• Non ci sono risultati.

L‟inclusione sociale Difficoltà e successi della facilitazione linguistica

3. L’insegnamento dell’italiano L2 nelle scuole pratesi – Apprendimento

3.2 La facilitazione linguistica

3.2.5 L‟inclusione sociale Difficoltà e successi della facilitazione linguistica

Come ripetuto più volte nel corso di questo capitolo, la facilitazione linguistica è servita non solo ad aiutare i ragazzi nell‟apprendimento dell‟italiano, ma anche a creare un percorso di inclusione sociale per gli alunni non italofoni. Le parole dei facilitatori sono importanti:

[L‟inclusione sociale] verte su due ambiti: il primo è quello di un aiuto su interrogazioni o verifiche. Sull‟interrogazione per esempio, con molti insegnanti abbiamo deciso di far preparare a tutta la classe divisa in gruppetti degli argomenti, di modo che il gruppetto che ha preparato

111

l‟argomento x, sarà lo stesso a riportare quell‟argomento, poi ovviamente l‟insegnante ci carica sopra la propria lezione. Il fatto che ci sia una volta un gruppetto poi un altro e un altro ancora, fa sì che all‟interno di questa modalità di introdurre i vari argomenti disciplinari, siano tutti inseriti. È una cosa che è successa diverse volte: esempio in un gruppetto di cinque di cui due sono nei miei laboratori, magari prendo anche gli altri tre italiani, prepariamo insieme l‟argomento, poi sono loro cinque che lo presentano insieme. Questa cosa li fa sentire particolarmente importanti quindi fanno la stessa cosa che fanno gli altri. Il secondo ambito è quello di lavorare in anticipo.

(Facilitatore presso la scuola secondaria di primo grado)

Intanto noi lavoriamo sui livelli linguistici dei bambini di competenza comunicativa, e cerchiamo di portare tutti i bambini ad un livello almeno A2. Il livello A2 è un livello in cui già si può iniziare a seguire, non dico in modo autonomo ma quasi, le lezioni della classe. Questo nel minor tempo possibile, cerchiamo di accelerare i tempi, il facilitatore è un acceleratore di tempi per quanto possibile, perché poi ci sono fasi fisiologiche che vanno rispettate e quindi ci sono anche i tempi distesi. Quindi una parte agiamo sui bambini e agiamo non solo sui loro livelli ma anche sulla loro serenità, cioè noi facciamo in modo che il bambino non si senta frustrato non si senta l„ultimo, io ho dei bambini pakistani che mi hanno detto “io ero il migliore studente della mia classe, arrivo qua e sono il peggiore”, cioè noi lavoriamo anche su queste variabili psico-affettive, quindi lavorando su questo, cioè tranquillizzando i bambini, convincendoli che questa fase è transitoria ma che poi arriveranno a risultati altissimi, crea un po‟ delle ricadute sulla classe, un po‟ sui bambini e poi anche sugli insegnanti. In più i bambini sono più sereni, si sentono più accolti... Il facilitatore ha competenze interculturali, quindi tenta di far introdurre elementi di cultura altra rispetto a quella europea o lingue altre, non che le parli lui però ha delle sensibilità rispetto esse. Io cerco ogni tanto di far capire a bambini italofoni che questi bambini sinofoni hanno tante competenze, quindi i bambini si sentono inclusi. Ti faccio un esempio concreto, abbiamo fatto un laboratorio quattro anni fa, sulla lettura di una favola bilingue con testo cinese e italiano, ad un certo punto ho chiesto ai bambini sinofoni di leggere in cinese e i bambini italiani sono rimasti sconvolti hanno detto “ah ma non abbiamo capito niente, chissà loro come si sentono quando...” in un qualche modo li ho decentrati, hanno capito che il loro mondo non è il centro, esistono altri mondi. Quindi è stata proprio un‟educazione al decentramento che in antropologia è fondamentale […] Però vedo che i bambini diventano più sicuri, quindi anche in classe hanno un approccio diverso con l‟insegnante, si sentono a quel punto non più gli ultimi perché hanno uno spazio tutto loro che io gli dedico. Quando tornano in classe sono molto rasserenati, quindi le ricadute sono sopratutto sì linguistiche, chiaramente è il mio lavoro, ma anche di tipo psicoaffettivo, cioè i bambini sono più sereni.

112

L‟utilità dei laboratori di facilitazione linguistica, è supportata anche dalle insegnanti, dalle cui parole però traspare la volontà di passare sempre più a lezioni a classe intera:

[…] noi quest‟anno abbiamo avuto in realtà un bambino soltanto, perché ho avuto la prima e in prima non facciamo la facilitazione. Però è arrivato un po‟ dopo, a ottobre, per cui abbiamo pensato di inserirlo con la facilitatrice e il bambino era contentissimo di andare con questo gruppo, ha imparato a stare con gli altri, ha imparato delle regole nel gioco … e abbiamo visto che poi tutti i bambini traggono beneficio da questo. Però tengo a sottolineare che è molto importante che anche nella classe... perché l‟integrazione, l‟inclusione di questi bambini, avviene soprattutto nella classe. Quindi sì fuori perché hanno bisogno di imparare le prime parole, soprattutto i bambini nuovi arrivati, ma nella classe è quello più importante.

(Funzione strumentale per l‟intercultura e insegnante presso la scuola primaria)

I riscontri da parte degli alunni non italofoni poi, sono spesso molto positivi:

La cosa che mi piace da morire, ho visto che in tanti casi… a parte che io ci rimango in contatto una volta che poi finisce la terza e finiscono l‟esame, allora lì io apro i contatti facebook, email… e vedo un sacco di volte che mi mandano i messaggi dove mi dicono che sono inseriti nel gruppetto non solo di connazionali ma anche delle classi. Mi piace vedere, quando i ragazzi entrano in prima fanno gruppetto a sé, poi vedere il percorso in seconda, terza… con le gite, i laboratori, gli interventi, si crea il gruppo, quindi mi vengono a raccontare che hanno fatto la cena insieme, la giornata in piscina insieme, per insieme intendo la classe. Poi i risultati linguistici nell‟arco dalla prima alla terza non per tutti ovviamente, li vedi non sempre, nella stragrande maggioranza si vedono e questo ci dà una risposta positiva. Ho anche dei riscontri positivi poi da parte dei docenti, ci sono ragazzi che nel giro di un anno fanno percorsi straordinari con passi da gigante, altri che ci mettono molto tempo… il discorso è soggettivo, comunque ci sono dei riscontri da parte dei ragazzi che vedi sempre più aperti, sorridenti, che cercano sempre più contatto, relazione, da parte dei docenti la cosa più interessante è quando ti vengono a dire, non quando “mi ha preso sette a storia” ma “mi ha fatto delle domande durante la lezione, ha fatto lui l‟intervento, ha riportato la sua esperienza, quello che sapeva, quello che ha letto a casa” quindi l‟apertura.. Il fatto che dica “questo l‟ho visto alla tv, l‟ho letto sul giornale…” è indice che ci sei [in classe N.d.R] La cosa importante invece è quando sono loro a proporre, allora forse ci siamo, è scattato qualcosa, hanno capito qual è il senso.

(Facilitatore presso la secondaria di primo grado)

[…] a me piace molto che i bambini mi considerino una figura della scuola, quindi io per loro sono un maestro a tutti gli effetti, quando entro in classe i bambini, tutti, italofoni e non italofoni

113

esultano, e questo mi dà molta soddisfazione, perché riesco ad arrivare a tutti i bambini, perché il mio scopo non è di fare l‟insegnante clinico che prende tutti i bambini, mi piace essere considerato una figura della scuola.

(Facilitatore presso la scuola primaria)

[…] loro [gli alunni N.d.R.] parlano del facilitatore come dell‟amico, e ho notato che c‟è anche molto più accordo con i risultati, con la visione dell‟alunno… accadeva dieci anni fa, che il facilitatore avesse un‟opinione dei ragazzi e il docente ne avesse una diversa. Sempre di più, anche negli ultimi scrutini, ho notato che laddove il consiglio di classe si esprimeva per una bocciatura il facilitatore era d‟accordo, perché aveva notato lo stesso disinteresse, almeno alle medie, forse sulla primaria no.

(Vicepreside e insegnante presso la scuola secondaria di primo grado)

Ovviamente la situazione non è sempre rosea e ci sono dei casi in cui facilitatori e insegnanti si trovano in difficoltà (è il caso di A. e P., due alunni sinofoni di cui ho parlato nel paragrafo precedente):

Di tutte le competenze che noi abbiamo, chiaramente non siamo psicologi e ci sono dei bambini che hanno un disagio che gli deriva intanto dalla migrazione e dal fatto che magari i genitori lavorano tanto e il bambino spesso non è seguito così tanto come avrebbe bisogno come bambino, quindi io ho dei bambini sofferenti, e quindi ci sono stati dei casi in cui, e questo due anni fa, in cui con dei bambini non sapevo veramente come far sentire loro che io c‟ero, non sono riuscito proprio a fargli stare sereni, sono bambini e questo lo so, che hanno poi usufruito del servizio counselling, un bambino per esempio era orfano di madre, viveva col padre che però lavorava tanto, il bambino si sentiva solo e in classe aveva delle reazioni forti perché voleva a mio avviso - ma io non sono uno psicologo - mostrarci il suo disagio, adesso è uno dei miei bambini preferiti, è sempre in collo a me, però abbiamo dovuto capirci, ho dovuto chiedere consiglio ai miei colleghi psicologi, quindi questo è stato un caso difficile. Non siamo preparati sempre ad affrontare i disagi dei bambini in processo migratorio, ci vorrebbe forse un approfondimento maggiore a livello nazionale, di etnopsichiatria per esempio.

(Facilitatore presso la scuola primaria)

L‟obiettivo finale comunque, è quello di passare alla lezione a classe intera, come spiegherò nel prossimo paragrafo.

114