• Non ci sono risultati.

Il processo di mediazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il processo di mediazione"

Copied!
161
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

INTRODUZIONE. . . .

pag. 1

CAPITOLO I

LE REGOLE SPECIALI DEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE

1. L’informalità del procedimento di mediazione. . . .pag. 6

2. L’autonomia regolamentare degli organismi di mediazione. . . . » 8

3. Il dovere di riservatezza; la disciplina prima della riforma. . . » 13

3.1. Il dovere di riservatezza alla luce del d.lgs. 28/2010. . . » 15

3.2. La riservatezza esterna ed interna: le sessioni separate. . . » 17

3.3. L’inutilizzabilità come attuazione della riservatezza. . . » 20

3.4. Il segreto professionale e le garanzie del mediatore. . . » 25

4. La ragionevole durata del procedimento di mediazione. . . » 28

CAPITOLO II

LE REGOLE PROCESSUALI APPLICATE AL PROCEDIMENTO

DI MEDIAZIONE

1. La competenza per territorio degli organismi di mediazione; la disciplina originaria del d.lgs. 28/2010. . . pag. 32 1.1. Le modifiche operate con il “decreto del fare”. . . » 36

1.2. L’incompetenza per territorio dell’organismo di mediazione: legittimazione, modalità, termine e autorità deputata a valutarne la fondatezza. . . .» 39

(2)

2. Il ruolo dell’avvocato nella mediazione: gli obblighi informativi. . . pag. 44

2.1. Il dovere di assistenza tecnica. . . » 52

3. L’accesso alla mediazione: l’istanza di mediazione. . . .» 57

3.1.“Il tempo della domanda” e i suoi effetti sostanziali. . . » 61

4. Il mediatore come “perno del procedimento”. . . .» 69

4.1.Le caratteristiche del mediatore: indipendenza, imparzialità, neutralità. . . . . . » 72

4.2.Gli altri doveri del mediatore: la professionalità e la competenza. Il problema della preparazione giuridica. . . .» 77

4.3.(segue) La designazione del mediatore. . . » 84

4.4.La sostituzione del mediatore. . . .» 88

5. Il rispetto del principio del contraddittorio: la comunicazione alla parte chiamata in mediazione. . . .» 90

5.1.(segue) La mancata partecipazione al procedimento di mediazione. . . .» 92

6. La prova: il problema della consulenza tecnica. . . .» 99

CAPITOLO III

LA DISCIPLINA DEI REGOLAMENTI DI PROCEDURA DI

ALCUNI ORGANISMI DI MEDIAZIONE

1. Le caratteristiche dei mediatori: i casi d’incompatibilità, i criteri di designazione e di sostituzione. . . .pag. 104 2. L’introduzione della mediazione: le regole per l’avvio del procedimento. . . » 113

3. La partecipazione delle parti al procedimento; la disciplina dell’assistenza tecnica. . . » 121

(3)

5. La riservatezza del procedimento. . . » 125

CAPITOLO IV

LA CONCILIAZIONE ASSISTITA NELLA LEGGE N. 162 DEL

2014 (CENNI)

1. La negoziazione assistita: linee generali. . . .pag. 130 2. Gli atti formali del procedimento di negoziazione assistita. . . » 132

3. Il procedimento di negoziazione assistita. . . .» 136

4. Gli obblighi dell’avvocato. . . .» 138

5. La negoziazione assistita obbligatoria. . . .» 138

6. Rapporti con la mediazione civile e commerciale. . . » 140

7. La negoziazione in tema di separazione e divorzio. . . » 141

RIFLESSIONI FINALI. . . .

pag. 146

(4)

INTRODUZIONE

Con il d.lgs. 28/2010, il legislatore delegato ha inteso dare attuazione

all’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n.69 in materia di mediazione e di

conciliazione delle controversie civili e commerciali1, introducendo un complesso e articolato procedimento di mediazione con lo scopo di ridurre il peso del contenzioso ordinario e dunque di diminuire i tempi del processo civile2. Le condizioni necessarie, affinché una lite possa essere risolta grazie allo strumento della mediazione, possono essere individuate nella disponibilità del diritto oggetto di controversia3, nella conciliabilità degli interessi in gioco e nel tipo di relazione economica e sociale che intercorre tra i litiganti, posto che se si tratta di soggetti che hanno interesse a mantenere un rapporto per il futuro, una soluzione conciliativa appare meno traumatica di una aggiudicativa. Il legislatore

nazionale è intervenuto per sottoporre la mediazione all’attuazione di una

disciplina speciale che, in materia di mediazione facoltativa4, trova la sua giustificazione negli inconvenienti che dalla mera applicazione delle norme del codice civile potrebbero determinarsi, per attribuire alla conciliazione, se raggiunta, effetti che altrimenti essa non potrebbe produrre in base alla disciplina civilistica, e per diffondere la cultura della mediazione a fini conciliativi. Secondo quanto affermato in

1 In riferimento alla legge delega in materia di mediazione si veda LUISO, La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 1257 e ss.; PUNZI, Mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 845 e ss.

2 Si veda in proposito LUISO, Diritto processuale civile, vol.5, Milano, 2013, p.37, il quale

sostiene l’erronea prospettiva del legislatore affermando che “è il buon funzionamento della

giurisdizione che incentiva la mediazione, e non viceversa”, in quanto “fra gli elementi che le

parti prendono in considerazione per valutare la convenienza dell’accordo vi sono quelli

relativi ai tempi, ai costi e ai possibili esiti della fase contenziosa”. Dello stesso avviso SANTI,

Commento all’art. 1, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e

commerciali, Bove M. (a cura di), Padova, 2011, 41 e ss.

3L’art. 2 comma 1 del decreto in esame limita l’utilizzo della mediazione alle sole controversie

civili e commerciali che vertano su diritti disponibili.

4Nelle ipotesi di tentativo di mediazione obbligatoria, in altre parole nei casi in cui lo stesso

legislatore pone l’espletamento della procedura conciliativa come condizione di procedibilità

della domanda giurisdizionale, è chiaro che la necessità di una disciplina ad hoc nasca giacché si tratta di incidere sul diritto di azione costituzionalmente garantito.

(5)

dottrina5 si possono individuare tre diversi tipi di mediazione che differiscono, non tanto in base al procedimento al quale sono soggetti, quanto ai loro presupposti: una mediazione su base volontaria

stragiudiziale ed extraprocessuale, che le parti avviano

indipendentemente dalla proposizione della controversia davanti al giudice civile; una mediazione stragiudiziale ma endoprocessuale, perché

svolta davanti all’organismo di mediazione su volere del giudice già

adito per la risoluzione della controversia6 ; una mediazione extraprocessuale obbligatoria ope legis nelle materie individuate all’art.5 del decreto in esame, dopo le modifiche operate dal “decreto del fare”7. Il d.lgs. 28/2010, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 6 dicembre 2012 n. 2728, è stato modificato con il d.l. 21 giugno 2013 n. 699, convertito con l. 9 agosto 2013 n. 98. Con il d.lgs. 28/2010 il

5 DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.lgs. n.28 del 4 marzo 2010., in www.judicium.it, 2010, § 2.

6 La riforma operata con il decreto 69/2013 ha modificato la vecchia disciplina giacché nel

testo originario il legislatore aveva affidato al giudice un ruolo di mera sollecitazione della mediazione lasciando poi alle parti la scelta sull’avvio della procedura extragiudiziale. Con la

nuova formulazione dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 28/2010 si attribuisce al giudice il potere di imporre alle parti l’espletamento del procedimento di mediazione; è la c.d. “mediazione delegata” o “mediazione per ordine del giudice”. In ogni momento, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ed anche in sede di giudizio d’appello, valutate la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, il giudice “ può disporre

l’esperimento del procedimento di mediazione”, che diverrà condizione di procedibilità della

domanda. Il legislatore ha così introdotto una nuova forma di mediazione obbligatoria accanto a quella ope legis. Sulla mediazione delegata si segnala FANELLI, “Interferenze” ancor più

qualificate tra mediazione e processi dopo il c.d. “decreto del fare” e la lege n. 98/2013., in

www.judicium.it, 2014; MARINARO, La “doppia” obbligatorietà della mediazione, in

www.diritto24.ilsole24ore.com, 2013.

7La novella ha reintrodotto nell’ordinamento il caso del tentativo di mediazione obbligatorio,

seppur con efficacia limitata ai quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. La disposizione, già presente nel d.lgs.28/2010, era stata fatta oggetto di pronuncia di incostituzionalità per eccesso di delega (Cort. Cost., sent. 272/2012). Il suo reinserimento è stato possibile alla luce del fatto che la Consulta non ha pronunciato nel merito sugli altri dubbi di costituzionalità sollevati, ritenendoli assorbiti dal richiamo agli artt. 76 e 77 Cost., in virtù

dell’ordine logico d’esame delle questioni.

8 “In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, deve essere dichiarata

l’illegittimità costituzionale dell’art.5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli

artt. 76 e 77 Cost.”. Per approfondimenti sulla sentenza si veda LUISO, L’eccesso di delega della mediazione obbligatoria e le incostituzionalità consequenziali, in Società, 2013, 76 e ss.;

PAGNI, Gli spazi ed il ruolo della mediazione dopo la sentenza della Corte 6 dicembre 2012,

n. 272, in Corr. Giur., 2013, 2, 262 e ss.

9 Si tratta del c.d. “decreto del fare”, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio

(6)

legislatore delegato ha disciplinato la “mediazione finalizzata alla

conciliazione” alla stregua di un’attività altamente procedimentalizzata10,

basata sui principi desumibili dall’ art. 311 del d.lgs.: l’autonomia

regolamentare, la riservatezza, la garanzia d’imparzialità e competenza del mediatore e l’informalità. Nel decreto un’apposita disposizione, l’art. 8, è dedicata al “procedimento”, disciplina che è stata completata dal

D.M. n.180/2010, soprattutto nella parte in cui si occupa del regolamento di procedura degli organismi di mediazione. Parte della dottrina12 ricollega la struttura procedimentale espressa nel decreto, al rapporto che il legislatore delegato italiano, sulla scia di quello europeo, ha creato tra

la “mediazione” e la “conciliazione”. Secondo l’art. 1 del d.lgs., infatti, la mediazione costituisce null’altro che il mezzo13 al fine di realizzare

l’accordo conciliativo14, inteso come risultato eventuale e auspicato di quella. Tale rapporto strumentale implica che la mediazione sia

“costruita” in modo tale da agevolare il più possibile il raggiungimento

10In tal senso BOVE, Mediazione civile: una disciplina poco liberale che richiede una visione legata agli interessi, in Guida al diritto, 2010, 13, 13 il quale afferma che “il legislatore mosso

in origine dall’opportuna esigenza di disciplinare l’istituto in modo da renderlo più appetibile, ha finito per regolarlo guardando, impropriamente, all’esigenza di risolvere le inefficienze della giustizia statale”; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non

vanno, in Foro it., 2010,V, 147; FABIANI, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, in Società, 2010, 1142.

11 Art. 3 (Disciplina applicabile e forma degli atti)

Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell'organismo scelto dalle parti. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell'articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico.

Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.

La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell'organismo.

12Vedi TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, in www.judicium.it, 2011, § 1; IMPIGNATIELLO, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti inwww.judiucium.it, 2011, § 1.

13La mediazione costituisce “l’attività comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e

finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con la formulazione di una proposta per la risoluzione

della stessa” (art.1, lett. a) del d.lgs.28/2010 così come riformato dal d.l. 69/2013).

14 La conciliazione è definita come “la composizione di una controversia a seguito dello

(7)

dell’accordo conciliativo15. Persino il legislatore comunitario nell’art. 3 della direttiva 2008/52/CE16 del 21 maggio 2008, che ha rappresentato

l’antecedente del d.lgs. 28/2010, definisce la mediazione come “procedimento strutturato”. La mediazione sembra quindi svilupparsi

come procedimento17, ma è certo che non possa essere costruita come un vero e proprio processo; ben diversi infatti sono la struttura e gli scopi. La giurisdizione implica una risoluzione delle liti con un atto impositivo, la sentenza, che riesce a dirimere le controversie sul piano della fondatezza giuridica delle pretese avanzate dalle parti grazie

all’intervento di un terzo con poteri di giudizio, mentre la mediazione,

come anche le altre ADR (alternative dispute resolutions), in particolare se di carattere negoziale, consente di arrivare ad un accordo risolutivo nel pieno rispetto della volontà delle parti. Si è sottolineato18 come nella mediazione oggetto di analisi siano i bisogni e gli interessi delle parti in conflitto. Si tratta di una procedura negoziale il cui esito positivo è

favorito dall’assistenza di un privato, il mediatore, il cui ruolo diverge sia da quello del giudice quanto da quello dell’arbitro. Il d.lgs. n.28/2010,

grazie anche alle recenti modifiche operate dal c.d. “decreto del fare”, offre un modello talora fin troppo forzatamente avvicinato alle

15La distinzione tra “mediazione” e “conciliazione” ha chiarito definitivamente la portata dei due termini che, nel tempo, avevano assunto significati diversi e contrastanti. Per approfondimenti si rinvia a PUNZI, Mediazione e conciliazione, cit.

16 Si veda in proposito GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal

processo o dal diritto? (Riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE), in Riv.dir.proc., 2009, 357 e ss.

17SANTAGADA, La mediazione, Torino, 2012, 124 sostiene l’applicabilità delle categorie di

processo e procedimento al di fuori dell’attività giurisdizionale, trattandosi di schemi normativi di teoria generale utilizzabili in qualsiasi settore dell’ordinamento. L’attività di mediazione è

descritta come scandita da una fase di avvio della procedura, una fase di durata di questa, fino alla sua conclusione. Si tratta di momenti disciplinati in modo tale da evidenziare quella concatenazione di norme tipica del procedimento. Si sostiene la riconducibilità dell’attività conciliativa anche allo schema processuale, ritendo applicabile, se pur non in senso tecnico e con forme quantitativamente e qualitativamente ridotte rispetto al processo giurisdizionale, il principio del contraddittorio potendo ciascuna parte precisare, in perfetta parità, le rispettive pretese e ragioni.

18 MENICHINO, Commento all’art. 1, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Castagnola A. e Delfini F. (a cura di), Padova, 2012, 15.

(8)

dinamiche del processo19, in controtendenza rispetto alle linee ispiratrici della direttiva n. 2008/52/CE. Parte della dottrina20sembra enfatizzare la

necessità dell’inserimento di una ritualità nella mediazione allo scopo di

assicurare alcune garanzie minime per la tutela dei diritti, a condizione che questo non determini un eccessivo ingabbiamento di una procedura che deve ritenersi comunque fondata sull’aspetto volontaristico. Lo

scopo di questo elaborato è quello di affrontare l’analisi delle possibili

contaminazioni che il legislatore ha creato tra il procedimento di mediazione e alcune strutture tipicamente processuali, partendo dalla

valutazione dei presupposti tipici dell’istituto in esame e descrivendo gli

aspetti fondamentali della ritualità della nuova mediazione civile e

commerciale, anche attraverso un’analisi diretta dei regolamenti di alcuni

tra i più rilevanti organismi di mediazione21, operanti principalmente a

livello nazionale, con l’obiettivo di valutare se e in che misura l’autonomia regolamentare sia in grado di risolvere i problemi

interpretativi della normativa e supplire ai silenzi del legislatore.

19Critico sull’eccessiva “processualizzazione” della mediazione SCARSELLI, La mediazione e la conciliazione: le cose che non vanno, cit..

20Per tutti GHIRGA, ult. op. cit., 371.

21La scelta è stata determinata da una consultazione del sito del Ministero della Giustizia e da

un’approfondita ricerca operata tramite internet, valutando anche il numero delle

(9)

CAPITOLO I

LE REGOLE SPECIALI DEL PROCEDIMENTO DI

MEDIAZIONE

SOMMARIO: 1. L’informalità del procedimento di mediazione. - 2. L’autonomia regolamentare degli organismi di mediazione. – 3. Il dovere di riservatezza; la disciplina prima della riforma. - 3.1. Il dovere di riservatezza alla luce del d.lgs. 28/2010. – 3.2. La riservatezza esterna ed interna: le sessioni separate. - 3.3.

L’inutilizzabilità come attuazione della riservatezza. – 3.4. Il segreto professionale e le

garanzie del mediatore. – 4. La ragionevole durata del procedimento di mediazione.

1. L’informalità del procedimento di mediazione.

Il d.lgs. 28/2010 dedica alla disciplina del procedimento di mediazione la

normativa espressa all’interno del capo II. Una delle principali caratteristiche della procedura viene individuata nella previsione dell’ art. 3, comma 3 in cui si afferma che “gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”. Si tratta di una regola che

mira a creare un riequilibrio rispetto alle esigenze di

procedimentalizzazione, presenti nel decreto, fortemente criticate da quella parte della dottrina che considera la mediazione come uno strumento volto a favorire la diffusione di modalità alternative e deformalizzate per la risoluzione delle controversie22. La norma in esame non solo chiarisce come gli atti compiuti durante la mediazione non siano soggetti a particolari formalità, ma sottrae lo stesso procedimento

dall’applicazione delle norme del codice di procedura civile in tema di

tassatività e strumentalità degli atti (art. 156 c.p.c.)23e di estensione della nullità (art. 159 c.p.c.). Il principio di estensione è tale per cui, nel

22 BOVE, Luci ed ombre nella legge-quadro sulla mediazione, in La mediazione per la

composizione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011 il quale ritiene improprio

parlare della mediazione come attività procedimentalizzata, come accade quando i litiganti sono soggetti per legge (giurisdizione statale) o si assoggettano per contratto ad una attività di normazione concreta altrui. Nella mediazione, invece, la norma concreta che risolve il conflitto e che presiede ai comportamenti futuri, è atto delle parti e non del mediatore.

23Art. 156 “1.Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. 2. Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. 3. La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

(10)

processo civile, la nullità assoluta non sanata di un atto si riverbera sugli atti successivi fino alla sentenza finale, che dipende da tutti gli atti che

l’hanno preceduta. La validità della decisione del terzo, vincolante per le

parti a prescindere dal loro consenso, è quindi subordinata al rispetto delle regole formali e procedurali previste dal legislatore. Nella

mediazione, la regola espressa dall’art. 3, comma 3 ha come effetto quello di far in modo che l’eventuale accordo conciliativo raggiunto, e su

cui le parti hanno espresso il loro consenso, sia immune dal mancato rispetto delle regole procedimentali previste dalla legge o dal

regolamento dell’organismo24. Si può legittimamente ritenere che la violazione di dette regole, non causando nullità, produca mera irregolarità; che tali irregolarità, salvo il caso in cui determinino un vizio

nella formazione del consenso, non inficiano la validità dell’accordo raggiunto; che l’invalidità dell’accordo conciliativo possa essere

determinata solo dalle cause che, secondo la disciplina civilistica,

comportano la nullità (artt. 1418 e ss. c.c.) o l’annullabilità di un contratto (artt. 1425 e ss. c.c.); che, se l’accordo non fosse raggiunto, l’irregolarità della procedura potrebbe essere valutata dal giudice del

successivo processo per escludere il prodursi degli effetti ex artt. 8, ultimo camma25, e 13 (in materia di spese processuali). L’informalità procedurale, espressa nella norma in esame, comporta oltretutto che non sussistano regole giuridiche che vincolano il mediatore al rispetto di una data procedura; questi potrà gestire secondo la sua discrezionalità la propria attività, in particolare non vi sono regole vincolanti che

24 IMPIGNATIELLO, op.cit., § 2; LUISO, Diritto processuale civile, vol.V, cit., 27 il quale afferma che “le regole che disciplinano il procedimento di mediazione… servono a favorire la

conclusione dell’accordo: il loro mancato rispetto rende più difficile tale conclusione. Ma se l’accordo è raggiunto nonostante che il mediatore non abbia rispettato quelle regole, esso è

perfettamente valido, perché le parti hanno avuto comunque la possibilità di valutarne la convenienza, prima di vincolarsi ad esso”.

25Norma che attribuisce al giudice la possibilità di desumere argomento di prova ex art. 116 c.p.c. dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione.

(11)

impongano modalità di audizione delle parti, tempistiche o turni di intervento di queste o numero di incontri26.

2. L’autonomia regolamentare degli organismi di mediazione.

Il comma 1 dell’art. 3 afferma che “al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti”27. Per definire il concetto di “organismo” e, nel doveroso rispetto delle finalità individuate dal legislatore comunitario28, è stato previsto un complesso sistema di soggetti abilitati allo svolgimento di tale procedura. Possono infatti fornire questo servizio solo organismi di mediazione inscritti

presso l’apposito albo29 tenuto dal Ministero di giustizia il cui

regolamento, atto interno dell’organismo stesso, depositato unitariamente

al codice etico, sia stato approvato dallo stesso Ministero30, comunicandone ogni successiva variazione (art.16 comma 3 d.lgs. n. 28/2010). Gli enti abilitati a svolgere la mediazione possono essere pubblici o privati (per esempio società a responsabilità limitata, associazioni), oppure organi o articolazioni interne degli enti medesimi (ad esempio camere di conciliazione istituite dalle Camere di

commercio) che abbiano un’adeguata capacità finanziaria e organizzativa

26MARUCCI, Commento all’art. 3, in La mediazione per la composizione delle controversie

civili e commerciali, cit., ha evidenziato come nella mediazione non esista una fase istruttoria

in senso tecnico e che il mediatore è libero di esaminare o no prima dell’incontro con le parti la documentazione prodotta. Per l’autore, nel caso in cui al mediatore sia chiesto di formulare una

proposta conciliativa tale esame dovrebbe ritenersi necessario.

27 La scelta del legislatore è stata quella di disciplinare “a maglie larghe” il procedimento, evitando che troppi formalismi ne impedissero un fluido funzionamento (così TISCINI, Il

procedimento di mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, cit.).

Tali esigenze autoregolamentative sono pienamente in linea con i principi indicati nella legge delega, che a loro volta richiamano la normativa comunitaria e quella in materia di conciliazione societaria. Nella Relazione illustrativa del d.lgs. 28/2010 il legislatore conferma questa sua scelta.

28 L’art. 4 della direttiva comunitaria 2008/52/CE prescrive che gli Stati membri devono garantire la qualità della mediazione grazie all’elaborazione di codici di condotta, il controllo

della qualità dei servizi di mediazione e la formazione dei mediatori.

29La disciplina dell’albo degli organismi è contenuta nel capo II del D.M. n. 180/2010. 30Per approfondimenti circa le modalità di iscrizione, cause di sospensione o di cancellazione dal registro, vedi MINELLI, SANTI, Commento all’art.16, in La mediazione per la

(12)

e siano in grado di svolgere l’attività di mediazione in almeno due

regioni italiane o due province della stessa regione, anche attraverso accordi con altri organismi (art. 4 comma 2 del D.M. 180/2010). Gli

organismi istituiti dai consigli dell’ordine degli avvocati hanno il

privilegio di poter utilizzare locali del tribunale a loro assegnati dal presidente. Il legislatore pare voler assicurare snellezza e informalità del

procedimento, rimettendo la disciplina di dettaglio all’autonomia

regolamentare dei singoli organismi, ma tale impressione si rivela inesatta ad un più attento esame della disciplina31. Il contenuto del regolamento, infatti, è ricostruibile dal combinato disposto degli artt. 3,

8, 16 del decreto e dall’art.7 del D.M. 180/201032. Il legislatore ha previsto che il regolamento debba garantire la riservatezza33 del

procedimento nonché “modalità di nomina del mediatore che ne

assicurino l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico” (art. 3, comma 2 d.lgs. 28/2010). L’imparzialità del mediatore34 si sostanzia nel dovere di questo di avere un atteggiamento equidistante e neutrale nei confronti delle parti in lite; l’ulteriore obbligo

al corretto e sollecito adempimento dell’incarico si concretizza nel fatto

che il professionista sia tenuto ad una rigorosa esecuzione del

regolamento dell’organismo. L’art. 7 del D.M. n. 180/2010 si occupa di

disciplinare alcuni aspetti del contenuto del regolamento di procedura, distinguendo tra regole che obbligatoriamente deve prevedere, e regole meramente facoltative. Gli elementi puramente discrezionali sono enucleati nel comma 2 dell’art. 7; in particolare è lasciato alla libera

determinazione dell’organismo, l’inserimento di regole attinenti al

dovere del mediatore di convocare in ogni caso le parti (comma 2 lett.

31 Si veda ARMONE, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali:

risoluzione negoziale delle liti e tutela giurisdizionale dei diritti, in Società, 2010, V, 619.

32 Tale decreto è stato parzialmente modificato dal D.M. n. 145 del 6 luglio 2011. 33La disciplina del dovere di riservatezza è contenuta nell’art. 9 del d.lgs. 28/2010. 34Per approfondimenti infra capitolo 2.

(13)

a.)35; che la formulazione della proposta ai sensi dell'articolo 1136 del decreto legislativo, possa provenire da un mediatore diverso da quello che ha condotto la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti intendono offrire al mediatore proponente; che il mediatore possa formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione (comma 2 lett. b.)37 .E’ altresì discrezionale la regola per cui l’organismo possa avvalersi di strutture

del personale e di mediatori di altri organismi con cui abbia raggiunto un accordo38; “nonché di utilizzare i risultati delle negoziazioni

paritetiche39 basate su protocolli di intesa tra le associazioni

riconosciute ai sensi dell'articolo 137 del Codice del Consumo e le imprese, o loro associazioni, e aventi per oggetto la medesima

controversia” (comma 2 lett. c.). Rientra ancora nelle facoltà

dell’organismo, la possibilità di prevedere nel suo regolamento la

formazione di elenchi separati di mediatori, che si distinguano per

35 La norma non deve esser letta nel senso di ritenere che il mediatore possa astenersi dal sentire le parti; tanto che risulta essere regola implicita per un positivo esito del conflitto quando siano presenti nel procedimento. Significa piuttosto che il regolamento può sia imporre al mediatore una convocazione personale delle parti, che lasciargli la libertà di procedere secondo le modalità che ritiene più opportune. Vedi TISCINI, cit..

36 Art.11 comma 1 così come riformato dal decreto n. 69/2013: “Se è raggiunto un accordo

amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui

all'articolo 13”.

16Se tali previsioni regolamentari dovessero mancare, la proposta di mediazione potrebbe provenire unicamente dal mediatore della procedura e solo in presenza di tutte le parti.

17La possibilità che si creino associazioni tra organismi non rappresenta una vera novità dal momento in cui la legge n. 580/1993, come modificata in seguito al d.lgs. n. 23/2010, sul

Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, prevede

all’art. 2 comma 2 che la possibilità di costituire commissioni arbitrali e conciliative per la

risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti, sia realizzata dalle camere di commercio sia singolarmente che in forma associata.

39 Vengono definiti negoziazioni paritetiche, gli accordi stipulati dalle associazioni di consumatori con talune imprese. Tali accordi prevedono che, nel caso di controversia tra un

cliente e l’impresa, il cliente potrà rivolgersi ad una associazione che abbia stipulato un

accordo con la stessa impresa, in modo che un rappresentante dell’associazione dei

consumatori e uno dell’impresa negozino una soluzione. L’accordo raggiunto può essere o meno accettato dal cliente; solo in poche casi, risulta vincolante per quest’ultimo.

(14)

specializzazione nelle materie giuridiche (comma 2 lett. d.). Si tratta di una previsione che appare opportuna tenuto conto che, anche nelle procedure di risoluzione conciliativa della lite, potrebbe essere richiesto un alto grado di specializzazione. Tale criterio può costituire anche il riferimento per circoscrivere l’ambito d’operato dello stesso organismo

che può prevedere che la sua attività sia “limitata a specifiche materie

chiaramente individuate”. Nel comma 4 dell’articolo in esame si fa divieto al regolamento di prevedere come unica modalità di accesso alla mediazione la procedura telematica40. Quest’ultima disposizione deve

essere letta in combinato disposto con l’art. 3, comma 4 del d.lgs. 28/2010 che afferma: “La mediazione può svolgersi secondo le modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo”, e con la disciplina dell’art. 16, comma 3, che stabilisce che le procedure

telematiche eventualmente utilizzate debbano garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. La mediazione può quindi svolgersi secondo tali modalità, purché il regolamento preveda

possibili strade alternative. Il comma 5 dell’art. 7 del D.M. 180/2010

elenca gli elementi che obbligatoriamente devono essere previsti

all’interno di un regolamento di procedura: l’inizio del procedimento è

subordinato alla sottoscrizione da parte del mediatore della dichiarazione di imparzialità comma 5 lett. a.); al termine del procedimento di mediazione a ogni parte deve essere consegnata idonea scheda per la valutazione del servizio (comma 5 lett. b.)41; la possibilità di

40Tale divieto trova una sua giustificazione alla luce della giurisprudenza comunitaria espressa nella sentenza della Corte di giustizia della Comunità Europea del 18 marzo 2010 (C-317/08),

che ha stabilito l’illegittimità delle conciliazioni esclusivamente telematiche, poiché se l’accesso alla procedura fosse possibile solo per via informatica, diverrebbe impossibile o

troppo difficoltosa per i soggetti che non dispongono di tali strumenti. La Corte ha espresso detto principio solo in riferimento ai casi di conciliazione obbligatoria.

41Il modello di scheda deve essere allegato al regolamento. Si ritiene che la valutazione dovrà riguardare sia il servizio di gestione amministrativa della procedura da parte della segreteria,

sia la qualità dell’attività svolta dal mediatore. Le schede dovranno poi essere trasmesse per via

telematica al responsabile della tenuta del registro presso il Ministero della giustizia, con

(15)

designazione del mediatore di comune accordo tra le parti, al fine di

venir investito dall’organismo (comma 5 lett. c.). Infine vi sono le lettere

d. ed e., introdotte con il D.M. n.145/2011, che sanciscono rispettivamente che, nei casi di cui all’art. 5, comma 142 del d.lgs., il

mediatore debba svolgere l’incontro con la parte istante anche senza la

partecipazione della parte chiamata in mediazione, e la segreteria può

rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all’esito del

verbale di mancata partecipazione di questa e di mancato accordo, e che

si prevedano dei criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di

mediazione predeterminati, e rispettosi della specifica competenza del mediatore designato, desunta dalla tipologia di laurea posseduta. Il primo

comma dell’art. 7 prevede che il regolamento indichi il luogo di

svolgimento del procedimento, derogabile con consenso di tutte le parti,

del mediatore e del responsabile dell’organismo. Da ultimo i commi 6 e

7, prevedono che il regolamento garantisca il diritto di accesso delle parti agli atti del procedimento di mediazione, custoditi dal responsabile

dell’organismo in apposito fascicolo, e che impedisca comunicazioni

riservate delle parti al solo mediatore, eccetto quelle effettuate durante le sessioni separate. Tra la disciplina enunciata nel regolamento, e quella individuata nelle norme di legge dovrebbe esserci perfetto coordinamento, dato che ogni possibile diversità dovrebbe essere rilevata al momento del controllo da parte del Ministero prima di inserire

l’organismo nell’apposito albo. Sul rapporto tra il singolo regolamento e

il d.lgs. 28/2010 si ritiene43che, in caso di contrasto, dovrebbero

42Si trattava della norma di elencazione delle materie in cui vigeva la mediazione obbligatoria,

come condizione di procedibilità del processo. Del comma in esame è stata dichiarata

l’illegittimità costituzionale con la sent. n. 272/2012, ma il legislatore ha reintrodotto tali

ipotesi al comma 1-bis dell’art. 5 con l’art. 84, comma 1, lett. B), del d.l. 69/2013.

43Sul punto, NELA, Il procedimento, in La mediazione civile e commerciale, C. Besso (a cura

di), Torino, 2010, 274 e 275, il quale ritiene che il legislatore accompagni al regolamento di ciascun organismo, norme in tema di procedimento che si sovrappongono a quelle del regolamento o completandole, quando le norme legali si occupano di aspetti non disciplinati dai regolamenti, o derogandovi, quando dettino regole in contrasto con quelle dei regolamenti

(16)

prevalere le norme di legge, ma non si può escludere che la volontà regolamentare, frutto dell’autonomia privata, debba rendersi compatibile con previsioni di legge apparentemente contrarie.

3. Il dovere di riservatezza; la disciplina prima della riforma.

In mancanza di espresse previsioni di legge si deve escludere che il comportamento tenuto dalle parti durante il tentativo stragiudiziale di mediazione, possa essere valutato dal giudice in sede processuale, ai fini della soccombenza; non si può però nemmeno ritenere che, in assenza di una specifica previsione, quanto detto o fatto nel procedimento non possa essere trasformato in materiale istruttorio, dato che non si può costituire una causa di inammissibilità probatoria non prevista dalla legge44.

L’importanza della riservatezza nel procedimento di mediazione è

strettamente legata al fatto che, al fine di raggiungere un accordo tra le parti in lite, queste devono essere libere di manifestare i loro reali interessi nei confronti di un soggetto, il mediatore, nella convinzione che quanto a lui riferito non potrà essere utilizzato a proprio pregiudizio nella eventuale e successiva fase giudiziale45. Prima del d.lgs. 28/2010 non esisteva però una disciplina che imponesse al mediatore un dovere di riservatezza e che determinasse eventuali sanzioni a suo carico in caso

d’inadempienza, per cui tale dovere poteva unicamente provenire da un

accordo tra le parti o dalle previsioni del regolamento di procedura

dell’organismo, senza però che tali vincoli contrattuali potessero essere idonei ad escludere l’ammissibilità di una prova. Il primo intervento

legislativo sulla materia risale al d.lgs. 5/2003, sulla definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione accreditati. In questo ultimo caso, l’interprete deve, in linea di massima, applicare la nuova legge.

44BORGHESI, Prime note su riservatezza e segreto nella mediazione, inwww.judicium.it, § 1 45Parla di esigenza di salvaguardare la privacy delle parti, SANTI, Dovere di riservatezza, in

La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M. Bove,

(17)

finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, le cui ultime disposizioni sono state fatte oggetto di abrogazione proprio dal d.lgs.

28/2010. In particolare l’art. 40, comma 1, stabiliva che “ i regolamenti di procedura debbono prevedere la riservatezza del procedimento e modalità di nomina del conciliatore che ne garantiscano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico”; mentre al

comma 3 si prevedeva l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle parti

nel successivo ed eventuale giudizio promosso in caso di fallimento del tentativo di conciliazione, e si escludeva che esse potessero formare oggetto di prova testimoniale46. Le due disposizioni miravano a salvaguardare la spontaneità del comportamento tenuto dalle parti durante il tentativo di conciliazione, sia negando la divulgazione di dichiarazioni che la parte voleva mantenere riservate, sia escludendone

l’efficacia probatoria. Tali disposizioni pur non avendo portata generale,

hanno comunque il merito di aver disciplinato per la prima volta un aspetto che fino ad allora era lasciato alle previsioni dei singoli regolamenti di procedura degli organismi. Persino il legislatore

comunitario ha avvertito l’esigenza di garantire la riservatezza nell’abito

del procedimento di mediazione, tanto che nel considerando n. 23 della Direttiva n. 52/2008 ha riaffermato la centralità del principio e ha disposto la necessità di prevedere un grado minimo di compatibilità delle

norme procedurali con l’esigenza di riservatezza anche nel successivo procedimento giudiziale o di arbitrato. L’art. 7 della Direttiva prevede

che la mediazione debba aver luogo in modo da rispettare la riservatezza e per questo, gli Stati membri devono garantire che, salvo che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti siano obbligati a testimoniare nel successivo procedimento giudiziale o

46Sulla riservatezza nel tentativo di conciliazione in materia societaria si veda BORGHESI, La

(18)

arbitrale sulle informazioni risultanti o connesse con il procedimento di mediazione47.

3.1 Il dovere di riservatezza alla luce del d.lgs.28/2010.

Il legislatore delegato ha inserito nell’art. 3 del d.lgs. 28/2010 il principio di “riservatezza del procedimento” come elemento fondamentale che tutti i regolamenti degli organismi di procedura devono “in ogni caso” garantire. Detto principio trova poi la sua specificazione all’interno dell’art. 9 che ha rappresentato una grande novità rispetto alla disciplina

passata. Il dovere di riservatezza, infatti, non viene posto solo in capo al

mediatore, ma la portata della norma è tale da riguardare “chiunque

presti la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione”48 (Art. 9 comma 1). Sono sorti dei dubbi interpretativi circa la possibilità che tale dovere riguardi anche le parti in lite dato che la norma, ad litteram, non le considera tra i

soggetti passivi dell’obbligo. Parte della dottrina49 sostiene che la disposizione volutamente le esclude dal suo ambito applicativo, ferma la

47 La disciplina comunitaria individua due soli casi in cui l’obbligo di testimonianza torna a valere: che “ ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato

membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi

superiori dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una

persona” oppure “la comunicazione del contenuto dell’accordo risultante dalla mediazione sia

necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo”.

48L’ambito soggettivo dalla norma è capace di ricomprendere i dipendenti degli organismi di mediazione, gli ausiliari, gli esperti nominati nel corso del procedimento, gli avvocati che

assistono le parti. A tali soggetti il mediatore farà sottoscrivere un’apposita dichiarazione con

la quale questi si impegnano a mantenere il riserbo sulle informazioni e dichiarazioni di cui sono venuti a conoscenza durante il procedimento. L’art. 9 del Codice deontologico forense

sancisce espressamente che “è dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato

mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla

parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato”. E’ chiaro che

l’assistenza durante il procedimento di mediazione possa farsi rientrare nell’abito del mandato che una parte conferisce all’avvocato, ma l’art. 9 del d.lgs. 28/2010 disciplina, anche per il

professionista, in modo più specifico il dovere di riservatezza aggiungendosi a quello previsto nel Codice deontologico.

49 Si esprimono in tal senso BUBANI, Il principio di riservatezza nella mediazione, in La

nuova mediazione civile e commerciale, cit., 91; NOVIELLO, Il procedimento di mediazione delle controversie civili e commerciali, in www.comparazionedirittocivile.it, TISCINI, La

(19)

possibilità per le parti di disporre liberamente della loro privacy. La tesi è rafforzata dalla lettura della Relazione illustrativa al decreto ove si afferma che il dovere di riservatezza incombe su coloro che “svolgono la loro attività professionale o lavorativa presso l’organismo”. Il dovere di riservatezza, dato il carattere privato della procedura, è posto a tutela delle parti, che potrebbero quindi rinunciarvi abilitando gli organi di

mediazione a non rispettarlo nel caso specifico. Se poi si guarda all’art.

10 del decreto in esame, il dovere di riservatezza riferito alle parti sembra non essere postulato in via generale, ma si riferisce al giudizio che segue il tentativo di conciliazione fallito. Laddove invece fosse raggiunto un accordo è quantomeno dubbio che sulle parti incomba il medesimo obbligo50. C’è invece chi51, attraverso una lettura finalistica e non letterale della norma, ritiene che il dovere di riservatezza si estenda anche alle parti, portando a conferma della propria interpretazione il regolamento che il Ministero della giustizia ha realizzato come modello

per gli organismi che intendono ottenere l’accreditamento, nel quale,

anche sulle parti in lite, grava tale obbligo. La portata ampia e generale

della norma ed il fatto che il legislatore abbia evitato un’elencazione specifica dei soggetti destinatari dell’obbligo, viene ricollegata alla volontà di creare una serie di garanzie nell’ambito del procedimento di

mediazione, volte ad evitare che le parti possano subire pregiudizio nel corso del successivo processo52.

50 BORGHESI, Prime note su riservatezza e segreto nella mediazione, cit., LUISO, Diritto

processuale civile, vol. V, cit., 49 e 50, ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 667 .

51In particolare MENCHINO, Commento all’art.9, in La mediazione nelle controversie civili e

commerciale, cit., 179; è favorevole all’estensione SANTI, Commento all’art.9, cit., 254.

52SANTI, Commento all’art. 9, in La mediazione per la composizione delle controversie civili

(20)

3.2 La riservatezza esterna ed interna: le sessioni separate.

Il dovere di riservatezza esterno è previsto al comma 1 dell’art. 9 a

norma del quale tutti i soggetti che hanno partecipato al procedimento di

mediazione, hanno l’obbligo di non rivelare ed utilizzare

successivamente il contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite durante la procedura. La generale formulazione della norma permette di ricomprendervi non solo le dichiarazioni esplicitamente rese dalle parti, ma anche qualunque altra notizia di cui si

venga a conoscenza durante l’attività di mediazione. In questo modo il

legislatore ha superato la disciplina espressa nell’abrogato art. 40 del d.lgs. 3/2005, che limitava la portata del dovere alle sole dichiarazioni

“rese dalle parti”, lasciando impregiudicate quelle provenienti da terzi e

le altre informazioni comunque acquisite53. Risulta maggiormente innovativa la disciplina dell’art. 9 comma 254, che introduce il c.d. dovere di riservatezza interno. La norma in esame impedisce al mediatore di rendere edotta la parte delle dichiarazioni o delle informazioni di cui è venuto a conoscenza durante le sessioni separate, a cui ha fatto ricorso di sua iniziativa o su richiesta delle parti stesse. Secondo parte della dottrina55 , sebbene non si possa parlare in senso tecnico di processo quando ci si riferisce alla mediazione, bisogna garantire alle parti il rispetto del principio del contraddittorio e questo è reso possibile dal fatto che il dovere di riservatezza che incombe sul mediatore si pone nei confronti dei terzi, ma non verso le parti che hanno diritto di conoscere gli atti della procedura e ciò che emerge dalla stessa. 53BRUNIALTI, Dovere di riservatezza e segreto professionale nella mediazione, in Giustizia

civile, fascicolo 10, 2011; LUISO, La delega in materia di conciliazione e mediazione, cit..

54Art.9 comma 2 “Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle

sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti”.

55 BORGHESI, op.cit. § 3, il quale ritiene che nei procedimenti aggiudicativi tale principio serve a garantire che la decisione tenga conto delle posizioni delle parti in modo paritario,

mentre nella mediazione la ragion d’essere deve ravvisarsi quanto meno nel permettere alle

parti di prendere la loro decisione nel modo più informato e consapevole possibile; VIGORITI,

(21)

Il contenuto del comma 2 dell’art. 9 rappresenta senza dubbio un’eccezione a tale principio, salvo il caso in cui la parte dichiarante o

quella che ha fornito le informazioni, autorizzi il mediatore a riferirne alle altre. La tecnica delle sessioni separate, conosciute nella prassi come

caucases, permette al mediatore di ascoltare le parti in conflitto

separatamente, in modo da acquisire informazioni che il soggetto, in

presenza della “controparte”, non avrebbe rivelato per paura di

pregiudicare maggiormente la sua posizione. Tale modalità di operato, tipico solamente della mediazione e già presente nella prassi prima

dell’intervento legislativo, sembra rappresentare lo spazio più proficuo per la realizzazione dell’accordo, che in molti casi viene pregiudicato

dalle difficoltà comunicative o da situazioni di empasse che si creano tra le parti chiuse in un atteggiamento puramente difensivo, dato che quando il mediatore ascolta le parti separatamente, stabilisce con queste un rapporto di maggiore confidenzialità, potendo venire a conoscenza dei loro reali interessi e degli elementi su cui esiste disponibilità a conciliare. Dal momento in cui queste sono le funzioni principali delle sessioni separate, è solo la previsione di una garanzia di assoluto riserbo, come quella prevista dalla normativa, che permetterà alla parte di parlare liberamente con il mediatore. La riservatezza che deve essere mantenuta nei confronti di chi non ha preso parte agli incontri separati è tale per cui le informazioni ottenute non potranno essere utilizzate per la

formulazione dell’eventuale proposta conciliativa né nel verbale

conclusivo della mediazione. La dottrina individua numerosi ed irrinunciabili vantaggi legati alle sessioni private, non mancando però chi56 attribuisce a queste il rischio per il mediatore di perdere

l’imparzialità, caratteristica irrinunciabile della sua attività, schierandosi,

anche solo parzialmente a favore di una parte. A causa di questo pericolo 56 MENCHINO, Commento all’art.9, cit.,181. Il quale suggerisce che il mediatore ricorra a tale tecnica solo dopo aver sentito le parti in contraddittorio tra loro acquisendo così la loro fiducia.

(22)

è stata sostenuta l’opinione contraria a tali sessioni perché l’imparzialità

del mediatore viene considerata come garanzia fondamentale per

l’ottenimento del “diritto ad un’equa riparazione”57. Un ulteriore aspetto rilevante della disciplina riguarda la possibilità, espressamente prevista, per la parte dichiarante di autorizzare il mediatore a riferire il contenuto delle proprie affermazioni nei confronti degli altri partecipanti, rinunciando così alla tutela. Emerge che il diritto alla riservatezza interna è pienamente disponibile dalle parti, pur continuando a valere verso i terzi estranei alla procedura (art.9, comma 1). La norma tace rispetto alla modalità con cui debba manifestarsi il consenso del soggetto interessato e le opinioni in dottrina tornano nuovamente a dividersi: da un lato, sottolineando il principio di informalità a cui deve ispirarsi la procedura di mediazione, si afferma la validità di un consenso prestato in forma orale58; dall’altro si ritiene che un consenso prestato in forma scritta potrebbe offrire maggiori garanzie procedurali59. Appare opportuno che siano i regolamenti degli organismi di mediazione a prevedere le forme in cui le autorizzazioni dei soggetti interessati debbano manifestarsi. Un ulteriore aspetto problematico della disciplina riguarda la possibilità che il dovere di riservatezza si estenda al punto che nelle sessioni private, la parte oltre a dichiarazioni ed informazioni, possa fornire al mediatore

documenti a lui riservati. Il D.M. 180/2010 all’art. 7 comma 6 sancisce

57 GHIRGA, op. cit., 378, il quale afferma che “occorre che ogni aspetto della procedura

mediativa, e soprattutto quello attinente alla formulazione del suo ambito oggettivo, avvenga

alla presenza di entrambe le parti, che solo così possono tra l’altro controllare la neutralità e l’imparzialità del mediatore”.

58 SANTI, op. cit., 258, il quale ritiene che il mediatore, per tutelare la propria posizione, dovrebbe farsi rilasciare il consenso per iscritto, pur ravvisando in questo il pericolo di una eccessiva procedimentalizzazione .

59Afferma l’opportunità che la deroga al dovere di riservatezza sia espressa per iscritto anche il Consiglio Superiore della Magistratura nella Delibera del 4 febbraio 2010. Per il consenso scritto si esprime LUMPANO, La mediazione civile e commerciale, Besso (a cura di), cit., 340

che afferma “la norma non specifica in quale forma debba essere espresso il consenso alla

diffusione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite dal mediatore, ma sarebbe

opportuno ritenere che l’autorizzazione a riferire le informazioni debba essere data in forma

scritta, per evitare di non esporre il mediatore a responsabilità e al rischio di un ulteriore

conflitto nel caso di utilizzo dell’informazione riservata sia in mediazione, sia nel giudizio

(23)

comunque il diritto di accesso per le parti agli atti del procedimento di mediazione tra cui i verbali degli incontri, gli atti depositati dalle parti nelle sessioni congiunte e, per ciascuna parte, gli atti depositati nella sessione separata.

3.3 L’inutilizzabilità come attuazione della riservatezza.

Il dovere di riservatezza così come viene disciplinato dall’art. 9 del decreto, norma definita di natura sostanziale, trova una sua concreta

attuazione nel contenuto dell’art. 1060(rubricato Inutilizzabilità e segreto

professionale) che assume, invece, una portata più specificamente

strumentale61 . Anche tale disposizione trova nell’art. 40, comma 2, del d.lgs. 3/2005 il suo antecedente storico, pur essendovi tra le due norme

una importante differenza applicativa. La portata dell’art. 40 era tale da

riferirsi alle sole “dichiarazioni rese dalle parti nel corso del

procedimento” le quali “non possono essere utilizzate… nel giudizio

promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, né

possono essere oggetto di prova testimoniale”. La vecchia norma si

riferiva esclusivamente alle dichiarazioni che erano state rese dai soggetti direttamente coinvolti nella controversia, escludendo le dichiarazioni o le informazioni provenienti da altri, anche laddove avessero contenuto dati

60Art.10 “ 1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di

mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. 2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, ne' davanti all'autorità giudiziaria ne' davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili”.

61 Si ritiene che sia più corretto parlare di portata strumentale e non processuale dato che la portata applicativa dei due commi di cui si compone la norma è tale che possono trovare

attuazione non solo nel caso in cui all’insuccesso della mediazione segua un ordinario processo

di cognizione, ma anche se si avvii un procedimento di tipo arbitrale. Il secondo comma estende il principio del segreto professionale in capo al mediatore a qualunque procedimento anche davanti ad autorità non giudiziaria.

(24)

che le parti volevano mantenere lontano dal successivo giudizio. Il legislatore delegato, eliminando ogni espresso riferimento al concetto di

“parte”, ha voluto estendere la portata applicativa della corrente

disciplina ricomprendendovi, oltre che le dichiarazioni e le informazioni provenienti da questa, anche quelle dei soggetti che a qualunque titolo hanno partecipato al procedimento di mediazione o sono stati sentiti nel corso della procedura62. Ai sensi del comma 1 dell’art. 10 si afferma quindi l’inutilizzabilità63 delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione, ormai fallito, nel successivo giudizio64, purché abbia il medesimo oggetto, anche parziale65, a meno che non vi sia il consenso della parte dichiarante o da cui provengano le informazioni. Si è discusso circa la riconducibilità di tale divieto anche ai verbali di fallita conciliazione, ma il combinato disposto degli artt. 11 e 13 fa propendere per la loro inutilizzabilità a fini probatori. Il giudice potrebbe avvalersi dei contenuti della proposta, se le parti non sono riuscite a raggiungere un accordo, solo ai fini della decisione sulle spese66. Il divieto espresso dall’art. 10 ha come

62 LUPANO, La mediazione civile e commerciale, (a cura di) Besso, op.cit.; SANTI,

Commento all’art.10, op.cit., 262 il quale affama che “ il fatto che poi tali soggetti non

diventino parti processuali nel successivo giudizio… non implica di per sé l’utilizzabilità delle loro dichiarazioni, dal momento che tramite queste potrebbe in ogni caso trapelare ed entrare, a tutti gli effetti come oggetto del giudizio, tutto o parte di quanto avvenuto nella fase precedente a quella giudiziale e non andata a buon fine”.

63L’inutilizzabilità è una categoria giuridica presente nel nostro diritto processuale penale (art. 606 c.p.p.), mentre non se ne trova del rito civile una disciplina puntuale, anche se, grazie ad alcuni interventi legislativi e giurisprudenziali, è utilizzata con riferimento ad ipotesi molto diverse.

64 Secondo LUISO, op.cit., la riservatezza assume rilievo proprio quando la mediazione fallisce; al contrario non opera nel caso di raggiungimento dell’accordo. Non è immaginabile a quel punto, che l’accordo non sia utilizzato all’esterno e che, nel caso in cui sorga una

contestazione tra le parti in ordine a questo, non si possa far leva su ciò che è avvenuto nel procedimento di mediazione per ricostruire la comune volontà delle parti.

65 BORGHESI, op. cit., § 4, afferma che il divieto dovrebbe operare anche per le cause collegate a quella oggetto di mediazione con un vincolo simile a quelli della litispendenza o della continenza, perché il petitum e la causa petendi coincidono totalmente o parzialmente; mentre non opererebbe nel caso di semplice connessione o pregiudizialità tra la causa preannunciata nel procedimento di mediazione e quella dinnanzi al giudice.

66 SUDDU, Commento all’art.10, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali, cit., 187.

(25)

destinatari le parti, alle quali non sarebbe consentita l’allegazione di

dichiarazioni o di informazioni, e il giudice (o l’arbitro) che non potrà tenere di conto67 per la sua decisione di circostanze riservate che le parti stesse, in violazione della norma, abbiano dedotto.

La regola dell’inutilizzabilità non può essere interpretata nel senso di impedire alle parti di provare, con i mezzi consentiti dall’ordinamento, i

fatti costitutivi, estintivi o modificativi del diritto controverso. La

preclusione probatoria riguarda quindi solo l’allegazione e la prova del

fatto che la parte abbia reso una dichiarazione, non essendo ammissibile un limite alla prova del factum probandum, senza che ciò leda il diritto

d’azione o quello di difesa previsto all’art. 24 della Costituzione. I rischi

di una simile interpretazione possono essere ravvisati da un lato, nella capacità della mediazione di impedire, dal punto di vista sostanziale,

l’accesso alla giurisdizione ordinaria, dato che le parti non potrebbero

più introdurre le prove per ottenere la soddisfazione delle loro pretese e

dall’altro, nel fatto che la parte con più probabilità di soccombere nel

giudizio, potrebbe fare un uso strumentale della norma, estendendo al

massimo l’oggetto delle sue dichiarazioni. Restano fuori dall’ambito di

operato della disciplina i fatti di cui la parte abbia avuto conoscenza prima o indipendentemente dalla procedura di mediazione68.

L’applicazione della disciplina dell’inutilizzabilità può essere esclusa, seconda la formulazione dell’art. 10 comma 1, dal consenso della parte

dichiarante o dalla quale provengono le informazioni69, rinunciando a questa forma di tutela della riservatezza; consenso che, trattandosi di 67 Neppure desumendo da queste argomenti di prova ex art.116 c.p.c.. SANTAGADA, La

conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, 292; TISCINI, La mediazione civile e commerciale, cit., 61 e ss., la quale afferma che, senza una specifica disposizione, il giudice

non può trarre argomenti di prova da comportamenti extraprocessuali.

68CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione, in Riv. dir. proc., 2010, 626 e ss.; SODDU, op. cit., 189; DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla “mediazione finalizzata

alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, inwww.judicium.it, § 5.

69 Nella formulazione dello schema del d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri del 28 ottobre 2009 si richiedeva un accordo tra le parti al fine di escludere l’operatività della

(26)

diritti disponibili, può essere precedente, contestuale o successivo allo svolgersi del procedimento di mediazione ed essere attinente alla totalità delle dichiarazioni o delle informazioni, ovvero riguardare solo alcune di esse. Stando alla lettera della norma, la parte interessata potrebbe, ottenuto il consenso del terzo dichiarante, allegare circostanze riservate senza il consenso della controparte. La dottrina70ha ritenuto ammissibile tale possibilità nel caso in cui il terzo fosse stato una parte del procedimento di mediazione e come tale titolare del diritto alla

riservatezza, mentre l’ha esclusa per le dichiarazioni o le informazioni

fornite dal mediatore o da altri soggetti che abbiano prestato il loro servizio durante il tentativo di conciliazione. Si fonda tale impostazione sul fatto che altrimenti al mediatore sarebbe attribuita la disponibilità del diritto alla riservatezza, mentre questi, in funzione della disciplina

dell’art. 9, deve considerarsi come destinatario dell’obbligo in funzione del ruolo da questi svolto. Il comma 1 dell’art.10 sancisce che le

dichiarazioni rese o le informazioni acquisite non possono essere fatte oggetto di prova testimoniale né potrà essere deferito giuramento decisorio, in modo che non possano entrare nel giudizio attraverso questi mezzi di prova. A parere di alcuni autori71, l’inammissibilità della prova testimoniale e del giuramento decisorio non sarebbe derogabile neppure con il consenso delle parti. L’aspetto più problematico legato a tale disposizione è rappresentato però dal fatto che il legislatore non annovera tra i mezzi di prova inammissibili, se aventi lo stesso oggetto,

l’interrogatorio formale delle parti e il deferimento del giuramento suppletorio. Riguardo quest’ultimo, parrebbe comunque inammissibile, anche se c’è chi72 nutre dei forti dubbi sull’idea stessa di deferire un

giuramento su dichiarazioni o informazioni; per il giuramento decisorio 70DANOVI, Per uno statuto giuridico del mediatore, in Riv. dir. proc., 2011, 788; SODDU,

op. cit.,190.

71MAIETTA, op. cit., 97. 72BORGHESI, op. cit, § 4.

(27)

si ritine che le dichiarazioni o informazioni non possono coincidere con i fatti costitutivi, impeditivi o modificativi del diritto controverso,

rappresentando tutt’al più fatti secondari dai quali si dimostra la

veridicità di quelli primari; per il giuramento suppletorio si afferma che tali dichiarazioni o informazioni non possono essere considerate dal giudice ai fini dalla semiplena probatio (art. 2736 comma 1, n. 2).

Rispetto all’interrogatorio formale si ritiene doverosa un’interpretazione

estensiva della norma, perché tale strumento potrebbe essere in grado di determinare la confessione della parte, non in modo spontaneo, e potrebbe avere ad oggetto dei fatti coperti da riservatezza73. Laddove, non rispettando la disciplina in esame, nel successivo giudizio fosse assunta la testimonianza, o deferito giuramento decisorio, tali prove dovrebbero considerarsi illecite e quindi inutilizzabili dal giudice ai fini

della sua decisione. C’è chi sostiene che l’inutilizzabilità dovrebbe essere

sollevata con eccezione dalla parte, escludendone la rilevabilità d’ufficio, dato che il diritto alla riservatezza è pienamente disponibile dalle parti stesse74; mentre altri preferiscono un’interpretazione più rigida,

escludendo comunque l’utilizzabilità del giuramento o della

testimonianza anche se le parti non dovessero aver sollevato la relativa eccezione, dato che queste possono sì disporre del diritto sostanziale alla riservatezza , ma non anche delle regole processuali sulla formazione della prova75.

73 In tal senso si esprimono BORGHESI, op. cit., § 4 il quale ritine che la disciplina della riservatezza del d.lgs.28/2010, fornisca alla parte sottoposta ad interrogatorio, un “giustificato motivo” per non rispondere; FABIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo,

in Società, 2010; SANTI, op. cit., 265; SODDU, op. cit., 191 e 192. Di contrario avviso DITTRICH, op.cit., § 5 il quale ritiene ammissibile l’interrogatorio formale come mezzo per

ottenere “la prova della confessione stragiudiziale resa dalla controparte in sede di tentativo

di mediazione”.

74 LICCI, op. cit., che ritiene che “così come le parti devono manifestare la loro volontà se

intendono consentire l’utilizzo delle dichiarazioni, altrettanto faranno in giudizio se non

vogliono che il contenuto delle stesse possa essere rivelato dai testimoni”.

Riferimenti

Documenti correlati

3. informare i soggetti ospitanti della necessità che le richieste da parte delle scuole di coprogettazione dei percorsi di alternanza scuola lavoro siano sempre

Come il Codice di procedura penale (ZKP), anche la Legge sulla protezione dei testimoni (ZZPrič) fornisce agli informatori protezione e anonimato nei procedimenti penali

5 ( 41 ), per cui la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e che, dalla stessa data, la domanda di mediazione

E’ infatti vero che, in questo caso, il compito cui è chiamato il CTU nella mediazione non presenta differenze di rilievo rispetto a quello svolto dallo stesso nel giudizio,

L'auivazione, a decorrere dal giorno 17 novemhre 2014, della trasmissione dei dacumellli informatici (c.d. Processo Civile Telematica), presso il Tribunale di Verona, o norma

Organizzazione del Convegno in collaborazione con la Struttura didattica territoriale di formazione decentrata della Corte di Appello di Roma. L’incontro è aperto ai Magistrati

Sig.ra Rosa Alba Garofalo - info.personale@golgiredaelli.it - PEC: area.personale@pec.golgiredaelli 53 Area Personale

L’incontro è aperto alla partecipazione di docenti universitari, avvocati, tirocinanti, studiosi e operatori