Il nostro paese è caratterizzato, nella regolamentazione della pubblicità comparativa, da una molteplicità di discipline a tutela di interessi solo apparentemente coincidenti, regolati da norme procedurali differenti in base ai soggetti legittimati, alla tempistica dei procedimenti, nonché ai possibili rimedi.
In particolare, nel nostro ordinamento coesistono la disciplina civilistica, il sistema autodisciplinare ed infine l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, affiancate, per altro, da un insieme di normative volte a regolare il fenomeno pubblicitario.
Di seguito, le tre differenti discipline.
3. 1. Il Giudice Ordinario
Nel nostro ordinamento, la disciplina civilistica, in merito al fenomeno oggetto di questo studio, è atta a tutelare quelle ipotesi riconducibili al mendacio pubblicitario.
In particolare, come precedentemente descritto, la comparazione pubblicitaria si inserisce spesso nell’istituto della concorrenza sleale, articolo 2598 del Codice Civile, in particolare nell’ipotesi di ingiustificata denigrazione.81
In questi casi, è possibile attuare un procedimento di tutela davanti al Giudice Ordinario, il quale, nonostante l’attuazione del decreto legislativo 74/92, come modificato dal d. lgs. 206/05 recante il Codice del Consumo, che aggiunge ai poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quello relativo al controllo dell’illecito nella pubblicità, non perde nessuna delle sue responsabilità e delle sue funzioni.
Proprio a conferma di ciò, il Codice del Consumo, all’ articolo 26, comma 14, prevede che «è comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario, in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598 del codice civile».82
81 Vedi paragrafo 2.2 della presente.
82 In Anonimo, Appunti di Diritto Antitrust e di Disciplina della Concorrenza Sleale CAP. 7.
Naturalmente, se prima dell’istituzione dell’Autorità Garante, questo era compito esclusivo della disciplina civilistica, oggi, l’impresa che si sente lesa ha due possibilità di azione:
- davanti all’Autorità Garante, per la violazione della disciplina in materia di pubblicità ingannevole e comparativa;
- davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria, nei casi in cui l’ingannevolezza del messaggio riguardi la denigrazione del concorrente o l’appropriazione dei pregi di quest’ultimo (ai sensi dell’art. 2598, n. 2, Codice Civile) o non sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi idoneo a danneggiare l’altrui azienda (ai sensi dell’art. 2598, n. 3, Codice Civile).
3. 2. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Prima che la pubblicità comparativa fosse legittimamente sottoposta al controllo della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è passato qualche anno, nei quali si è palesata la necessità di affidare all’Autorità il controllo della pratica comparativa, affiancandola a quella ingannevole.
Così, con il decreto legislativo del 1992, n. 74, si prevede che il fenomeno pubblicitario possa essere tutelato anche dall’Autorità, affiancandosi al Giudice ordinario e all’Istituto dell’Autodisciplina. 83
Il Codice del Consumo, all’articolo 26, comma 9, prevede che il procedimento in materia di pubblicità comparativa illecita, oltreché ingannevole, venga disciplinato «con regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, primo comma, della legge 23 agosto 1988, n.
400».
La prima norma in materia è il D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 627, recante le prescrizioni sulle procedure istruttorie dell’Autorità in materia di pubblicità ingannevole.
Come è chiaro, le disposizioni di cui sopra, si riferiscono alla fattispecie della pubblicità ingannevole, anche se ciò non toglie che nel primo periodo di vigenza del nuovo decreto
83 E’ il quadro dei tre istituti atti a tutelare gli illeciti nella fattispecie della pubblicità.
legislativo n. 67 del 2000 si fosse dovuto includere nel regolamento anche le pratiche relative agli illeciti effettuati attraverso la comparazione pubblicitaria.84
A conferma di ciò, nella penultima versione del testo di legge, in materia di pubblicità comparativa, si faceva esplicito riferimento alla necessità di provvedere, entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore, ad integrare il D.P.R. 627/96 con nuove norme concernenti le procedure istruttorie in materia di comparazione pubblicitaria.
Così, il D.P.R. del 11 luglio 2003, n. 284, abrogando quello del 1996, include al fianco della pubblicità ingannevole, anche quella comparativa, anch’essa ora legittimamente sottoposta alle norme sulle procedure istruttorie di fronte all’Autorità.
Nel momento in cui ci si trova di fronte ad un caso di pubblicità comparativa85 illecita, l’Autorità non può intervenire d’ufficio. Occorre, infatti, una segnalazione esterna, per avviare una pratica istruttoria.
L’iniziativa può essere assunta da parte di concorrenti che ritengono essere stati lesi, da consumatori o loro associazioni, nonché dal Ministro delle Attività Produttive e da ogni altra Pubblica Amministrazione.
Forma e contenuto minimo della richiesta di intervento dell’Autorità sono stabilite dall’articolo 2 del D.P.R. 284/2003. Secondo l’articolo 2, del decreto, affinché la richiesta di intervento possa esplicare i suoi effetti, vale a dire, possa determinare l’avvio del procedimento, essa deve avere forma scritta e deve contenere una serie di indicazioni che, possono essere ricondotte, a quattro obiettivi principali:
- l’identificazione del richiedente;86
- l’individuazione del messaggio pubblicitario oggetto della richiesta;
- l’indicazione dei possibili profili di illiceità della pubblicità comparativa;
- gli elementi volti a comprovare la sussistenza della legittimazione attiva in capo al richiedente.
Così, l’Autorità, dopo aver verificato la presenza dei requisiti sopra elencati, può decidere: di archiviare la richiesta per incompletezza della denuncia o per insussistenza
84 In Fusi – Testa – Cottafavi, Le nuove regole per la pubblicità comparativa, Milano, 2000.
85 Il procedimento dell’Autorità, è valido anche per la pubblicità ingannevole, anche se non se ne fà espressamente menzione, per non distorcere dall’oggetto di questo studio.
86 L’identificazione del richiedente deve contenere: «nome, cognome, denominazione o ragione sociale, residenza, domicilio o sede del richiedente», come previsto al comma 1 punto a dell’articolo 2, del DPR 284/2003.
dell’illecito, dandone pronta comunicazione al denunciante, oppure, nel caso contrario, prevede l’avvio del procedimento.
In quest’ultimo caso, la direzione competente, provvede innanzitutto a comunicare l’effettivo inizio del procedimento, sia a chi ha presentato la denuncia, nonché al diffusore del messaggio pubblicitario “incriminato”, assegnando un termine di 15 giorni, entro il quale è possibile presentare eventuali memorie da parte dei soggetti interessati.
Naturalmente, per valutare l’effettiva presenza di illecito, l’Autorità deve esaminare il testo del messaggio in questione, che, in alcuni casi,87 è acquisito chiedendo una copia dello stesso all’operatore pubblicitario.88
E’ inoltre consentito all’Autorità, di ricorrere ad ispezioni presso la sede dei soggetti indicati.
In ogni modo, nei casi in cui l’Autorità disponga perizie o consulenze, la disciplina prevede che alle parti sia data notizia non solo dei risultati di tali analisi, ma anche dell’atto col quale le stesse sono disposte. All’operatore pubblicitario può anche essere fatta richiesta di fornire la prova della veridicità delle dichiarazioni contenute nella pubblicità, si parla in questi casi di attribuzione dell’onere della prova. Addirittura è previsto che il silenzio o l’invio di insufficienti prove, possa far presumere l’inesattezza delle affermazioni contenute nel messaggio.89
Il potere dell’Autorità di chiedere la prova della verità dei messaggi denunciati è unicamente legato all’«esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità» e non anche alla correttezza di giudizi ed apprezzamenti, alla capacità decettiva del messaggio, all’effettivo verificarsi o meno di fraintendimenti o di errori da parte del pubblico, valutazioni queste, tutte rimesse all’Autorità; inoltre, tale richiesta potrà essere rivolta all’operatore pubblicitario se, come all’articolo 26, comma 4, del Codice del Consumo, «tenuto conto dei diritti o interessi legittimi dell'operatore pubblicitario e di qualsiasi altra parte nella procedura, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico».
87 Non è sempre necessario acquisire copia del messaggio pubblicitario, chiedendola all’operatore, ci sono casi in cui la denuncia è talmente completa che l’Autorità può procedere all’analisi del messaggio.
88 Nel caso in cui l’operatore, su richiesta dell’Autorità, non fornisca copia del messaggio è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro.
89 Gli articoli di riferimento per audizioni, perizie ed onere della prova, sono il 7, 8, e 10, del DPR del 2003.
L’istruttoria ha una durata massima di 75 giorni, anche se, nel caso in cui si richiedano perizie, analisi e consulenze di esperti o comunque in quei casi in cui sia stata disposta l’attribuzione dell’onere della prova, il termine della fase istruttoria è prorogato di altri novanta giorni. In conclusione, alla luce di quanto appena affermato, l’Autorità, dal momento in cui riceve una regolare e completa denuncia, emanerà una decisione circa l’ingannevolezza o illecita comparazione del messaggio pubblicitario in questione entro un termine massimo di 165 giorni90.
La decisione dell’Autorità scaturisce, quindi, dall’esame di tutti gli elementi sopra descritti e, nel caso in cui ritiene che la pubblicità esaminata non sia conforme alle condizioni previste dalla legge 91, ordina che ne sia impedita o interrotta la diffusione.92 Se il messaggio è stato diffuso o deve essere diffuso attraverso la stampa o un altro mezzo di comunicazione, l’Autorità garante deve chiedere il parere, obbligatorio ma non vincolante, all’autorità per le garanzie nella comunicazione.93
Nel caso l’operatore pubblicitario non ottemperi ai provvedimenti dell’Autorità, è prevista una sanzione penale amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
Il provvedimento che, dichiari illecita la comparazione o ingannevole la pubblicità, sarà poi pubblicato, sul bollettino settimanale della stessa Autorità.
E’ normale che non tutti i cittadini, quotidianamente leggeranno il bollettino, e non saranno quindi al corrente della illiceità dei messaggi pubblicitari, per questo, l’Autorità può disporre che l’operatore che ha violato la legge con i suoi messaggi pubblicitari deve, a sue spese, diffondere su un emittente televisiva o su un quotidiano un estratto del provvedimento ove si segnalino i profili di illiceità della pubblicità.
Naturalmente, nel caso in cui l’operatore pubblicitario non rimanga soddisfatto della decisione dell’Autorità può, entro 60 giorni, presentare ricorso presso il Tribunale
90 E’ chiaro quindi che il termine massimo di 165 giorni per la pronuncia dell’Autorità, scaturisce dalla somma dei 75 giorni regolarmente previsti a cui si aggiungono i 90 giorni di proroga se sussistono le condizioni sopra elencate.
91 E’ quindi Ingannevole o Comparativa Illecita.
92 E’ inoltre prevista, nei casi in cui l’Autorità accerti l’ingannevolezza del messaggio esaminato, una sanzione amministrativa da 1.000 a 100.000 euro, in base alla gravità della violazione. Inoltre, nei casi di pubblicità ingannevole su prodotti pericolosi e per bambini ed adolescenti (articoli 24-25 codice del consumo) la sanzione è non inferiore a 25.000 euro. - In AGCM, Come funziona l’Autorità – Come si svolge un procedimento di pubblicità ingannevole e/o comparativa.
93 In Cendon La Concorrenza – concorrenza sleale, sanzioni, pubblicità ingannevole e comparativa, proprietà intellettuale internet, diritto comunitario, aiuti di stato, controlli giudiziari, UTET Torino 2005, pag. 622.
Amministrativo Regionale del Lazio ed, inoltre, il giudizio di secondo grado può essere presentato al Consiglio di Stato.94
Infine, preme precisare che qualsiasi tipo di intervento effettuato da parte dell’Autorità è rivolto non al singolo denunciante, bensì all’intera collettività, per questo, il singolo denunciante per ottenere il risarcimento dei danni subiti deve rivolgersi al Giudice Ordinario.95
3. 3. Il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria
Gli organi fino ad ora menzionati rappresentano la disciplina statale atta a regolamentare il fenomeno della pubblicità comparativa. Tale disciplina, però, non esaurisce la realtà dei fenomeni che in qualche modo possono ricollegarsi alla pubblicità ed in particolare alla pratica comparativa.
E’ infatti presente, oltre a questi istituti, un altro che non ha né fonte legislativa né è frutto dell’elaborazione dottrinale o giurisprudenziale, ma deriva dalle singole categorie del settore pubblicitario, quale espressione dell’autonomia privata, il cui proposito è proprio quello di regolare la pubblicità. Il frutto di tale volontà si è concretizzato nella costituzione dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, il quale, attraverso un insieme di regole, contenute nel Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, si pone come una manifestazione complementare e alternativa a quella Statale.
In altre parole, l’istituto che si viene a creare, può essere definito, un complesso fenomeno di stampo giuridico, in virtù del quale, «un certo numero di soggetti appartenenti ad una categoria o a più categorie professionali abitualmente in rapporti operativi fra loro, convengono di dare vita ad un’organizzazione; e in questo contesto, formulano e impongono a se stessi norme di comportamento cui si atterranno nella loro attività professionale, e creano gli strumenti di controllo necessari per assicurare l’attuazione delle prime».96
94 In AGCM, Come funziona l’Autorità – Cosa succede dopo una delibera dell’autorità.
95 Naturalmente il risarcimento dei danni è connesso al provvedimento di condanna dell’autorità.
96 Borrelli, Autodisciplina Pubblicitaria e leggi nazionali in Rivista di Diritto Industriale, I, 1981.
L’autodisciplina comincia a manifestarsi nel 1966, con la nascita del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (C.A.P.)97.
In assenza di una norma dello Stato, che regolasse espressamente la materia, questo strumento ha svolto per lungo tempo la funzione di dettare i principi basilari circa la legittimità della comparazione pubblicitaria.98
Nella sua struttura, Il C.A.P. lo troviamo scisso in due corpi distinti di norme, quelle di comportamento e quelle relative al funzionamento dei due organi istituiti dallo stesso Codice:
- il Giurì è l’organismo giudicante, che si pronuncia, su richiesta di chi ne abbia interesse, e può decidere che le parti desistano dalla pubblicità non conforme alle norme del codice dando notizia al pubblico della decisione;
- il Comitato di Controllo99 con funzioni istruttorie e inquirenti, può chiedere all’operatore pubblicitario di dimostrare la veridicità dei dati contenuti nei messaggi, può inoltre sollecitare modifiche in via preventiva di pubblicità che non appaiono conformi alle norme del codice; può emettere parere sulla conformità della pubblicità non ancora diffusa. 100
L’autodisciplina nella pubblicità, perciò, nasce dall’esigenza di uniformare il comportamento degli operatori pubblicitari, a regole idonee alla salvaguardia della concorrenza, nonchè alla credibilità dell’attività pubblicitaria nei confronti dei consumatori.
Nel nostro paese si assiste ad un sempre più frequente ricorso a strumenti di autodisciplina 101 , ma è l’autoregolamentazione nel settore pubblicitario il modello di riferimento; da un lato, per il suo straordinario sviluppo, dall’altro, per l’insieme delle problematiche giuridiche che il suo instaurarsi ha inevitabilmente posto.102
Abbiamo precedentemente accennato al fatto che la nascita del C.A.P. deve ricollegarsi, in “primis”, all’incompletezza del nostro sistema normativo nazionale in tema di
97 In origine il Codice era denominato CODICE DI LEALTA’ PUBBLICITARIA solo successivamente diventa Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
98 In Guizzardi, Pubblicità Comparativa e autodisciplina pubblicitaria: prospettive dopo la direttiva CEE, in Giurisprudenza Italiana, 1999, pag. 1345.
99 Originariamente denominato Comitato di accertamento della verità.
100Cendon, in La Concorrenza – concorrenza sleale, sanzioni, pubblicità ingannevole e comparativa proprietà intellettuale internet, diritto comunitario, aiuti di stato, controlligiudiziari,UTET Torino 2005, pag. 625.
101 Né sono esempi gli istituti di autodisciplina della proprietà edilizia o ancora dell’ordine dei giornalisti.
102 Guizzardi, in Pubblicità Comparativa e autodisciplina pubblicitaria: prospettive dopo la direttiva CEE, in Giurisprudenza Italiana, 1999.
pubblicità in generale e comparativa in particolare, anche se è giusto dire che, al di là dell’esigenza di colmare questo vuoto legislativo, vi era anche un obiettivo che potrebbe definirsi di “pubbliche relazioni”.103
Il riferimento è fatto all’insieme dei pregiudizi che da sempre rivestono il mezzo pubblicitario in sé, in questo senso, il C.A.P. doveva proporsi come quello strumento atto a rimuovere proprio tali preconcetti. Il codice, perciò, si caratterizza, almeno nei primi anni, per la sua valenza morale ancor prima che giuridica, a conferma di ciò il suo nome originario di Codice di Lealtà Pubblicitaria.
La svolta è rappresentata da una sentenza del Tribunale di Milano, del 22 gennaio del 1976, la quale ha avuto il merito di conferire definitiva dignità giuridica al Codice di Autodisciplina.104
In questo modo il Codice si è guadagnato la qualifica, da parte della dottrina, di ordinamento minore di matrice negoziale che ben può coesistere con l’ordinamento dello Stato.105
A questo punto entriamo più nel vivo della discussione, cercando di analizzare con più precisione la comparazione pubblicitaria nel Codice di Autodisciplina.
Nelle sue varie edizioni, dal 1966, il C.A.P. si è mostrato più aperto nei confronti della comparazione pubblicitaria rispetto all’orientamento di sostanziale chiusura espresso sulla materia dalla giurisprudenza.
Il trattamento della pubblicità comparativa, quale emerge dal C.A.P. è, infatti, solo in parte conforme al testo della direttiva Comunitaria 97/55, che, come è noto, contiene disposizioni sicuramente più caute e restrittive nei confronti dei messaggi comparativi.
In particolare, è l’articolo 15 del Codice di autodisciplina che, fin dalla sua prima formulazione, tratta nello specifico la materia, dichiarando espressamente consentita la pubblicità comparativa indiretta quando sia «utile ad illustrare sotto l’aspetto tecnico ed economico caratteristiche e vantaggi oggettivamente rilevanti e verificabili dei beni e dei servizi reclamizzati».
103 In Fusi – Testa L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983.
104 Guizzardi, Pubblicità Comparativa e autodisciplina pubblicitaria: prospettive dopo la direttiva CEE, in Giurisprudenza Italiana, 1999 pag. 1346.
105 Si sono espressi in merito Borrelli in Autodisciplina Pubblicitaria e leggi nazionali in Rivista di Diritto Industriale, I, 1981. – Fusi - Testa in L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983.
E’ chiaro, quindi, che, sin dalla prima edizione, il Codice aveva espressamente messo al bando la comparazione diretta o nominativa. Ciò che si vietava non era perciò la comparazione “tout court”, ma solo quella che identificasse in maniera non equivoca il concorrente comparato ammettendosi, invece, i riferimenti che consentissero di differenziare il proprio prodotto dagli altri presenti sul mercato.
Naturalmente, anche il legislatore autodisciplinare è stato influenzato dalle molteplici ostilità nei confronti della comparazione, infatti, nell’attuale formulazione, anche la comparazione indiretta soffre di alcune limitazioni.
In ogni modo, la differenza tra le due modalità di effettuare il confronto rimane rilevante, dal momento che la comparazione diretta è da ritenersi sempre e comunque scorretta, mentre quella indiretta è da ritenersi in linea di principio, ammessa.106
Così, la comparazione che identifica nominativamente i prodotti, i segni distintivi dell’azienda o comunque del personale concorrente è da ritenersi diretta e quindi sempre vietata.
Un' unica eccezione, a tale generalizzato divieto, è stata posta dal Giurì per quei casi in cui il mercato è caratterizzato da un regime di duopolio, per cui la comparazione è fortemente assimilabile a quella diretta, dal momento che l’altro duopolista risulta immediatamente individuabile. In tale ipotesi, la comparazione può ritenersi lecita.107 Passando alla comparazione indiretta, abbiamo prima accennato, ad alcune limitazioni che riguardano questa tipologia di messaggio. Infatti, la comparazione deve rispettare alcuni importati e consolidati principi:
- deve trattarsi di comparazione intesa ad illustrare, sotto l’aspetto tecnico ed economico, caratteristiche e vantaggi reali del prodotto pubblicizzato;
- il confronto deve fornire elementi di giudizio al consumatore, che siano adeguati alla realtà;
- deve essere una comparazione entro i limiti della necessità descrittiva evitando qualsiasi elemento di aggressività rispetto al contenuto informativo oggetto della comunicazione.
106 Guizzardi, Pubblicità Comparativa e autodisciplina pubblicitaria: prospettive dopo la direttiva CEE, in Giurisprudenza Italiana, 1999.
107 In Mangione, Osservazioni sulla pubblicità comparativa alla luce della direttiva 97/55/CE, in Diritto Commerciale Internazionale, 1998.
Naturalmente, se non sussistono questi elementi, la comparazione è da ritenersi contraria all’articolo 15 del Codice di autodisciplina pubblicitaria.
Va comunque rilevato che, a seguito dell’entrata in vigore nel 1999 del nuovo testo dell’articolo 15 del Codice di Autodisciplina, la distinzione tra comparazione diretta ed indiretta ha perso gran parte della sua originaria rilevanza, in quanto entrambe le forme di raffronto sono ora consentite, purché siano rispettate le condizioni di liceità, peraltro uguali per l’una e per l’altra modalità.
Se quelli sopra possono essere definiti requisiti basilari, per ritenere, ai sensi dell’articolo 15 del C.A.P., lecita una comparazione pubblicitaria, sono previste altre condizioni , altrettanto importanti, che il Giurì ritiene necessarie per poter ammettere la comparazione:
- Rapporto di concorrenzialità, raffronto fra «beni e servizi concorrenti, che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi» e quindi implica l’esistenza di un rapporto di concorrenzialità fra beni, servizi o attività oggetto del paragone.
- Non ingannevolezza e ampiezza del confronto, il requisito della non ingannevolezza, era già presente nel testo dell’articolo 15, anche prima della modifica apportata nel 1999, possiamo più che altro sottolineare come strettamente legato a questo principio, quello di non trarre in inganno il fruitore del messaggio, è quello dell’ampiezza del confronto. Vale a dire, la minuziosa enunciazione di tutte le caratteristiche dei prodotti comparati, in modo proprio da evitare di cadere nell’area dell’illecito.
- Il confronto deve essere Prestazionale, prima della modifica apportata nel ’99,
- Il confronto deve essere Prestazionale, prima della modifica apportata nel ’99,