pensatore dell’eterno ritorno all’interno di un paradigma sistematico metafisico.
4) L’ultimo passaggio sarà l’approfondimento e la verifica della tesi specifica di questa seconda parte dello studio, ossia l’affermazione che Heidegger non rifiuti totalmente il sistema. Certamente egli prende esplicitamente le distanze dall’idea di sistema così come si è storicamente istituita. Tuttavia, dalle analisi precedenti emergeranno alcune istanze, questioni, problematiche, che durante il pensiero moderno hanno trovato risposta nell’idea di sistema, ma che tuttavia non sono legate necessariamente a quel tipo di risposta. Si dovrà quindi sottolineare quali siano le domande fondamentali che Heidegger – esplicitamente o meno – recupera, e successivamente mostrare come si strutturi la risposta che Heidegger escogita ad esse, senza però ricadere nella soluzione sistematica moderna.
Nello studio delle questioni suddette sarà ora necessario ampliare lo sguardo ad altri testi heideggeriani, al fine di vedere come le tesi sostenute nei testi di confronto con Schelling si relazionino alle vie seguite dalla riflessione personale e originale di Heidegger, per mostrare come il concetto architettonico problematico del “sistema” entri in gioco e sia meditato in modo originale e positivo da Heidegger stesso.
2.1. L’ARTICOLAZIONE DELLA DOMANDA SULL’ESSERE
Per comprendere la connessione tra la domanda rivolta all’essere e la questione del sistema, è possibile partire dal testo di Heidegger che pone la Seinsfrage nel modo più esplicito possibile, ossia l’opera del 1927 Sein und Zeit. Come premessa e giustificazione storiografica di tale associazione, che pare essere all’epoca di Essere e tempo non ancora maturata, è necessario dare un rapido sguardo all’ambiente culturale e filosofico in cui nascono e crescono le riflessioni heideggeriane dalle quali poi sorge il testo suddetto. Pur
essendo evidente sin dalla dedica («A Edmund Husserl // con venerazione e amicizia»9) e
dall’editore10, infatti, che la volontà del nostro autore fosse quella di porsi in dialogo in
particolare con il nascente movimento fenomenologico, è altresì molto probabile che in tale testo sussista un confronto tacito con la grande scuola filosofica del neokantismo, alla quale Heidegger si era formato (aveva ottenuto la promozione con Heinrich Rickert, di cui era stato anche assistente), e con la quale aveva allora continuamente a che fare, essendo Marburg, la sede in cui Heidegger insegnò dal 1923 al 1928, proprio uno dei centri principali della filosofia neokantiana. Tale rapporto emerge in particolare nelle prime lezioni heideggeriane tenute dal 1919 al 1923 presso l’università di Freiburg in qualità di assistente di Husserl, ma anche nella parentela che alcuni concetti centrali della riflessione giovanile del nostro autore manifestano nei confronti di riflessioni coeve di alcuni autori neokantiani come Dilthey, Rickert, Windelband, Cohen, Lotze, Natorp e Cassirer11. A partire dall’ipotesi
della sussistenza di tale collegamento sotterraneo, è possibile anche ipotizzare (come alcuni studi recenti hanno fatto) la permanenza in Heidegger di un interesse verso la questione del sistema e della “sistematicità”, mutuato dalla forte sussistenza di questa istanza nel pensiero di alcuni autori neokantiani molto importanti per Heidegger, come Hermann Cohen e Paul Natorp12.
9 SZ, III (GA02, III); tr. it. p. 7.
10 Sein und Zeit apparve per la prima volta nella collana “Jahrbuch für Phänomenologie und phänomenologische Forschung” fondata da E. Husserl presso l’editore Max Niemeyer di Tübingen, nella quale apparvero moltissimi dei principali testi che caratterizzarono l’ascesa del movimento fenomenologico. Cfr. la testimonianza di Heidegger del 1963 Mein Weg in die Phänomenologie, in GA14, Zur Sache des Denkens, Hrsg. F.-‐‑W. Von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a.M. 2007, pp. 93-‐‑ 102; tr. it. E. Mazzarella, Tempo e essere, Guida, Napoli 1980, pp. 183-‐‑190.
11 È ricco di riferimenti su tale tema lo studio di Ernst Wolfgang Orth, Heidegger e il neokantismo, in F.
Bianco (ed.), Heidegger in discussione, Franco Angeli, Milano 1993, pp. 274-‐‑294. Cfr. anche C. Strube (Hrsg.), Heidegger und der Neokantianismus, Königshausen&Neumann, Würzburg 2005.
12 Gli studi a cui mi riferisco sono J. Stolzenberg, Ursprung und System: Probleme der Begründung systematischer Philosophie im Werk Hermann Cohen, Paul Natorp und beim frühen Martin Heidegger, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen 1995; S. Käufer, Systematicity and Temporality in Being and Time, in «Journal of the British Society for Phenomenology», 33, 2 (2002), pp. 167-‐‑187.
Per quanto tuttavia il pensiero di Heidegger sia in relazione con la filosofia neokantiana, egli ci tiene a distanziarsi da essa, impostando un modo molto differente di fare filosofia, e appoggiandosi alla fenomenologia come metodo per le sue ricerche. Non possiamo quindi sostenere che l’interesse heideggeriano a tale tema sia uno esplicito sviluppo ed una continuazione della riflessione neokantiana, pur essendo tuttavia probabile una influenza. Per poter allora affermare una connessione interna tra la domanda rivolta all’essenza dell’essere e la domanda sul sistema, occorre mostrare che quest’ultima derivi dalla prima, ossia che nella domanda sul sistema (precedente cronologicamente la posizione della domanda ontologica di Sein und Zeit) si possano ritrovare i caratteri fondamentali della Seinsfrage stessa. La tesi sostenuta dalla critica, che qui vorremmo approfondire, afferma che il confronto con l’idealismo tedesco, e dunque con l’idea di sistema, sopraggiunse a Heidegger come possibilità di un ampliamento della domanda dell’essere, da domanda sul “senso” o “verità” dell’essere a domanda coinvolgente anche la “totalità dell’ente”13.
Questo significa che si dovrà mostrare come la domanda sull’essere contenga necessariamente un riferimento ineliminabile all’ente che la spinge verso di esso; successivamente, come si era previsto precedentemente, si dovrà approfondire l’origine dell’esigenza kantiana del sistema e la sua critica nietzscheana agli occhi di Heidegger. In mezzo a questi due momenti della ricostruzione, occorrerà però approfondire quello che potrebbe essere il passaggio tra la Seinsfrage di Essere e tempo e la dottrina del sistema, ossia l’ipotesi avanzata da Heidegger nel corso del semestre estivo del 1928 intitolato
13 «Die Auseinandersetzung mit der Metaphysik des deutschen Idealismus ihrerseits […] dräng sich
mit der Ausweitung der Seinsfrage von der Frage nach dem Sinn und der Wahrheit des Seins im Umkreis von Sein und Zeit zur Frage nach dem Seienden im Ganze geradezu auf». D. Köhler, Kontinuität und Wandel. Heideggers Schelling-‐‑Interpretationen von 1936 und 1941, p. 189. Vorrei fare una ulteriore osservazione: la necessità di partire dall’ente per interrogare l’essere è propriamente espressione di quella metafisica che Heidegger intende superare. È forse allora questa una ipotesi sbagliata? A mio parere no, in quanto Heidegger non teorizza il superamento della considerazione dell’ente qua talis, ma dell’ente come essenza formale dell’essere. In Essere e tempo si cerca nell’ente-‐‑ esserci una via d’accesso all’essere. Questo approccio è proprio l’approccio criticato nella fase successiva del pensiero di Heidegger, e tuttavia l’attenzione all’ente rimane anche in quella fase, anche se “rovesciata”, ossia l’ente è ciò che viene caratterizzato (e ordinato) dall’essere.
Metaphysische Anfangsgründe der Logik. Im Ausgang von Leibniz della “metaontologia” o “ontica metafisica” come passaggio inevitabile per l’ontologia fondamentale, cioè per la risposta alla questione dell’essere14.
La posizione della suddetta questione si incontra rapidamente all’interno dell’Hauptwerk heideggeriano: fin dalla citazione platonica in esergo, Heidegger pone il problema: «È chiaro infatti che voi da tempo siete familiari con ciò che intendete propriamente quando usate l’espressione essente [ὄν, seiend]; anche noi credemmo un giorno di comprenderlo, ma ora siamo caduti nella perplessità»15. Dopo aver constatato la
necessità di porre nuovamente in modo esplicito la domanda relativa all’essere, Heidegger descrive la “struttura formale” di ogni domandare teoretico: la domanda sull’essere è a pieno titolo una questione filosofica, da non rubricare dunque nell’ambito pre-‐‑filosofico e “quotidiano” (per quanto, come è noto, tale ambito non risulti a Heidegger affatto estraneo o ininfluente nella comprensione del senso dell’essere16) ma, in quanto costituisce una
forma particolare di quel comportamento che è il “cercare”, da analizzare a partire dalla
14 GA26, 199ss.; tr. it. pp. 186ss. D. Köhler afferma: «[Nel corso del 1928] hatte Heidegger im Rückgriff
auf die Konzeption von Sein und Zeit die Notwendigkeit eines “Umschlags” der Fundamentalontologie in eine “metaphysische Ontik” bzw. “Metontologie” aufgewiesen mit der Begründung, dass das Verstehen von Sein (das Fragestellung von Sein und Zeit) je schon die faktische Existenz des Daseins, diese wiederum das faktische Vorhandensein der Natur und folglich eine mögliche Totalität von Seiendem zur Voraussetzung habe». D. Köhler, Kontinuität und Wandel. Heideggers Schelling-‐‑Interpretationen von 1936 und 1941, p. 189.
15 Platone, Sofista, 244a, cit. in SZ, 1 (GA02, 1); tr. it. p. 10.
16 Il fatto che ci muoviamo sempre in una precomprensione dell’essere è una delle tesi più
considerate della filosofia heideggeriana. Tale precomprensione da una parte è ciò che ci permette di rapportarci costantemente a qualcosa come “l’ente”, ma dall’altra parte è proprio ciò che, in base alla sua peculiarità, ci copre il senso autentico dell’essere. Afferma Heidegger: «La “presupposizione” dell’essere ha il carattere di un colpo d’occhio preliminare [vorgängige Hinblicknahme] sull’essere, in modo che, in base a questa prima ispezione, l’ente in esame venga provvisoriamente articolato nel suo essere. Questo colpo d’occhio direttivo sull’essere nasce da quella comprensione media dell’essere in cui già da sempre ci muoviamo e che, alla fine, appartiene alla costituzione essenziale dell’esserci». SZ, 11 (GA2, 15); tr. it. pp. 19-‐‑20.
sua struttura formale. Tale forma di comportamento, in quanto appartiene al domandare teoretico, condivide con tutte le questioni simili la struttura della domanda17:
Il cercare, in quanto cercare qualcosa, ha un suo cercato. Ogni cercare qualcosa è in qualche modo un interrogare qualcuno. Oltre al cercato, il cercare richiede l’interrogato. Quando il cercare assume i caratteri di una vera e propria ricerca, cioè un assetto specificatamente teoretico, il cercato deve essere determinato e portato a livello concettuale. Nel cercato si trova dunque, quale vero e proprio oggetto intenzionale della ricerca, il ricercato, ciò che costituisce il termine finale del cercare18.
Come ho già mostrato precedentemente19, tra le due domande (ontologica e sistematica)
sussiste sicuramente una connessione data dalla struttura stessa del domandare, la quale dunque è comune a tutte le questioni teoretiche. Tuttavia non è sufficiente questo per mostrare che tra le due domande vi è una coappartenenza essenziale.
Sulla strada del chiarimento di tale coappartenenza, è utile continuare nell’analisi della domanda fondamentale. Come correlati di tale struttura formale, Heidegger pone questi “oggetti” (che non possono essere definiti tali strictu sensu): «il cercato è l’essere»; «il ricercato, il senso dell’essere»; e infine «l’interrogato è l’ente stesso»20.
Ciò che interessa qui maggiormente sottolineare è la terza parte della struttura della domanda, ossia il fatto che essa includa sempre anche un «interrogato», che nella domanda ontologica non può che essere l’ente [das Seiende]. Tuttavia, osserva Heidegger, l’accesso all’essere dell’ente non può essere dato per scontato; da qui la domanda: «in quale ente si
17 F.-‐‑W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins. Eine Erläuterung von “Sein und Zeit”. Band 1: “Einleitung: Die Exposition der Frage nach dem Sinn von Sein”, Klostermann, Frankfurt a.M. 1987, p.52.
18 SZ, 5 (GA02, 7); tr. it. p. 16. 19 Cfr. sopra, p. 62.
dovrà cogliere il senso dell’essere?»21. Ciò che quindi è essenziale sottolineare è che fin dalla
prima impostazione della domanda, l’attenzione è rivolta non solo all’emergere dell’essere, al presentarsi dell’essenza dell’essere (nella sua “differenza” rispetto all’ente, come verrà specificato in seguito), ma anche al permanere dell’ente come ciò che va interrogato, come l’unico punto di partenza dal quale è possibile porsi una domanda sull’essere:
Poiché il fenomeno, inteso fenomenologicamente, è sempre e soltanto l’essere, e l’essere è sempre l’essere dell’ente, il progetto di ostensione dell’essere richiede prima un approccio adeguato all’ente. L’ente deve parimenti manifestarsi secondo la modalità di accesso che è propria di esso […]. Il compito preliminare di un’assicurazione «fenomenologica» dell’ente esemplare come punto di partenza per l’analitica autentica è già sempre prescritto dal fine di questa analitica stessa22.
Tale posizione è molto ambigua e discussa, e sarà la causa di parecchi “fraintendimenti” di Sein und Zeit, in quanto verrà spesso dimenticato il contesto della domanda rivolta all’essere nel quale l’attenzione all’ente si pone, facendo attenzione perlopiù all’analisi («analitica») – peraltro effettivamente molto efficace e affascinante, e per questo con una amplissima Wirkungsgeschichte – dell’ente “esemplare” eletto da Heidegger a fondamento metodologico dell’ontologia fondamentale. Notoriamente, l’ente su cui il nostro autore svolge la sua analitica è l’«esserci [Dasein]», ossia l’«ente, che noi stessi sempre siamo [Seiende, das wir selbst je sind]»23. Il motivo di tale scelta è il fatto che noi, in quanto
“interroganti”, siamo l’esserci. All’uomo in quanto è l’esserci è già in qualche modo aperto l’accesso all’essere: egli innanzitutto lo precomprende non tematicamente, altrimenti non sarebbe possibile in alcun modo porsi la domanda su tale problema, poiché “la posizione
21 SZ, 7 (GA02, 9); tr. it. p. 18. «Die Zugangsart des Befragenden, die Art, in der er auf das zu
Befragende zugeht, un korrelativ das Wie des Zugänglichwerdens des befragten Seienden sind keine Selbstverständlichkeit. Die Art des Zugangs zum Seienden wird eine methodische Frage». F.-‐‑W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, op. cit., p. 66.
22 SZ, 37 (GA02, 49-‐‑50); tr. it. p. 53. 23 SZ, 7 (GA02, 10); tr. it. p. 19.
di un problema, in quanto cercare, ha bisogno di essere preliminarmente guidata da ciò che è cercato”24. Inoltre noi siamo quell’ente di cui il cercare l’essere ricercandone il senso
costituisce il nostro modo d’essere. Così dicendo, Heidegger afferma che, perlomeno a livello formale, abbiamo accesso ad un ente il cui essere è per noi determinato e disponibile. A questo punto, la ricerca ontologica proseguirà mediante una «analitica dell’esserci» interpretata come «ontologia fondamentale».
Per non fraintendere l’intenzione dell’autore è importante ricordare che, nonostante le apparenze, l’obiettivo non era quello di svolgere una analisi antropologica, bensì l’analisi di un “ente” considerato nel suo essere, finalizzata alla comprensione di quest’ultimo25.
Inoltre, è importante tener conto che, pur essendo interrogato un ente, la questione ontologica di cui l’analitica dell’esserci fa parte non si rivolge all’essenza specifica di un ente o di un campo specifico dell’ente, bensì all’essere stesso, differenziandosi così da ogni altra ricerca teoretica26.
Ciò che si vorrebbe mettere in evidenza ora è che, nell’avviarsi del domandare heideggeriano, il criterio di scelta dell’esserci come ente esemplare a partire da quale è possibile cercare l’essere non sia solamente l’accesso all’essere di questo ente. È essenziale per tale elezione il fatto che, mediante l’analitica dell’esserci, Heidegger pensa di poter avere accesso all’essere della totalità dell’ente, e non soltanto dell’essere di un ente singolo27.
24 SZ, 5 (GA02, 7); tr. it. pp. 16-‐‑17. Su tale tema vedi le riflessioni di Jacques Derrida contenute in De l’esprit. Cfr. J. Derrida, De l’esprit. Heidegger et la question, op. cit.; tr. it. pp. 27 ss.
25 «Das Fragen ist als Vollzugsweise das Verhalten des Fragenden, und dieser wird nicht als Mensch,
sondern als ein ‘Seiendes’ angesprochen. Damit ist schon angedeutet, daß sich die philosophische Frage nach dem Menschen als Frage nah diesem Seienden in seinem Sein, also als Frage nach dem Sein des Seienden, das der Mensch ist, formuliert». F.-‐‑W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, p. 54.
26 «Von den positiv-‐‑wissenschaftliche Fragen unterscheidet sie [la “Fundamentalfrage”] sich
dadurch, daß sie kein erkennendes Suchen des Seienden, sondern des Seins und deines Sinnes ist». F.-‐‑W. von Herrmann, Hermeneutische Phänomenologie des Daseins, p. 55.
27 L’essere dunque appare a Heidegger fondamentalmente “univoco”? Cfr. F. Volpi, Heidegger e Brentano: l’aristotelismo e il problema dell’univocità dell’essere nella formazione del giovane Heidegger, CEDAM, Padova 1976; P. Tonner, Heidegger, Metaphysics and the Univocity of Being, Continuum International Publishing Group, London/New York 2011.
È indicativa una annotazione che egli stesso si appunta sulla sua copia personale del testo. A fianco dell’affermazione «La comprensione dell’essere è essa stessa una determinazione d’essere dell’esserci», scrive: «Essere qui però non soltanto come essere dell’uomo (esistenza). Risulta chiaro da ciò che segue. L’essere-‐‑nel-‐‑mondo include in sé il riferimento dell’esistenza all’essere nella sua totalità: comprensione d’essere»28. L’accesso alla totalità
dell’ente da parte dell’esserci avviene attraverso la mediazione del “mondo”29: tale
fenomeno è considerato esser proprio dell’esserci, non “esterno” a questo, ed infatti Heidegger vi dedicherà molte pagine nel corso della sua “analitica” dell’esistenza (ossia dell’essere dell’esserci). Il carattere di accesso all’essere della totalità dell’ente costituisce anche uno dei “primati” rispetto agli altri enti:
L’esserci ha dunque un primato in vari sensi rispetto ad ogni altro ente, In primo luogo ha un primato ontico: questo ente è determinato nel suo essere dall’esistenza. In secondo luogo ha un primato ontologico: per il suo esser-‐‑determinato dall’esistenza l’esserci è in sé «ontologico». Ma all’esserci appartiene anche cooriginariamente, quale costitutivo della
28 SZ, 12 (GA02, 16); tr. it. p. 24. Le Randbemerkungen di Heidegger alla sua copia personale del testo,
che teneva presso la baita di Todtnauberg (detto per questo Hüttenexemplar) sono ora riportate in nota nell’edizione di Sein und Zeit della Gesamtausgabe.
29 «Ma all’esserci appartiene in linea essenziale l’essere in un mondo. La comprensione dell’essere,
propria dell’esserci, concerne perciò cooriginariamente la comprensione di qualcosa come il «mondo» e la comprensione dell’essere dell’ente accessibile nel mondo». SZ, 13 (GA02, 17-‐‑18); tr. it. pp. 25-‐‑26. È importante qui sottolineare però che ciò a cui Heidegger punta non è assolutamente una comprensione della totalità dell’ente intesa come la “somma” degli enti. A tal proposito, è interessante un paragrafo di un saggio inedito del 1938/39 che recita: «Das Seiende im Ganzen und seine Gänze (Metaphysik und Seyn) deckt sich nicht mit der Summe des Seienden, ganz abgesehen vom Unterschied zwischen Summe und Ganzheit als Weisen der Einigung. Das Ganze ist nicht nur anders und mehr als die Summe, es ist auch zugleich wesentlich weniger, und hier liegt die Hinweisung auf das Seiende im Ganzen beschlossen. Die Unterscheidung des Seienden als solchen — Was-‐‑Sein — und des Seienden im Ganzen — Daß-‐‑Sein». GA67, Metaphysik und Nihilismus, Hrsg. H.-‐‑J. Friedrich, Klostermann, Frankfurt a.M. 1999, p. 173. La totalità dell’ente (tradotta da F. Volpi spesso come “l’ente nel suo insieme”, appunto per fugare queste ambiguità) non riguarda né la somma degli enti singoli, né la loro unità generale, né la loro unità sostanziale, bensì l’unità formale ontologica degli stessi, il loro essere appunto. Cfr. F. Volpi, Glossario, in Essere e tempo, op. cit., p. 604.
comprensione dell’esistenza, una comprensione dell’essere di ogni ente non conforme all’esserci. L’esserci ha pertanto un terzo primato in quanto esso è la condizione ontico-‐‑ ontologica della possibilità di ogni ontologia30.
A tale primato dell’esserci come via d’accesso all’interrogazione ontologica, e dunque all’analitica esistenziale come ontologia fondamentale, è possibile però collegare alcune osservazioni, effettuate da Heidegger stesso. La prima è una caratteristica propria della comprensione del proprio essere propria dell’esserci, di cui Heidegger terrà già conto durante la ricerca fenomenologica svolta in Sein und Zeit:
Il primato ontico-‐‑ontologico che si dimostrò proprio dell’esserci potrebbe sviarci nella falsa opinione che questo ente sia anche il primo ad essere dato in sede ontico-‐‑ontologica, non solo nel senso di una sua afferrabilità «immediata», ma anche nel senso di una altrettanto «immediata» accessibilità al suo modo di essere. […] L’esserci, piuttosto, a causa di un modo d’essere che gli è proprio, tende a comprendere il proprio essere in base all’ente a cui costantemente e innanzi tutto si rapporta per essenza, cioè in base al «mondo». Fa parte dell’esserci, e perciò della comprensione d’essere che gli è propria, ciò che noi mostreremo come il riflettersi ontologico della comprensione del mondo sulla interpretazione dell’esserci31.
La comprensione dell’essere dell’esserci è dunque inizialmente mediata dalla comprensione dell’essere dell’ente. Per questo motivo, paradossalmente, l’esserci, pur essendo l’ente che ha accesso al proprio essere, tende a comprendere quest’ultimo in base all’essere dell’ente che lui non è. La precomprensione iniziale dell’essere dell’ente che abbiamo non è quindi quella derivata dal “nostro” essere, bensì dall’essere dell’ente,