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L’EVOLUZIONE SUL PIANO DELL’EFFETTIVITA’ DELL’ABF

Nel documento L'Arbitro Bancario Finanziario (pagine 141-155)

Pare opportuno in chiusura del presente lavoro, dopo aver esaminato analiticamente il funzionamento del sistema ABF, operare un inquadramento generale così da comprenderne lo scopo e le funzioni.

Come più volte chiarito, l’ABF opera in un ambito speciale e strettamente limitato, costituito dalle controversie in materia bancaria e finanziaria, settore questo in continua trasformazione anche in virtù della necessità del nostro Paese di adeguarsi ai principi dettati dall’Unione Europea.

Il ruolo svolto dalle Autorità creditizie, dunque, non è più

di stretta “regolamentazione” del settore, ossia di

individuazione puntuale delle condotte da seguire, ma di

“regolazione” ossia di determinazione delle regole

generali ed astratte a cui le imprese bancarie devono attenersi e di applicazione di tali regole ai casi concreti. Questo sistema è riferibile non solo all’attività di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia ma anche all’attività attinente alla correttezza dei rapporti con la clientela, che si trova in una posizione di debolezza rispetto all’intermediario,

nonché alla disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali. A tale ultimo proposito, mette conto rilevare come i concetti di trasparenza e correttezza siano indeterminati e come tale disciplina abbia ad oggetto un complesso di rapporti tra ciascun intermediario e la sua clientela talmente ampio da rendere impossibile per la Banca d’Italia una diretta vigilanza su questo aspetto dell’attività bancaria. Da qui, dunque, deriva lo scopo dell’ABF, a cui l’Autorità creditizia ha delegato l’attività di vigilanza sugli intermediari nell’ampio settore della trasparenza delle condizioni contrattuali e di correttezza nei rapporti con la clientela.

Orbene, data l’indeterminatezza della disciplina da applicare in tema di trasparenza e correttezza, la prima funzione dell’ABF è quella di specificare, precisare e riempire di contenuto le regole generali stabilite dalla Banca d’Italia, che, dunque, per poter svolgere la propria efficacia precettiva necessitano di applicazione pratica. A tale funzione si aggiunge quella di supplire all’inadeguatezza della giustizia civile a decidere tempestivamente ed in modo uniforme le controversie tra intermediari e clienti, specificando la disciplina in tema di trasparenza e correttezza, e, di conseguenza, di fornire alla clientela un adeguato strumento di tutela alternativo alla

giurisdizione (c.d. terza funzione). Ciò risponde anche all’esigenza di una maggiore equità dei rapporti tra intermediari e clienti (c.d. quarta funzione), che determina una competitività tra gli intermediari in relazione al rispetto della disciplina in materia di trasparenza e correttezza. Tale risultato viene raggiunto sia tramite l’irrogazione della sanzione reputazionale sia attraverso la pubblicazione delle relazioni annuali sull’attività svolta dall’ABF, dalle quali si evince il numero dei procedimenti promossi nei confronti di ciascun intermediario ed il numero dei ricorsi accolti; mediante le relazioni annuali il cliente conosce, dunque, l’affidabilità in termini di trasparenza e correttezza di ciascun intermediario. Da qui

deriva la quinta funzione dell’ABF, consistente nel

limitare la disparità informativa tra clientela ed intermediari.

Risulta, pertanto, evidente che se l’ABF è nato come articolazione della Banca d’Italia, a seguito della revisione del dicembre 2011 si è andata affermando una sua crescente autonomia, non solo strutturale ma anche funzionale: l’ABF è divenuto un organo di supervisione del settore bancario e creditizio, distinto e separato rispetto alla Banca d’Italia e costituirà sempre più un fattore rilevante nel gioco della concorrenza; la clientela, infatti,

sarà sempre più in grado di selezionare gli intermediari più affidabili.

I responsi dell’ABF, perciò, sono destinati ad acquisire un sempre maggior valore di accertamento, anche se non giuridicamente vincolante, delle questioni giuridiche controverse; tale funzione chiaramente dipende dalla generale valutazione che la clientela ha dell’efficacia del responso. È necessario, dunque, sulla base di siffatta affermazione, soffermarci su un concetto proprio della teoria generale del diritto, quello dell’effettività.

Tale concetto, all’interno dell’ordinamento giuridico, può costituire, da un lato, condizione per l’applicazione delle previsioni normative che andranno a formare l’ordinamento stesso e, dall’altro elemento definitorio dell’ordinamento1; il primo caso si verifica quando si stabilisce che, affinché una norma possa essere applicata, è necessario appurare se i presupposti di fatto da essa previsti ricorrono effettivamente nella realtà (funzione intrasistematica del concetto di effettività); si ha, invece, la seconda ipotesi quando, ad esempio, si afferma che il controllo effettivo del territorio è presupposto per l’esistenza di un governo (funzione metasistematica del concetto di effettività).

La nozione di effettività, quindi, fonda le distinzioni tra mero fatto e diritto e tra essere e dover essere.

A parere di autorevole dottrina2, infatti, la tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantita dall’art. 24 Cost., non può operare solo sul piano giuridico formale ma deve incidere anche sulla realtà concreta e fattuale ossia sul piano dell’effettività, che, quindi, assume una valenza metasistematica: l’effettività della tutela giurisdizionale diventa condizione di esistenza della stessa. E nell’ambito della tutela devono essere ricomprese tutte le modalità suscettibili di porre fine alla controversia.

In siffatta prospettiva le decisioni dell’ABF non sono idonee a produrre effetti sul piano giuridico formale ma operano sulla realtà fattuale come un ordinamento

settoriale distinto rispetto al primo3. Conferma di quanto

sinora affermato si ha se si pensa al fatto che quasi tutte le funzioni dell’ABF, ossia quelle di supplire all’inadeguatezza della giustizia civile, di fornire alla clientela un adeguato strumento di tutela alternativo alla giurisdizione, di garantire una maggiore equità tra clientela ed intermediari, di limitare l’asimmetria informativa tra intermediari e clienti, prescindono dalla sfera giuridico formale ed attengono alla realtà materiale.

Si potrà, tuttavia, asserire che l’ABF si è completamente affermato solo quando i precedenti dei suoi organi decisionali, come si è detto privi di efficacia giuridica, saranno seguiti dalla magistratura ordinaria con

conseguenti effetti sul piano giuridico formale4.

Ulteriore conferma, in questo caso legislativa, che l’ABF sta acquistando una propria individualità è data dall’art. 27 – bis, comma 1 – quinquies del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, a norma del quale il Prefetto, se lo ritiene necessario e motivato, su istanza presentata in forma riservata dal cliente e dopo aver invitato la banca in questione a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito, segnala all’ABF specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari; l’ABF si pronuncia nei trenta giorni successivi. La ratio di siffatta previsione normativa è quella di attivare interventi contro l’ingiustificata restrizione creditizia ai danni del sistema imprenditoriale e di promuovere l’accesso al credito, arginando la sempre più diffusa percezione, da parte dell’opinione pubblica, che l’accesso al credito sia

estremamente difficoltoso5. Ebbene, tale opinione

costituisce un rischio reputazionale, che mina la stabilità del sistema creditizio.

Da qui, dunque, discende il necessario intervento dell’ABF, che opera, per l’appunto, sul piano reputazionale, laddove i tradizionali strumenti propri dell’ordinamento giuridico formale non possono intervenire. Infatti, nel vigente ordinamento giuridico non sussistono né il diritto al credito né un obbligo ad erogare il finanziamento. Rispetto, tuttavia, al procedimento avanti all’ABF per così dire ordinario, quello previsto e disciplinato dal citato art. 27–bis, comma 1-quinquies si differenzia sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.

Infatti, l’ambito è circoscritto alla contestazione operata

dal cliente in merito alla mancata o cessata erogazione di un finanziamento o anche alla concessione di un credito ad un soggetto immeritevole. Dal punto di vista soggettivo, invece, la norma potrà applicarsi a questioni che investano il cliente e, dunque, imprese, famiglie e consumatori, da un lato, e, dall’altro, le banche: ne sono, quindi, esclusi gli altri intermediari.

Le differenze, peraltro, rispetto al procedimento “ordinario” davanti all’ABF sono notevoli. Innanzitutto, il cliente non può rivolgersi direttamente all’ABF, ma è costretto a presentare la propria istanza al Prefetto; questa previsione ha ragion d’essere se solo si pensi che la materia dell’erogazione del credito desta allarme per il

rischio di gravi fattispecie criminose quali il delitto di usura. L’istanza, poi, è presentata in forma riservata; trattasi, infatti, di informazioni sensibili, soprattutto se l’interessato è un imprenditore soggetto alle procedure concorsuali: notizie sulle sue difficoltà ad accedere al credito potrebbero portare alla dichiarazione di fallimento. Ricevuta l’istanza, il Prefetto invita la Banca interessata a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito; questa fase, che potrebbe chiudersi dato che nulla vieta alla banca di concedere il finanziamento precedentemente negato, assomiglia alla fase preliminare di reclamo interno all’intermediario, propria del procedimento vero e proprio avanti all’ABF. Una volta ricevuta la risposta dalla banca in merito alla meritevolezza del credito, il Prefetto deve valutare se sia necessario e motivato segnalare la questione all’ABF: la segnalazione, dunque, deve essere motivata e necessaria ed è tale quando la valutazione operata dall’istituto di credito non è conforme agli standards stabiliti dalla Banca d’Italia. La segnalazione costituisce l’atto introduttivo del procedimento avanti all’ABF, che deve chiudersi in trenta giorni. Siffatto termine, anche se ristretto, è destinato ad essere rispettato in quanto questo procedimento non prevede contraddittorio, visto che la banca non è chiamata

a partecipare, e non è prevista neppure la produzione di prove.

Alla luce di quanto sopra esaminato può affermarsi che con il procedimento di cui al comma 1–quinquies l’ABF non è chiamato ad occuparsi di situazioni giuridiche tutelate dall’ordinamento; il citato comma, infatti, non attribuisce ai clienti una situazione giuridica attiva a ricevere il credito né impone alle banche di erogare il finanziamento; pertanto, il responso non potrà contenere la condanna dell’istituto a concedere il credito negato, o a revocarlo se concesso. In questa prospettiva, l’ABF non opera come sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie alternativo ai tradizionali rimedi giurisdizionali, ma le sue pronunce sono, comunque, destinate ad esplicare effetti se si considera che anche in questo ambito possono contenere la sanzione

reputazionale, con ogni conseguenza in caso di

pubblicazione nella Relazione annuale.

L’art. 27-bis, comma 1-quinquies, dunque, è rivolto ad

istituire una nuova forma di pubblicità relativa alle concrete modalità di erogazione dei finanziamenti, accrescendo, in tal modo, l’efficienza della concessione del credito e, di conseguenza, dell’intero sistema

l’ABF opera su un piano diverso da quello giuridico formale a cui il cultore del diritto positivo è abituato a far riferimento.

CONCLUSIONI

Per chiudere l’analisi di questo particolarissimo istituto giuridico e considerarne gli importanti risvolti pratici occorre, infine, volgere uno sguardo attento agli ultimi orientamenti dell’ABF in ordine ai temi più importanti dallo stesso trattati.

Innanzitutto bisogna puntualizzare che la crescita dei ricorsi ricevuti dall’Arbitro Bancario Finanziario è proseguita anche nel 2015, sono infatti aumentati del 21 per cento, la media mensile è salita da 936 a 1.13178. I ricorsi sono stati presentati in maniera prevalente da ricorrenti consumatori (93 per cento).

Anche nel 2015 i ricorsi hanno riguardato fattispecie diverse e articolate; con variazioni sia dei volumi, sia delle materie.

Il fenomeno principale è rappresentato dalla crescita delle controversie sulla cessione del quinto che, raddoppiate nel 2015, costituiscono più della metà dei ricorsi. La tematica più frequente riguarda la richiesta di restituzione di parte delle spese sostenute dai ricorrenti in caso di estinzione anticipata del rapporto.

In materia di estinzione anticipata di un finanziamento ai sensi dell’art. 125-sexies TUB, l’ABF ha ribadito che il cliente non ha diritto di pretendere la restituzione delle commissioni corrisposte per la stipula del contratto oppure per un’attività della banca già svolta ed esaurita; dovranno invece essere restituite al cliente tutte le voci di spesa (comunque denominate) che maturano nel tempo, in misura proporzionale alla durata residua o alle rate residue del finanziamento.

L’Arbitro ha segnalato che la prassi degli intermediari di indicare cumulativamente (nei contratti e nei fogli informativi) l’importo di generiche spese non consente al cliente una chiara individuazione degli oneri maturati e di quelli non maturati: ciò determina la difficoltà o impossibilità per il cliente medesimo di identificare gli oneri che devono essere rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

Qualora detti requisiti di chiarezza e comprensibilità non risultino soddisfatti, la relativa clausola non potrà che essere imputata a prestazioni e comportamenti riguardanti la fase di esecuzione del rapporto (costi recurring).

Escludendo quelli relativi alla cessione del quinto, i ricorsi sono diminuiti in tutte le principali materie, ad eccezione di quelli attinenti ad “altri finanziamenti”, ai sistemi privati di informazione creditizia (SIC) e agli assegni. La flessione è stata particolarmente marcata per i ricorsi relativi alle carte di credito, ai bancomat e

I Collegi hanno deciso in media 54 ricorsi per riunione, a fronte dei 48 del 2014.

Il 68 per cento delle controversie giunte a decisione ha avuto un esito sostanzialmente favorevole per il cliente (67 per cento nel 2014): nel 41 per cento dei casi le procedure si sono concluse con l’accoglimento parziale o totale delle richieste; nel restante 27 per cento è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere per intervenuto accordo tra le parti. Il 32 per cento dei ricorsi è stato invece respinto dai Collegi, che hanno ritenuto infondate o non adeguatamente provate le ragioni del cliente, oppure non rispettate le regole procedurali.

Permangono differenze significative sull’esito dei ricorsi in base all’oggetto della controversia: la percentuale di accoglimento o cessazione della materia del contendere è più bassa nel caso di ricorsi attinenti al mutuo e al deposito titoli, mentre è molto elevata per quelli riguardanti carte di credito, cessione del quinto dello stipendio e bancomat.

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