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Il Museo tra coesione sociale e Heritage Education

4.1. L’Ecomuseo del Casentino come laboratorio di ricerca

La relazione tra salvaguardia del patrimonio culturale e crea- zione di benessere per la comunità è l'oggetto di una ricerca, avviata nel 2015 e tuttora in corso e di cui presentiamo i primi risultati in questo capitolo.

L'indagine assume come caso di studio l'Ecomuseo del Ca- sentino, quale dispositivo territoriale di “protezione, conserva- zione, interpretazione, valorizzazione sostenibile del paesaggio della prima valle dell'Arno, della sua storia, delle produzioni locali e del patrimonio culturale nelle sue espressioni, tangibili e intangibili”1. Fondato nel 20042, l’Ecomuseo è gestito

dall’Unione dei Comuni del Casentino, che ne promuove e coordina le attività insieme ad altri enti locali, organizzazioni culturali, associazioni di promozione sociale, imprese e privati cittadini3.

La principale caratteristica di tale dispositivo è di originarsi e svilupparsi attraverso la partecipazione attiva della comunità alla salvaguardia del proprio patrimonio culturale (Reina, 2014). In origine, al centro della filosofia ecomuseale c’era l’idea di esplorare come le risorse culturali locali contribuisco- no a definire lo “spirito del luogo”, a partire dalla stretta rela- zione fra territori, comunità e patrimonio (Corsane et al.: 2009,

1 Regolamento dell’Ecomuseo del Casentino,

http://www.ecomuseo.casentino.toscana.it/ (01.03.2018).

2 Risoluzione N. 53/2004 del Consiglio della Comunità Montana del Casentino. 3 Risoluzione N. 51/2013 del Consiglio dell’Unione dei Comuni del Casentino.

2007a, 2007b). Oggi, l'ecomuseo è più correttamente definito per mezzo delle azioni che compie, piuttosto che da “ciò che è” ed assume un ruolo sempre più importante di driver dello svi- luppo di aree rurali e montane (Network degli Ecomusei Italia- ni, 2016).

L’European Ecomuseums Network (2004) definisce, infatti, l’ecomuseo «un processo dinamico attraverso il quale le comu- nità conservano, interpretano e migliorano il loro patrimonio per uno sviluppo sostenibile […] basato su un patto di comuni- tà»4. I suoi tratti distintivi sono riassumibili in:

a) il superamento dell'aspetto formale verso la progetta- zione reale di azioni che sostengono il cambiamento sociale e la sostenibilità ambientale;

b) il coinvolgimento e la responsabilità condivisa dalla comunità;

c) i ruoli intercambiabili di funzionari pubblici, società ci- vile, volontari ed altri attori locali.

In Italia, l'ecomuseo ha avuto un'ampia diffusione su tutto il territorio nazionale con 173 progetti sostenuti da dieci regioni5.

Tra questi, l’Ecomuseo del Casentino (Figura 4.1), articolato in sei diversi sistemi (acqua, foresta, civiltà agricola e pastorale, castello, archeologico e manifatturiero), si qualifica per:

a) la diffusione capillare nel territorio attraverso le tredici Antenne ecomuseali;

b) la forma pubblico-privata;

4 Questa definizione, proposta dall’European Ecomuseums Network, è sostanzialmente

differente da quella di ICOM (2007), che lo descrive come un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperto al pubblico e che conserva, studia, comunica ed espone le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente, con fini di studio, educazione e diletto (www.http://icom.museum/ - 01.03.2018).

5 La Regione Piemonte è stata pioniera delle esperienze ecomuseali in Italia (L. R.

31/1995), promuovendo la creazione di ecomusei con l'obiettivo di proteggere e pro- muovere l'unicità delle aree e di incoraggiare lo sviluppo sostenibile. Anche la Regione Toscana ha adottato una legge specifica che definisce l’ecomuseo: «un'istituzione cultu- rale, pubblica o privata, non professionale, finalizzata allo sviluppo territoriale culturale ed educativo, attraverso la partecipazione della popolazione, la ricerca, la conservazione di beni culturali, sia tangibili che intangibili, che rappresentano l'ambiente e il modo di vivere nel tempo, accompagnandone lo sviluppo» (R.L. 21/2010, art.16).

c) l’inclusione di imprese afferenti a diversi settori delle produzioni tradizionali;

d) il volontariato come elemento fondante.

Figura 4.1. L’Ecomuseo del Casentino e i suoi sistemi (FONTE:

<http://www.ecomuseo.casentino.toscana.it/>, 01.03.2018).

La peculiarità dell'ecomuseo è di essere un sistema che inte- gra dimensioni, aspetti, attività e luoghi (Davis, 2011; Maglia- cani, 2014). Quello del Casentino, in particolare, si struttura collegando il patrimonio culturale tangibile – i nodi di rete – con le attività e le produzioni tradizionali. Possiamo, pertanto, parlare di integrazione fra gli “oggetti” di interesse storico- artistico e naturale e i “soggetti” che mantengono vive le di- mensioni immateriali del patrimonio ad essi riferiti. Le azioni di salvaguardia, inoltre, hanno una natura intersettoriale, poiché coinvolgono vari ambiti del sistema locale. Anche le forme di gestione del patrimonio adottate sono il frutto un’ulteriore ele-

mento di integrazione, in questo caso fra attori pubblici, privati, del terzo settore.

In breve, nel modello ecomuseale casentinese l’integrazione avviene su tre dimensioni principali:

a) degli oggetti e dei soggetti, che comprendono patrimo- nio locale tangibile e intangibile, naturale e culturale; b) delle attività riconducibili a diversi settori e filiere pro-

duttive;

c) della gestione dei beni culturali attraverso un’organizzazione che coinvolge istituzioni pubbliche, imprese private, singoli cittadini, società civile.

Fra le strategie individuate per il loro sviluppo, nel “Manife- sto strategico” degli Ecomusei italiani (2016) si legge la neces- sità di rendere questi luoghi dei laboratori di ricerca applicata, in collaborazione con gli enti pubblici e privati preposti. Il loro scopo è promuovere l’innovazione nell’agroalimentare, nell’artigianato tipico e nel turismo, affiancando il lavoro già in atto di interpretazione e trasmissione del patrimonio culturale e naturale e di pianificazione e gestione partecipata del paesaggio e dei beni comuni. La loro realizzazione passa da forme auto- nome di gestione, mediante progettualità condivise a supporto dell’offerta culturale, dell’impegno sociale e della sostenibilità economica.

Perseguendo tale strategia e facendo leva sull’“intelligenza territoriale”, quale strumento di analisi e di intervento in grado di connettere azione istituzionale e azione locale (Rufino, Piz- zo, 2012), l’Ecomuseo del Casentino ha attivato uno spazio di analisi e di riflessione sulla propria azione, con l’intento di promuovere e diffondere conoscenze e competenze fra i propri membri e nella comunità in funzione della costruzione di una visione condivisa di sviluppo locale sostenibile.

Alternativa al mainstream, la cultura ecomuseale propone modelli economici basati sulla convivenza sociale, la sostenibi- lità ambientale, la bellezza naturale, l’alleanza tra esseri umani e ambienti di vita, ovvero sulla qualità della vita in tutte le sue sfumature. Laddove, come in Casentino, il patrimonio culturale è intrinsecamente legato alla vita della comunità, esso assume

una prospettiva valoriale, peraltro confermata dalla ricerca, che va ben oltre l’identità distintiva del luogo e anima la visione di futuro degli abitanti, la comprensione di se stessi e degli altri, contribuendo significativamente alla costruzione di società coe- se e al benessere dei cittadini.

Anche la ricerca che presentiamo in questo capitolo si inse- risce nelle attività del “laboratorio”. Dopo una breve presenta- zione delle principali caratteristiche dell’Ecomuseo, il capitolo illustra il framework di valutazione dell’impatto definito nello studio, il quadro teorico ad esso soggiacente e i primi risultati della ricerca.

Il lavoro prosegue con la descrizione della struttura organiz- zativa reticolare derivante dalla collaborazione fra i diversi atto- ri attorno all’eredità culturale, per poi passare all’analisi delle proprietà emergenti da questi networks territoriali, come il capi- tale sociale, la capacità di innovazione sociale e la valenza edu- cativa di tali processi. La nostra interpretazione dell’assetto or- ganizzativo ecomuseale e dei processi ad esso sottesi si fonda sull’assunto che la strutturazione di sistemi complessi e le loro proprietà globali sono il risultato della cooperazione fra le parti in gioco (Lindenfors, 2017). Questo fenomeno, generalmente noto come "emergenza", è il risultato di forme di auto- organizzazione (Mobus, Kalton, 2015).

L’ultima parte è dedicata ad una proposta di ridefinizione del concetto di Heritage Education, a partire dai primi esiti dell’indagine.

4.1.1. La ricerca in Casentino: obiettivi, fasi e prodotti

Assumendo come obiettivo dell'indagine la relazione tra salva-

guardia del patrimonio culturale e creazione di benessere per la comunità di riferimento, la ricerca si inserisce nel dibattito

internazionale sul «Beyond the GDP» ed adotta, come quadro di riferimento, gli studi sulla Quality of Life (QoL) nei loro svi- luppi più recenti, i quali utilizzano gli approcci qualitativi (To-

non, 2015) e di comunità (CLIQ, 2011; Attwood et al., 2014; Sirgy et al., 2013).

La Qualità della Vita non ha né una definizione, né uno standard di misurazione univoci, ma rimanda a quegli studi che, in vari settori disciplinari, sono orientati ad individuare e stima- re i fattori che producono condizioni di benessere per gli indi- vidui e, solo più recentemente, per le comunità.

Nati negli Stati Uniti negli anni Sessanta del Novecento per raccogliere ed elaborare dati sulle componenti non economiche del benessere, la loro funzione era dirigere le scelte politiche sui temi del welfare (Rapley, 2004). In anni più recenti, queste ri- cerche si sono orientate verso la conoscenza del cambiamento strutturale, delle emergenze e delle tendenze sociali6.

L’evoluzione degli studi sulla Qualità della Vita è riassumi- bile nei seguenti passaggi:

a) messa a punto di strumenti di misurazione che offrono indici sul grado di benessere raggiunto da una popola- zione in un dato contesto socioculturale e ambientale; b) espansione dei database per la costruzione di indicatori

utili alle comparazioni nazionali e internazionali, grazie a progetti di valutazione che, utilizzando criteri scienti- fici condivisi, accrescono il valore e la validità degli sforzi individuali e congiunti;

c) definizione di nuovi modelli teorici e analitici in grado di superare la concezione utilitaristica del benessere, verso una nuova visione basata sugli individui e sul soddisfacimento dei loro bisogni, come il lavoro della "Commissione Sarkozy" sulla misurazione delle presta- zioni economiche e del progresso sociale, che propone un’idea di benessere incentrata sulla qualità degli stan- dard di vita materiali e immateriali, le relazioni sociali ampie e articolate (Stiglitz et al., 2009).

6 In Italia questi studi iniziano a diffondersi a partire dagli anni’80 del XX secolo sotto

forma di analisi delle condizioni socio-economiche regionali come, ad esempio, gli stu- di sugli indicatori sociali realizzati in Toscana e l'esperienza dei bilanci sociali d'area condotti in Lombardia.

Anche il progetto Benessere Equo e Sostenibile (BES) di ISTAT e CNEL (2015) si colloca in questo ambito di ricerca e sviluppa una serie di indicatori per ciascuna delle dodici dimen- sioni, a partire dalle quali viene misurato il benessere della so- cietà italiana. Fra queste troviamo anche “Paesaggio e patrimo- nio culturale”, i cui indicatori sono riferiti a (Costanzo, Ferrara, 2015):

- aspetti soggettivi, per rilevare la percezione dei cittadi- ni del valore dei siti di interesse culturale, del loro stato di conservazione/degrado e dell’efficacia delle azioni di tutela delle politiche pubbliche;

- aspetti oggettivi, per valutare lo stato del patrimonio culturale, attraverso la dotazione del patrimonio cultu- rale, la spesa pubblica per la sua conservazione e ge- stione e la piaga dell’edilizia abusiva.

Il fine è comprendere quanto il patrimonio sia considerato bene comune, portatore di ricchezza diffusa e quanto ne sia ga- rantita la tutela per le generazioni future. Sebbene lo studio ab- bia il merito di introdurre il patrimonio culturale come dimen- sione di benessere, non considera come e in che misura la sua salvaguardia possa influenzare la qualità di vita delle comunità. Come per il BES, la maggior parte degli studi sulla QoL si av- vale di metodi di ricerca quantitativi, sotto forma di misurazio- ne numerica prodotta da processi statistici e declinati operati- vamente a livello macro.

Solo recentemente queste ricerche hanno iniziato a conside- rare l’utilità - e a volte la necessità - di servirsi di metodi quali- tativi per esplorare il "perché" di certi fenomeni e comprender- ne le caratteristiche, evidenziando le relazioni fra i processi che li definiscono e i loro risultati (Tonon, 2015) e adottando decli- nazioni operative a livello meso e micro del sistema in cui il fe- nomeno si ascrive (Sirgy et al., 2013). Anche l’indagine in Ca- sentino va in questa direzione, scegliendo una strategia qualita- tiva e una prospettiva analitica basata sulla comunità (Magee et

al., 2012) per effettuare un’analisi territoriale del benessere

prodotto dall’azione di salvaguardia del patrimonio culturale, con il coinvolgimento della stessa comunità nelle azioni di ri-

cerca. Essa può considerarsi un momento di valutazione, in cui viene mantenuta la qualità fenomenologica di un contesto spe- cifico e vengono raccolte le interpretazioni dei partecipanti sul fenomeno indagato, secondo un approccio alla valutazione cosi detto naturalistico o di “quarta generazione" (Guba, Lincoln, 1989). In questo caso, il ricorso ad una strategia qualitativa sembra più adatto ad esplorare e comprendere l'oggetto in esa- me, anche per la natura intangibile di alcuni concetti associati al vocabolario di ricerca, come identità, senso di appartenenza, va- lori comuni.

Pur avvalendosi di concetti e domini della ricerca QoL ap- plicandoli al patrimonio culturale, quello del Casentino è da considerarsi un lavoro di frontiera rispetto a questo ambito di studi. Assumendo la una prospettiva comunitaria, l’indagine si sofferma sulla qualità della vita della società, di cui la coesione sociale è un elemento significante, piuttosto che su quella degli individui.

La scelta dell’Ecomuseo del Casentino come caso di studio (Yin, 2011, 2009) è stata operata sulla base di alcuni suoi ele- menti strutturali e organizzativi, che ne fanno un esempio unico nell'ambito italiano e, allo stesso tempo, rappresentativo di altre esperienze ecomuseali7.

Il disegno della ricerca si distingue per l’adozione di due principali strategie: una di tipo comparativo, quale procedimen- to di analisi e di ricostruzione di un fenomeno attraverso l'acco- stamento e il confronto di vari elementi, in chiave diacronica sullo stesso caso di studio o sincronica con altri casi di studio; l’altra multi-holders che prevede il coinvolgimento diretto di varie tipologie di attori, locali e non (come esperti di settore,

policy makers, professionisti, cittadini, volontari), al fine di rac-

cogliere punti di vista diversi sul fenomeno indagato.

In breve, si tratta di una ricerca empirica che utilizza molte- plici fonti di evidenze allo scopo di esplorare le caratteristiche

7 Nel 2016, l’Ecomuseo del Casentino è stato riconosciuto da ICOM Italia come una

delle otto migliori pratiche nazionali di salvaguardia partecipata del patrimonio cultura- le, nell'ambito della XXIV Conferenza Generale di ICOM "Museums and cultural landscape" di Milano.

di complessità del fenomeno in relazione al contesto in cui esso si verifica (Stake, 1995).

Il programma di ricerca è articolato in quattro fasi, ognuna delle quali con specifici obiettivi e strumenti di indagine.

La prima fase (2015-2016) è stata dedicata alla ricognizione e all’analisi della letteratura sulla QoL, degli studi e delle ricer- che sulla valutazione delle azioni attorno al patrimonio cultura- le, per definire il quadro concettuale e operativo dell’indagine. Il prodotto è la costruzione di un framework per la valutazione dell’impatto della salvaguardia del patrimonio sul benessere delle comunità. Questo è stato applicato all’esperienza ecomu- seale casentinese per testarne la validità durante la seconda fase della ricerca (2016-2017), la quale ha previsto: l’analisi della struttura organizzativa dell’Ecomuseo, la mappatura dei suoi “holders”, la costruzione e la somministrazione degli strumenti di indagine8. Il confronto tra i dati raccolti e quanto stabilito nei

documenti programmatici dell’Ecomuseo è stato oggetto di in- contri con i referenti delle organizzazioni coinvolte nelle attivi- tà ecomuseali. I principali risultati conseguiti sono stati: una fo- tografia dell’Ecomuseo a dodici anni dalla sua nascita, indica- zioni sulle aree di miglioramento organizzativo e sugli interven- ti per rafforzarne l’azione in termini di produzione di benessere per la comunità casentinese.

8 Gli strumenti di ricerca utilizzati sono stati: 4 questionari semi-strutturati rivolti ad al-

trettante tipologie di holders (volontari, cittadini, assessori comunali e gestori delle an- tenne), per sondare la loro percezione del benessere prodotto dall’Ecomuseo; schede di raccolta dati quantitativi da documenti, fonti primarie e secondarie; due tracce per in- terviste; due tracce per focus group. Sono stati raccolti 64 questionari e 13 schede; ef- fettuate 6 interviste in profondità e 4 focus group. I dati qualitativi raccolti sono stati analizzati con la tecnica dell’analisi del contenuto, un processo per codificare informa- zioni qualitative da considerarsi un ponte tra il linguaggio della ricerca qualitativa e quello della quantitativa (Boyatzis, 1998). Questa procedura consiste nella segmenta- zione analitica del contenuto in categorie e aree concettuali, attraverso "unità di signifi- cato" utili a spiegare un fenomeno (Gläser, Laudel, 2013). In questo caso, l'analisi e la sistematizzazione delle unità o nuclei di significato sono il risultato di procedure di classificazione della percezione degli intervistati sugli effetti prodotti dall'Ecomuseo in domini e categorie definite ex ante. Durante il lavoro di decodifica, queste stesse cate- gorie sono state oggetto di verifica della loro capacità di cogliere pienamente l’aspetto descritto e rilevare le relazioni con gli altri aspetti.

La terza fase della ricerca (2017) è stata dedicata ad appro- fondire la valenza educativa del dispositivo ecomuseale, con in- terviste a testimoni privilegiati (il coordinatore dell’Ecomuseo, esperti di settore e il referente politico dell’Unione dei Comuni del Casentino), focus group ed incontri con gli holders.

La quarta fase (in corso) prevede l’applicazione dello stesso

framework di valutazione al termine degli interventi di miglio-

ramento organizzativo messi in campo e riguardanti: il raffor- zamento delle competenze dei gestori delle antenne ecomuseali, la riorganizzazione dell’offerta culturale, la ridefinizione di al- cuni aspetti del sistema di governance ecomuseale. L’obiettivo è di registrare eventuali variazioni intervenute nella performan-

ce e validare il framework come modello di valutazione

dell’impatto, che potrà essere successivamente applicato ad al- tre esperienze ecomuseali italiane.

Nei prossimi paragrafi presenteremo alcuni dei risultati ri- conducibili all’applicazione del quadro di valutazione della sal- vaguardia del patrimonio, soffermandoci in particolare sui tratti salienti dell’organizzazione ecomuseale e i processi chiave ad essi sottesi.