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L’ingresso trionfale di Atreo

2. Elementi prefatori nel Thyestes

5.1 Il banchetto

5.1.1 L’ingresso trionfale di Atreo

Atreo entra in scena già trionfante: la sostituzione degli dèi è quasi completa (vv. 885-9):

Aequalis astris gradior et cunctos super Altum superbo vertice attigens polum.

Nunc decora regni teneo, nunc solium patris.

262 Hor. AP 89-91 263 Cf ibid. 264

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Dimitto superos: summa votorum attigi. Bene est, abunde est, iam sat est etiam mihi.265

Aequalis, in positio princeps di questo discorso d’ingresso, ha significativamente un valore semantico principale “alla stessa altezza”, ma anche uno simbolico secondario con cui si intende un’identità di status e di livello. Le stelle sono considerate spesso parte del pantheon degli dèi, quindi non è difficile percepire in questa frase d’apertura anche il paragone che Atreo fa tra sé e gli dèi di cui ormai ha raggiunto il livello.

Finalmente sente di aver messo in sicurezza il regno: l’avversario sta per essere annichilito e tramite questa perversa prova è convinto infine della sicurezza della paternità della propria stirpe. Il suo potere, finora reso incerto e vacillante dall’adulterio di Tieste, è stato ristabilito. Ora Atreo possiede gli ornamenti del potere, quali lo scettro e la corona, a un livello più profondo di quello semplicemente materiale, ora il potere è veramente nelle sue mani. Anche l’utilizzo del verbo teneo caratterizza in maniera diametralmente opposta Atreo e il fratello: Atreo, esperto manipolatore in controllo di ogni cosa, è soggetto di teneo, mentre più avanti Tieste affermerà di essere posseduto dalla sazietà e dall’ebbrezza (v. 973): Satias dapis me nec minus Bacchi tenet266. Ancora una volta Tieste è in balia degli eventi, mentre Atreo ha il fermo controllo.

Atreo è infine degno del trono paterno (solium patris), sia perché ha confermato il proprio potere, ma soprattutto perché si è dimostrato all’altezza della caratteristica fondamentale del padre, il dolus.

Dimitto superos è una frase concisa che sottolinea il processo di sostituzione degli dèi e di rivoluzione dei valori in atto. Gli dèi, or ora raggiunti, sono congedati: Atreo non ha più bisogno di loro, dal momento che è in grado egli stesso di esaudire i propri desideri ormai. Boyle scrive a riguardo (p. 393): “Atreus has no need of gods to implement his desires; he

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“Alla stessa altezza degli astri incedo e al di sopra di tutti / toccando con la mia testa superba l’alto cielo. / Ora posseggo gli onori del regno, ora il trono del padre. / Gli dèi congedo: ho toccato la cime dei miei desideri.”

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is himself a god who has fulfilled his own prayers.” Tarrant dà un’interpretazione leggermente diversa, ma che non nega la possibilità di questa lettura come secondaria: Tarrant spiega dimitto superos con la frase successiva summa votorum attigi e sostiene che Atreo congedi gli dèi perché non ne ha più bisogno, avendo ormai ottenuto quello che vuole dalle sue preghiere (votorum). Questo termine è importante perché si riferisce a un tipo specifico di preghiera del mondo religioso romano: la preghiera con la quale si promette qualcosa in cambio di una grazia da parte della divinità, quindi una preghiera che prevede un rito in cambio del favore degli dèi. È l’ennesima prova che Atreo sente tutte le sue azione come fortemente connotate in senso religioso: la sua intenzione è sempre stata quella di celebrare un rito, rispettando la liturgia in modo che gli dèi fossero costretti ad ascoltarlo e, eventualmente, a esaudirlo.

Il tiranno è soddisfatto della celebrazione e sta per mettere fine al rito (v. 889: bene est, abunde est) in maniera non dissimile dalla Furia nel prologo (v. 105: Actum est abunde). Egli ha usato le stesse parole nella stessa posizione metrica al v. 279 quando il concepimento della vendetta ha posto fine alla fase preliminare di preghiera e ispirazione del secondo atto.

Però qui subentra una tipica caratteristica tantalide propria anche dell’animo di Atreo: l’insaziabile fame. L’atavica caratteristica è declinata in maniera differente rispetto a quella dell’avo: mentre Tantalo è perennemente affamato perché non può più raggiungere il cibo, Atreo lo è perché non può raggiungere la sazietà, niente è mai abbastanza per lui, nemmeno il nefas. Questo è anche un riflesso della sua inclinazione a superare i limiti umani e, nello specifico, a superare i limiti della sua stirpe. Atreo non riesce a fermarsi e ha intenzione di continuare (vv. 890-5):

Sed cur satis sit? Pergam et implebo patrem Funere suorum. Ne quid obstaret pudor, dies recessit: perge dum caelum vacat. Utinam quidem tenere fugientes deos

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Possem, et coactos trahere, ut ultricem dapem Omnes viderent – quod sat est, videat pater.267

Atreo non si arresta e ciò è fondamentale in un’opera in cui è tematico il superamento dei limiti e dei vincoli umani, come testimonia il continuo comparire del verbo pergere: due volte qui a breve distanza, ma già usato dalla Furia per spingere l’ombra di Tantalo a contaminare il palazzo (v. 23 Perge) e dal giovane Tantalo per convincere il padre a proseguire sulla via del ritorno (v. 490 perge). Il verbo impleo recupera ancora il prologo e un altro dei temi fondamentali, quello della fame/sazietà. È già stato usato dalla Furia per spingere l’ombra di Tantalo a contaminare il palazzo dei Pelopidi (v. 53).

Atreo nuovamente sottolinea la situazione che si è venuta a creare: il cielo è vuoto, gli dèi sono stati sostituiti, questo gli permette di agire in piena libertà. Venendo meno gli dèi infatti, viene meno con loro il sistema di valori e regole che rappresentano: pertanto, ciò che era considerato empio diventa lecito per Atreo che non riconosce più la loro autorità. Atreo vorrebbe addirittura trattare gli dèi come suoi sottoposti e costringerli ad assistere al banchetto che ha messo in atto. Il fatto che Atreo vorrebbe trascinare gli dèi per costringerli ad assistere al suo banchetto dimostra che questo non è terminato, ma è ancora in corso di svolgimento. Il banchetto viene definito ultricem, aggettivo spesso associato con le Furie.

Ritorna l’uso del verbo tenere con soggetto Atreo, che possiede il controllo totale della situazione. Il ripetersi del verbo videre porta con sé un valore metateatrale cui l’opera fa più volte riferimento.

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