2.3. L’IDEA DI SISTEMA
2.3.2. L’INTERPRETAZIONE DELL’OPPOSIZIONE NIETZSCHEANA AL SISTEMA
kantiano messa in evidenza dalla letteratura critica: essa, anziché esserci d’intralcio ad una serena lettura di questo importante e discusso testo, ci indica anzi proprio una particolarità dell’ermeneutica heideggeriana che ci sarà utile per comprendere un punto fondamentale della critica del nostro autore all’architettonica idealista (e anche a quella nietzscheana, possiamo dire)114. La forzatura riguarda il rapporto tra lo “schema” e l’“immagine”: nella
lettura dei passi kantiani, Heidegger avrebbe eluso la differenza che Kant pone tra lo «schema dei concetti sensibili» e lo «schema […] di un concetto puro intellettuale». Infatti, mentre Kant afferma chiaramente che quest’ultimo non si può assolutamente ridurre ad immagine (differentemente dallo “schema dei concetti sensibili”)115, Heidegger scrive: «lo
schema va, sì, distinto dall’immagine, ma è nondimeno relativo a qualcosa che può definirsi immagine; in altri termini, il carattere di immagine appartiene necessariamente allo schema»116. Così facendo, Heidegger mette più del dovuto in risalto il carattere di
“immagine” proprio dello “schema”, sottolineando una sua personale e non filologica interpretazione dello schematismo, le cui conseguenze sull’interpretazione del pensiero moderno si manifesteranno in un secondo tempo117.
2.3.2. L’INTERPRETAZIONE DELL’OPPOSIZIONE NIETZSCHEANA AL SISTEMA
Come abbiamo accennato precedentemente, dopo aver approfondito il pensiero di Schelling nel 1936, Heidegger si dedica per molti anni e molte lezioni all’approfondimento
114 Cfr. P. Colonnello, Heidegger interprete di Kant, pp. 19-‐‑20; più recentemente cfr. anche Id., Orizzonti del trascendentale, Mimesis, Milano 2013.
115 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, B136, 28-‐‑29; tr. it. p. 220.
116 GA03, 92; tr. it. p. 129. P. Colonnello, Heidegger interprete di Kant, cit., p. 19.
117 «Giova piuttosto osservare come forzando alquanto il testo kantiano, Heidegger dia rilievo
maggiore più all’immagine, alla base dello schema, che allo schematismo in sé». P. Colonnello, Heidegger interprete di Kant, cit., p. 19.
del pensiero di Nietzsche, il quale in qualche modo porta Heidegger a ripensare il rapporto con l’idealismo tedesco (ed in particolare con il pensiero di Schelling), in base alla maturazione di una nuova visione complessiva della storia dell’occidente, che proprio con Nietzsche giunge al suo termine. Quest’ultimo infatti, verrà considerato dal nostro autore come “l’ultimo metafisico” facente parte – assieme a Hegel e Schelling – di quel movimento di compimento e dunque di fine del pensiero occidentale, il quale ha avuto origine con le filosofie di Platone e Aristotele118. L’importanza che Nietzsche ebbe per Heidegger, il
motivo di sgomento che quello fu per questo, è ben espresso dalla sentenza di Heidegger stesso, che secondo la testimonianza di Hans-‐‑Georg Gadamer affermò addirittura: «Nietzsche hat mich kaputtgemacht»119. Sappiamo che Nietzsche è stato un riferimento
costante per Heidegger, a partire dagli anni del suo apprendistato, tant’è che è possibile trovarne una citazione nella famosa tesi di libera docenza del 1916, Die Kategorie-‐‑ und Bedeutungslehre in Duns Scotus, ed una importante citazione in Sein und Zeit, durante la discussione del tempo storico e della storicità120. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio del
118 GA6.1, 431-‐‑432; tr. it. p. 398. «La verità che Nietzsche mostra in anticipo proviene dalla storia
moderna. Nell’esame di questa verità Heidegger guarda alle filosofie da Descartes a Hegel e comprende Nietzsche a partire dalla continuità del pensiero metafisico. Solo in quanto proviene in tal modo dalla metafisica Nietzsche è colui che indica il futuro». W. Müller-‐‑Lauter, Das Willenwesen und der Übermensch, in «Nietzsche-‐‑Studien», 10-‐‑11 (1981/82); tr. it. a cura di C. La Rocca, Volontà di potenza e nichilismo. Heidegger e Nietzsche (cap. III L’essenza della volontà e il superuomo. Le interpretazioni heideggeriane di Nietzsche), Edizioni Parnaso, Trieste 1988, p. 106.
119 H.-‐‑G. Gadamer, Heidegger und Nietzsche. Zu ‘Nietzsche hat mich kaputtgemacht’, in «Aletheia», 9/19
(1996), p. 19. Cfr. anche F.-‐‑W. von Herrmann, Der andere Anfang. Heidegger und Nietzsche, in «Aletheia», op. cit., p. 20; O. Pöggeler, Auf einen falschen Weg gebracht? Heidegger und Nietzsche, in «Aletheia», cit., p. 22; W. Müller-‐‑Lauter, Denkerische ‘Zwiesprache’ mit Nietzsche, in «Aletheia», cit. pp. 24-‐‑26; T. Kisiel, Measuring the Greatness of the Great Men of Grand Politics: How Nietzsche’s “Dynamite” rendered Heidegger “kaputt”, in B. Babich, A. Denker, H. Zaborowski (eds.), Heidegger & Nietzsche, Rodopi, Amsterdam-‐‑New York 2012, pp. 195ss.
120 Per il primo testo, cfr. Die Kategorien-‐‑ und Bedeutungslehre des Duns Scotus, in GA1, Frühe Schriften,
Hrsg. F.-‐‑W. Von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a.M. 1978, p. 196; tr. it. A. Babolin, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, Laterza, Roma-‐‑Bari 1974, p. 8. Per Essere e tempo, cfr. SZ, 396 (GA2, 523); tr. it. pp. 465. Per i riferimenti, W. Müller-‐‑Lauter, Volontà di potenza e nichilismo. Nietzsche e Heidegger, cit., pp. 19-‐‑25. J. Taminiaux, La présence de Nietzsche dans ‘Sein und Zeit’, in J. P.
decennio successivo, troviamo poi tre brevi ma molto significative citazioni di Nietzsche, che mostrano la crescente importanza del pensatore dell’eterno ritorno nella considerazione di Heidegger: nel testo Grundbegriffe der Metaphysik. Welt Endlichkeit Einsamkeit, Heidegger riporta alcune delle maggiori teorie filosofiche (di Spengler, Klages, Scheler e Ziegler) alla coppia concettuale di “apollineo” e “dionisiaco” introdotta da Nietzsche121; nel saggio
Platons Lehre von der Wahrheit, edita nel 1942 ma scritta in quel periodo, viene collegato per la prima volta il nome di Nietzsche a quello di Platone, ma sorprendentemente rispetto ai canoni interpretativi di allora, e rispetto all’autocomprensione di Nietzsche stesso, senza che tra i due vi sia una essenziale discontinuità: Nietzsche porta a compimento la metafisica iniziata con Platone122; infine nella famosa Rektoratsrede del 1933 Die Selbstbehauptung der
deutschen Universität, in cui si nomina la famosa asserzione nietzscheana della “morte di Dio”123. La vera svolta nella considerazione di Nietzsche avvenne proprio successivamente
al corso del 1936 su Schelling; nel frattempo Heidegger aveva cominciato a frequentare l’Archivio-‐‑Nietzsche a Weimar, allora impegnato in una edizione delle opere di Nietzsche. Heidegger ne approfondì il pensiero in quattro corsi universitari praticamente successivi l’uno all’altro (a cui si deve aggiungere un corso preparato, ma poi non tenuto), ed in alcuni testi scritti negli stessi anni. Al termine di tale confronto, Heidegger tenne il corso del 1941 su Schelling, di cui propone una “erneute Auslegung”. Raccogliendo tali corsi, sistemandone i capitoli, ed aggiungendovi appunto alcuni scritti risalenti a quegli anni, Heidegger pubblicò infine nel 1961 presso l’editore Neske i due poderosi volumi intitolati semplicemente Nietzsche, che ebbero una enorme fortuna negli studi nietzscheani e nel pensiero filosofico in genere per l’originalità della loro interpretazione e per la profondità dello sguardo con con cui sono costruiti.
Cominetti, J. Janicaud (ed.), ‘Etre et temps’ de M. Heidegger, Sud-‐‑Robert, Marseille 1989, pp. 59-‐‑75; F. Volpi, Postfazione, in M. Heidegger, Nietzsche, ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2013, p. 946ss.
121 GA29/30, 107ss; tr. it. pp. 97ss. 122 GA9, 209ss.; tr. it. pp. 180ss.
123 M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, Hrsg. H. Heidegger, Klostermann,
Frankfurt a.M. 1983, p. 13; tr. it. a cura di C. Angelino, L’autoaffermazione dell’università tedesca, Il melangolo, Genova 1988, p. 22.
Appare particolarmente significativo, relativamente ai temi del sistema, del trascendentale e della totalità dell’ente, la parte del testo che riporta il corso del semestre estivo del 1939 a Freiburg, intitolata La volontà di potenza come conoscenza [Der Wille zur Macht als Erkenntnis]124.
In apertura del corso – dedicato all’interpretazione di alcuni frammenti contenuti nella parte terza del testo di Nietzsche “fabbricato a posteriori” La volontà di potenza125, intitolata
appunto La volontà di potenza come conoscenza – Heidegger indica l’ambito essenziale del domandare filosofico, e nel fare questo dà una indicazione importante in merito al tema di cui ci stiamo occupando, che mi pare utile per dirimere una possibile critica al percorso che si sta ipotizzando. Tale critica potrebbe suonare così: l’attenzione al pensiero della totalità dell’ente è qualcosa che forse permane nella “prima fase” del pensiero heideggeriano, ma che viene da lui stesso sconfessata nella “seconda fase” del suo pensiero dopo la cosiddetta “svolta”; infatti è ormai ben nota la distinzione operata nei Beiträge zur Philosophie tra una “domanda guida [Leitfrage]” della filosofia, che domina tutto il pensiero metafisico antico e moderno, e che è rivolta all’ente in quanto tale, e una “domanda fondamentale [Grundfrage]”, che invece dovrà essere la domanda del “nuovo inizio del pensiero”,
124 GA6.1, 425-‐‑594; tr. it. pp. 393-‐‑540.
125 Sulla storia di tale testo, sulla sua interpretazione e la sua influenza nel corso del ’900, e sul corretto
modo di considerarlo, vi sarebbe moltissimo da dire, essendo stata questa una delle tematiche più importanti della storia della filosofia contemporanea. La posizione di Heidegger è piuttosto interessante, e sicuramente non in linea con le interpretazioni di Nietzsche “ufficiali” dell’epoca. Egli afferma infatti: 1) «Il fatto che Nietzsche stesso, in lettere alla sorella e ai pochi amici che lo aiutavano, e che lo capivano sempre meno, parli di un’“opera capitale”, non prova ancora il diritto a questo presupposto [della fedeltà dell’opera alle intenzioni di Nietzsche]; 2) «Soltanto presupponendo arbitrariamente un’opera da compiere […] si possono considerare gli inediti di Nietzsche come “frammenti”, “schizzi”, “lavori preliminari”»; 3) «dobbiamo liberarci fin da principio, e ovunque, dell’ordinamento presentato nel libro»; 4) «evitiamo anzitutto di mescolare brani di periodi diversi, cosa che nel libro oggi disponibile è la regola». Conclude dicendo «Noi distinguiamo sempre e in modo netto tra il libro intitolato La volontà di potenza, fabbricato a posteriori, e il corso occulto del pensiero che porta alla volontà di potenza, di cui tentiamo di ripensare la legge e la struttura [Gefüge] interiori». GA6.1, 435-‐‑438; tr. it. pp. 402-‐‑404. Per una ricostruzione della storia del testo, cfr. M. Montinari, «La volonté de puissance» n’existe pas, Éditions de l’éclat, Paris 1996; M. Ferraris, Storia della volontà di potenza, in F. Nietzsche, La volontà di potenza, ed. a cura di M. Ferraris, Bompiani, Milano 2001, pp. 563-‐‑688.
rivolgendosi ora all’essere in quanto tale. A tale possibile obiezione, credo si possa rispondere mediante una citazione proprio dell’inizio del corso suddetto:
La decisione suprema che può capitare, e che diventa di volta in volta il fondamento di tutta la storia, è quella tra il predominio [Vormacht] dell’ente e il dominio [Herrschaft] dell’essere. Pertanto, quantunque e comunque l’ente nel suo insieme venga esplicitamente pensato, il pensiero sta nel raggio di pericolo di questa decisione126.
Se la prima parte della citazione potrebbe far pensare ad una ulteriore prova a favore dell’obiezione, la seconda parte chiarifica il senso della distinzione, mostrando la non-‐‑ semplicità della “domanda fondamentale”, la quale seppure si orienti all’essere e si costituisca a partire dalla decisione per la Herrschaft dell’essere, non può rinunciare al pensiero della totalità dell’ente. L’opzione tra la prima e la seconda possibilità di domanda non esclude quindi l’intenzione della totalità dell’ente, la quale mi pare resti per Heidegger un passaggio necessario per la domanda ontologica in sé. Il carattere specifico del pensiero metafisico, d’altra parte, non è l’assenza di un domandare ontologico tout court, bensì il fatto che «l’essere, pensato in termini metafisici, è ciò che è pensato muovendo dall’ente quale sua determinazione più universale e andando all’ente quale suo fondamento e causa»127.
I frammenti che qui Heidegger prende in considerazione riguardano un tema definito della filosofia (non solo di Nietzsche), cioè il problema del fondamento e dell’essenza della conoscenza. In tali proposizioni – come anche è evidente dal titolo – Nietzsche intende ricondurre la conoscenza in sé alla volontà di potenza, ed il nostro autore segue questo
126 GA6.1, 428; tr. it. p. 395. In tale testo, Franco Volpi sceglie di tradurre das Seiende im Ganzen con
“l’ente nel suo insieme”, forse proprio per voler evitare un collegamento con il pensiero dell’idealismo tedesco. Tuttavia, dal momento che l’obiettivo di tale ricerca è tentare di mostrare proprio uno dei possibili collegamenti tra il nostro autore e parte del pensiero idealista, ritengo utile continuare ad utilizzare l’espressione “la totalità dell’ente”. Inoltre, il termine scelto da Heidegger è proprio lo stesso utilizzato dall’idealismo tedesco, ad esempio nella famosa sentenza della Fenomenologia dello spirito: «Das Wahre ist das Ganze» (tradotta in italiano «il vero è l’intero»). Cfr. G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, Goebhardt, Bamberg-‐‑Würzburg 1807, p. XXIII; tr. it. V. Cicero, Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano 2000, p. 69.
percorso. Egli tuttavia non solo riporta “la lettera” del testo nietzscheano, ma la interpreta e la colloca all’interno della propria visione della filosofia occidentale, della sua storia e del suo declino. La trattazione di tale tema si collega direttamente alle questioni di cui abbiamo parlato precedentemente, con la finalità di approfondirle per trovarne il nucleo centrale, grazie ovviamente al pensiero di Nietzsche.
Il tema fondamentale del pensiero di Nietzsche, secondo la ricostruzione heideggeriana corrisponde al tema della domanda che poco fa abbiamo visto essere per Heidegger necessaria accanto alla domanda ontologica, ossia la questione metaontologica della totalità dell’ente [Seiendes im Ganzen]:
Nel pensiero unico della volontà di potenza, Nietzsche pensa il carattere fondamentale della totalità dell’ente. Il detto della sua metafisica, cioè della determinazione della totalità dell’ente, è: la vita è volontà di potenza128.
Nietzsche ovviamente non si esprime nei suoi scritti nei termini classici dell’ontologia, in quanto egli rifiuta l’uso e la validità del concetto di essere, e ciononostante Heidegger si sforza di tradurre il pensiero nietzscheano in quello della propria filosofia. Tale passaggio è reso possibile chiaramente grazie alla precedente interpretazione del pensiero di Schelling che abbiamo analizzato, ed in particolare della sua dottrina fondamentale, secondo cui “Wollen ist Urseyn”129.
128 GA6.1, 442; tr. it. p. 408 (trad. modificata).
129 F.W.J. Schelling, Philosophische Untersuchungen, p. 350; tr. it. p. 125. Cfr. sopra, pp. 72ss. Per tale
affermazione, vedi M. Marassi, Ermeneutica della differenza. Saggio su Heidegger, pp. 158-‐‑162. Cfr. anche p. 172: «La volontà di potenza è quindi l’essenza dell’essere e consiste nell’“imprimere al divenire il carattere dell’essere” (GA7, Vorträge und Aufsätze, Hrsg. F.-‐‑W. Von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a.M. 2000, p. 120; tr. it. G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 2007, p. 79). Interpretando il pensiero “più abissale” di Nietzsche a partire da Schelling – “il volere è l’essere originario” – si può dire che la volontà diviene determinazione dell’essenza dell’essere dell’ente. E infatti Nietzsche riprende anche l’affermazione schellinghiana che “l’eternità e indipendenza dal tempo” sono i predicati dell’essere originario, sotto la figura dell’eterno ritorno dell’uguale». È tra l’altro notevole il fatto che Heidegger rifiuta di riconoscere l’importanza della filosofia di Schopenauer per
Heidegger afferma: «Valore significa per Nietzsche: condizione della vita […]. Ma “vita”, nel pensiero di Nietzsche, è il più delle volte la parola per indicare qualsiasi ente e la totalità dell’ente in quanto è»130. Per Heidegger «…il cogliere e il determinare l’ente
vengono attribuiti fin dai tempi antichi al percepire [Vernehmen] – al νοῦς. Noi abbiamo per indicarlo la parola tedesca Vernunft (ragione, percezione). La Vernunft, il prendere [nehmen] l’ente in quanto ente, lo prende in diversi riguardi […]»131. Con una premessa etimologica
piuttosto azzardata132, egli chiama la facoltà di nominare l’ente “ragione [Vernunft]”,
rimarcando il collegamento con un modo di pensare tipico degli autori precedenti, ed inoltre specifica ulteriormente in tal senso l’attività del considerare l’ente in quanto tale mediante in pensiero, facendola risalire non solo agli autori dell’idealismo tedesco (Kant, Schelling, Fichte e Hegel), ma anche addirittura agli autori del pensiero greco:
Chiamare qualcosa in quanto qualcosa si dice in greco κατηγορεῖν. I riguardi secondo i quali l’ente è chiamato in quanto ente – fattezza, estensione, relazione (qualità, quantità, relazione) – sono detti pertanto “categorie” o più chiaramente: τάά σχήήµματα τήής κατηγορίίας, le figure in cui il chiamare qualcosa in quanto qualcosa (ἡ κατηγορίία) pone di volta in volta ciò che è chiamato. Quest’ultimo è sempre l’ente in quanto ente, che è in questo o quel modo. Perciò gli σχήήµματα τήής κατηγορίίας altro non sono che γέένη τοῦ ὄντος, generi, modi della genesi dell’ente, ciò da cui – e quindi ricorrendo a cui – l’ente è […]. Il percepire l’ente in quanto tale si dispiega nel pensiero, e questo si esprime nell’asserzione, nel λόόγος133.
il pensiero di Nietzsche, dandole un significato soltanto come “stimolo” iniziale. Müller-‐‑Lauter su ciò afferma: “I motivi per questo ‘incatenamento’ di Nietzsche alla filosofia idealistica, al quale viene sacrificato l’influsso di Schopenauer, sono comprensibili solo considerando quella estensione del pensiero i Nietzsche che Heidegger deve compiere se vuole interpretare Nietzsche come colui che ha portato a compimento la metafisica moderna”. W. Müller-‐‑Lauter, Volontà di potenza e nichilismo. Nietzsche e Heidegger, cit., p. 115.
130 GA6.1, 438-‐‑439; tr. it. p. 405 (trad. modificata). Con ciò non si intende dire che Heidegger “riduca”
il pensiero Nietzsche al suo (anche se questa è la critica che comprensibilmente viene più frequentemente portata all’interpretazione heideggeriana).
131 GA6.1, 475; tr. it. p. 436.
132 Cfr. Deutsches Wörterbuch von Jacob und Wilhelm Grimm, XII, I, p. 927ss. 133 GA6.1, 476; tr. it. p. 437.
Mediante tali citazioni emerge a mio avviso chiaramente come Heidegger intenda sottolineare l’aspetto di continuità che lega gli autori del passato al pensiero di Nietzsche, ed anche come quest’ultimo abbia voluto prendere su di sé le istanze proprie della filosofia precedente per interrogarle e rifondarle. Vengono quindi posti nuovamente i temi della totalità dell’ente, dello schematismo e del sistema delle categorie come trascendentale del rapporto all’ente134, ed anche il tema dell’origine “immaginativa [bildhaft]” degli schemi
trascendentali e dunque dello stesso sistema delle categorie. Di tali concetti viene sottolineato in particolare il fatto che essi corrispondono sempre ad una medesima temporalizzazione, cioè portano con sé un carattere temporale che si ripete sempre uguale, ossia quello della presenza e della stabilità:
Che qualcosa è, noi lo diciamo di quello che ogni volta, e fin dall’inizio e già da sempre troviamo lì presente; ciò che è ognora presente e che in tale presenza ha una stabilità costante. L’ente vero e proprio è fin dall’inizio ciò che fin dall’inizio non può mai essere portato via, ciò che mantiene il suo stato (Stand) e resiste (standhält) a ogni assalto e regge ogni accidente. L’ente che così è, è il vero, la «verità». […] Analogamente il «mondo apparente», il non ente, è ritenuto l’instabile, l’incostante, il sempre mutevole, ciò che nell’emergere è già in procinto di scomparire di nuovo135.
Questa interpretazione del significato dell’ente, e dunque delle categorie e del sistema delle categorie ad esso presupposto è tipico della filosofia occidentale così come si è costituita da Aristotele fino all’epoca contemporanea (in particolare, ovviamente, a
134 Che si stia parlando non della conoscenza empirica, bensì del livello trascendentale, è evidente in
particolare da questa affermazione: “Gli schemi […] non vengono apposti sul caos come un timbro, ma vengono escogitati prima e poi premessi a ciò che si presenta, in modo tale che quest’ultimo appare dapprima e già sempre nell’orizzonte degli schemi, e unicamente in un siffatto orizzonte”. GA6.1, 522; tr. it. p. 477. Brito afferma: «Dans la détermination nietzschéenne de la connaissance, il se produit -‐‑ comme chez Kant -‐‑ un retour à ce qui rend possible la représentation habituelle». E. Brito, Connaissance du chaos. Heidegger et Nietzsche, in «Revue théologique de Louvain», 29, 4 (1998), p. 458.
Nietzsche). Essa sarà particolarmente significativa ed importante per l’ermeneutica del testo qui presente e per le posizioni di Heidegger in merito a questa tradizione di pensiero da lui individuata.
Ancora più vicino ai testi commentati precedentemente sta la definizione del carattere particolare della ragione, che è quello di porre gli schemi delle categorie (e dunque il sistema delle categorie): tali elementi hanno in comune il fatto determinante (come già s’è visto nel commento al testo kantiano) di essere “unificatori”, ossia di raccogliere l’uguale nel molteplice e di unificarlo. L’unità dello schema e della categoria non è trovato nel molteplice, bensì è un prodotto specifico della ragione – se così posso esprimermi. Heidegger descrive quindi in tal modo la specificità di questa ragione che “crea” gli schemi: «Questo porre un “uguale” è perciò un inventare [Erdichten] ed escogitare [Ausdichten]. […] Questo libero porre-‐‑anticipatamente qualcosa di identico, cioè una identicità, questo carattere inventivo [dichtend] è l’essenza della ragione e del pensiero. […] Ciò che in siffatto inventare viene inventato sono le categorie» 136 . Con ciò Heidegger non intende
assolutamente fare “marcia indietro” rispetto alla ricostruzione del sistema della facoltà effettuata nel testo del ’29, bensì dà prova di voler specificare ulteriormente sia la costituzione di tali elementi del conoscere, sia la loro storia e il loro sviluppo nel corso del tempo. Infatti nelle pagine del corso possiamo leggere:
Il carattere inventivo della ragione è stato visto esplicitamente e pensato a fondo per la prima volta da Kant nella sua dottrina dell’immaginazione trascendentale. La concezione dell’essenza della ragione assoluta nella metafisica dell’idealismo tedesco (in Fichte, Schelling, Hegel) si fonda senz’altro sull’intuizione kantiana dell’essenza della ragione come “facoltà” “immaginativa”, inventiva [Vernunft als einer “bildenden”, dichtenden “Kraft”]137.