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Post-Museo ed Educazione degli Esclus

3.2. Il Post-Museo come luogo di apprendimento informale ed incorporato

Il museo inteso come post-museo e luogo di apprendimento esperienziale ed informale (cfr. Cap. 2) si caratterizza per la capacità di costruire esperienze educative in risposta alla do- manda di educazione estetica, artistica, scientifica, culturale - espressa, ma anche non espressa - da ogni strato di pubblico (Prior, 2011)9. Tali esperienze sono non tanto di carattere for-

male e non formale (lezioni, laboratori, corsi, seminari, work- shop), ma soprattutto di carattere informale ed incorporato nei processi educativi e sociali cui il museo partecipa o che esso stesso attiva10. Il Post-museo opera principalmente attraverso

l’educazione incorporata, ovvero attraverso azioni educative strutturate (anche se prive di carattere formale) che accompa-

9 Attraverso il Post-museo la funzione dell’istituzione museale si consolida ed allarga

verso la lettura, analisi e soluzione di problemi sociali attraverso la costruzione di nuove relazioni educative (Prior, 2003).

gnano i processi di partecipazione del pubblico ai progetti di innovazione attivati11.

L’educazione incorporata agisce attraverso i dispositivi che permettono agli individui di acquisire consapevolezza in merito alle valenze educative e dis-educative del contesto museale vis- suto, e di costruire controllo e dominio sui processi educativi che li riguardano, ovunque essi abbiano luogo, per evitare che il potere di azione, individuale e collettivo, sia paralizzato (De Sanctis, 1979). Si tratta di una «invisible reality» (Bélanger, 2011: 79) che è «not only larger but also more influential than what can be seen, for it supports and indeed determines what can be seen above the water line»12. Il compito della pedagogia

museale non è limitato al rendere visibile l’invisibile dell’educazione informale prodotta dai musei. Essa contribuisce a comprendere come costruire i processi di «coscientizzazione»

(Freire, 1971), di liberazione e di creazione delle condizioni at- traverso le quali il pubblico dei musei acquisisce consapevolez- za delle valenze educative e della direzione delle azioni educa- tive di cui è parte, con la finalità di attivare processi trasforma- tivi rispetto a sé e rispetto al contesto museale. L’educativo e il non-educativo, l’autentico e l’alienato sono antinomie superabi- li a condizione che i fattori educativi e diseducativi dei contesti che si vivono siano controllabili e trasformabili dai soggetti che vi partecipano. È attraverso il controllo e la gestione della edu- cazione incorporata che il pubblico apprende i modi in cui pro- durre trasformazioni nei musei e attraverso cui, grazie alle co- noscenze prodotte nelle azioni educative realizzate, costruisce risposte ai propri problemi.

11 La educazione incorporata fa riferimento alle conoscenze ed alle valenze educative

che sono generate dalle relazioni esistenti all’interno del contesto museale e nel mo- mento del consumo culturale (Federighi, 1996b; De Sanctis, 1975): è nel momento del consumo che può riconoscersi il momento di creazione e formazione del soggetto (in senso di ‘Bildung’). Diversi sono gli studi che nella ricerca accademica italiana appro- fondiscono l’approccio della educazione incorporata all’interno dei contesti organizza- tivi e i rapporti tra formazione e lavoro (Alessandrini, 2004, 2013; Bertagna, 2011, 2012, 2013; Costa, 2011, 2016; Fabbri, 2012a, 2014; Federighi et al., 2009; Federighi, 2010; Malavasi, 2007; Rossi, 2007, 2009, 2011; Tiraboschi, 2005).

La educazione incorporata e l’educazione informale non cor- rispondono alle attività tipiche della sezione didattica dei musei. L’idea e le funzioni sia dell’educazione incorporata che dell’educazione informale affondano le loro radici nel pensiero di Knowles (1950) e prima ancora di Dewey13 (1916), oltre che

di numerosi altri autori14.

La ricerca sviluppatasi nel corso degli ultimi decenni ha mo- strato come l’educazione informale non debba essere considera- ta come un processo che ha luogo in contesti destrutturati, espe- rienziali, non istituzionali (Coombs, 1985; Marsick e Watkins, 1990). Tale prospettiva guarda al fenomeno in maniera eccessi- vamente riduttiva poichè non considera gli apprendimenti «quo- tidiani» (Illeris, 2004) come l’insieme di knowledge e skills, ma anche di «many other things such as opinions, insight, meaning, attitudes, values, ways of behaviour, methods, strategies, etc.» (Illeris, 2009: 10), frutto di intenzionalità unilaterale che deter- mina e guida le valenze educative –di segno positivo e negativo – di ogni contesto vissuto (biblioteca, musei, scuola, impresa, nido, comunità, servizi, campi da gioco, famiglia, mass media,

13 «Hence one of the weightiest problems with which the philosophy of education has to

cope is the method of keeping a proper balance between the informal and the formal, the incidental and the intentional, modes of education» (Dewey, 1916: 10).

14 L’informale a scuola (teorie del curricolo nascosto) e nelle attività educative non

formali hanno alimentato gran parte della ricerca (es. Coombs e Achmed, 1974; Coombs, 1989; La Belle, 1982), impegnata a rammentare come «l’opera educativa nella scuola non può avere successo isolatamente», perché «è l’intera società che forma e educa (anche in senso negativo o in guisa insufficiente o errata)» ed è dunque necessa- rio studiare e analizzare «la direzione della politica e i suoi metodi, l’organizzazione della comunità, dell’industria, del lavoro, della chiesa, dei mezzi di comunicazione di massa» (Borghi, 1962: 337-338). Altri concetti utili che la ricerca ha elaborato per comprendere la formazione informale sono quelli di valenza educativa (De Sanctis, 1975) e di hidden curriculum (Giroux, 1983), per lo più identificati come fenomeni scarsamente strutturati, non intenzionali (Mocker e Spear, 1982; Wain, 1987), se non nelle forme del self-directed learning (Livingstone, 1999; Schugurensky, 2000). La ri- cerca sull’educazione informale ha inoltre riguardato vari ambiti, dal contesto profes- sionale (Marsick e Watkins, 1990, 1999; Garrick, 1998; Dale e Bell, 1999; Eraut, 2000; Coffield, 2000) ad altri settori, quali la scuola (e.g., Melber e Cox-Petersen, 2005; Wil- liams, 2003; Turner, 2006), i beni culturali (Kelly, 2007), il turismo (es. Cantoni et al., 2008) e le tecnologie (Sørensen et al., 2007). Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha contribuito infine all’ulteriore sviluppo di filoni di ricerca sull’educazione informale, ri- conosciuta centrale ed inglobante (Gee, 2004; Prensky, 2007).

social network, etc.). Il tema di ricerca riguarda la titolarità e l’esercizio del «directive control of learning» (Livingstone, 1999: 203) perché «apprendere […] non è una attività distinta e separata. Non è qualcosa che facciamo quando smettiamo di fa- re altro o qualcosa che smettiamo di fare perché impegnati in altre attività» (Wenger, citato in Illeris, 2009: 213). I processi educativi di carattere informale sono integrati, incorporati, in- carnati in ogni momento della quotidianità museale e in qualche modo condizionati da chi dirige il dispositivo formativo ivi esi- stente. La complessità della dimensione informale della educa- zione è legata al carattere del «managing the unmanaged» (Boekaerts e Minnaert, 1999: 534) e del «non-taught» (Beinhart e Smith, 1998)15.