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Piero Manzoni, Yves Klein, Francesco Lo Savio.

Nel documento Contaminazioni tra arte e architettura (pagine 101-105)

I Corpi d'aria di Piero Manzoni pongono in chiave fortemente irrisoria la questione dell'esperienza dello spazio, un tema che l'artista affronta in maniera ironicamente sperimentale anche nella Scultura nello spazio del 1960, opera poi andata distrutta. Pensati nel 1959-1960, in un'Italia che, tra il 1958 e il 1964, vede passare il numero di case costruite da 275.000 a 450.000, questi lavori sono composti da una scatola di legno, una sorta di kit, che contiene un treppiede in metallo, un palloncino gonfiabile e un cartoncino con alcune brevi istruzioni di montaggio che naturalmente implicano il gonfiamento del palloncino stesso e il suo posizionamento sul treppiede preventivamente aperto. Una connessione evidente lega queste opere al Placentarium, il progetto per un teatro che Manzoni teorizza probabilmente tra il 1960 e 1961. Il teatro è un involucro in materiale plastico, di nuovo un pallone, che si espande fino a diciotto metri di diametro e che viene sostenuto per pressione pneumatica. Manzoni ipotizza di sfruttarlo per offrire allo spettatore una personalissima esperienza dello spazio: "Lo spettatore entrerà in una specie di labirinto, composto da molte celle più o meno grandi (una sessantina) controllate da un cervello elettronico. Il ‘soggetto’ è lo spettatore stesso (la sua struttura psichica). Secondo le sue reazioni verrà indirizzato autonomamente piuttosto verso un itinerario che un altro, itinerario che solleciterà in lui differenti sensazioni, secondo la scelta inconscia che egli stesso farà. Per alcuni sarà banale, per altri scatenerà reazioni sconvolgenti. Ad esempio: mentre da una cella verrà addirittura

Piero Manzoni –

Corpo d’aria n. 28, 1959-1960

Scatola con palloncino in gomma, bocchino e base, scatola 4,8x42,5x12,3cm Milano, Archivio Opera Piero Manzoni.

Tratto da

G.Celant, a cura di, op.cit. pag.390

Piero Manzoni –

Progetto del Placentarium,

1960

Tratto da

G.Celant, a cura di, op. cit. pag.390

CONTAMINAZIONI TRA ARTE E ARCHITETTURA

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espulso, in un'altra non riuscirà a trovare la maniera di uscire, mentre intanto il soffitto si abbasserà minacciando di schiacciarlo, e quando sarà vicino a trovare la soluzione per poter uscire, una voce lo insulterà o lo deriderà, ostacolandolo: secondo le sue reazioni, troverà un'uscita che lo immetterà in un circuito piuttosto che in un altro; in una camera troverà la luce più violenta, in un'altra nel buio più assoluto sprofonderà in un pavimento di gomma, in un'altra ancora mediante un sistema di specchi avrà l'impressione di camminare sul soffitto, ……".

Nel 1957, per il progetto del teatro di Gelsenkirchen di WernerRuhnau, Yves Klein ha la possibilità di espandere su grande scala la sua ormai avanzata esplorazione delle potenzialità spaziali del pigmento monocromo, in particolare del blu. Nonostante l'artista caratterizzi le superfici dei tre enormi dipinti murali da collocare nell'edificio da un andamento irregolare e in rilievo, l'elemento prevalente è sempre l'effetto smaterializzante dell'uso del blu monocromo, non solo in relazione all'opera stessa ma anche allo spazio che la circonda.

Klein è già indirizzato verso l'esperienza del vuoto.

Durante la realizzazione del progetto elabora insieme a Ruhnau altre idee intorno all'architettura, secondo quanto dall'artista stesso dichiarato, anche in seguito alla lettura dell'opera di Gaston Bachelard, riferimento retrospettivo pure per la scelta del blu monocromo nei dipinti. L’assunto dell’“Architettura dell'aria" propone una concezione rivoluzionaria del costruire, basata sull'immaterialità (non sulla smaterializzazione, specificano Klein e Ruhnau: non si tratta quindi di far scomparire qualcosa ma di costruirlo con elementi intangibili) e sull'utilizzo di elementi primari naturali, quali l'aria, appunto, il fuoco e l'acqua. Seguendo la tensione sperimentale

Piero Manzoni,

Placentarium, 1960

Tratto da

G.Celant, a cura di, op. cit. pag.390

WernerRuhnau,

Teatro di

Gelsenkirchen, 1959 http://goo.gl/vGO9r

101 che lo contraddistingue, Klein approfondisce tecnicamente la possibile

realizzazione di una copertura esercitata solo con l'energia dell'aria, al di sotto della quale prende vita un ambiente a clima controllato in cui i limiti spaziali sono segnati unicamente da barriere di getti d'acqua e di fuoco: il suo è il tentativo opposto rispetto a Constant, non concepisce l'enunciazione fine a se stessa o la realizzazione confinabile nell'opera d'arte, non cade nel percorso obbligato dell'utopia ma vive l'eventuale fallimento dell'ipotesi, così come si getterà nel vuoto nel tentativo di dare a esso una conformazione. Il ricorso agli elementi primari - aria, acqua, fuoco -, oltre a soddisfare l'esigenza di Klein di riferimenti spirituali e alchemici per la propria opera, è l'estremizzazione del sogno di un'architettura trasparente che ha attraversato tutto il movimento moderno in architettura, quasi che, nel momento della resa dei conti, mentre alcuni dei maestri di allora sono impegnati a realizzare curtainwalls, simbolo ormai della speculazione edilizia più intensiva del mondo, alla prima generazione di artisti che si sia espressa dopo la guerra fosse affidato il compito di raccogliere e portare avanti le tensioni teoriche più autentiche e smascherarne i presupposti più ambigui.

L’"Architettura dell'aria" è allora la vera realizzazione del sogno di un'architettura non gravitazionale, senza massa, è il tentativo di opporre il minimo contenimento possibile a un'idea di spazio mai preconcetta. L'esperienza del vuoto non è contenibile neanche all'interno dei raffinati equilibri del razionalismo, fa parte di una libera e personalissima percezione, differente per ogni cultura e per ogni situazione psicologica. L'artista può ricordare all'architettura l'impossibilità di stabilire delle regole a priori.

Nel giro di pochi mesi muoiono Klein (giugno 1962) e Manzoni (febbraio 1963), mentre si sta compiendo anche la vicenda emblematica di Francesco

Yves Klein, Relief èponge e Grand monochrome bleu, 1959 Gelsenkirchen, StadtOpera. http://goo.gl/uHAqn Yves Klein, Relief èponge, particolare, 1959 Gelsenkirchen, StadtOpera. http://goo.gl/ilZ1S

CONTAMINAZIONI TRA ARTE E ARCHITETTURA

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Lo Savio: "Nel '54 cominciai i miei studi sull'architettura contemporanea,

europea ed americana”, scrive nel 1962, "sentendo precisi interessi per l'esperienza di Gropius relativa alla Bauhaus, nei suoi rapporti col movimento De Stjil e in particolare con l'opera di Mondrian".

Dal 1959 si dedica all'arte, attraversando poche ma intensissime e concentratissime fasi, percorrendo una sorta di itinerario di crescente consapevolezza intorno agli elementi base del fare artistico, prima il colore e la luce, poi il grado zero di espressività della materia e del colore (Metallo nero opaco uniforme), fino ad approdare a tutte e tre le dimensioni, alla declinazione dei volumi "totali" in cemento e metallo (Articolazioni totali, 1962). Da qui all'architettura il passo è breve, ma Lo Savio non può dimenticare nessun singolo passaggio e disegna allora una forma nello spazio, sempre la stessa, attraversata in tutte le direzioni possibili dalla luce: l'idea è un vero e proprio progetto per una casa e diventa un modello.

Nel 21 settembre 1963 Francesco Lo Savio si suicida con una dose letale di barbiturici a Marsiglia, nel complesso dell'Unité d'Habitation di Le Corbusier. Un anno prima aveva mandato, da Ronchamp, una cartolina della Chapelle de Notre-Dame duHaut ai genitori, a Roma: "E’ la più straordinaria chiesa del mondo".

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