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INTRODUZIONE LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA

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Academic year: 2022

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INDICE - SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 2

1. LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA 1. 1. Definizione ... 5

1. 2. Uno sguardo al nuovo Codice del Consumo ... 6

1. 3. Tipologie di Comparazione: Diretta, Indiretta e Suggestiva ... 8

2. L’EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITÀ COMPARATIVA 2. 1. La situazione prima della Direttiva 97/55/CE: dalla Proposta di Direttiva del 1975 alla Direttiva 84/450/CE... 14

2. 2. Ostilità verso la comparazione pubblicitaria: l’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile ... 17

2. 3. Nuova disciplina alla luce della Direttiva Comunitaria: Il Decreto legislativo 67/2000 ... 22

2. 4. Le Condizioni di liceità ... 23

2. 5. Un accenno al contesto internazionale: la pubblicità comparativa nei principali paesi europei e negli Stati Uniti... 29

3. GLI ORGANI DEPUTATI AL CONTROLLO 3. 1. Il Giudice Ordinario ... 35

3. 2. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ... 36

3. 3. Il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria ... 40

4. DUE CASI INTERESSANTI DI PUBBLICITÀ COMPARATIVA ILLECITA 4. 1. Il Caso TELECOM – TELE2: Introduzione ... 49

4. 1.1. Il messaggio pubblicitario: “ Con TELE2 risparmi più del 50% ” ... 50

4. 1.2. Le principali tappe del procedimento ... 53

4. 1.3. La decisione dell’Autorità ... 60

4. 2. Il Caso WIND/LIBERO Comparazione Offerte Commerciali... 62

4. 2.1. La decisione dell’Autorità Garante... 65

4. 2.2. Considerazioni finali ... 66

CONCLUSIONI ... 67

BIBLIOGRAFIA ... 69

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INTRODUZIONE

La pratica pubblicitaria ha da sempre rivestito un ruolo importante nelle dinamiche imprenditoriali, ma la sua rilevanza risulta oggi ancor più accentuata, rispetto al passato, a causa dei continui e rapidi mutamenti dello scenario concorrenziale.

Oggi più di prima, infatti, la pubblicità diventa un mezzo fondamentale per le imprese, quanto la qualità degli stessi beni pubblicizzati.

In questo scenario, fatto di sfide a chi meglio sponsorizza i propri beni e servizi, il fenomeno della pubblicità comparativa si pone come ulteriore mezzo alla lotta concorrenziale, in cui componente suggestiva e informativa si fondono in un connubio destabilizzante per l’equilibrio stesso della concorrenza.

Attraverso questo lavoro, si vuole analizzare proprio questo fenomeno che se usato con le dovute accortezze, può essere utile tanto ai concorrenti, quanto agli stessi consumatori.

L’obiettivo perciò, di questa tesina, è quello di far conoscere come si è sviluppato il concetto di pubblicità comparativa, ma soprattutto come questo si è adeguato ai vari sistemi degli Stati, non tutti pronti, e soprattutto non entusiasti di accogliere questa modalità comunicativa, per sua natura aggressiva.

Tra questi Stati, non proprio favorevoli al confronto pubblicitario, dobbiamo includere anche l’Italia che ha dovuto adeguarsi, con non poche difficoltà, agli altri paesi favorevoli alla comparazione pubblicitaria.

In ogni modo, la pratica comparativa ha avuto il merito di riuscire ad instaurarsi nel nostro impianto normativo, dal momento che prima delle direttive comunitarie, non era riscontrabile nell’ordinamento italiano.

Il nostro paese, come per altro la maggior parte degli Stati europei, ha fatto includere, per molti anni, nell’istituto della concorrenza sleale anche la comparazione pubblicitaria, dal momento che quest’ultima, per sua natura, attua il fenomeno denigratorio.

E’ facile, per questi motivi, già intendere il difficoltoso iter che la pubblicità comparativa ha dovuto subire. Verrà, per questo, presentato il lungo percorso che ha portato alla direttiva comunitaria 97/55, attraverso la dettagliata descrizione delle varie

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tappe, proprio per dare la possibilità al lettore di comprendere come ed in che modo la comparazione si è affermata.

Naturalmente, viste anche le tante ostilità verso questa forma di pubblicità, non potevano non essere presenti delle regole, dei limiti all’utilizzo della comparazione.

L’analisi verterà proprio sulla descrizione di quelle che sono le condizioni imposte al messaggio pubblicitario, in modo che questi non risulti ingannevole e soprattutto ad evitare che attivi una comparazione illecita.

La descrizione di questi limiti sarà naturalmente prevista con una particolare attenzione all’Italia, andando per altro, ad evidenziare la loro allocazione codicistica. Il riferimento è al nuovo Codice del Consumo che, dal 2005, si pone come ulteriore strumento a tutela dei consumatori, accorpandone le disposizioni attinenti. Il nuovo strumento sarà dettagliatamente esaminato, con particolare riferimento al titolo III della seconda parte, relativo proprio alla pubblicità.

Ma, se ci sono delle condizioni da rispettare, ci saranno anche degli organismi di controllo?

La risposta è inserita nella stessa domanda, è normale, infatti, che la presenza di certe norme presupponga qualcuno che ne controlli il rispetto.

Il nostro paese, prevede tre differenti organismi atti a tutelare dagli illeciti nella pubblicità, ed in particolare gli illeciti di quella comparativa.

Questi tre organismi, sono di natura differente perché derivano da fonti legislative, dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, nonché dall’iniziativa dei privati.

A tal proposito verranno descritte le principali funzioni e attività di ciascuno dei tre organi: Giudice Ordinario, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria.

La comprensione del fenomeno comparativo per essere completata, necessita, oltre che di analisi teorica, anche di una pratica. A tal proposito, verranno presentati due casi di illiceità comparativa, che trovano allocazione nel mondo della telefonia, nel quale l’utilizzo dell’elemento “comparazione” è notevolmente diffuso. Entrambi gli esempi presentati, sono stati giudicati dall’ Autorità. Nei casi trattati, sono stati messi in risalto proprio le caratteristiche che compongono i messaggi oggetto di illeciti, o presunti tali.

E’ in questo modo, che si può meglio valutare e carpire gli elementi decettivi che li costituiscono.

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Leggendo la descrizione dei due esempi, sarà possibile notare, come i principi teoricamente esposti, vengano messi in pratica, completando la comprensione del fenomeno della pubblicità comparativa.

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1. LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA

1. 1. Definizione

Il fenomeno della pubblicità compartiva nasce e si diffonde a partire dagli anni ’601 negli Stati Uniti, con lo scopo di fornire ai consumatori, attraverso il confronto fra beni e servizi delle imprese, uno strumento che possa dare maggiore trasparenza dei mercati, attraverso l’acquisizione di dati sempre più obiettivi per permettere una razionalizzazione delle loro scelte2.

Per questo la pubblicità comparativa ha un ruolo fondamentale nel processo economico, con riguardo proprio alla sua influenza sul consumatore o utente.3

E’, pertanto, possibile definire la pubblicità comparativa come, quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni e servizi mettendoli a confronto con quelli delle altre imprese presenti sul mercato.

In particolare il confronto può essere riferito, in modo implicito o esplicito, ad un concorrente determinato oppure ai beni o servizi offerti da un concorrente.4

E’ necessario da subito rilevare, l’ampiezza della definizione, che include tutte le forme di comparazione, dall’ identificazione indiretta dell’azienda “rivale” a quella diretta.5 Rientrano inoltre i concetti di pubblicità denigratoria, che sfrutta il confronto fra beni e servizi dell’impresa avversaria per sottolineare la maggiore qualità dei propri; nonché di pubblicità comparativa per agganciamento, la quale ha lo scopo di creare un vincolo astratto fra i propri prodotti o servizi e quelli del concorrente dotati di maggiori pregi e soprattutto di maggiore rinomanza.

1 E’ importante precisare che, si fa risalire agli anni ’60 la nascita delle pubblicità comparativa, perché è in questa periodo che questa pratica pubblicitaria ha un utilizzo sistematico, anche se, il primo annuncio comparativo risale a ben 30 anni prima, quando una casa automobilistica americana, la Plymouth, invitò il pubblico dei potenziali acquirenti ad un confronto fra le proprie vetture e quelle dei tre concorrenti presenti sul mercato: Ford, Chrysler e General Motors) – Baietti, La pubblicità comparativa, Milano, 1999, pag. 27.

2 Rossotto, La pubblicità comparativa. Un altro modo di comunicare, in AssAP Cultura, Milano, 1998- Pag.41.

3 In Gambardella – Articolo tratto dal sito internet www.ildenaro.it, in Soldi & Impresa, dal titolo “La Pubblicità Comparativa anche in Italia”.

4 La definizione è in parte tratta dall’articolo 20 del Codice del Consumo.

5 Vedi punto 1.3 per tipologie di comparazione.

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Sono infine incluse anche le nozioni di pubblicità istituzionale, diretta ad accreditare l’immagine dell’impresa o dell’imprenditore, e quella di pubblicità oggettuale, in cui il confronto verte su beni e servizi concorrenti.6

1. 2. Uno sguardo al nuovo Codice del Consumo

Il Nuovo Codice del Consumo, approvato con il decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005, ha riordinato e semplificato la normativa sulla tutela dei consumatori, comportando una piccola rivoluzione nel tessuto del Codice Civile7. Erano infatti contenute in quest’ultimo, prima dell’introduzione del nuovo Codice del Consumo, le norme sul consumatore.8

Alla luce di queste considerazioni è facile intuire l’obiettivo del nuovo Codice, ovvero, quello di favorire l’informazione e la tutela dei consumatori, assicurando la correttezza dei processi negoziali alla base delle decisioni di acquisto.

Il testo è costituito da 146 articoli suddivisi in sei parti:

- Disposizioni Generali;

- Educazione, Informazione, Pubblicità;

- Il rapporto di Consumo;

- Sicurezza e Qualità;

- Associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia;

- Disposizioni Finali.9

Al giorno d’oggi, gli utenti sono quotidianamente tempestati da messaggi pubblicitari, che molto spesso assumono forme pericolose, in quanto ingannevoli e mendaci, per questo si è reso necessario, nel prevedere una normativa sui consumatori, stabilire delle regole allo scopo di tutelarli.

6 Coco, Pubblicità Comparativa in Europa: Ammessa se veritiera, leale, corretta, in Pol.Dir. 1996, pag..625.

7 In Della Valle F. – Della Valle S., Codice del Consumo, Giuffrè, Milano, 2005.

8 Nel Codice Civile segnatamente agli articoli 1469-bis e segg. e 1519-bis e segg.

9 In Alpa-Rossi-Carleo, Il Codice del Consumo Commentario, ESI, 2006.

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Ed è per questo che nell’impianto del codice del consumo è dedicato, all’interno della seconda parte “Educazione, Informazione, Pubblicità” un intero titolo, il terzo per la precisione, alla pubblicità, nominato “Pubblicità e altre comunicazioni commerciali”.

Preme rilevare, innanzitutto che tale disciplina si applica ad ogni forma di comunicazione commerciale in qualsiasi modo effettuata e che la tutela riconosciuta è più ampia, visto che per “consumatore o utente” si intende, oltre che la persona fisica, anche quella giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze (art. 18 cod. consumo).

L’articolo 19 è poi dedicato alle finalità che la disciplina intende perseguire ed in particolare al secondo comma vengono citati i requisiti minimi della pubblicità, la quale deve essere, appunto, «palese, veritiera e corretta». In ogni modo l’intento di maggiore interesse è quello di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i soggetti che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, i consumatori e, in generale, gli interessi del pubblico, nonché fissare le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.

Inoltre, qualsiasi forma di messaggio che, in qualsiasi modo sia diffuso, nell’ambito di un’attività commerciale, industriale o professionale, al fine di promuovere la vendita, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su beni mobili o immobili è sottoposto alla disciplina del Codice del Consumo.

L’articolo 20, è invece dedicato alle varie definizioni di, Pubblicità in generale10, Pubblicità Ingannevole, Pubblicità Comparativa11 ed infine è definito l’Operatore pubblicitario.

10 Nell’articolo 20 del Codice del Consumo vengono definiti oltre alla nozione di pubblicità comparativa anche quelle di Pubblicità in generale, Pubblicità Ingannevole e di operatore pubblicitario, ma è sembrato giusto omettere le relative definizioni, per meglio concentrare l’attenzione sull’oggetto di questa tesi.

In ogni modo, visto che tali concetti sono in qualche modo collegati alla pubblicità comparativa, di seguito si chiarisco velocemente:

-Pubblicità: Qualsiasi messaggio diffuso, in ogni modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale, professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni o costruzione e trasferimento di diritti ed obblighi su di essi e la prestazione di opere e servizi;

-P. Ingannevole: Qualsiasi pubblicità idonea ad indurre in errore la persona fisica o giuridica alla quale è rivolta e che in ogni modo sia idonea a ledere un concorrente;

-Operatore Pubblicitario: Il committente del messaggio ed il suo autore, e nel caso in cui non sia consentita l’identificazione di questi, il proprietario del mezzo con cui il messaggio è diffuso.

11 La definizione di Pubblicità Comparativa è segnalata nel primo paragrafo dello stesso Capitolo.

Inoltre, mi preme segnalare che nonostante il TITOLO III, contenesse anche altri articoli, sono stati in questa sede nominati quelli più attinenti e vicini alla comparazione pubblicitaria.

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Nel particolare, tra gli articoli maggiormente attinenti alla comparazione pubblicitaria, dobbiamo menzionare il 22, dove vengono chiarite le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.12

A conclusione di queste considerazioni è importante segnalare come il nuovo Codice possa meglio tutelare i consumatori, attraverso una disciplina unitaria e ben definita.

Precedentemente all’attuazione del Codice del consumo, la disciplina pubblicitaria, era contenuta nel decreto legislativo 74 del 1992, che dava attuazione, in Italia, alla direttiva comunitaria 84/450/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative degli Stati membri, in termini di pubblicità ingannevole. 13

1. 3. Tipologie di Comparazione: Diretta, Indiretta e Suggestiva

Proprio l’evoluzione della pubblicità da vita all’elemento “Comparativo”, che si pone come un ulteriore mezzo della lotta concorrenziale, in cui si fondono componente suggestiva con quella informativa rischiando di compromettere lo stesso equilibrio di concorrenza. 14

Come detto, quindi, attraverso questa nuova modalità di comunicazione pubblicitaria, un’impresa promuove i propri beni e servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. Tali concorrenti possono essere individuati genericamente o invece specificamente.

Nel primo caso si parla di pubblicità comparativa Indiretta (ad esempio l’attribuzione, da parte di un impresa, al proprio prodotto, di pregi unici, non posseduti da nessun altro prodotto); mentre nel secondo caso si parla di pubblicità comparativa Diretta (ad esempio quando i concorrenti vengono resi riconoscibili).15

12 Le condizioni di liceità sono elencate nell’articolo 22 del Codice del Consumo, nella presente tesina presentate nel Capitolo 2, al punto 2.4.

13 Vedi paragrafo 2.1 dove viene descritto l’intero iter legislativo, dalla proposta di direttiva del 1975 alla direttiva comunitaria 84/450 e successivamente nel paragrafo 2.2 le evoluzioni con la nuova direttiva comunitaria 97/55.

14 In tal senso si è espresso Paciullo, La pubblicità comparativa nell’ordinamento italiano, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, pag.115.

15 Qual è la definizione di Pubblicità nella legge in www.agcm.it.

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Quest’ultima forma di pubblicità comparativa, ha tradizionalmente suscitato particolari preoccupazioni da parte di varie imprese, per la sua natura aggressiva che porta ad aumentare i toni già aspri della battaglia concorrenziale.

E’ vero anche, che, se questa tipologia di comunicazione viene effettuata in modo corretto, diventa un importante elemento informativo per i consumatori sommersi e confusi dai molteplici messaggi che quotidianamente i mezzi di comunicazione presentano16.

Da parte sua, la giurisprudenza distingueva tre tipologie di comparazione: Diretta, Indiretta e Superlativa.

La prima delle tipologie in questione è quella Diretta, che può anche essere definita nominativa, e si riferisce ad un confronto esplicito tra i prodotti e i servizi concorrenti.

In particolare si manifesta quando il raffronto viene realizzato attraverso l’individuazione del concorrente sfavorito dal confronto, tramite quelli che sono i segni distintivi di cui egli è titolare, quindi il marchio, l’insegna e la ragione sociale.17

Naturalmente per sua natura, questo tipo di comparazione esprime il massimo grado di aggressività, dal momento che si ricorre ad essa non tanto per promuovere i pregi del proprio prodotto, ma per descrivere i difetti del prodotto concorrente.

Nel nostro ordinamento questa forma di comparazione è stata generalmente considerata illecita in quanto contraria al divieto, di cui all’articolo 2598, n. 2 del codice civile, sulla concorrenza sleale.18

Nello specifico, il divieto consiste nel proibire la diffusione di notizie o apprezzamenti sull’azienda o i prodotti dei concorrenti che siano tali da produrne il discredito.

Invero, la giurisprudenza non ha mai negato il confronto tra aziende e prodotti concorrenti, ha infatti ammesso, “in linea di principio”, che potesse considerarsi lecita la comparazione commerciale purchè fondata su notizie vere19, a meno che «la stessa non fosse effettuata in maniera tendenziosa, subdola o comunque scorretta, in modo da produrre discredito per i prodotti o l’attività del concorrente».20

16 Meli, in La Pubblicità comparativa fra vecchia e nuova disciplina, in Giur.Com.1999 parla proprio dei vantaggi della pratica comparativa segnatamente dalla pagina 269/I-Par. 2.

17 In Autieri, La Pubblicità Comparativa secondo la direttiva 97/55/CE, Un primo commento in Contratto e Impresa in Europa, 1998.

18 Vedi Punto 2.4 della presente tesina.

19 Mangione, Osservazione della Pubblicità Comparativa alla luce della Direttiva Comunitaria 97/55/CE in Diritto Commerciale Internazionale, 1998.

20 In Cass., 13-6-1978. - Giust. Civ., Mass., 1978,1200.

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In concreto, tuttavia, si è generalmente ritenuto che la pubblicità comparativa diretta, seppur veritiera, integrasse gli estremi della concorrenza sleale per denigrazione, in quanto per sua natura è idonea a screditare imprese ed attività concorrenti.

A tal proposito, la giurisprudenza, ha posto un insieme di condizioni talmente stringenti, da escludere quasi completamente, salvo rarissimi casi, l’esistenza di un messaggio pubblicitario comparativo diretto, che potesse configurarsi lecito.

Emblematica, da questo punto di vista, è una risalente sentenza della Cassazione, ove si afferma:

«la concorrenza sleale per ‘comparazione specifica’ può consistere anche nella sola affermazione che il proprio prodotto viene posto in vendita a prezzo inferiore a quello praticato da un concorrente nominativamente indicato. Tuttavia, quando il riferimento al prezzo si colloca in un contesto più ampio ed in una più ampia conversazione provocata dal cliente stesso, dalla quale emerge che il negoziante pone il suo raffronto tra prodotti di diverso tipo e qualità, e cioè quello proprio, dichiaratamente di qualità più scadente, e quello altrui, dichiaratamente di qualità più pregiata, e quindi di categoria superiore, la ‘comparazione’ non può essere ritenuta contraria

alla legge e alla correttezza professionale, essendo essa stessa diretta ad evitare equivoci tra i due prodotti». 21

Per quanto riguarda la comparazione Indiretta, ci si riferisce a quel tipo di raffronto tra prodotti o servizi di concorrenti non nominati; e cioè quella comparazione nella quale i termini sfavoriti del confronto non sono nominati perché non sono menzionati i lori segni distintivi.

Questa tipologia di comparazione è stata da sempre ammessa sia dalla giurisprudenza che da parte della dottrina22.

La giurisprudenza infatti, si è orientata in linea di principio a riconoscere la liceità di quelle forme pubblicitarie che comportano l’allegazione da parte di un’impresa di qualità suscettibili di attribuire maggior pregio ai propri prodotti, anche se si risolvono in un indiretto discredito per i concorrenti. E’ però necessario il rispetto di alcuni requisiti:

21 In Cass., 23-2-1977, n. 787, in G.A.D.I., 1977, 893 - In Anonimo, Appunti di Diritto Antitrust e di Disciplina della Concorrenza Sleale.

22 In Sordelli, La concorrenza sleale , Milano 1955; In Notizie e apprezzamenti veri o notori, pubblicità redazionale e concorrenza sleale,in Riv. Ind. 1964.

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a) si tratti di fatti rigorosamente veri e verificabili;

b) il messaggio non implichi omissioni di circostanze, elementi o precisazioni la cui mancanza sia idonea a fuorviare il giudizio del pubblico;

c) si escluda qualsiasi apprezzamento non adeguatamente sorretto dai dati enunciati, ovvero espresso in modo da provocare nel pubblico una reazione non proporzionata al contenuto di verità del messaggio.

In concreto, poi, la liceità delle forme pubblicitarie comparative, sempre che non vi fosse un riferimento diretto ad uno specifico concorrente nominato, è stata affermata soprattutto con riferimento ai casi in cui il raffronto riguardava non le prestazioni o le caratteristiche dei prodotti nella loro globalità, quanto piuttosto singoli elementi di carattere oggettivo, agevolmente verificabili e poco idonei, per loro natura, a prestarsi a manipolazioni espositive; come per esempio:

- I prezzi;

- I Dati di carattere tecnico;

- Le Caratteristiche costruttive, funzionali e dimensionali dei prodotti.23

La portata denigratoria di un messaggio pubblicitario comparativo è stata perciò, generalmente esclusa, oltre che in assenza di un accostamento diretto fra i prodotti dei soggetti in causa, non solo in quanto il messaggio risultava veritiero, requisito questo imprescindibile, ma anche a condizione che le sue modalità di presentazione non si rilevavano «scorrette e tendenziose».

Naturalmente, visto il suo carattere di liceità, la comparazione indiretta diventa un utile strumento per l’inserzionista, in quanto è garantita la possibilità di illustrare adeguatamente sotto l’aspetto tecnico ed economico, le caratteristiche e i vantaggi oggettivamente rilevanti dei suoi beni e servizi, astenendosi dall’aggredire nominativamente il concorrente.

La pubblicità comparativa indiretta è diventata in Italia l’ipotesi più frequente di comparazione pubblicitaria considerando che è quella esplicitamente ammessa, e la sua importanza ha acquisito vigore in un mercato come quello Italiano, caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di operatori.24

Infatti, in un mercato adeguatamente concorrenziale, un’innovazione tecnologica o comunque commerciale consente ad un operatore di vantare, grazie alla comparazione

23 In Anonimo, Appunti di Diritto Antitrust e di Disciplina della Concorrenza Sleale.

24 In Floridia, La repressione della Pubblicità Comparativa in Il Diritto Industriale, 1999. pag.181.

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indiretta, una caratteristica differenziata capace di contrapporre il suo prodotto o servizio a tutti i prodotti o servizi offerti in quel momento sul mercato dai concorrenti, prevedendo quindi una pubblicità comparativa, che pur essendo tale, non comporta l’identificazione né in modo esplicito né in modo implicito di un concorrente determinato, ma tutti i concorrenti sono individuabili come termini di riferimento del confronto, che per essi, si configura come negativo.

Ed è proprio quest’ultima caratteristica che dà la legittimazione ad agire contro tale forma di pubblicità alle associazioni di categoria che si sentano lese dal confronto; così come spetta individualmente ad ogni concorrente che risulta sfavorito dalla comparazione e infine, addirittura è legittimato ad agire colui che anche se non ancora concorrente, si propone in futuro di svolgere l’attività screditata dal confronto.

E’ per questi motivi che, nonostante la comparazione indiretta è meno screditante di quella diretta, ha comunque la sua forza persuasiva e perciò deve sottostare ai limiti di cui abbiamo detto sopra, e più in particolare, come vedremo meglio in seguito, deve presentare interamente le condizioni di liceità dell’articolo 3-bis della direttiva della comunità europea n. 55 del 199725, oggi sostituito dall’articolo 22 del Codice del Consumo.

L’ultima tipologia di comparazione, è quella Suggestiva, nella quale il confronto è attuato attraverso l’utilizzo di un superlativo relativo nel paragone con tutti gli altri prodotti o servizi dello stesso genere.

Quest ’ ultima tipologia di comparazione, è spesso considerata una sottospecie di quella Indiretta, dal momento che non è in contrasto con l’articolo 2598 n. 2 del Codice civile, il quale rimanda al concetto di concorrenza sleale e lesiva per i concorrenti.

Questo tipo di messaggio pubblicitario non si realizza attraverso il confronto cosiddetto prestazionale, e cioè quello che tende a mettere in risalto pregi e caratteristiche positive dei prodotti e/o servizi offerti da un inserzionista, ma tramite un confronto basato su mere suggestioni inidonee a tradursi in differenze vere e proprie di prestazione.

Storici sono gli esempi che si possono riportare e che rispecchiano una comparazione di tipo suggestivo; sicuramente il più importante è quello che riguarda la guerra di comunicazione, che si svolge negli Stati Uniti e non solo, tra Pepsi Cola e Coca Cola.26

25 Vedi paragrafo 2.4.

26Ricordiamo i claims, utilizzati al culmine della competizione nel 1976, che recitavano “Nationalwide, more Coca Cola drinkers prefers Pepsi than Coke” e “New York prefers Coca Cola to Pepsi 2 to 1”, rappresentativi dell’interminabile serie di contese pubblicitarie fra i due produttori di cole.

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In ogni modo proprio le caratteristiche fondamentali della pubblicità comparativa suggestiva dividono da un lato coloro che ritengono giusto che anche la comparazione suggestiva sia suscettibile dei limiti previsti all’articolo 3-bis della direttiva comunitaria 97/55, in quanto pubblicità comparativa; e dall’altro coloro che ritengono valido nell’impostazione della direttiva il divieto ad altra forma comparativa se non quella diretta a confrontare beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongano gli stessi obiettivi in relazione ad una o più caratteristiche essenziali pertinenti verificabili e rappresentative. Quest’ultima, è peraltro, un’opinione plausibile e riconducibile alle espressioni letterali contenute nella direttiva comunitaria 97/55, ma al contempo non si può fare a meno di segnalare che questa opinione risente di una certa sopravvalutazione degli elementi letterali.27

Entrambe le opinioni, hanno degli elementi significativi che portano ad un dubbio di interpretazione, ma nonostante questo è certo che, la Direttiva 97/55/CEE, legittimando in parte il confronto nominativo, si rileva idonea ad esercitare un impatto significativo rispetto alla precedente regolamentazione.

27 In merito si è espresso Floridia in La repressione della Pubblicità Comparativa, in Il Diritto Industriale, 1999.

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2. L’EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITÀ COMPARATIVA

2. 1. La situazione prima della Direttiva 97/55/CE:

dalla Proposta di Direttiva del 1975 alla Direttiva 84/450/CE

Nonostante trenta anni fa fosse già cominciato il dibattito intorno alla comparazione per la compiuta regolamentazione della materia, si dovette aspettare più di vent’anni quando finalmente, nel 1997, venne approvata la direttiva 6 ottobre 1997, n. 55 che modifica la direttiva 10 settembre 1984, n. 450, relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa.

Per comprendere le ragioni di questo ritardo è necessario analizzare l’evoluzione storica della disciplina.

Risale al 199128 la prima proposta di direttiva sulla pubblicità comparativa, modificata poi nel 199429 e successivamente nel 1996, anche se la questione sul dubbio di ammettere o meno il confronto pubblicitario, come detto sopra, risale a molti anni prima. Infatti è nel 1975, con una proposta di direttiva, che si comincia a considerare la comparazione pubblicitaria, ed in particolare si rileva l’avversione della maggioranza dei paesi membri verso questo tipo di promozione di beni e servizi, ammettendola solo in casi particolari, come quelli relativi all’autodifesa, al confronto oggettivo tra prodotti ed infine nel caso in cui fosse il cliente a richiedere il confronto.30

Il progetto preliminare, quindi, dopo aver dato la definizione di “pubblicità” in generale e in particolare di quella ingannevole e sleale, si occupava all’articolo 6 della pubblicità comparativa, definendola al primo comma come «qualsiasi pubblicità che stabilisca un raffronto comparativo tra i beni, i servizi, la reputazione o il carattere dell’utente di pubblicità ed i beni, i servizi, la reputazione o il carattere di qualsiasi altra persona». Il

28 In Gazzetta Ufficiale Comunità Europea n. C180/14 del 11/07/1991.

29 In Gazzetta Ufficiale Comunità Europea n. C136/4 del 19/05/1994.

30 Coco, Pubblicità Comparativa, La pubblicità comparativa in Europa: Ammessa se veritiera, leale, corretta, in Pol. Dir. 1996.

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secondo comma prevedeva invece due casi, per cui la pubblicità comparativa era vietata: «[…] a) qualora essa costituisca una forma di pubblicità ingannevole ai sensi dell’articolo 3 del progetto di direttiva; b) qualora, pur costituendo pubblicità ingannevole a norma del summenzionato articolo […], si basi su fatti che non riflettono una selezione sleale».

Successivamente, nel settembre del 197631 a Bruxelles apparve un secondo progetto preliminare con l’intento di rivisitare il precedente, senza peraltro apportare sostanziali modifiche. La definizione della pubblicità comparativa si individua nel primo comma della proposta di direttiva, dove viene anche esplicitato il limite per il raffronto tra «beni o servizi dell’utente di pubblicità e beni o servizi di un’altra persona».

Le maggiori differenze riguardavano, comunque, la formulazione letterale dei principi, una è particolarmente rilevante ed è quella che inverte la formulazione di un principio contenuto nel secondo comma, da negativa «la pubblicità comparativa è vietata» a positiva «la pubblicità comparativa è permessa».32

Dopo soli due anni, nel 1978, si elaborò una nuova proposta di direttiva che prevedeva nuovamente l’armonizzazione per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole e sleale.

Per quanto concerne la pubblicità comparativa, l’articolo 4 recitava «La pubblicità comparata è ammissibile purché raffronti aspetti essenziali o verificabili, e non sia ingannevole o sleale».

Ed è proprio in questi anni, che si decide il futuro della comparazione pubblicitaria, dal momento che gli organi deputati alla negoziazione della proposta (in particolare il comitato economico e sociale aveva valutato i vantaggi per i consumatori) decisero di istituire un periodo di prova di 5 anni, allo scadere del quale si sarebbe dovuta prendere una decisione definitiva circa l’opportunità di mantenere o escludere la pubblicità comparativa, in base ad una valutazione dei dati nel frattempo reperiti .

Giunti quasi all’ultima tappa, precedente alla direttiva 84/450/CE, è la proposta del 1979, che viene presentata con i medesimi obiettivi degli anni precedenti.

L’articolo 4 recita, in maniera quasi identica alla proposta del ’78, le condizioni di ammissibilità della comparazione pubblicitaria, «la pubblicità comparativa è

31 In Ubertazzi, Rivista diritto Ind. ,1985, I, 470 ss ; In Giur. pubbl, I (1986-87), MILANO, 1988 ; In Fusi – Testa, Diritto e pubblicità, Milano,1991.

32 Baietti, La pubblicità comparativa, Milano, 1999.

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ammissibile purché raffronti aspetti essenziali o verificabili e non sia ingannevole o sleale33». Tale definizione differisce da quella della proposta precedente per il solo termine “comparativa”.

In questa proposta di Direttiva viene inoltre esplicitato il fatto che, al controllo giurisdizionale degli Stati veniva affiancato quello delle autorità amministrative, preposte alla tutela del consumatore, principio questo già accennato nelle direttive precedenti.

A conclusione di questo primo periodo, antecedente la direttiva 84/450/CEE, resta solo da menzionare il secondo programma della CEE, per una politica di protezione del consumatore, che, a distanza di 6 anni dal primo, venne approvato nel maggio del 1981.

In tale programma si sottolinea il principio per il quale «nessuna forma di pubblicità deve fuorviare l’acquirente potenziale del prodotto o del servizio. Il responsabile della pubblicità fatta attraverso qualunque canale deve essere in grado di dimostrare, con mezzi adeguati, la veridicità di quanto affermato».

Lo spartiacque, verso una maggiore apertura nei confronti della pubblicità comparativa, è rappresentato dalla direttiva 84/450/CE, la qual è principalmente centrata sulla disciplina della pubblicità ingannevole negli stati comunitari, come è possibile intendere dalle parole del Consiglio, «Relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole».

E’ chiaro quindi, come detto, che l’oggetto di studio della direttiva del ’84 è la pubblicità ingannevole, trascurando i concetti di concorrenza sleale e di pubblicità comparativa.

Nel 198434, infatti, in sede di emanazione della direttiva n. 450, il Consiglio rimanda ad una seconda fase la specificazione della direttiva in merito alla pubblicità comparativa, subordinandola al requisito di necessità “[..]è nell’interesse del pubblico in generale e di quanti svolgono un attività commerciale, industriale, artigianale o professionale nell’area del mercato comune armonizzare, le disposizioni nazionali in materia di pubblicità ingannevole e prevedere una normativa in merito alla concorrenza sleale, nonché alla pubblicità comparativa[..]”.

33 Crugnola, Note minime in materia di pubblicità comparativa, in Rivista di Diritto Industriale, 1993, pag. 76.

34 I singoli stati entro il 1 Ottobre del 1986, dovevano conformarsi alla direttiva comunitaria del 1984.

(17)

La Commissione europea nel continuo del suo lavoro, cercò una soluzione nel disciplinare anche la comparazione pubblicitaria tramite la sopra citata proposta del 1991, successivamente modificata nel 1994 e 1996.

In particolare nel 1991, si giustifica la scelta di armonizzare la disciplina della pubblicità comparativa in Europa, per tre ragioni principali:

- l’importanza della pubblicità come strumento di commercializzazione soprattutto sotto forma di prova comparativa;

- il miglioramento dell’informazione del consumatore;

- il benefico stimolo che la concorrenza potrebbe trarne.

Questa proposta si fondava sulla liceità della comparazione basata su alcuni requisiti necessari che si identificavano, innanzitutto, in un messaggio che non fosse ingannevole e in un confronto obiettivo, verificabile ed essenziale.

La proposta rimase sulla carta, come le analoghe proposte del 1994 e 1996, soprattutto per un diffuso senso “nazionalistico” tra i paesi della comunità, che in maggioranza pensavano di meglio disciplinare la comparazione a livello nazionale.

In ogni modo la direttiva del 1984 sarà modificata al fine di includervi anche la pubblicità comparativa, nel 1997 con la direttiva, sopra menzionata, n. 55 del Parlamento Europeo e del Consiglio.

2. 2. Ostilità verso la comparazione pubblicitaria:

l’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile

Il criterio per classificare come lecito o illecito un dato comportamento pubblicitario che ponga in maniera più o meno esplicita a confronto prodotti e servizi di differenti imprese, come precedentemente esposto, ha attraversato varie fasi.

E’ quindi chiaro che la pubblicità comparativa non è mai stata direttamente tutelata.

Lo stesso Codice Civile del 1865 non conteneva una specifica disciplina degli atti di concorrenza sleale, la critica rivolta direttamente al concorrente era ritenuta lecita purchè fondata su fatti veri.

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Successivamente, con l’entrata in vigore del Codice del 1942, si sono verificati sostanziali cambiamenti. 35

La valutazione della liceità di determinati comportamenti, nei confronti dei concorrenti, si è innestata sulla disciplina della concorrenza sleale. Il riferimento è all’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile, in materia di denigrazione commerciale, che considera atto di concorrenza sleale qualsiasi notizia diffusa su prodotti e attività dei concorrenti, idonea a determinarne discredito. Si è così giunti al superamento della distinzione tra fatti veri o falsi considerandoli ugualmente illeciti.36

La norma dell’articolo 2598 stabilisce infatti che, chiunque «usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente;

diffonde notizie o apprezzamenti sui prodotti o sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda», compie atti di concorrenza sleale.

Tra i tre punti sopra menzionati, è il secondo che più attiene alla trattazione della pubblicità sia comparativa che ingannevole, senza però escludere che illeciti possono essere ricondotti anche ai restanti due punti, ma genericamente, l’illecito più comune è proprio quello che riguarda la denigrazione del concorrente.

Va, comunque ricordato che la norma non è stata formulata appositamente per disciplinare il fenomeno pubblicitario, definendone i confini di liceità. La pubblicità vi rientra in quanto tipicamente la denigrazione, e in misura minore anche l’appropriazione di pregi, si attua mediante il mezzo pubblicitario.

Sulla scorta di queste considerazioni, i primi orientamenti si sono caratterizzati per una certa avversione nei confronti dell’utilizzo della comparazione, ed in particolare, della comparazione diretta; anche se non bisogna dimenticare che si sono verificate ipotesi di esenzione dal concetto di illecito sopra descritto. In particolare, le esenzioni sono state ricondotte a tre differenti ipotesi: la necessità di reagire all’altrui ingiustificato attacco;

35 Meli, La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm., 1999.

36 Ulmer, La repressione della concorrenza sleale negli Stati Membri della CEE ,Giuffrè MILANO.

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la necessità di descrizione tecnica dei propri prodotti; la necessità di dissipare equivoci sorti fra il pubblico, ovvero di rispondere a domande di consumatori e clienti circa i propri prodotti e la propria attività.

E’ chiaro quindi, come, alle origini di un comportamento che tendeva a considerare la comparazione pubblicitaria come atto illecito, c’ erano molte motivazioni, tra le quali, possiamo ricordare quelle principali, per cui «la comparazione lederebbe la libertà decisionale del pubblico; il divieto di diffondere notizie e affermazioni screditanti per il concorrente (concetto concorrenza sleale, sopra descritto); nonché sul rilievo dell’indebito utilizzo del nome, marchio e ditta altrui».

La conseguenza di questa forma mentis ha portato a considerare, per diversi decenni, lecita solo quella comparazione che tendeva ad esaltare i pregi del proprio prodotto attraverso due differenti forme: o mediante formule quali il superlativo relativo o attraverso il confronto con i prodotti concorrenti identificati solo nel genere, in modo che non fosse riconducibile in alcun modo a un dato marchio o imprenditore.

Tuttavia, è innegabile che, “in linea generale, se effettuato in termini e condizioni leali e con le giuste modalità”, lo strumento di comparazione diventa un vero e proprio alleato in termini di completezza d’informazioni a favore dei consumatori ed utenti e, soprattutto, consente una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, della qualità delle loro prestazioni e del loro costo.37

In tal senso, la pubblicità comparativa offre un beneficio per tutti coloro che intendono usufruire dei servizi offerti al pubblico, dal momento che proprio la possibilità di disporre di un numero maggiore di informazioni consente di agevolare il processo decisionale; ma tale forma di comunicazione avvantaggia anche gli operatori economici che, usufruendo dello strumento comparativo, hanno la possibilità di includere nell’offerta al pubblico ulteriori dati relativi ai propri prodotti e servizi, creando le condizioni per ampliare il numero dei propri utenti o acquirenti.

Inoltre, non è certo trascurabile il fatto che la comparazione incrementa la trasparenza del mercato, ponendo un’efficace strumento per i consumatori; è per questo che si tende sempre più ad accostare la comparazione al benessere degli stessi consumatori.

I risultati di vari studi, in particolare per merito di studiosi di Marketing, hanno portato alla costituzione di un vero e proprio elenco dove si mostrano i vantaggi che la pubblicità comparativa offre:

37 In Chicchi, La pubblicità comparativa. Un nuovo strumento di informazione dal sito www.ambientediritto.it.

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- fornisce maggiore informazione;

- consente di contendere posizioni di mercato alle imprese affermate;

- riduce la confusione fra prodotti;

- attira più efficacemente l’attenzione dei consumatori;

- induce ad un miglioramento della qualità dei prodotti;

- riduce le barriere all’accesso;

- induce nei consumatori maggiore fiducia nella pubblicità;

- incrementa la concorrenza;

- consente di fare gli acquisti sulla base di confronti;

- gode di un fattore novità rispetto alla pubblicità tradizionale;

- stimola la differenziazione dei prodotti.38

Naturalmente, come è ovvio, congiuntamente ad una lista di vantaggi, la pubblicità comparativa offre sia per i consumatori che per i concorrenti; esistono dei rischi e possibili svantaggi che discendono tutti dalla natura tipicamente aggressiva di questa forma di comunicazione.39

In particolare, possiamo sostenere che i timori si fondano su una delle peculiarità della comparazione, cioè quella di costruire un attacco direttamente indirizzato all’impresa concorrente, esponendo, così le imprese aggredite a indubbi rischi.

Il problema è trascurabile se il confronto è sostenibile da parte dell’impresa attaccata, dal momento che la reazione si esplicherà attraverso la diffusione di altra pubblicità comparativa che in qualche modo cerchi di riequilibrare la situazione; ma il problema diventa rilevante se il confronto è senza speranze per l’impresa attaccata, dal momento che la maggiore qualità del concorrente è innegabile; all’impresa non resta che investire in altre forme di pubblicità, andando così a sostenere costi sempre maggiori senza peraltro alcuna garanzia di risultato.

Inoltre, come se non bastasse, un efficace attacco diretto può produrre danni immediati al concorrente, così che qualunque sua reazione può risultare tardiva e inefficiente; ad aggravare la situazione è che spesso, in questa guerra a colpi di confronti, si può

38 In Meli, La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm., 1999, pag. 272/I.

39 Concordano sulla natura aggressiva della pubblicità comparativa: Meli, opera citata, pag.271/I ; Baietti La pubblicità comparativa, Milano, 1999 ; Auteri, La Pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contatto e Impresa, 1998.

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verificare che la comparazione si svolga in modo non leale, portando immediati danni al concorrente e confidando nella lentezza dei meccanismi sanzionatori.

Consideriamo poi, tra i problemi che una campagna pubblicitaria basata sul confronto può causare, quello che riguarda lo stravolgimento che spesso l’irruzione della comparazione porta alle imprese in termini di strategie pubblicitarie. Perciò, senza voler essere ripetitivi, possiamo concludere dicendo che questa forma di comunicazione, mette le imprese di fronte al rischio di dover fronteggiare attacchi imprevisti e spesso reagire e reimpostare una campagna pubblicitaria, con i costi che ne derivano.40

Sostanzialmente, i rischi sono maggiori per coloro che operano nel mercato, le imprese, ma, volendo individuare possibili pericoli che i fruitori di tali messaggi possono correre, possiamo citare l’incremento dell’aggressività pubblicitaria, per effetto della comparativa, finisca con il confondere il consumatore e screditare tutta la pubblicità.

Sicuramente i rischi sono notevoli, ed è questo, forse, il motivo per cui molto spesso si guarda, e soprattutto si è guardato, alla comparazione pubblicitaria con un cero scetticismo. La ragione di questo diffuso scetticismo è da attribuirsi principalmente al ceto imprenditoriale. Diverse sono le motivazioni dell’avversione degli imprenditori per questo tipo di pubblicità, che pure non manifestano analoga avversione verso altre forme di concorrenza. Proprio tale riluttanza verso la pubblicità comparativa ha fatto sì che si sviluppassero le prime norme di dettaglio in tema, frutto, in primis, della volontà degli operatori pubblicitari di autoregolamentarsi in modo da creare ulteriori sbarramenti contro il paragone di prodotti e servizi individuati.

L’ostilità maggiore tra gli imprenditori rimane quella dei cosidetti incumbents ovvero quelle imprese già consolidate che devono inquietarsi da quelle imprese, new entrants, in cerca di quote di mercato che fanno largamente uso della pubblicità comparativa a scapito proprio degli incumbents.

Il motivo portante di tanta avversione dipende sicuramente dagli effetti sconosciuti e imprevedibili della pubblicità comparativa e, alla cui analisi, è stata dedicata tradizionalmente un’attenzione limitata dalla stessa scienza economica, che pur si è occupata di pubblicità, ma in termini di benefici per i consumatori.

40 In merito si è espresso Meli, in La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina,in Giur.

Comm., 1999.

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2. 3. Nuova disciplina alla luce della Direttiva Comunitaria:

Il Decreto legislativo 67/2000

L’insieme delle ragioni viste nei capitoli precedenti testimoniano la necessita di adottare una direttiva ad hoc per la pubblicità comparativa. Così il 6 Ottobre 1997 il Parlamento Europeo e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 97/55/CE che modifica la direttiva 84/450/CE inserendovi le disposizioni relative alla pubblicità comparativa.

Il percorso che porta all’assegnazione della disciplina della comparazione pubblicitaria, come è noto, è stato assai travagliato ed ha dovuto superare non pochi ostacoli.

Sicuramente, alla base dell’adozione della suddetta direttiva c’è la necessità di fissare le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa con l’obiettivo di mettere in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili così che sia anche stimolata la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori. E’ inoltre necessario evitare che la pubblicità comparativa sia utilizzata in modo sleale e negativo per la concorrenza, permettendo soltanto i confronti tra beni e servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi in modo da uniformare in materia di comparazione pubblicitaria tutti gli Stati membri per realizzare un mercato unico. E’

questa una necessità, se non la necessità, prioritaria, dal momento che in un mercato sempre più concorrenziale, dove la pubblicità ha un ruolo fondamentale nella lotta di concorrenza, le varie imprese dei vari paesi devono lottare ad armi pari ed essere soggette alle stesse regole e soprattutto agli stessi limiti41. Ed è proprio nell’ interesse dei consumatori che si pongono le condizioni a questa forma di comunicazione per far sì che la pubblicità comparativa possa avere effetti positivi in termini di maggiore informazione stimolando la concorrenza.

La direttiva in tal senso, per la tutela dei consumatori e dei concorrenti prevede tre forme di tutela: la prima, riserva all’autorità giudiziaria l’applicazione della disciplina attribuendo ai soggetti interessati la legittimazione ad agire; la seconda, riserva

41 In merito alla necessità di formare un mercato unico si sono espressi vari autori,tra i quali Valcada in La pubblicità comparativa: dalla varietà dei sistemi nazionali a una disciplina comunitaria, in Diritto della Comunicazione e degli Scambi Internazionali, 1997- Mangione, Osservazioni sulla pubblicità comparativa alla luce della direttiva 97/55/CE, in Diritto Commerciale Internazionale, 1998- Auteri, La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e Impresa / Europa, 1988- Meli, La pubblicità comparativa fra vecchia e nuova disciplina.- Paciullo, La pubblicità comparativa nell’ordinamento italiano, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 2000.

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all’autorità giudiziaria l’applicazione della stessa disciplina ma la legittimazione ad agire è riservata ad un’ autorità amministrativa ed infine, riserva ad un autorità amministrativa sotto il controllo giurisdizionale il compito di valutare la pubblicità illecita.42

La direttiva del 1997, è composta da ben 21 considerando e tre articoli, nei quali disegna l’intera materia della pubblicità comparativa. Per quanto riguarda il nostro paese la direttiva trova applicazione con il decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio del 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo del 2000. Il presente decreto è composto di sei articoli ed il primo è dedicato alla menzione della modifica del precedente decreto di attuazione, d. lgs. n. 74/92, della direttiva del 1984, in particolare nella parte del titolo: «Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa». Tra le modifiche che suscitano maggiore interesse c’è sicuramente quella relativa all’articolo 4 del decreto che aggiunge all’articolo 3 della direttiva il 3- bis, in merito alle condizioni imprescindibili a cui la forma del messaggio pubblicitario deve sottostare.

2. 4. Le Condizioni di liceità

La direttiva 97/55/CE, ai sensi dell’articolo 1 comma 4, prevede un insieme di condizioni necessarie che la pubblicità comparativa deve soddisfare affinché possa essere considerata lecita.

Lo stesso decreto legislativo 67/2000, conformandosi alla direttiva comunitaria, stila nell’articolo 3-bis l’ elenco delle condizioni di liceità della comparazione pubblicitaria.

Oggi, con l’approvazione del nuovo Codice del Consumo, le condizioni di liceità sono contenute nell’articolo 22.

In particolare, la pubblicità comparativa può essere considerata lecita qualora essa:

42 Auteri, La Pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento in Contatto e Impresa, 1998.

Inoltre per un approfondimento in materia di tutela contro atti di comparazione illecita, è dedicato un intero paragrafo , il 2.4, all’argomento.

(24)

a) non sia ingannevole, ai sensi della direttiva 84/450/CE ;

b) che confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

c) che confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;

d) che non ingeneri confusione sul mercato tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni, i beni o servizi dell’operatore e quelli di un concorrente;

e) che non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

f) che, per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;

g) che non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

h) che non rappresenti un bene o servizio come imitazioni o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale.

Inoltre è necessario segnalare che, nel comma 2 dello stesso articolo 1 della direttiva, si aggiunge che «qualunque raffronto che faccia riferimento ad un offerta speciale deve indicare in modo chiaro e non equivoco il termine finale dell’offerta oppure, nel caso in cui l’offerta speciale non sia ancora cominciata, la data d’inizio del periodo nel corso del quale si applicano il prezzo speciale o altre condizioni particolari o , se del caso, che l’offerta speciale dipende dalla disponibilità dei beni e servizi».

La prima delle condizioni sopra elencate, è quella per cui, la pubblicità non deve essere ingannevole ai sensi della direttiva 84/450/CE.

Questa condizione non apporta sostanziali novità dal momento che il requisito oggetto della prima condizione è già ampliamente disciplinato proprio dall’originaria direttiva del 1984, a cui, per altro, nel punto “a” si fa riferimento.

Il solo dubbio interpretativo che si solleva riguarda la differente tutela che si delinea in merito alla comparazione e alla non ingannevolezza.

(25)

Infatti, se la direttiva del 97/55/CE sulla pubblicità comparativa non prevede margini di libertà per gli Stati membri circa la fissazione di differenti criteri da quelli previsti, la direttiva del 1984 n. 450 sulla pubblicità ingannevole, prevede, invece, che gli Stati membri possano adottare misure più severe al fine di garantire maggiore tutela per il consumatore e per l’imprenditore.

Questo potrebbe così portare ad una imperfetta armonizzazione tra le normative in materia di pubblicità comparativa nel caso in cui in un ordinamento si sia fatto uso della libertà prevista per la pubblicità ingannevole.43

Il rischio che si corre è quello di compromettere l’obiettivo della direttiva stessa44, ovvero, quello di uniformare tutti gli Stati membri in materia di pubblicità comparativa45, dal momento che lo stesso articolo 3-bis sembra confermare il margine di libertà per gli Stati di adottare criteri più restrittivi tanto per la pubblicità ingannevole che per quella comparativa, consentendo così di limitare lo spazio per quest’ultima.

In definitiva, possiamo affermare che i criteri di valutazione della ingannevolezza non riguardanti le caratteristiche dei prodotti, ma il confronto tra concorrenti, non possono essere modificati ed essere resi più severi dagli Stati membri.

Il secondo degli otto punti sopra citati riguarda, invece, il limite che si pone al confronto ammesso solo se fra beni o servizi omogenei.

In particolare, il messaggio pubblicitario deve confrontare solo quei beni che

«soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi».

Lo scopo è, quindi, quello di ammettere la comparazione che consenta ai consumatori la possibilità di scelta fra prodotti dello stesso genere o succedanei.

E’, certamente, da escludersi il riferimento a imprese, attività correlate ad altre imprese e naturalmente il confronto che verta su prodotti non omogenei.

Questa condizione è giustificata dal nono considerando della direttiva, il quale vieta di utilizzare la pubblicità comparativa «[..] in modo sleale e negativo per la concorrenza».

43 E’ importante rilevare che non è possibile in alcun modo modificare la tutela della comparazione, principio, tra l’altro confermato dallo stesso articolo 1 comma 9 e ancor più al 13° considerando, dove si afferma che « considerando che l’articolo 7 della direttiva 84/450/CE, il quale permette agli Stati membri di mantenere in vigore o di adottare disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consumatori, delle persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in generale, non può applicarsi alla pubblicità comparativa, poiché l’obiettivo dell’emendamento della presente direttiva (97/55) è di fissare le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa».

44 Meli, La Pubblicità Comparativa tra vecchia e nuova disciplina,in Giur. Comm., 1999.

45 In merito Auteri, La Pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento in Contatto e Impresa, 1998, pag. 608.

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Il testo dell’articolo 3-bis stabilisce, alla lettera “c” , che la pubblicità comparativa deve confrontare «obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo di tali beni e servizi», confermando il principio secondo il quale la liceità della comparazione è subordinata ad una esposizione neutrale di tutti gli elementi, positivi e negativi, dei prodotti.46

Il primo requisito è quello dell’obiettività, inteso non tanto nel senso letterale del termine che rimanderebbe ai concetti di oggettività e imparzialità, dal momento che una pubblicità per sua natura non può mai essere totalmente imparziale47; qui il concetto và inteso, nel senso che i dati devono essere veri senza escludere con ciò la possibilità di apprezzamenti che siano adeguatamente sorretti dalle – e proporzionati alle – caratteristiche dei prodotti.

Sicuramente più importante è sottolineare lo snodo centrale della condizione, di cui alla lettera “c”, ovvero quello che riguarda la possibilità di limitare il confronto ad una o più caratteristiche che siano rilevanti, e quindi «essenziali e pertinenti», nonché significative, e perciò «rappresentative e verificabili».

Il punto si conclude individuando a titolo esemplificativo, fra le caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative il prezzo dei beni o servizi.

La spiegazione della quarta condizione è assai limitata dal momento che è di per sé chiara l’intenzione della prescrizione, ovvero il divieto di condurre un confronto che possa indurre in confusione i fruitori del messaggio pubblicitario. 48

E’ chiaro e palese, come questo punto, a differenza dei precedenti, è più adatto a disciplinare i rapporti tra concorrenti che non direttamente i consumatori.

Questa quarta condizione è perciò più vicina al concetto di concorrenza sleale, di cui all’articolo 2598 del Codice Civile, che al comma 1 prescrive che compie atti di concorrenza sleale chiunque «[…] usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente».

46 In Meli, La pubblicità comparative fra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm. 1999; afferma che alla base di questa condizione c’è “l’incompatibilità fra informazione e suggestione, dal momento che un messaggio se estremamente persuasivo potrebbe portare a distorcere l’attenzione dei consumatori, che non sarebbero indotti a valutare in base alle caratteristiche dei prodotti pubblicizzati, ma in base all’efficacia persuasiva dello stesso messaggio”.

47 Vedi Fusi, Sul problema della pubblicità comparativa, in Rivista di Diritto Industriale, 1980.

48 L’Autorità ha manifestato in tal senso come la pubblicità confusoria sia una forma di pubblicità ingannevole.

(27)

La condizione “e”, come la precedente, è strettamente legata al concetto di concorrenza sleale, dal momento che riguarda il divieto di causare discredito o denigrazione del concorrente, di cui proprio l’articolo 2598, nella prima parte del punto secondo, si esprime nel senso di considerare sleale quella concorrenza che, «diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito».

Questo non significa certo che, la pubblicità non possa mettere in evidenza gli aspetti negativi del prodotto concorrente, ma semplicemente, che sono esclusi apprezzamenti negativi non giustificati dalle caratteristiche del prodotto concorrente.49

La condizione, in altre parole, mira ad impedire, la diffusione di notizie denigratorie, nonché ad evitare una comparazione che abbia lo scopo di accrescere i propri prodotti, svalutando quelli dei concorrenti.50

La condizione indicata dalla lettera “f” , sottrae da qualsiasi possibilità di comparazione i prodotti recanti denominazioni d’origine; in altre parole, è proibito il confronto pubblicitario fra prodotti con denominazione d’origine ed è altresì considerato illecito il confronto fra beni caratterizzati entrambi da denominazione d’origine, quando questa non sia la medesima, pur se appartenenti al medesimo genere merceologico.

Secondo una buona parte della dottrina51, questa condizione è del tutto ingiustificata, ed in particolare è il risultato, in sede di redazione della direttiva, di interessi corporativi, dal momento che rappresenta solo un ulteriore limite alla concorrenza senza alcuna utilità per il mercato e per i consumatori, ma mira a creare nicchie protette da attacchi esterni.52

Strettamente legata alla tutela dei concorrenti è poi la condizione posta dalla direttiva al punto “g”, dove viene stabilito che la pubblicità comparativa non deve trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa ai segni distintivi dei concorrenti.

Questa tipologia di casistica, dove un impresa meno nota per pubblicizzare il proprio prodotto sfrutta il confronto con i prodotti dello stesso genere di un impresa già leader nel settore, viene definita come “pubblicità per agganciamento”53.

49Auteri, La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e Impresa in Europa, 1998, pag. 610.

50 Meli, La pubblicità comparative fra vecchia e nuova disciplina, in Giur. Comm. 1999, pag. 288/I.

51In merito si sono espressi Meli, Auteri,Fusi-Testa-Cottafavi.

52In Meli La pubblicità comparative fra vecchia e nuova disciplina in Giur. Comm. 1999.

53 La definizione della pubblicità per agganciamento già presente nel paragrafo 1.1.

(28)

E’ però importante sottolineare che, la condizione posta dalla direttiva non intende certo escludere la comparazione ogni volta che questa procuri vantaggio all’autore del messaggio stesso perché ciò significherebbe vietare sempre la comparazione di tipo diretto, ma l’intento è quello di vietare una comparazione che non sia giustificata dalla necessità di far conoscere le caratteristiche del proprio prodotto o che avvenga con modalità che trascendono eventuali giustificazioni.54

L’ultimo criterio, a cui una pubblicità comparativa per essere lecita deve sottostare, è quello del divieto di rappresentare prodotti come imitazione o contraffazione di prodotti concorrenti, vietando perciò nel messaggio quei termini che alludono ad un richiamo ad un prodotto fungibile, come “tipo”, “modello”, “ad imitazione”, “come”, e simili.

A ben vedere, tutti i requisiti richiesti dalla direttiva per l’ammissibilità della pubblicità comparativa possono essere ricondotti a due essenziali condizioni della comparazione pubblicitaria:

- non deve essere ingannevole;

- non deve risultare «sleale», ossia tale da recare pregiudizio al patrimonio aziendale e di immagine del concorrente.55

Infine, occorre rilevare come le condizioni sopra elencate ed argomentate possono essere ricondotte alla tutela di due categorie di soggetti: consumatori e concorrenti. In particolare, strettamente legate agli interessi dei consumatori sono le condizioni di cui alla lettera “a” ed in parte alla lettera “b” “c” e “d”, per contro, molto più vicini alla tutela dei concorrenti e dei loro rapporti sono i requisiti di cui alle lettere “e, f, g, h” ed in parte “c” e “d”.

In conclusione, possiamo affermare che la portata innovatrice della direttiva, più che manifestarsi nell’introduzione delle singole disposizioni e criteri di liceità, sta nel complesso organico delle stesse, il cui risultato è quello, da un lato, di eliminare ogni residuo dubbio circa la liceità del confronto diretto con il concorrente, dall’altro, quello di riconoscere finalmente anche ai consumatori un’esigenza collettiva di informazione come dato imprescindibile nella valutazione di qualunque aspetto inerente alla pubblicità comparativa.56

54Auteri, La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE. Un primo commento, in Contratto e Impresa in Europa, 1998, pag. 611.

55 In tal senso Mangione, Osservazioni sulla pubblicità comparativa alla luce della direttiva 97/55/CE, in Diritto Commerciale Internazionale, 1998.

56 Questa l’idea di fondo che emerge da Fusi – Testa – Cottafavi, Le nuove regole per la pubblicità comparativa, Milano, 2000.

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