• Non ci sono risultati.

L’EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITÀ COMPARATIVA

Nel documento INTRODUZIONE LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA (pagine 14-35)

2. 1. La situazione prima della Direttiva 97/55/CE:

dalla Proposta di Direttiva del 1975 alla Direttiva 84/450/CE

Nonostante trenta anni fa fosse già cominciato il dibattito intorno alla comparazione per la compiuta regolamentazione della materia, si dovette aspettare più di vent’anni quando finalmente, nel 1997, venne approvata la direttiva 6 ottobre 1997, n. 55 che modifica la direttiva 10 settembre 1984, n. 450, relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa.

Per comprendere le ragioni di questo ritardo è necessario analizzare l’evoluzione storica della disciplina.

Risale al 199128 la prima proposta di direttiva sulla pubblicità comparativa, modificata poi nel 199429 e successivamente nel 1996, anche se la questione sul dubbio di ammettere o meno il confronto pubblicitario, come detto sopra, risale a molti anni prima. Infatti è nel 1975, con una proposta di direttiva, che si comincia a considerare la comparazione pubblicitaria, ed in particolare si rileva l’avversione della maggioranza dei paesi membri verso questo tipo di promozione di beni e servizi, ammettendola solo in casi particolari, come quelli relativi all’autodifesa, al confronto oggettivo tra prodotti ed infine nel caso in cui fosse il cliente a richiedere il confronto.30

Il progetto preliminare, quindi, dopo aver dato la definizione di “pubblicità” in generale e in particolare di quella ingannevole e sleale, si occupava all’articolo 6 della pubblicità comparativa, definendola al primo comma come «qualsiasi pubblicità che stabilisca un raffronto comparativo tra i beni, i servizi, la reputazione o il carattere dell’utente di pubblicità ed i beni, i servizi, la reputazione o il carattere di qualsiasi altra persona». Il

28 In Gazzetta Ufficiale Comunità Europea n. C180/14 del 11/07/1991.

29 In Gazzetta Ufficiale Comunità Europea n. C136/4 del 19/05/1994.

30 Coco, Pubblicità Comparativa, La pubblicità comparativa in Europa: Ammessa se veritiera, leale, corretta, in Pol. Dir. 1996.

secondo comma prevedeva invece due casi, per cui la pubblicità comparativa era vietata: «[…] a) qualora essa costituisca una forma di pubblicità ingannevole ai sensi dell’articolo 3 del progetto di direttiva; b) qualora, pur costituendo pubblicità ingannevole a norma del summenzionato articolo […], si basi su fatti che non riflettono una selezione sleale».

Successivamente, nel settembre del 197631 a Bruxelles apparve un secondo progetto preliminare con l’intento di rivisitare il precedente, senza peraltro apportare sostanziali modifiche. La definizione della pubblicità comparativa si individua nel primo comma della proposta di direttiva, dove viene anche esplicitato il limite per il raffronto tra «beni o servizi dell’utente di pubblicità e beni o servizi di un’altra persona».

Le maggiori differenze riguardavano, comunque, la formulazione letterale dei principi, una è particolarmente rilevante ed è quella che inverte la formulazione di un principio contenuto nel secondo comma, da negativa «la pubblicità comparativa è vietata» a positiva «la pubblicità comparativa è permessa».32

Dopo soli due anni, nel 1978, si elaborò una nuova proposta di direttiva che prevedeva nuovamente l’armonizzazione per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole e sleale.

Per quanto concerne la pubblicità comparativa, l’articolo 4 recitava «La pubblicità comparata è ammissibile purché raffronti aspetti essenziali o verificabili, e non sia ingannevole o sleale».

Ed è proprio in questi anni, che si decide il futuro della comparazione pubblicitaria, dal momento che gli organi deputati alla negoziazione della proposta (in particolare il comitato economico e sociale aveva valutato i vantaggi per i consumatori) decisero di istituire un periodo di prova di 5 anni, allo scadere del quale si sarebbe dovuta prendere una decisione definitiva circa l’opportunità di mantenere o escludere la pubblicità comparativa, in base ad una valutazione dei dati nel frattempo reperiti .

Giunti quasi all’ultima tappa, precedente alla direttiva 84/450/CE, è la proposta del 1979, che viene presentata con i medesimi obiettivi degli anni precedenti.

L’articolo 4 recita, in maniera quasi identica alla proposta del ’78, le condizioni di ammissibilità della comparazione pubblicitaria, «la pubblicità comparativa è

31 In Ubertazzi, Rivista diritto Ind. ,1985, I, 470 ss ; In Giur. pubbl, I (1986-87), MILANO, 1988 ; In Fusi – Testa, Diritto e pubblicità, Milano,1991.

32 Baietti, La pubblicità comparativa, Milano, 1999.

ammissibile purché raffronti aspetti essenziali o verificabili e non sia ingannevole o sleale33». Tale definizione differisce da quella della proposta precedente per il solo termine “comparativa”.

In questa proposta di Direttiva viene inoltre esplicitato il fatto che, al controllo giurisdizionale degli Stati veniva affiancato quello delle autorità amministrative, preposte alla tutela del consumatore, principio questo già accennato nelle direttive precedenti.

A conclusione di questo primo periodo, antecedente la direttiva 84/450/CEE, resta solo da menzionare il secondo programma della CEE, per una politica di protezione del consumatore, che, a distanza di 6 anni dal primo, venne approvato nel maggio del 1981.

In tale programma si sottolinea il principio per il quale «nessuna forma di pubblicità deve fuorviare l’acquirente potenziale del prodotto o del servizio. Il responsabile della pubblicità fatta attraverso qualunque canale deve essere in grado di dimostrare, con mezzi adeguati, la veridicità di quanto affermato».

Lo spartiacque, verso una maggiore apertura nei confronti della pubblicità comparativa, è rappresentato dalla direttiva 84/450/CE, la qual è principalmente centrata sulla disciplina della pubblicità ingannevole negli stati comunitari, come è possibile intendere dalle parole del Consiglio, «Relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole».

E’ chiaro quindi, come detto, che l’oggetto di studio della direttiva del ’84 è la pubblicità ingannevole, trascurando i concetti di concorrenza sleale e di pubblicità comparativa.

Nel 198434, infatti, in sede di emanazione della direttiva n. 450, il Consiglio rimanda ad una seconda fase la specificazione della direttiva in merito alla pubblicità comparativa, subordinandola al requisito di necessità “[..]è nell’interesse del pubblico in generale e di quanti svolgono un attività commerciale, industriale, artigianale o professionale nell’area del mercato comune armonizzare, le disposizioni nazionali in materia di pubblicità ingannevole e prevedere una normativa in merito alla concorrenza sleale, nonché alla pubblicità comparativa[..]”.

33 Crugnola, Note minime in materia di pubblicità comparativa, in Rivista di Diritto Industriale, 1993, pag. 76.

34 I singoli stati entro il 1 Ottobre del 1986, dovevano conformarsi alla direttiva comunitaria del 1984.

La Commissione europea nel continuo del suo lavoro, cercò una soluzione nel disciplinare anche la comparazione pubblicitaria tramite la sopra citata proposta del 1991, successivamente modificata nel 1994 e 1996.

In particolare nel 1991, si giustifica la scelta di armonizzare la disciplina della pubblicità comparativa in Europa, per tre ragioni principali:

- l’importanza della pubblicità come strumento di commercializzazione soprattutto sotto forma di prova comparativa;

- il miglioramento dell’informazione del consumatore;

- il benefico stimolo che la concorrenza potrebbe trarne.

Questa proposta si fondava sulla liceità della comparazione basata su alcuni requisiti necessari che si identificavano, innanzitutto, in un messaggio che non fosse ingannevole e in un confronto obiettivo, verificabile ed essenziale.

La proposta rimase sulla carta, come le analoghe proposte del 1994 e 1996, soprattutto per un diffuso senso “nazionalistico” tra i paesi della comunità, che in maggioranza pensavano di meglio disciplinare la comparazione a livello nazionale.

In ogni modo la direttiva del 1984 sarà modificata al fine di includervi anche la pubblicità comparativa, nel 1997 con la direttiva, sopra menzionata, n. 55 del Parlamento Europeo e del Consiglio.

2. 2. Ostilità verso la comparazione pubblicitaria:

l’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile

Il criterio per classificare come lecito o illecito un dato comportamento pubblicitario che ponga in maniera più o meno esplicita a confronto prodotti e servizi di differenti imprese, come precedentemente esposto, ha attraversato varie fasi.

E’ quindi chiaro che la pubblicità comparativa non è mai stata direttamente tutelata.

Lo stesso Codice Civile del 1865 non conteneva una specifica disciplina degli atti di concorrenza sleale, la critica rivolta direttamente al concorrente era ritenuta lecita purchè fondata su fatti veri.

Successivamente, con l’entrata in vigore del Codice del 1942, si sono verificati sostanziali cambiamenti. 35

La valutazione della liceità di determinati comportamenti, nei confronti dei concorrenti, si è innestata sulla disciplina della concorrenza sleale. Il riferimento è all’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile, in materia di denigrazione commerciale, che considera atto di concorrenza sleale qualsiasi notizia diffusa su prodotti e attività dei concorrenti, idonea a determinarne discredito. Si è così giunti al superamento della distinzione tra fatti veri o falsi considerandoli ugualmente illeciti.36

La norma dell’articolo 2598 stabilisce infatti che, chiunque «usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente;

diffonde notizie o apprezzamenti sui prodotti o sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda», compie atti di concorrenza sleale.

Tra i tre punti sopra menzionati, è il secondo che più attiene alla trattazione della pubblicità sia comparativa che ingannevole, senza però escludere che illeciti possono essere ricondotti anche ai restanti due punti, ma genericamente, l’illecito più comune è proprio quello che riguarda la denigrazione del concorrente.

Va, comunque ricordato che la norma non è stata formulata appositamente per disciplinare il fenomeno pubblicitario, definendone i confini di liceità. La pubblicità vi rientra in quanto tipicamente la denigrazione, e in misura minore anche l’appropriazione di pregi, si attua mediante il mezzo pubblicitario.

Sulla scorta di queste considerazioni, i primi orientamenti si sono caratterizzati per una certa avversione nei confronti dell’utilizzo della comparazione, ed in particolare, della comparazione diretta; anche se non bisogna dimenticare che si sono verificate ipotesi di esenzione dal concetto di illecito sopra descritto. In particolare, le esenzioni sono state ricondotte a tre differenti ipotesi: la necessità di reagire all’altrui ingiustificato attacco;

35 Meli, La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm., 1999.

36 Ulmer, La repressione della concorrenza sleale negli Stati Membri della CEE ,Giuffrè MILANO.

la necessità di descrizione tecnica dei propri prodotti; la necessità di dissipare equivoci sorti fra il pubblico, ovvero di rispondere a domande di consumatori e clienti circa i propri prodotti e la propria attività.

E’ chiaro quindi, come, alle origini di un comportamento che tendeva a considerare la comparazione pubblicitaria come atto illecito, c’ erano molte motivazioni, tra le quali, possiamo ricordare quelle principali, per cui «la comparazione lederebbe la libertà decisionale del pubblico; il divieto di diffondere notizie e affermazioni screditanti per il concorrente (concetto concorrenza sleale, sopra descritto); nonché sul rilievo dell’indebito utilizzo del nome, marchio e ditta altrui».

La conseguenza di questa forma mentis ha portato a considerare, per diversi decenni, lecita solo quella comparazione che tendeva ad esaltare i pregi del proprio prodotto attraverso due differenti forme: o mediante formule quali il superlativo relativo o attraverso il confronto con i prodotti concorrenti identificati solo nel genere, in modo che non fosse riconducibile in alcun modo a un dato marchio o imprenditore.

Tuttavia, è innegabile che, “in linea generale, se effettuato in termini e condizioni leali e con le giuste modalità”, lo strumento di comparazione diventa un vero e proprio alleato in termini di completezza d’informazioni a favore dei consumatori ed utenti e, soprattutto, consente una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, della qualità delle loro prestazioni e del loro costo.37

In tal senso, la pubblicità comparativa offre un beneficio per tutti coloro che intendono usufruire dei servizi offerti al pubblico, dal momento che proprio la possibilità di disporre di un numero maggiore di informazioni consente di agevolare il processo decisionale; ma tale forma di comunicazione avvantaggia anche gli operatori economici che, usufruendo dello strumento comparativo, hanno la possibilità di includere nell’offerta al pubblico ulteriori dati relativi ai propri prodotti e servizi, creando le condizioni per ampliare il numero dei propri utenti o acquirenti.

Inoltre, non è certo trascurabile il fatto che la comparazione incrementa la trasparenza del mercato, ponendo un’efficace strumento per i consumatori; è per questo che si tende sempre più ad accostare la comparazione al benessere degli stessi consumatori.

I risultati di vari studi, in particolare per merito di studiosi di Marketing, hanno portato alla costituzione di un vero e proprio elenco dove si mostrano i vantaggi che la pubblicità comparativa offre:

37 In Chicchi, La pubblicità comparativa. Un nuovo strumento di informazione dal sito www.ambientediritto.it.

- fornisce maggiore informazione;

- consente di contendere posizioni di mercato alle imprese affermate;

- riduce la confusione fra prodotti;

- attira più efficacemente l’attenzione dei consumatori;

- induce ad un miglioramento della qualità dei prodotti;

- riduce le barriere all’accesso;

- induce nei consumatori maggiore fiducia nella pubblicità;

- incrementa la concorrenza;

- consente di fare gli acquisti sulla base di confronti;

- gode di un fattore novità rispetto alla pubblicità tradizionale;

- stimola la differenziazione dei prodotti.38

Naturalmente, come è ovvio, congiuntamente ad una lista di vantaggi, la pubblicità comparativa offre sia per i consumatori che per i concorrenti; esistono dei rischi e possibili svantaggi che discendono tutti dalla natura tipicamente aggressiva di questa forma di comunicazione.39

In particolare, possiamo sostenere che i timori si fondano su una delle peculiarità della comparazione, cioè quella di costruire un attacco direttamente indirizzato all’impresa concorrente, esponendo, così le imprese aggredite a indubbi rischi.

Il problema è trascurabile se il confronto è sostenibile da parte dell’impresa attaccata, dal momento che la reazione si esplicherà attraverso la diffusione di altra pubblicità comparativa che in qualche modo cerchi di riequilibrare la situazione; ma il problema diventa rilevante se il confronto è senza speranze per l’impresa attaccata, dal momento che la maggiore qualità del concorrente è innegabile; all’impresa non resta che investire in altre forme di pubblicità, andando così a sostenere costi sempre maggiori senza peraltro alcuna garanzia di risultato.

Inoltre, come se non bastasse, un efficace attacco diretto può produrre danni immediati al concorrente, così che qualunque sua reazione può risultare tardiva e inefficiente; ad aggravare la situazione è che spesso, in questa guerra a colpi di confronti, si può

38 In Meli, La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm., 1999, pag. 272/I.

39 Concordano sulla natura aggressiva della pubblicità comparativa: Meli, opera citata, pag.271/I ; Baietti La pubblicità comparativa, Milano, 1999 ; Auteri, La Pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contatto e Impresa, 1998.

verificare che la comparazione si svolga in modo non leale, portando immediati danni al concorrente e confidando nella lentezza dei meccanismi sanzionatori.

Consideriamo poi, tra i problemi che una campagna pubblicitaria basata sul confronto può causare, quello che riguarda lo stravolgimento che spesso l’irruzione della comparazione porta alle imprese in termini di strategie pubblicitarie. Perciò, senza voler essere ripetitivi, possiamo concludere dicendo che questa forma di comunicazione, mette le imprese di fronte al rischio di dover fronteggiare attacchi imprevisti e spesso reagire e reimpostare una campagna pubblicitaria, con i costi che ne derivano.40

Sostanzialmente, i rischi sono maggiori per coloro che operano nel mercato, le imprese, ma, volendo individuare possibili pericoli che i fruitori di tali messaggi possono correre, possiamo citare l’incremento dell’aggressività pubblicitaria, per effetto della comparativa, finisca con il confondere il consumatore e screditare tutta la pubblicità.

Sicuramente i rischi sono notevoli, ed è questo, forse, il motivo per cui molto spesso si guarda, e soprattutto si è guardato, alla comparazione pubblicitaria con un cero scetticismo. La ragione di questo diffuso scetticismo è da attribuirsi principalmente al ceto imprenditoriale. Diverse sono le motivazioni dell’avversione degli imprenditori per questo tipo di pubblicità, che pure non manifestano analoga avversione verso altre forme di concorrenza. Proprio tale riluttanza verso la pubblicità comparativa ha fatto sì che si sviluppassero le prime norme di dettaglio in tema, frutto, in primis, della volontà degli operatori pubblicitari di autoregolamentarsi in modo da creare ulteriori sbarramenti contro il paragone di prodotti e servizi individuati.

L’ostilità maggiore tra gli imprenditori rimane quella dei cosidetti incumbents ovvero quelle imprese già consolidate che devono inquietarsi da quelle imprese, new entrants, in cerca di quote di mercato che fanno largamente uso della pubblicità comparativa a scapito proprio degli incumbents.

Il motivo portante di tanta avversione dipende sicuramente dagli effetti sconosciuti e imprevedibili della pubblicità comparativa e, alla cui analisi, è stata dedicata tradizionalmente un’attenzione limitata dalla stessa scienza economica, che pur si è occupata di pubblicità, ma in termini di benefici per i consumatori.

40 In merito si è espresso Meli, in La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina,in Giur.

Comm., 1999.

2. 3. Nuova disciplina alla luce della Direttiva Comunitaria:

Il Decreto legislativo 67/2000

L’insieme delle ragioni viste nei capitoli precedenti testimoniano la necessita di adottare una direttiva ad hoc per la pubblicità comparativa. Così il 6 Ottobre 1997 il Parlamento Europeo e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 97/55/CE che modifica la direttiva 84/450/CE inserendovi le disposizioni relative alla pubblicità comparativa.

Il percorso che porta all’assegnazione della disciplina della comparazione pubblicitaria, come è noto, è stato assai travagliato ed ha dovuto superare non pochi ostacoli.

Sicuramente, alla base dell’adozione della suddetta direttiva c’è la necessità di fissare le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa con l’obiettivo di mettere in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili così che sia anche stimolata la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori. E’ inoltre necessario evitare che la pubblicità comparativa sia utilizzata in modo sleale e negativo per la concorrenza, permettendo soltanto i confronti tra beni e servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi in modo da uniformare in materia di comparazione pubblicitaria tutti gli Stati membri per realizzare un mercato unico. E’

questa una necessità, se non la necessità, prioritaria, dal momento che in un mercato sempre più concorrenziale, dove la pubblicità ha un ruolo fondamentale nella lotta di concorrenza, le varie imprese dei vari paesi devono lottare ad armi pari ed essere soggette alle stesse regole e soprattutto agli stessi limiti41. Ed è proprio nell’ interesse dei consumatori che si pongono le condizioni a questa forma di comunicazione per far sì che la pubblicità comparativa possa avere effetti positivi in termini di maggiore informazione stimolando la concorrenza.

La direttiva in tal senso, per la tutela dei consumatori e dei concorrenti prevede tre forme di tutela: la prima, riserva all’autorità giudiziaria l’applicazione della disciplina attribuendo ai soggetti interessati la legittimazione ad agire; la seconda, riserva

41 In merito alla necessità di formare un mercato unico si sono espressi vari autori,tra i quali Valcada in La pubblicità comparativa: dalla varietà dei sistemi nazionali a una disciplina comunitaria, in Diritto della Comunicazione e degli Scambi Internazionali, 1997- Mangione, Osservazioni sulla pubblicità comparativa alla luce della direttiva 97/55/CE, in Diritto Commerciale Internazionale, 1998- Auteri, La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e Impresa / Europa, 1988- Meli, La pubblicità comparativa fra vecchia e nuova disciplina.- Paciullo, La pubblicità comparativa nell’ordinamento italiano, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 2000.

all’autorità giudiziaria l’applicazione della stessa disciplina ma la legittimazione ad agire è riservata ad un’ autorità amministrativa ed infine, riserva ad un autorità amministrativa sotto il controllo giurisdizionale il compito di valutare la pubblicità illecita.42

La direttiva del 1997, è composta da ben 21 considerando e tre articoli, nei quali disegna l’intera materia della pubblicità comparativa. Per quanto riguarda il nostro paese la direttiva trova applicazione con il decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio del 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo del 2000. Il presente decreto è composto di sei articoli ed il primo è dedicato alla menzione della modifica del precedente decreto di attuazione, d. lgs. n. 74/92, della direttiva del 1984, in particolare nella parte del titolo: «Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa». Tra le modifiche che suscitano maggiore interesse c’è sicuramente quella relativa all’articolo 4 del decreto che aggiunge all’articolo 3 della direttiva il 3-bis, in merito alle condizioni imprescindibili a cui la forma del messaggio pubblicitario

La direttiva del 1997, è composta da ben 21 considerando e tre articoli, nei quali disegna l’intera materia della pubblicità comparativa. Per quanto riguarda il nostro paese la direttiva trova applicazione con il decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio del 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo del 2000. Il presente decreto è composto di sei articoli ed il primo è dedicato alla menzione della modifica del precedente decreto di attuazione, d. lgs. n. 74/92, della direttiva del 1984, in particolare nella parte del titolo: «Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa». Tra le modifiche che suscitano maggiore interesse c’è sicuramente quella relativa all’articolo 4 del decreto che aggiunge all’articolo 3 della direttiva il 3-bis, in merito alle condizioni imprescindibili a cui la forma del messaggio pubblicitario

Nel documento INTRODUZIONE LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA (pagine 14-35)

Documenti correlati