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L’incompetenza per territorio dell’organismo di mediazione:

Nel documento Il processo di mediazione (pagine 35-55)

legittimazione, modalità, termine e autorità deputata a valutarne la fondatezza. – 2. Il

ruolo dell’avvocato nella mediazione: gli obblighi informativi. – 2.1. Il dovere di

assistenza tecnica. – 3. L’accesso alla mediazione: l’istanza di mediazione.- 3.1. “Il

tempo della domanda” e i suoi effetti sostanziali. - 4. Il mediatore come “perno del procedimento”. - 4.1. Le caratteristiche del mediatore: indipendenza, imparzialità,

neutralità. – 4.2. Gli altri doveri del mediatore: la professionalità e la competenza. Il problema della preparazione giuridica. - 4.3. (segue) La designazione del mediatore. – 4.4. La sostituzione del mediatore. – 5. Il rispetto del principio del contraddittorio: la comunicazione alla parte chiamata in mediazione. - 5.1. (segue) La mancata partecipazione al procedimento di mediazione. – 6. La prova: il problema della consulenza tecnica.

1. La competenza per territorio degli organismi di mediazione; la disciplina originaria del d.lgs. 28/2010.

Nella versione originaria del d.lgs. 28/2010, il legislatore delegato aveva scelto di non fissare alcun criterio di competenza territoriale o per

materia ai fini dell’individuazione dell’organismo di conciliazione a cui

presentare la relativa domanda94. L’art. 4 del decreto, rubricato “Accesso

alla mediazione” stabiliva, infatti, che “la domanda di mediazione

relativa alle controversie di cui all’art. 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo”. Questa scelta disattese le aspettative, elaborate in sede di parere sullo schema del decreto, che provenivano da entrambi i lati del Parlamento: la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati aveva proposto di introdurre una norma che fissasse la competenza per territorio dell’organismo in coincidenza del

distretto di Corte d’Appello, nel cui ambito si fosse trovato il circondario

94 Sul tema della competenza per territorio nel procedimento di mediazione: MINELLI,

Commento all’art.4, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e

commerciali, cit.; DITTRICH, op. cit., § 3; SANNA, La competenza per territorio nel procedimento di mediazione ex d.lgs. n. 28/2010: spunti per una riflessione, in www.judicium.it, 2011; VACCARI, Il rebus della competenza territoriale dell’organismo di

del Tribunale che sarebbe stato competente per la causa di merito95; la Commissione Giustizia del Senato aveva proposto che, in via principale, il criterio di competenza territoriale per l’organismo di mediazione, si

identificasse in ragione della sua sede nell’ambito del circondario del

Tribunale competente per la causa di merito ovvero, in via subordinata, in mancanza in quel territorio di organismi, nell’ambito del distretto di

Corte d’Appello annoverante il circondario del Tribunale competente per

la causa di merito, facendo salva la possibilità per le parti di derogare concordemente a tale disciplina96. Nella Relazione Illustrativa allegata al decreto, il legislatore aveva giustificato la sua scelta a disattendere le indicazioni provenienti dalle Commissioni parlamentari, affermando di

voler evitare “un’impropria giurisdizzionalizzazione della sequenza procedimentale” e “contrasti interpretativi”, lasciando alle parti la possibilità di “investire concordemente o singolarmente, l’organismo ritenuto più affidabile”. Il legislatore delegato aveva individuato alcuni ostacoli all’applicazione del criterio di competenza, osservando che “ coinvolgendo di norma il complessivo rapporto tra le parti, la mediazione può avere un oggetto non necessariamente corrispondente ad una lite giudiziaria, così da includere potenzialmente più cause suscettibili di diverse competenze, tanto più che lo stesso bene della vita è spesso suscettibile di più domande (accertamento, adempimento,

costitutive) anch’esse corrispondenti a plurime competenze” ; che

sarebbe stato difficoltoso “risolvere i conflitti di competenza tra organismi di mediazione, a meno di non voler demandare la valutazione

della competenza al giudice dell’eventuale causa di merito, sempre che

ritenga la lite davanti a sé corrispondente alla mediazione svolta”. Nei

casi poi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della

domanda, si faceva notare che “la determinazione di criteri di

95 Si tratta del parere approvato il 20 gennaio 2010 dalla II Commissione Giustizia della

Camera dei Deputati.

competenza avrebbe potuto determinare il regresso della causa in

ragione di un’eventuale decisione difforme della Cassazione in sede di

legittimità, con evidente lesione del principio, costituzionalmente sancito, della ragionevole durata del processo”. Delle osservazioni parlamentari si è accolta l’idea di prevedere una sanzione per l’ipotesi di

mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo (art. 8, comma 5), e tra le motivazioni, capaci di integrarlo, individuate dal legislatore nella relazione al decreto, si è fatto riferimento, a titolo esemplificativo, alla mancata partecipazione a una mediazione proposta davanti ad un organismo senza alcun collegamento con la residenza o la sede delle parti, con il loro domicilio o con i fatti oggetto di conflitto. La scelta del legislatore era poi stata fatta oggetto di aspre critiche da parte del Consiglio Superiore della Magistratura che,

nel “Parere allo schema di decreto legislativo: «Attuazione dell’art. 60

della legge 18 giugno 2009 n.69 in materia di mediazione finalizzata alla

conciliazione delle controversie civili e commerciali»”, l’aveva definita “irrazionale ed inidonea a garantire il funzionamento della mediazione”97. In particolare si era fatto notare come il buon esito del

procedimento fosse legato anche alla sede dell’organismo in relazione

alla domanda presentata, alla sua accessibilità per le parti, riducendo spese e disagi, e come la norma si prestasse a strumentalizzazioni nel momento della scelta dell’organismo di mediazione. La volontà del legislatore di non prevedere criteri di attribuzione della competenza per gli organismi di mediazione, era stata fatta oggetto di discussione anche in dottrina, determinandosi diverse impostazioni: alcuni autori avevano condiviso l'impianto del decreto sostenendo che l’organismo di conciliazione e il mediatore sono solo soggetti di una mediazione e non giudici, per cui dovevano valere la libertà delle parti nella scelta e una

97 Si tratta del parere adottato con la delibera del 4 febbraio 2010 leggibile in www.csm.it/documenti%20pdf/Parere4febbraioSesta.pdf.

sana concorrenza tra gli stessi98; altri invece l’avevano profondamente criticata99. Vi è poi chi, pur giudicando estrema la scelta operata dal legislatore, aveva deciso di non condannarla aprioristicamente osservando che la partecipazione al procedimento di mediazione è una

mera facoltà per la parte “convenuta”, mentre rientra nell’interesse dalla

parte istante che il procedimento effettivamente si svolga, al punto che dovrebbe adoperarsi per la scelta di un organismo non sgradito alla

controparte e tale scelta non sembrava inficiare l’imparzialità o la

terzietà del mediatore. Nella mediazione obbligatoria, invece, se la scelta

dell’organismo fosse stata fatta al solo scopo di rendere difficoltoso l’espletamento del tentativo di conciliazione, si riteneva che meccanismi di declaratoria d’incompetenza, volti ad accertare tale situazione,

avrebbero complicato ancor di più lo svolgersi del procedimento, mentre sarebbe stato sufficiente dare rilievo a tale comportamento nel successivo giudizio come argomento di prova, anche ai fini della regolazione delle

98In particolare NELA, Il procedimento, op.cit., 278, 279; ma anche ARIETA, La domanda di mediazione e le regole di instaurazione del procedimento, in Corr. Giur., 2011, 570, il quale

riteneva che “la natura non giurisdizionale del procedimento di mediazione e la conseguente

inapplicabilità dei principi del ˝giusto processo˝ appaiono poco compatibili con la previsione di regole di competenza”. L’A. aveva affermato oltretutto che l’introduzione di regole sulla

competenza, avrebbe dato luogo a un fenomeno simile a quello della competenza cautelare ante

causam, nel senso che si sarebbe sancito “un ˝parallelismo tra la competenza per il giudizio

contenzioso e competenza degli organismi di mediazione che hanno la loro sede in uno dei fori

territoriali competenti per il ˝merito˝, con la conseguente possibilità, per il soggetto chiamato a partecipare al procedimento di mediazione, di contestare la competenza dell’organismo adito, previa formulazione di una vera e propria ˝eccezione˝, a fronte della quale si

dovrebbero prevedere meccanismi di soluzione della questione di competenza (anche senza traslatio, come avviene per il processo cautelare)”. Si faceva notare però che attribuire al

mediatore il compito di risolvere le questioni di competenza avrebbe comportato, oltre che una deviazione della funzione propria del procedimento, riconoscergli un vero e proprio potere decisorio, potestà del tutto estranea alla sua figura.

ARMONE, La mediazione civile: il procedimento, la competenza, la proposta, in Società,

2010, 628 il quale aveva sostenuto che, nelle grandi città, dove non c’è un unico organismo di

mediazione, anche in presenza di regole predeterminate di competenza, la parte istante avrebbe comunque potuto scegliere quello a lui più gradito; ed inoltre che la scelta legislativa aveva eliminato il rischio di eccezioni di incompetenza sollevate solo a scopo elusivo o dilatorio.

99AMENDOLAGINE, Alcuni aspetti della mediazione “vista da vicino”, tra utopia legislativa e prassi quotidiana, in www.judicium.it, 2010, § 2 il quale aveva criticato il tenore letterale della legge sottoponibile ad un utilizzo abusivo da parte del soggetto che per primo accede alla mediazione (c.d. forum mediatoris shopping)

spese100. Infine, si era ritenuto che fosse possibile determinare le regole di competenza territoriali degli organismi di mediazione guardando alle norme generali previste per il processo ordinario, facendo coincidere il foro della mediazione al circondario del giudice competente101.

1.1 Le modifiche operate con il “decreto del fare”.

La disciplina fino ad ora analizzata, è stata fatta oggetto di modifica a partire da un intervento normativo ad opera del Parlamento. Con la legge

n. 220 dell’11 dicembre 2012, la c.d. “riforma del condominio”, si è

introdotta una norma, l’art. 71 quater, comma 2, delle disposizioni per

l’attuazione del codice civile, con la quale si è previsto che, per le

controversie condominiali102 iniziate dopo il 18 giugno 2013, la relativa

domanda di mediazione “deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato”. Dopo tale intervento, l’art. 84, comma 1, lett. a) del D.L. 21 giugno 2013 n.69

(c.d. decreto del fare), convertito ad opera della legge 9 agosto 2013 n.

98, ha introdotto nel primo comma dell’art. 4 del d.lgs. 28/2010 questo periodo: “La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui

all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un

organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia” e che, in caso di più domande relative alla stessa controversia, “la mediazione si svolge davanti all’organismo

100DITTRICH, op.cit., § 3.

101 Tali tesi è stata profondamente criticato da DITTRICH, op.cit., che ritiene impossibile

trapiantare le regole del codice di rito nell’ambito del procedimento di mediazione, contesto

completamente diverso. Introducendo tale sistema occorrerebbe oltretutto inserire anche le regole procedimentali connesse (eccezioni, decadenza, modifiche per connessione e risoluzione dei conflitti). SANNA, op.cit., ha ritenuto questa tesi poco convincente, affermando che, per precisa volontà del legislatore, nella mediazione la competenza si determina sulla base del criterio di prevenzione.

102 L’art. 71 quater, comma 1, disp. att. c.c., stabilisce che sono definibili controversie

condominiali quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del

libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle disposizioni per

territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda”. Il legislatore pare quindi aver introdotto il criterio di

competenza per territorio anche in riferimento agli organismi di mediazione. Le due norme in esame, però, sembrano prevedere criteri

d’individuazione dell’organismo di mediazione territorialmente competente in contrasto reciproco; in realtà la disciplina di cui all’art. 71-

quater, comma 2, disp. att. c.c., per le controversie in materia condominiale, ribadisce semplicemente, anche per la fase di mediazione, il criterio speciale già previsto all’art. 23 c.p.c., comma 1103. Queste disposizioni non chiariscono se il luogo da tenere in considerazione per

determinare la competenza per territorio dell’organismo sia solo quello

in cui esso ha la propria sede legale o possa essere una sua qualsiasi altra sede. Su questo aspetto è intervenuta la circolare del Ministero della Giustizia del 27 novembre 2013 che ha stabilito, modificando il suo orientamento passato104, che rileva qualsiasi sede idonea ad “assicurare

agli utenti un servizio efficiente e stabile”, sia essa la sede principale,

legale, sia essa una sede secondaria, purché regolarmente comunicata alla stessa amministrazione ed oggetto di provvedimento di iscrizione. Un altro elemento problematico riguarda la possibile derogabilità delle regole sulla competenza, posto che il legislatore non chiarisce tale aspetto. La dottrina maggioritaria105 ritiene che la competenza del mediatore sia liberamente derogabile dalla volontà delle parti, dato che altrimenti il regime in esame detterebbe regole più rigide di quelle che

103Art. 23, comma 1 c.p.c. :“Per le cause tra soci è competente il giudice del luogo dove ha sede la società; per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio, il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi”.

104 Lo stesso Ministero, con riferimento alla disciplina originaria del d.lgs. 28/2010, aveva

affermato che la domanda dovesse esser depositata solo presso la sede legale dell’organismo, mentre gli incontri potevano svolgersi nelle sedi secondarie, purché idonee.

105Si veda FANELLI, op. cit., § 3.2; VACCARI, op.cit., § 2, il quale fa notare come vi è una

quasi coincidenza tra le materie sottratte all’esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio e quelle per le quali la competenza territoriale è inderogabile.

disciplinano la deroga alla competenza del giudice106, e non pare possibile estendere in via analogica norme destinate a regolare il processo al procedimento di mediazione. La generale derogabilità del criterio fornito dal legislatore si ritiene debba trovare applicazione sia nei casi di mediazione facoltativa dato che, se le parti sono disponibili a

conciliarsi, decideranno senza difficoltà l’organismo territorialmente competente e non c’è nessun motivo per cui la loro volontà non debba

essere rispettata, sia nei casi di mediazione concordata, per i quali la

formulazione dell’art. 5, comma 5 del decreto, parrebbe attribuire al criterio dell’art. 4 un carattere di mera sussidiarietà rispetto all’organismo eventualmente individuato nella clausola di mediazione prevista dal contratto, dallo statuto o dall’atto istitutivo dell’ente. Se non sarà possibile presentare la domanda davanti all’organismo indicato e le

parti non dovessero raggiungere un successivo accordo di deroga, dovrà rispettarsi il criterio della competenza territoriale. Il Tribunale di Milano,

IX sezione civile, con un’ordinanza del 29 ottobre 2013107 con la quale

era disposto l’espletamento del procedimento di mediazione c.d.

delegata, riconosceva la possibilità delle parti di derogare alle norme relative alla competenza territoriale, depositando congiuntamente

domanda all’organismo scelto di comune accordo. Nell’affrontare le

problematiche legate a questa disciplina, la dottrina si è interrogata circa la possibilità che il regime attrattivo di cui all’art. 669-quater c.p.c., sui procedimenti cautelari, trovi applicazione anche nei casi di mediazione instaurate lite pendente; significherebbe riconoscere la competenza ad un organismo che abbia la propria sede nel circondario del Tribunale o nel

distretto della Corte d’Appello nel quale la controversia è stata promossa. Parte della dottrina esclude l’applicabilità di questa disciplina non

106L’art. 28 c.p.c. stabilisce infatti che la competenza territoriale è generalmente derogabile,

fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge.

107 L’ordinanza è consultabile all’indirizzo:

www.dirittoegiustizia.it/allegati/8/0000062714/Tribunale_di_Milano_sez_IX_civile_ordinanza _29_ottobre_2013.html.

ritenendo funzionante la regola della coincidenza tra la competenza territoriale del mediatore e quella del giudice del processo108, anche alla luce del fatto che lo stesso legislatore pare non aver optato per la

interferenza tra le due discipline. L’art. 84 del D.L. n. 69/2013, modificando l’art. 5, comma 2, prevedeva che fosse il giudice a dover

indicare l’organismo in cui svolgere la mediazione da lui ordinata; ma in punto di conversione in legge, la previsione è stata cancellata, per cui

l’eventuale indicazione inserita nel provvedimento che dispone la

mediazione delegata pare da non considerarsi vincolante per le parti.

1.2 L’incompetenza per territorio dell’organismo di mediazione: legittimazione, modalità, termine e autorità deputata a valutarne la fondatezza.

Seri problemi interpretativi, relativi alla disciplina in esame, sono legati

all’estrema lacunosità delle novelle disposizioni che non si occupano di

precisare le conseguenze della mancata osservanza del criterio di

competenza fissato, né le modalità, i termini e l’autorità deputata alla sua

valutazione109. Si ritiene che, se la parte chiamata in mediazione aderisce

e partecipa a questa non contestando la competenza dell’organismo

adito, si sia realizzata una deroga tacita alla competenza stessa e le parti possono validamente conciliarsi di fronte ad un mediatore che, nel

108 In particolare FANELLI, op. cit., § 3.2, la quale afferma che “con il criterio adottato a seguito delle modifiche del c.d. «decreto del fare» all’art. 4 d.lgs. 28/2010, il legislatore non sembra voler incentivare la vicinanza tout court tra mediatore e giudice quanto, piuttosto,

sembra “prendere in prestito” i criteri previsti dal codice di rito per risolvere il problema

della distribuzione territoriale delle controversie da conciliare”. Dello stesso avviso

VACCARI, op. cit., § 2. Ritiene invece possibile l’applicazione della regola dell’attrazione ARIETA, op.cit., 560.

109 Cosi VACCARI, op. cit., § 3, che, pur occupandosi specificamente della mediazione

obbligatoria, afferma che di fronte a tali lacune normative sono prospettabili due sole conclusioni: o la disciplina sia inapplicabile, ma a questo pare ostare il fatto che analoghe

omissioni non avevano impedito l’applicazione del criterio di prevenzione stabilito all’art. 4 del d.lgs. 28/2010; oppure, ed è al scelta attuata dall’Autore, la disciplina mancante deve

rispetto dell’art. 4, comma 1, risulterebbe incompetente110. Tacita

accettazione della competenza dell’organismo di mediazione si pensa

possa prodursi anche nel caso in cui la parte chiamata, pur non comparendo alla prima seduta di fronte al mediatore, deduca un giustificato motivo di assenza o la propria indisponibilità verso una soluzione conciliativa, senza lamentare specificamente il difetto di

competenza. Altra è l’ipotesi in cui una parte partecipi ugualmente al

tentativo di conciliazione, pur essendo stata chiamata di fronte ad un organismo diverso rispetto a quello precedentemente pattuito; in tal caso

si ravvisa un modifica tacita dall’accordo precedente, sia perché è possibile in linea di principio modificare un accordo, sia perché l’art. 5,

comma 5 dispone che in ogni caso “le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto”. Diverso è il caso in cui la parte chiamata non aderisca al procedimento adducendo come unica ragione quella della incompetenza per territorio del mediatore, al solo scopo di evitare i costi di avvio della procedura111. In questo caso,

l’organismo non potrà avviare il procedimento, e la parte istante avrà l’onere, avendo errato nella sua individuazione, di avviare nuovamente la procedura attraverso la presentazione dell’istanza all’organismo

competente112. Se la parte non aderisce né adduce alcun motivo al suo comportamento, le soluzioni interpretative che si propongono sono differenti. Da un lato è possibile, tramite un richiamo analogico, che

trovi applicazione la disciplina dell’art. 71- quater, comma 2 delle disp.

att. c.c., in materia di controversie condominiali, concludendo per

l’inammissibilità dell’istanza di mediazione e, nei casi di mediazione

110 Secondo il Trib. Milano, ord, 29 ottobre 2013 affinché la deroga convenzionale possa

considerarsi valida, sarebbe necessaria un’istanza congiunta delle parti, e la domanda di mediazione presentata da una sola di esse ad un organismo incompetente risulterebbe inefficacie.

111Secondo l’art. 16 del D.M. 180/2010 i costi sono dovuti da tutte le parte, compresa quella

che aderisce al procedimento.

obbligatoria, per l’improcedibilità della domanda giudiziale

eventualmente promossa. Tale soluzione sembra conferire al mediatore la possibilità di rilevare la sua incompetenza ex officio, tenuto conto anche della tesi per cui, in sede di omologazione del verbale di mediazione, tra le irregolarità formali capaci di impedirla (art. 12, comma 1 del d.lgs. 28/2010), vi rientrerebbe la violazione della regola della competenza territoriale. Il mediatore, al fine di evitare che tale problematica possa realizzarsi, avrebbe il compito di rilevare la propria incompetenza113. Dalla disciplina in esame, però, non sembra emergere con chiarezza che il mediatore abbia tali poteri, mentre, secondo alcuni, questi dovrebbe limitarsi a rilevare una mera irregolarità

Nel documento Il processo di mediazione (pagine 35-55)

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