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L ETTERATURA GRECA , TIRANNIDE E RESISTENZA

Alle origini del tiranno sulla scena

2.5 L ETTERATURA GRECA , TIRANNIDE E RESISTENZA

Una prima ragione è senza dubbio il fatto che la letteratura greca, e le figure tiranniche in essa presenti, sono assenti nei testi di teoria politica della resistenza. Nelle argomentazioni con cui Ponet, Goodman e Knox sostengono il diritto/dovere dei sudditi alla ribellione, gli exempla che utilizzano per dare autorità alla loro tesi, quando non sono tratti dalla Bibbia, derivano in maniera pressoché esclusiva dalla letteratura latina o dalla storia inglese. Nessuna figura tirannica della mitologia o della storia greca è citata da questi autori, nemmeno in occasioni quando sarebbe stato del tutto pertinente. John Knox non fa menzione di Clitennestra quando si tratta di tuonare contro l’empietà di una donna al governo; nonostante l’esistenza di un’interpretazione della figura di Cambise come il re che aveva ostacolato la ricostruzione del Tempio (che ne fa un perfetto esempio di tiranno), nessun rimando si ritrova al re persiano nei testi di resistenza; del tutto assenti risultano anche figure come Dionisio e

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Ierone di Siracusa, che pure la cultura umanistica continentale conosceva bene. In parole povere, la letteratura greca sembra essere del tutto assente dall’orizzonte culturale dei primi teorici della ‘resistenza’.

Quest’esclusione non è incomprensibile. I testi di Ponet, Goodman e Knox erano scritti da chierici che guardavano alla storia in una dimensione religiosa, e rielaboravano in questo senso materiali che erano giunti loro dalla precedente letteratura ecclesiastica, in cui la letteratura greca, con l’eccezione di Aristotele rielaborato dalla Scolastica e di alcune opere di Platone, non aveva rivestito un ruolo di rilievo. Non sorprende che autori come Ponet, Goodman e Knox, che scrivevano trattati e sermoni volti a un pubblico il più ampio possibile, volessero escludere dai loro testi esempi che sarebbero stati di difficile comprensione a lettori non abituati al contatto con la cultura di stampo umanistico.Potrebbe anche essere possibile vedere in questa esclusione anche una consapevole scelta, fatta da personaggi che, dopo aver fatto parte dell’elite culturale del regno di Edoardo, erano adesso in aperta rottura con la corte e l’ambiente che le gravitava attorno. Delusi dalla politica dell’ ‘umanista’ Enrico VIII, che aveva utilizzato la Riforma per i propri scopi, apertamente ribelli alla cattolica e persecutrice Maria, e ostili all’ ‘erudita’ ed ambigua Elisabetta, che in parte li appoggiava ma in parte sembrava non voler accogliere le loro istanze,275 autori come Ponet e Goodman replicavano appellandosi a una coscienza più ‘popolare’ da cui la letteratura greca si ritrovava, per forza di cose, esclusa, e dove invece sopravvivevano, fra gli esempi di tiranni, quelli degli imperatori romani che avevano perseguitato la Chiesa. Questo mancato collegamento fra la letteratura greca e i testi della resistenza antimariana è, a mio parere, uno dei motivi per cui questi soggetti vengono invece scelti dai nostri autori, nel momento in cui essi desiderano scrivere opere teatrali che affrontino

direttamente il problema della tirannide del re legittimo.

Questa è, assieme alla scelta di un soggetto greco, l’altra grande differenza fra i loro tre drammi e il resto della produzione teatrale dell’epoca, dove invece il problema della tirannide viene affrontato in maniera più indiretta. Nella prima edizione del Mirror, le storie di Giacomo I e Riccardo II sono comprese all’interno di una raccolta di storie che trattano della superbia di nobili e sudditi: in tal modo, l’effetto è di ridurre tutte le storie sullo stesso piano, in un modo che, se da un lato permette la condanna dei re tirannici, dall’altro però la fa rientrare all’interno di una più generale condanna dell’ambizione. Le traduzioni delle tragedie di Seneca sono, per l’appunto, traduzioni, di cui gli autori affermano, in linea di massima, la fedeltà all’originale, o almeno a quello che essi presentano come tale.276 In tal modo, intellettuali dissidenti come Heywood e Studley riescono a contrabbandare posizioni eterodosse sul tema del governo illegittimo del sovrano sotto forma di traduzione di Seneca. In Apius and Virginia, Apius non è un re, e la sua appropriazione del titolo regale è utilizzata dall’autore come segno che egli ha deciso di usurpare la propria posizione. In Gorboduc, infine, non solo Norton e Sackville rappresentano la dissoluzione di una famiglia e non di un singolo regnante, ma i personaggi più tirannici sono costituiti dai figli (giovani e inesperti) e dalla madre, non dal regnante stesso, che, pur nel rifiuto del consiglio, non commette alcuna ingiustizia.

In altre parole, Cambises, Damon and Pythias e Horestes costituiscono i soli tre casi, all’interno del teatro inglese degli anni ’60, in cui delle opere originali affrontano direttamente il tema del governo abusivo, e perciò tirannico, del sovrano stesso. Thomas Preston, John Puckering e Richard Edwards si avventuravano, in questo modo, su un terreno pericoloso, e avevano bisogno di trovare

275 Nel caso di Knox, è da aggiungere anche l’esplicito impegno nella Riforma del suo paese, e il suo ruolo contro la

cattolica, e francofila, Maria Stuart.

276 Cfr. Morini 1995 per il cambiamento che avviene proprio nel XVI secolo nella teoria e nella pratica delle traduzioni

in Inghilterra, dove si passa dalla concezione medievale, che prevede pesanti interventi sulla dispositio e inventio del testo, a quella rinascimentale, dove invece il focus è sulla modifica della elocutio del testo.

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un soggetto che permettesse loro di affrontare un problema spinoso senza rischiare un’accusa di tradimento. La necessità era ancora più pressante dal momento che tutti e tre gli autori, al contrario dei teorici della resistenza, scrivevano in un ambiente di corte, e cercavano attivamente il dialogo con la regina. Questo rendeva loro impossibile utilizzare gli esempi tradizionali tratti dalla Bibbia e dalla letteratura latina, troppo facilmente leggibili in chiave di critica esplicita alla sovrana. L’uso di soggetti tratti dalla letteratura greca forniva una soluzione ideale, perché l’assenza di quest’ultima dalla tradizione politica di resistenza evitava che fosse vista in modo sfavorevole. Inoltre, se vogliamo vedere nella scelta di Ponet, Goodman e Knox una scelta ‘popolare’ in contrasto con la cultura della corte, allora è anche possibile vedere, per contrasto, nella scelta della letteratura greca da parte di Preston, Puckering ed Edwards un modo per restare all’interno di quella stessa cultura, dialogando con una regina che aveva fama di studiosa.

Questo è effettivamente un punto da sottolineare. Abbiamo visto che i soggetti scelti dai tre autori erano già apparsi nella precedente tradizione letteraria inglese, sia in quella medievale (Cambise e Oreste) sia in quella di recente formazione umanistica (Damon e Pythias). Di per sé, questo costituiva un ulteriore punto a favore della scelta di questi soggetti, perché in tal modo Preston, Puckering ed Edwards potevano presentarsi, sempre agli occhi di un pubblico erudito e acculturato, come i continuatori di una tradizione indigena che aveva già assorbito e rielaborato questi soggetti (cosa che diminuiva anche i sospetti sul loro possibile uso politico). La ‘neutralità’ di questi soggetti, garantita sia dalla loro presenza in testi tradizionali sia dalla loro assenza in ambienti culturali sospetti, non era però l’unica ragione per cui questi testi sono stati scelti. Ve ne è, a mio parere, un’altra altrettanto importante, che tocca da vicino un punto importante dell’elaborazione del tema della tirannide nella cultura elisabettiana: la ‘politicità’ del tiranno, intesa nel senso dell’analisi del governo di quest’ultimo come effettivo regime.

Questa prospettiva è particolarmente evidente in Cambises. Abbiamo visto che la storia che arriva nelle mani di Thomas Preston costituisce, per l’epoca, il racconto effettivamente più vicino alle

Storie, di cui ricostuisce le principali strutture narrative. Il recupero di Erodoto significa riposizionare

la vicenda di Cambise all’interno di uno sfondo politico che prima non veniva considerato. Il rapporto fra il re persiano e i suoi sudditi, e l’oppressione che questi soffrono a causa della sua crudeltà, diventa così centrale, e come tale viene raccolto da Preston, che lo amplia e intensifica, sia attraverso modifiche alla trama degli episodi, sia attraverso l’utilizzo atipico del personaggio del Vizio. In tal modo, Preston pone in risalto gli effetti che il governo di Cambise ha sul popolo, e l’atmosfera di sfiducia, silenzio, paura e odio che ne deriva, specialmente (ma non solo) tramite Ambidexter, da lui scelto come voce della condanna popolare del tiranno. Non manca nemmeno una presentazione di varie forme, tutte legali, di resistenza, da Smirdis che sceglie il silenzio a Praxaspes che si oppone esplicitamente. La condanna finale del carattere e del governo di Cambise non assume, così, solo la prospettiva puramente etica della condanna del tiranno come essere umano, ma anche quella politica di un sistema di governo, basato sull’autorità assoluta del sovrano, che sceglie di governare solo in base alla propria volontà e finisce per morire solo, punito da Dio e odiato dai propri sudditi.

Il caso del Damon and Pythias è diverso nei modi, ma analogo nei risultati. Edwards, nel riallacciarsi a un testo importante della tradizione umanistica dei graeculi come il Governour, espande e sviluppa l’originale significato di esaltazione dell’amicizia come valore sociale, contrapponendola a una descrizione puntuale dei mali della tirannide sulla vita della corte e del popolo. In particolare, alla vera amicizia dei filosofi stranieri Damon e Pythias, Edwards sceglie di contrapporre l’amicizia falsa del ciarlatano Aristippus e del parassita Carisophus, con l’intento di mostrare che un re che rifiuta il contatto diretto, e amorevole, con i propri sudditi fedeli, finisce per permettere che simili figuri prosperino. In questo modo, Edwards trae dal testo di Elyot una sorta di

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controesempio, per cui i personaggi di Dionisio, Aristippus e Carisophus rappresentano l’esatto contrario di quello che, nella prospettiva umanistica, dovrebbero essere il re giusto (Dionisio) e il cortigiano giusto (Aristippo e Carisophus). Ancora una volta, come in Cambises, un soggetto greco diventa l’occasione per imbastire un discorso articolato sulla tirannide e i suoi effetti. Rispetto però alla tragedia di Preston, Edwards propone anche un rimedio ai mali della tirannide, consistente nell’accettazione, da parte del sovrano, di un rapporto con i sudditi ‘amichevole’, che ha come presupposto la parità di tutti i partecipanti – il che significa, ancora una volta, il rifiuto dell’autorità sovrana assoluta.

Lo stesso modello positivo di regalità aperta al consiglio e al dialogo è rappresentato, alla fine di Horestes, dal personaggio del titolo, che chiede ai suoi concittadini di Micene se accettano il proprio regno. In questo modo, Oreste dimostra di aver bene imparato dal buon re Idumeus l’insegnamento morale secondo cui il buon re, per essere tale, deve sempre affidarsi al Consiglio. Nell’interludio, è proprio l’autorità del Consiglio ad approvare l’azione di Oreste contro la madre, in contrapposizione all’azione del Vizio, che rappresenta invece le istanze della vendetta personale e arbitraria. Il contrasto fra queste due prospettive sull’azione di Oreste, che riprende l’ambiguità latente nel racconto dei romances, viene da Puckering elaborato in un modo che ricorda, anche se alla lontana, il processo delle Eumenidi (che l’autore poteva conoscere, perché la traduzione latina di Eschilo a opera di Saint-Ravy era già disponibile). In questo modo, Puckering cerca di offire al suo pubblico, in termini drammatici, una convincente difesa e giustificazione della ribellione contro il tiranno, riconoscendone al tempo stesso la negatività etica (il Vizio) e la giustificabilità se avviene per il bene dello stato (il Consiglio). In questo secondo caso, questa prospettiva assolve Oreste dall’accusa di tirannia, che viene così riversata interamente sull’assassina Clitennestra e sull’usurpatore Egisto. In tutti e tre i casi, l’uso di un soggetto greco rimette al centro delle opere il rapporto fra il tiranno e lo stato in una maniera esplicita; in questo senso, tutte e tre le opere recuperano il valore originario che la figura del tiranno aveva nella cultura greca classica del V e del IV secolo: il tiranno come possibile regime politico, la cui negatività serve a incarnare il contromodello negativo del regime politico ‘giusto’,277 che per la cultura inglese elisabettiana è, ovviamente, il re giusto che

non si pone al di sopra dei suoi sudditi, ma si giudica solo un primus inter pares.

Fra i tre testi, tuttavia, si registra un’importante differenza nel modo in cui articolano il tema dell’opposizione al tiranno, e della possibile disobbedienza ai suoi ordini. In Cambises, composto agli inizi degli anni ’60, Thomas Preston presenta delle forme di resistenza all’ingiusto potere del tiranno che rientrano tutte nell’ambito di un normale rapporto fra il re, la corte e il popolo.278 Praxaspes fa il

suo dovere di consigliere rimproverando il re, il giudice Sisamnes è denunciato al sovrano in modo del tutto legale dalla Common Crying, la regina si oppone con rispetto e decisione al sovrano. Nessuno pensa a ribellarsi apertamente, nemmeno Ambidexter, che per poco non denuncia Hob e Lob per tradimento. L’unica risposta al potere ingiusto del re, in Cambises, viene indicata nella rispettosa disobbedienza ai suoi ordini. Risulta così giustificata, in parte, l’ipotesi di William Armstrong secondo cui la tragedia sarebbe la dimostrazione e la difesa della teoria dell’obbedienza al sovrano tirannico.

Con Horestes, stampato nel 1567, lo stesso anno in cui Buchanan mette mano al De Iure, siamo invece di fronte alla giustificazione dichiarata della ribellione aperta contro il tiranno. I due testi, a questo proposito, hanno tre interessanti punti in comune. In entrambi i testi, la ribellione è motivata con una dimostrazione che il vero potere è in mano al popolo, nella forma di un insieme di rappresentanti scelti (il Consiglio dell’interludio), la cui autorità morale viene presentata come

277 Cfr. Ugolini 2017.

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indiscussa e assoluta. Inoltre, la prospettiva sia di Buchanan che di Puckering non ha niente di religioso. Se gli dèi in Horestes non parlano, e tutta l’autorità morale è delegata al Consiglio, Buchanan a sua volta nel dialogo non cita le Scritture come pura autorità, ma le contestualizza e le critica, preferendo appoggiarsi su una dimostrazione del suo assunto prevalentemente, per non dire esclusivamente, laica. E infine, in tutti e due i testi la presenza della letteratura greca è evidente: Buchanan costruisce la sua argomentazione su Platone e Aristotele, allo stesso modo in cui Puckering utilizza la letteratura greca come terreno ‘neutro’ su cui difendere la sua posizione a favore della deposizione di una regina ingiusta. Con queste due opere, la letteratura greca perde in parte la ‘neutralità’ che era stata una delle ragioni del suo successo teatrale. Nelle mani di autori come Buchanan e Puckering, anche i soggetti greci vengono assorbiti all’interno della seconda incarnazione della letteratura di resistenza, quella che non è più compresa in un orizzonte religioso (come le opere degli esuli antimariani) ma giustifica le proprie istanze sulla base di una teoria politica laica (come le opere che, negli anni ’70, saranno scritte dagli ugonotti francesi sul tema) in cui l’antichità classica esaltata dagli umanisti assume un ruolo di rilievo.

Damon and Pythias, rappresentato verso la metà del decennio, si muove ancora sulla stessa

linea nel non mostrare la ribellione dei sudditi al sovrano, ma presenta una differenza importante. Nella tragedia di Preston, Cambise di fatto non aveva complici né adulatori: il tiranno era solo, nella sua volontà di potere, contro un’umanità che lo condannava in modo unanime. Il regno di Dionisio, nella commedia di Edwards, viene invece rappresentato come un luogo di adulazione e infedeltà, dove il buon consigliere Eubulus è messo in disparte e intriganti come Aristippus e Carisophus la fanno da padroni. Damon e Pythias sono caratterizzati da Edwards come stranieri, e la conversione finale di Dionisio ha il tono quasi di un miracolo, portato avanti non dal consiglio, ma da un esempio concreto di amicizia, senza il quale le parole di Eubulus cadrebbero nel vuoto. Il tiranno viene quindi posto all’interno di un ordine sociale che ne giustifica l’esistenza e la politica, e che è compatto nel sostenere il suo potere: in quest’orizzonte, l’azione degli intellettuali onesti come Eubulus, Damon e Pythias ha decisamente meno spazio. Rispetto alla prospettiva fiduciosa del Cambises, dove il tiranno emergeva come un’anomalia in un ordine sociale per il resto intoccato, nel Damon è molto più presente il senso di un mondo stravolto dalla tirannide, dove, se la ribellione non viene giustificata, è però ribadito che il sovrano, per essere davvero un buon regnante, deve ‘abbassarsi’ al livello dei suoi sudditi.

Non è allora probabilmente un caso che, con la seconda metà degli anni ’60, la letteratura greca sulla tirannide conosca un netto calo di fortuna nella cultura europea. Vedremo nella prossima parte in quale misura questo vale per un testo come lo Ierone di Senofonte, ma possiamo anche ricordare che, dopo Horestes di Puckering, dovranno passare almeno trent’anni perché un altro soggetto letterario greco venga adattato sulle scene elisabettiane.279 Evidentemente, in questi anni, la letteratura greca aveva perso quella ‘neutralità’ che la caratterizzava all’inizio del secolo, e ciò era, non a caso, avvenuto in contemporanea allo sviluppo di una ‘teoria della resistenza’ non più basata sull’interpretazione delle Scritture, ma su una rivendicazione ‘laica’ del diritto dei popoli ad avere un sovrano dal potere non assoluto, che, dalla letteratura classica, ricavava sia esempi concreti, sia una legittimazione teorica. Parallelamente, in Inghilterra l’ideologia ufficiale del regno si sviluppò in senso opposto, rafforzando ed esprimendo, con testi come la Homilie, la teoria del diritto assoluto del sovrano a regnare, qualunque fosse il suo carattere: un’ideologia che contrastava espressamente con quanto era possibile leggere all’interno delle opere della letteratura greca sull’argomento. Tuttavia, il teatro ‘tirannico’ degli anni ’60 avrebbe lasciato un’eredità importante al futuro teatro elisabettiano,

279 Il riferimento è sia alla dilogia di Thomas Dekker ed Henry Chettle su Oreste, su cui cfr. Schleiner 1990, sia allo

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che avrebbe elevato al rango di ‘classici’ sia Cambises sia Damon and Pythias. È infatti all’interno di questo decennio che la figura del tiranno, in precedenza presente all’interno soltanto di generi teatrali di ispirazione religiosa come il morality play e i misteri medievali, sarebbe passata al teatro profano, con conseguenze importanti.280

C’erano già stati precedenti in questo senso, con opere come l’Archipropheta di Nicholas Grimald (1543) e il Baptistes dello stesso Buchanan (1555, stampato nel 1572), ma essi restavano ufficialmente ancora all’interno dell’ambito religioso, incentrati come erano attorno alla figura di Erode; inoltre, essendo entrambi scritti in latino, essi si rivolgevano a un pubblico sostanzialmente composto da eruditi.281 È anche molto probabile che, al di là di qualche rappresentazione all’interno dei circoli universitari, nessuna delle due abbia goduto di qualche fortuna nel teatro più popolare. La tragedia di Preston, la commedia di Edwards e l’interludio di Puckering erano invece opere scritte in inglese con l’obiettivo di parlare a un pubblico il più ampio possibile, e inoltre, nella scelta dei loro soggetti, si muovevano decisamente su un terreno ormai profano. Come risultato, la caratterizzazione negativa del personaggio viene spostata su un piano decisamente terreno. L’Erode di Grimald e Buchanan è caratterizzato negativamente perché peccatore ed empio di fronte a Dio, di cui infrange apertamente la volontà; Cambise, Dionisio e, in figura minore, Clitennestra sono invece colpevoli di fronte al popolo, e la loro malvagità psicologica diventa indice di malgoverno nato dalla loro sbagliata concezione del potere. La negatività del tiranno viene così riformulata tramite l’uso di soggetti tratti dalla letteratura greca, dove il rapporto con il popolo, e la concezione del tiranno come rappresentante di un regime politico, e non come un singolo peccatore, era fondamentale.

In tal modo, al successivo teatro elisabettiano non passa soltanto un modello caratteriale, ma anche tutto il dibattito politico che lo circonda; e mentre l’ideologia elisabettiana continuerà a tentare di restringere la qualifica di ‘tiranno’ solo e unicamente al regnante il cui titolo è usurpato e