dal traffico, dall’inquinamento, dalla mancanza di spazi idonei alla vita individuale e collettiva, dalla solitudine e dalla nevrosi dei suoi abitanti.

All’accezione “romantica lla ville tentaculaire”, tanto sostenuta dai

Enzo Venturelli, progetto per stazione radio-televisiva, 1952. (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 80)

Enzo Venturelli, progetto per villa nell’abetaia, 1953. (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 87)

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futuristi e buona a suo dire per gli “ideali del borghese cittadino”, Venturelli contrappone una città a misura d’uomo, con “modelli urbani e abitativi in cui separazione fra traffico veicolare e pedonale, il rigoroso rispetto dei principi di soleggiamento, l’aria, la luce diventano il tema dominante nella redazione di immaginari piani urbanistici” 8. La

città di Venturelli, che si caratterizza per una marcata tensione utopica e per la fede nella tecnologia propria del periodo, prelude al filone dell’urbanisme spatial9.

Ragon e Friedman sono i fondatori, nel 1965, con Paul Maymont, Walter Jonas, Nicolas Schöffer e altri, del GIAP (Groupe International d’Architecture Prospective), che annovera tra i suoi membri Jacques Polieri. Scenografo e teorico della scenografia, fondatore con Le Corbusier dei Festivals de l’art d’avantgarde, Polieri firma con Venturelli il progetto di un Teatro di movimento totale, esposto a Parigi nel 1963, concepito come una forma circolare dinamica.

Venturelli ha definito se stresso troppo “anzitempo”, definizione che spiegherebbe come mai furono poche le architetture da lui progettate ad essere realizzate. Gli edifici di civile abitazione e le ville in Piemonte e Liguria, stabilimenti e ambientazioni non restituiscono lo slancio creativo dei progetti “non realizzabili”. Fa eccezione l’originale acquario-rettilario dello Zoo di Parco Michelotti; ideato nel 1958 e realizzato nel 1960, è considerato dagli specialisti il lavoro principale di

Enzo Venturelli, progetto per chiesa spaziale, 1953. (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 95)

8 Come scrivono A. Magnaghi, M. Monge e L. Re in “Guida all’architettura moderna di Torino”, Designers riuniti Editori, Torino, 1982.

9 Secondo la definizione utilizzata negli anni ’60 da Michel Ragon. Un filone che annovera figure come l’altro torinese eretico, Paolo Soleri, impegnato a coltivare la sua

immaginazione megastrutturale nel deserto dell’Arizona e il franco-ungherese Yona Friedman, che darà dell’urbanisme spatial una definizione legata al concetto di architettura mobile. Marco Parenti, da anni esegeta dell’opera di Venturelli, ritiene che la locuzione urbanistica spaziale “fosse da tempo nell’aria e che Enzo Venturelli possa essere considerato l’antesignano ideatore di questa terminologia”.

169 Venturelli, ma in seguito al quale la sua speranza progettuale si

affievolisce. Negli anni ’70, anche per ragioni di salute, si dedica alla pittura: lontano da vincoli progettuali, libera visioni di fantascienza pura.

Nel 1975 Raffaele De Grada scrive che “mutanti, cavalieri dello spazio, robot nani, colonnelli galattici sembrano esseri immaginati per vivere nella ‘città futura”, quella che lui aveva sognato.

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