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L’estinzione del marchio quale conseguenza di vicende che

2.6 L’estinzione

2.6.3 L’estinzione del marchio quale conseguenza di vicende che

Si è finora accennato soltanto a ipotesi di estinzione connesse al verificarsi di fatti riguardanti il marchio stesso.

Tuttavia anche le vicende del titolare del marchio possono incidere sulla sua esistenza.

Infatti, la cessazione definitiva dell’attività d’impresa da parte del titolare comporta l’estinzione del marchio di fatto, a meno che l’azienda non sia ceduta, affittata, data in usufrutto o conferita in società perché, in tali ipotesi, l’attività viene iniziata nuovamente o continuata dal terzo e l’uso del marchio prosegue in capo a quest’ultimo.

In caso contrario, invece, alla cessazione dell’attività consegue l’estinzione del diritto sul marchio di fatto, in quanto effetto della perdita della qualità di imprenditore131.

Viceversa, il marchio registrato non incorre nella decadenza per cessazione dell’attività d’impresa come prevedeva invece, prima della riforma del 1992, l’art. 43, n.2 della Legge marchi.

Infatti, in presenza di registrazione non occorre che il titolare sia necessariamente un imprenditore, ben potendo essere registrato il marchio anche da chi non è imprenditore.

Per questo motivo gli artt. 24 e 26 del Codice, così come il riformato art. 43, n.2 della previgente Legge marchi, consentono la conservazione del marchio registrato, pur in caso di cessazione definitiva dell’attività d’impresa.

131In proposito osserva FRANCESCHELLI, nell’op. cit., che: “i marchi non

registrati non sono concepibili in sé, cioè non inquadrati in una attività di impresa”.

CAPITOLO TERZO

I COMPLESSI RAPPORTI TRA MARCHIO DI FATTO E MARCHIO REGISTRATO

Sommario: 3.1 Il contrasto tra marchio di fatto e marchio registrato. – 3.2 La convalidazione. – 3.2.1 L’ambito di applicazione. – 3.2.2 I presupposti della convalida: caratteristiche dell’uso. – 3.2.3 Il termine quinquennale. – 3.2.4 L’assenza di malafede. – 3.2.5 La conoscenza dell’uso. – 3.2.6 Gli effetti della convalidazione sul titolare del marchio di fatto anteriore. – 3.2.7 Gli effetti della convalidazione sul titolare del marchio registrato posteriore. – 3.2.8 Il profilo territoriale e merceologico della convalidazione. – 3.2.9 Convalidazione e correttezza. – 3.2.10 La decorrenza del quinquennio. – 3.2.11 La prova della fattispecie costitutiva e la legittimazione ad agire. – 3.3 La cristallizzazione. – 3.4 Profili processuali. – 3.4.1 I recenti rilievi della Cassazione in merito alla tutela processuale del marchio di fatto.

3.1 Il contrasto tra marchio di fatto e marchio registrato

Si tratta ora di stabilire come si articoli il complesso rapporto tra il marchio di fatto e il successivo marchio registrato.

Come accennato, si deve operare una distinzione a seconda che il marchio di fatto sia dotato o meno di notorietà; in presenza di notorietà non puramente locale, infatti, esso è in grado di invalidare la registrazione del nuovo marchio mentre, in caso contrario, ossia quando il marchio non sia assistito da notorietà ovvero in presenza di notorietà meramente locale, si rinviene soltanto il potere inibitorio dell’uso del marchio registrato, nei limiti territoriali e merceologici del preuso. In quest’ultima circostanza si viene a creare una situazione di coesistenza tra marchio di fatto e marchio successivamente registrato che può essere, invece, evitata dal titolare del marchio di fatto dotato di

notorietà non puramente locale, qualora provveda a neutralizzare il marchio registrato entro un certo lasso temporale.

Se non vi provvede, la valenza invalidante e inibitoria prodotta dal preuso si esaurisce; si verifica, cioè, il fenomeno della convalidazione.

3.2 La convalidazione

L’istituto è disciplinato all’art. 28 del Codice della proprietà industriale in base al quale, se il titolare di un diritto di preuso, nel caso in esame trattasi del titolare del marchio di fatto, con notorietà non puramente locale, abbia tollerato consapevolmente per cinque anni consecutivi l’uso del marchio registrato posteriore, uguale o simile, egli non può più far valere la nullità del marchio registrato ai sensi dell’art. 12, I co lett. b, né può opporsi al suo uso.

Le peculiarità di un simile istituto giuridico emergono già dalla sua denominazione132.

Il termine “convalidazione/convalida”, infatti, potrebbe indurre, ad un primissimo esame, ad associare detta norma in tema di marchi con altre fattispecie che hanno la stessa denominazione, ma non sono assolutamente assimilabili.

Il riferimento è alla convalida del contratto ex art. 1444 c.c. e alla convalida di un atto amministrativo (che in questo caso sarebbe la registrazione) invalido.

Quanto allo scopo della convalidazione, è quello di evitare, da un lato, che il titolare del marchio anteriore rimanga strumentalmente inerte fino a che il marchio posteriore non si sia accreditato sul mercato al fine di impadronirsi, a seguito della dichiarazione di nullità per difetto di

132 Si legga in proposito PENNISI R., La convalida del marchio, Giuffrè, Milano,

1991, il quale sottolinea il carattere improprio del termine “convalidazione”/“convalida”.

novità, della notorietà e del credito da esso conseguito 133, dall’altro,

proteggere chi abbia usato il marchio per lungo tempo dal danno derivante dalla distruzione del valore legato al suo accreditamento. Si riporta in proposito un’espressione particolarmente efficace del Tribunale di Roma134 che, nell’indicare le finalità dell’istituto, ha fatto

riferimento alla necessità di evitare che, mediante operazioni di “dissepoltura” di marchi obsoleti, finissero per essere travolti marchi vitali utilizzati sul mercato.

3.2.1 Ambito di applicazione

Occorre preliminarmente descrivere le controversie tra marchi in relazione alle quali opera la convalidazione.

Infatti, oltre alla sopra menzionata ipotesi di contrasto tra un marchio di fatto anteriore e un successivo marchio registrato, appare necessario chiedersi se la convalidazione possa agire anche in caso di conflitto tra marchi di fatto o tra marchi registrati.

Quanto alla prima delle due fattispecie, prevale in giurisprudenza135 la

tesi dell’impossibilità di applicare l’istituto della convalidazione al contrasto tra marchi di fatto, sia sulla base del semplice dato letterale136,

133 Sempre circa lo scopo della convalidazione, a proposito della previgente

disciplina, il Tribunale di Milano, 30 settembre 1982, aveva affermato che: “La

finalità della norma ex art. 48 è quella di precludere la possibilità che il concorrente dopo aver tollerato per lungo periodo l’uso del marchio da altri successivamente registrato e valorizzato con il corso del tempo, possa insorgere magari con il malizioso proposito di danneggiare l’altrui impresa e comunque per fruire parassitariamente della penetrazione sul mercato conseguita dal marchio oggetto della contestazione”.

134 Trib. Roma, 25 febbraio 1988. 135 Trib. Roma 31/3/2003, GADI n. 4560.

136 Già nella previgente disciplina la terminologia impiegata dal legislatore

sembrava condurre alla conclusione di dover escludere la possibilità di applicare analogicamente la norma al di fuori dell’ipotesi di contrasto tra marchio registrato e marchio di fatto; come osserva correttamente MANGINI, infatti, le parole “notorietà” e “noto” erano impiegate dalla l.marchi, in particolare dagli artt. 9 e 17, con riferimento al marchio non registrato, mentre per il marchio registrato si preferiva l’aggettivo “brevettato”.

posto che l’art. 28 parla espressamente di un “marchio posteriore registrato”, sia in virtù dell’osservazione per cui si tratterebbe di una norma del tutto eccezionale, giustificata dal trattamento di favor che il legislatore riconosce al marchio registrato, e in quanto tale, non applicabile al conflitto tra due marchi di fatto.

Sebbene alcuni autori137 abbiano prospettato un’applicazione analogica

della norma, in quanto conforme al principio di unitarietà dei segni distintivi nonché in base all’identità di ratio ravvisabile nelle due fattispecie, sembra preferibile ritenere che l’istituto in esame richieda necessariamente che il secondo segno sia registrato138.

Infatti, anche dai verbali dei lavori della Commissione per il progetto di riforma della previgente disciplina, si evince che la proposta di estendere la convalida anche al marchio di fatto successivo venne ritirata in quanto contrastante con l’intento del legislatore di favorire la registrazione del marchio, oltre che foriera di problemi in merito all’individuazione del

dies a quo della decorrenza del quinquennio.

In merito alla seconda ipotesi, quella di contrasto tra marchi registrati, va ricordato come, prima della novella del 1992, il testo139 dell’art. 48

della l. marchi non chiarisse espressamente se l’istituto della convalidazione potesse applicarsi soltanto ai casi di conflitto tra un

L’art. 48, nello stabilire che non era possibile procedersi all’impugnazione del brevetto “per il motivo che la parola, figura o segno che lo costituisce può

confondersi con una parola, figura o segno altrui, già conosciuto, alla data della domanda”, sceglieva il termine “conosciuto” in quanto sinonimo di “noto” e,

dunque, riconducibile al marchio di fatto, e non, invece, al marchio registrato. Per una trattazione più esaustiva si veda MANGINI, op. cit. p. 46.

137 Si veda, tra gli altri, PENNISI, op.cit.

138 In tal senso PECORARO, Nullità, convalidazione e decadenza in BOTTERO-

TRAVOSTINO (a cura di), Il diritto dei marchi d’impresa, Utet, Torino, 2009.

139 Che, per agevolare, il lettore, riportiamo nella sua versione originaria:

La validità del brevetto, quando il marchio sia stato pubblicamente usato in buona fede per cinque anni senza contestazioni, dopo la pubblicazione di cui all’ art. 35, comma 1 di questo decreto, non può essere impugnata per il motivo che la parola, figura o segno che lo costituisce può confondersi con una parola, figura o segno altrui, già conosciuto alla data della domanda, come distintivo di prodotti o merci dello stesso genere, o perché esso contiene un nome o ritratto di persona”.

marchio anteriore di fatto e un marchio successivo registrato o anche all’ipotesi di vertenza tra due marchi registrati.

Parte della giurisprudenza e della dottrina ritenevano che l’art. 48 non potesse che essere interpretato restrittivamente e, di conseguenza, fosse applicabile al solo caso del contrasto tra un marchio non brevettato e uno successivo munito di brevetto, anche sulla base di un parallelo con l’art. 6 bis della Convenzione dell’Unione di Parigi, che prevedeva, a sua volta, un’ipotesi di convalidazione in caso di conflitto tra un marchio registrato in buona fede e usato senza contestazioni per tre anni, poi portati a cinque, e un altro marchio già notoriamente conosciuto come segno distintivo di un cittadino di altro Paese membro140.

Altra parte della dottrina, già prima della riforma, sosteneva invece la necessità di un’interpretazione estensiva della suddetta norma e, quindi, la sua applicabilità anche all’ipotesi di conflitto tra due marchi entrambi registrati.

In particolare, si riteneva che l’uso dell’espressione “conosciuto” potesse essere giustificata dalla volontà del legislatore di usare una formula più ampia, che comprendesse sia il marchio registrato che quello di fatto, ma, soprattutto, si criticava il significato attribuito al concetto di buona fede di cui all’art. 48, in quanto la pubblicità derivante dalla registrazione non equivaleva necessariamente a conoscenza effettiva, mentre secondo la tesi maggioritaria non sarebbe stato possibile configurare un esito in buona fede del marchio a causa dell’agevole rilevabilità del precedente segno tramite il registro.

Successivamente, con il d.lgs. n. 480 del 1992, attuativo della direttiva n. 89/104/CEE, la norma è stata novellata141, così da ammettere

140 Si legga, per una trattazione più approfondita, sempre MANGINI, op. cit. p. 47. 141 Si ricorda che, secondo il testo riformato dal d.lgs. n. 480 del 1992, l’art. 48

prevedeva:

“Il titolare di un marchio d’impresa anteriore ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettere d ed e, e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un marchio posteriore, registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore

chiaramente la possibilità di applicare l’istituto della convalidazione anche al conflitto tra marchi registrati142.

Infatti, era possibile leggere, già nella legge-delega per la riforma, n. 142/1991, all’art. 62, lett. p, come il legislatore delegato dovesse “disciplinare la convalidazione del marchio precisando che opera anche fra marchi entrambi registrati e precisando altresì che la convalidazione comporta coesistenza dei due marchi in conflitto”.

Infine, l’art. 28 del Codice della proprietà industriale ha recepito la versione riformata dell’art. 48 e, quindi, ammette tra i soggetti che possono incorrere nella convalidazione anche il titolare di un marchio registrato.

3.2.2 I presupposti della convalida: caratteristiche dell’uso

Si tratta ora di stabilire quale uso sia idoneo ad integrare la fattispecie descritta dall’art. 28.

Anzitutto è da escludere che possano esser a tal fine considerati gli atti preparatori dotati di rilevanza meramente interna, posto che il presupposto dell’istituto della convalidazione è costituito dal fatto che, decorso un certo periodo di tempo, la convivenza dei due marchi finisca per creare “una situazione nel mercato in cui difficilmente potrebbe sorgere un pericolo di confusione143”.

Di conseguenza gli atti in questione, non incidendo sul pubblico, sono da ritenere irrilevanti, a differenza degli atti preparatori esterni.

né opporsi all’uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in malafede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all’uso di quello anteriore o alla continuazione dell’uso”.

142 Così Cass. civ., Sez. un., 1 luglio, 2008, n. 17927, cit. Per un maggior

approfondimento si legga CALVELLO S., La convalidazione del marchio e i

marchi di lettere prima e dopo la novella del 1992 in Rivista di diritto industriale,

fasc. 4-5, pt. 2, pp. 255-274, 2003.

Inoltre, non può essere considerata sufficiente la mera pubblicità del marchio, senza che ad essa segua la commercializzazione dei relativi prodotti o servizi.

Quanto alle eventuali modifiche successive, non sono ammesse in relazione alla tipologia di prodotto, in quanto determinano il decorso ex

novo del quinquennio, mentre, con riguardo all’identità del marchio è

discusso se inneschino sempre l’inizio di un nuovo termine o se ciò accada solo quando muti l’idoneità distintiva del marchio stesso. In quest’ultimo caso la tolleranza da parte del titolare del marchio di fatto potrebbe essere determinata dalla convinzione che i cambiamenti intervenuti nel marchio registrato lo rendano meno confondibile con il proprio ma, se in tali circostanze si ammette la convalidazione, c’è il rischio che il titolare del marchio convalidato possa successivamente usare il marchio come originariamente registrato, maggiormente interferente rispetto al precedente.

3.2.3 Il termine quinquennale

L’attuale disciplina prevede che la convalidazione si verifichi se, durante cinque anni consecutivi, sia stato tollerato, essendone a conoscenza, l’uso del marchio posteriore.

La consecutività sembra doversi riferire non solo alla tolleranza, come espressamente indicato dalla norma, ma anche all’uso, dal momento che un’eventuale interruzione dell’uso comporterebbe la rideterminazione del quinquennio a partire dalla ripresa dell’uso medesimo144.

Quanto al dies a quo, è preferibile ritenere che il decorso del termine debba calcolarsi a partire dalla data di registrazione del marchio

144 In tal senso CARTELLA, op. cit. p. 154 e PENNISI, op. cit. p. 114 : “per le

stesse ragioni mi sembra di poter condividere l’opinione che ritiene che l’uso debba essere continuativo e che, in caso di sospensione di esso, il periodo di tempo già trascorso non potrà essere computato, dovendo quindi il processo di consolidazione del marchio ricominciare da capo”.

successivo e non, come alcuni prospettano145, dalla mera data di

deposito della domanda.

A sostegno di questa tesi vi è certamente il dato letterale, in quanto l’art. 28 si riferisce al marchio “registrato”, ma non solo: se si ammettesse che il decorso del quinquennio avesse inizio già dal momento della presentazione della domanda, “si introdurrebbe un trattamento

differenziale rispetto al caso di consecuzione tra marchio di fatto e successiva sua registrazione nel quale, viceversa, l’uso di fatto precedente è irrilevante146”, senza considerare poi, da ultimo, che non

necessariamente la domanda ha come esito la registrazione del marchio. Un’interpretazione conforme a tale orientamento è stata fornita anche dalla Corte di Giustizia, con ordinanza del 6 giugno 2013, in cui si afferma che la data di riferimento per calcolare il dies a quo è quella in cui il titolare del marchio anteriore ha avuto conoscenza dell’uso del marchio posteriore e questa data non può che essere posteriore a quella della registrazione di tale marchio, momento a partire dal quale è acquisito il diritto su quest’ultimo147.

Quanto alla natura del termine quinquennale, già prima dell’introduzione del Codice della proprietà industriale, alcuni autori assimilavano il termine di cinque anni alla decadenza piuttosto che alla prescrizione.

Infatti, se nel testo dell’art. 48 pre riforma “le condizioni di applicazione non erano fissate unicamente con riguardo al comportamento del titolare del marchio anteriore, ma altresì – e anzi soprattutto - a quello di chi usava il marchio successivo148”, a seguito della novella del 1992, le

medesime venivano riferite soltanto al primo e, di conseguenza, poteva già riconoscersi la natura decadenziale del termine.

145 Ad esempio SENA G., Il nuovo diritto dei marchi, Giuffrè, Milano, 2001.

146 CARTELLA, op. cit. p. 155.

147Corte di Giustizia, C-381/12, 6 giugno 2013, punto 54 dell’ordinanza.

148 TORNATO A., Osservazioni in tema di convalida di marchio: a proposito del

Mentre il testo originario faceva riferimento all’uso da parte del titolare del marchio successivo, che avrebbe dovuto essere pubblico e in buona fede, la norma riformata, invece, si incentrava, e si incentra tutt’ora nella vigente disciplina, sulla tolleranza e sulla conoscenza dell’uso da parte del titolare del marchio anteriore.

La conseguenza della natura decadenziale del termine quinquennale è, quindi, che soltanto l’atto previsto dalla legge possa impedire il perfezionamento della relativa fattispecie149.

Ne deriva che l’invio di una semplice diffida al titolare del marchio successivo non è sufficiente a interrompere il quinquennio ma occorre che ad essa segua, entro breve tempo, l’esercizio dell’azione di nullità, a differenza di quanto prevedeva la versione originaria dell’art. 48 che, limitandosi a prevedere che l’uso dovesse essere “senza contestazioni”, riteneva ammissibile qualsiasi contestazione, anche stragiudiziale. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con s. n. 17927/2008, hanno confermato la natura decadenziale della convalida, ponendo “fine all’incertezza tra diffida ed azione quale atto idoneo a evitare il compimento del quinquennio di tolleranza, che determina altrimenti la convalidazione del marchio successivo150”.

3.2.4 L’assenza di malafede

In proposito va ricordato che l’art. 48 d.lgs. n .929/1942, prima della riforma del 1992, prevedeva che un marchio fosse convalidabile quando fosse stato pubblicamente “usato” in buona fede per cinque anni senza

149 L’art. 2966 c.c., infatti, dispone che: “la decadenza non è impedita se non dal

compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”.

150 BERTI ARNOALDI E., Decadenza dall’azione di nullità e/o contraffazione

ed unitarietà̀ dei segni distintivi nell’applicazione della regola della convalidazione (art. 28 c.p.i.), Nota a Cass. sez. civ. un. 1 luglio 2008, n. 17927;

App. Milano 10 luglio 2002, in Rivista di diritto industriale, fasc. 3, pp. 285-288, 2009.

contestazioni da parte dell’utilizzatore del preesistente segno confondibile.

Con la riforma del predetto articolo, nel 1992, il legislatore ha espressamente stabilito che l’istituto della convalidazione non possa ritenersi applicabile nel caso in cui il marchio posteriore sia stato “domandato” in malafede, e tale impostazione è stata poi recepita dal Codice all’art. 28.

Si è assistito dunque a un cambio di prospettiva: dalla buona fede del titolare del marchio anteriore alla malafede del registrante.

Ma l’elemento più interessante è che, se in passato la disciplina della convalidazione appariva particolarmente restrittiva, perché la buona fede veniva ritenuta esistente solo in presenza di un uso ultra quinquennale senza contestazioni del marchio, oggi è sufficiente che, al momento del deposito, il titolare del marchio successivo non sia in malafede.

Infatti, sebbene la prevalente dottrina ritenesse, anche sulla base del dato letterale, che la buona fede dovesse sussistere per tutta la durata del quinquennio, alcuni autori151 già contestavano una simile ricostruzione

perché ritenuta eccessivamente onerosa per il registrante, il quale, se avesse registrato in buona fede il segno e solo in seguito si fosse reso conto dell’esistenza di un precedente marchio confondibile, si sarebbe dovuto astenere dall’uso del marchio.

Inoltre, mentre nel sistema precedente, nonostante qualche voce critica152, si riteneva che la buona fede dovesse intendersi come “mera

non conoscenza della presenza di un precedente altrui segno confondibile”, in quello vigente si ritiene che la malafede non coincida

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