zione in funzione di contenimento, che pervade la complessiva formulazione del quesito, trova sep pure al di fuori della connessione con la prospetti va occupazionale concreto riscontro in due am biti particolari.
È oramai dal 2010 (con il D.L. n. 78 e legge conv. n. 122/2010) che la retribuzione dei dipendenti di pubbliche amministrazioni, intese oramai in senso allargato attraverso il riferimento all’elenco Istat, è stata cristallizzata e sottratta alla negoziazione collet tiva (cfr. art. 9, D.L. cit. e successive proroghe). Senza poter entrare nel dettaglio, qui prevale l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica, che si sviluppa anche attraverso l’ulteriore strumento del blocco, più o meno rigido, delle assunzioni.
Su di un fronte totalmente diverso, nel contesto della disciplina europea degli appalti pubblici, è recente la decisione della Corte di giustizia europea del 18 settembre 2014, in causa C549/13, che ha negato l’esistenza di un vincolo, seppure rilevabile dal ban do, atto ad estendere l’applicazione della legge tede sca sul salario minimo ai dipendenti di impresa sub appaltatrice di diversa nazionalità da quella dell’ap paltante, in quanto chiamati a svolgere la loro attivi tà sul territorio dell’altro Stato.
Per questi ultimi due passaggi, ci si chiede quale sia al di là del mero nominalismo il tratto comune alla tematica affrontata nella risposta al quesito, e quale sia la giustificazione di questa
apparente divagazione. L’occupazione è un auspi cabile frutto indiretto della politica salariale di contenimento del costo del lavoro, ma in realtà tale politica, anche quella sottesa alle scelte retri butive della Pa o al riferito orientamento della Corte di giustizia, punta direttamente piuttosto alla conquista (a volte, solo alla difesa) dei mercati di riferimento, e risponde alla logica della concor renza indotta dal processo di globalizzazione. Insomma, è la legge economica che prevale su quella giuridica.
Giuseppe Sigillò Massara
La proposta finalizzata ad includere, tra le materie previste per i contratti disciplinati dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011, conv. con legge n. 148/2011, anche la materia della retribuzione appare condivisibile. Tale articolo, difatti, non include espressamente tra le materie suscettibili di deroga, da parte della con trattazione di prossimità i minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale, i quali in vece fermo restando che gli stessi potrebbero lato sensu essere inclusi nella «disciplina del rapporto di lavoro», cui fa riferimento il comma 2 del citato articolo dovrebbero essere esplicitamente menzio nati nel testo di legge, proprio al fine di evitare qualsivoglia forma di interpretazione della discipli na legale che osti alla funzione derogatoria (anche dei minimi tabellari) del contratto nazionale. Tale previsione appare funzionale rispetto alla re alizzazione degli obiettivi individuati al comma 1 dell’art. 8, in quanto, come giustamente indicato nel quesito, tale riduzione può costituire un valido strumento per ottenere più elevati livelli di com petitività delle imprese (soprattutto nella fase di start up), nonché per tutelare l’occupazione nelle ipotesi di crisi aziendale.
Il contratto di prossimità, in un’ottica di sussidiarietà verticale tra i vari livelli della contrattazione colletti va, permetterebbe quindi di definire una disciplina economica dei rapporti di lavoro in piena coerenza con la specifica condizione dell’azienda e/o dell’am bito territoriale nel quale troverebbe applicazione, definendo quindi una regolamentazione concreta mente sostenibile che concorra al rilancio dell’im prenditoria italiana, riducendo il livello di dumping sociale (peraltro realizzato anche in ambito euro peo), che, come noto, costituisce, insieme all’eccessi vo livello dell’imposizione fiscale e contributiva, una delle principali cause di «fuga» delle imprese nazio nali verso Stati caratterizzati da ridotti livelli di pro tezione dei diritti dei lavoratori.
In tale prospettiva, il contratto di prossimità, oltre alla semplice riduzione della retribuzione tabellare,
potrebbe prevedere la ripartizione di tale retribuzio ne in una componente fissa ed in una variabile, delle quali quest’ultima verrebbe erogata in ragione del conseguimento di ragionevoli obiettivi di produttivi tà concordati con le organizzazioni sindacali. Non può sottacersi che l’effettività del modello sin qui descritto potrebbe essere inficiata da ipotetici interventi giurisprudenziali che, assumendo quale retribuzione proporzionata e sufficiente quella prevista dai soli accordi collettivi nazionali, in for za del combinato disposto degli artt. 36 Cost. e 8, comma 2, del D.L. n. 138/2011, determinerebbe ro di fatto la disapplicazione del (necessario) regi me derogatorio previsto dalla contrattazione di prossimità, il quale, invece, nella prospettiva deli neata nel presente contributo, definirebbe la sola retribuzione concretamente sostenibile per le im prese interessate; il livello di tale retribuzione non potrebbe quindi non divenire, per i lavoratori sog getti a tali contratti, quella corrispondente al cano ne costituzionale, atteso che, in assenza della re golamentazione derogatoria, verrebbero meno i rapporti di lavoro dei soggetti interessati, per rela tiva insostenibilità economica.
Orbene, proprio in questa prospettiva, e venendo quindi al riscontro al secondo profilo preso in considerazione nel quesito, coglie nel segno anche l’introduzione per legge di una disciplina del sala rio minimo, il quale però, diversamente da quanto indicato nel quesito, dovrebbe rappresentare un minimum standard «di ultima istanza», articolato, quanto agli importi, su base settoriale e territoria le (quindi indipendentemente dalle condizioni delle singole aziende) ed inderogabile anche dalla contrattazione di prossimità.
Nel quadro descritto, verrebbe quindi a realizzarsi una interazione tra tre livelli di regolamentazione. Per tutti i lavoratori di una data categoria reste rebbe in vigore quale parametro generale ai fini della regolamentazione economica e normativa il contratto collettivo nazionale di lavoro, che, però, soprattutto nelle situazioni di imprese in crisi e sottomarginali, sarà suscettibile di deroga (anche) in peius ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 riformulato nei termini descritti nel quesito. Nelle ipotesi da ultimo indicate, i contratti di prossimità non potrebbero in ogni caso fissare i livelli di retribuzione al di sotto della soglia legale, che esprimerebbe quindi un limite incomprimibile. Tale modello consente la definizione di meccani smi di garanzia multilivello a favore dei lavoratori, costituendo, al contempo, una rilevante misura di tutela dell’occupazione e ferma restando la tute la minima di fonte legale di rilancio della compe titività delle imprese nazionali.
Lo stato dell’arte della legislazione, all’epoca in cui il presente contributo viene redatto, vede dei timidi tentativi di introduzione, nell’ambito del Job act, di un salario orario minimo «in settori non coperti dalla contrattazione collettiva» (settori, che, in verità, appa iono ben ristretti, se non addirittura inesistenti). In realtà pare in merito auspicabile un intervento ben più deciso del legislatore, che potrebbe supe rare le resistenze di alcune organizzazioni sinda cali confederali che vedono nell’introduzione del salario minimo legale un nocumento per l’effetti vità della contrattazione collettiva di categoria, la quale, invece, nel descritto modello, manterrebbe la propria funzione di disciplina economica e nor mativa di riferimento per ciascun settore rilevan te, fermo restando un coerente margine di opera tività (in funzione di specificazione) per la contrat tazione di prossimità.
Alberto Tampieri