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Riferimenti sacrali e rituali

2. Elementi prefatori nel Thyestes

2.3 Elementi prefatori e linguaggio rituale: la preghiera di Atreo

2.3.3 Riferimenti sacrali e rituali

Anche questo atto è permeato, necessariamente aggiungerei, dal linguaggio rituale-sacrale. Innanzitutto ritroviamo l’interiezione age (v. 192) di cui abbiamo già parlato nel primo capitolo130. Nello stesso verso si trova quella che può essere considerata una velata anticipazione dell’empietà del rito. Infatti Atreo afferma che vuol fare quod nulla posteritas probet, ciò che nessuna posterità possa approvare, ma probo è anche un verbo che fa parte del lessico rituale. Infatti la scelta della vittima prevedeva un’ispezione per controllare che l’animale fosse privo di difetti esteriori e degno di essere sacrificato: questo momento era la probatio victimae.131 Qui Atreo anticipa che non ci sarà alcuna probatio per le vittime che ha scelto, infatti nessuno potrebbe accettare dei bambini come vittime sacrificali, specialmente se parte della famiglia; quindi questo sacrificio si pone come empio sin dal principio, dalle sue intenzioni. Forse è un accenno alla stessa ambientazione sacrilega anche il seguente sed nulla taceat in quanto infrange una delle condizioni basilari del rito, il silenzio necessario allo svolgimento. Per ottenere il silenzio infatti si usava un flautista il cui compito era di coprire eventuali rumori nefasti. Questa

129 Cf. ILS 154, 10-2 130 Cf supra 131

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situazione è ribaltata: nessuno riuscirà a non parlare, quindi ci sarà grande caos, condizione normalmente avversa al sacrificio, ma auspicata da Atreo. Infine che si tratta di un nefas lo esplicita lo stesso Atreo subito dopo: aliquod audendum est nefas (v. 193). Nefas ritorna al v. 265: fiat hoc, fiat nefas in cui, oltre al macroscopico riferimento al mondo religioso implicito in questa parola, si può forse cogliere un’altro collegamento con esso nell’uso di fiat, in quanto il verbo della praefatio è facere/fieri132

, come dimostrano anche i resoconti dei Fratres Arvales.133

Il linguaggio sacrale è ripreso in tutta la sua ambiguità dal sacer del v. 231 che definisce l’arcanus aries. Il senso di tale aggettivo è notoriamente ambiguo, qui, come in tutta la tragedia, il sacro è qualcosa di isolato, da cui gli uomini devono essere tenuti separati, come dimostra la specificazione successiva del fatto che l’ariete pascola in parte.

Al v. 244 compare un verbo dalla fortissima connotazione sacrale: macto.134 Questo verbo, che secondo le etimologie popolari dovrebbe condividere la radice con magis e magmentum, è un termine tecnico per l’uccisione sacrificale.135 Originariamente significava glorificare gli dèi, probabilmente con il significato di “essere accresciuto”. Infatti l’orante prega affinchè il sacrificio possa dare vigore al dio in modo che questi possa soddisfare le sue richieste. Poiché ciò si otteneva tramite il sacrificio, è passato a significare l’uccisione sacrificale, e poi l’uccisione in generale, ma ha sempre mantenuto un riflesso del suo percorso evolutivo conservando una sfumatura di sacralità anche nel significato di “distruggere, uccidere.”136

Tale verbo è usato abitualmente nelle preghiere antiche trasmesseci da Catone.137

Penitus al v. 261 può rimandare un fruitore colto al mondo della religione privata, se ancora era percepita la parentela di questa radice con Penates.138 Questo riferimento sarebbe anche consono al contesto in quanto si parla di uno sconvolgimento (volvit), che è in atto sia nella casa dei Pelopidi che in ambito religioso. Il tema dello sconvolgimento è

132

Cf. 2.1

133 E.g. CIL VI 2114 1. 12-3: ture et vinum fecer<unt>. 134

Cf. Cic. Vatin. 6. 14; Ser. Ad Aen. IV, 57

135

Cf. Virg. Ge. 3. 489; Ernout-Meillet s.v. mactus.

136 Cf. Cic. Pis. 16; Virg. Aen. 10. 413; Sen. Ag. 219. Torna ancora nel Thyestes al v. 713. 137 Cato De agri cultura 139, 141.

138

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ripreso subito dopo, ai vv. 264-5: moti lares/ vertere vultum139. Seneca usa lares quattordici volte a significare domus140, ma qui si riferisce esplicitamente agli dèi del focolare, come in altri casi141. Così facendo caratterizza con tratti di romanità questa famiglia greca,142 mentre denota ancora lo sconvolgimento e della domus e dell’ordine religioso.

Adsisto (v.276) è un verbo che ritorna tipicamente nelle richieste delle preghiere, come in Hercules Furens 86 ss. e nel passo iniziale già studiato della Medea al verso 13.143 È interessante riscontrare che in entrambi i casi ci sia un riferimento a un contesto infero e alle Furie, sempre sotteso nella trama del Thyestes.

Abunde est (v. 279) non sappiamo se fosse lessico rituale, ma sicuramente Seneca l’ha già usato nel prologo per indicare il termine del rito di contagio che ha eseguito per mezzo di Tantalo (Actum est abunde, v. 105). Anche qui Atreo ha terminato, ha finalmente risolto il suo problema, ha ottenuto l’ispirazione e ora sa come deve agire. Dal punto di vista della Furia e di Atreo, anche questa preghiera, questo momento del rito, ha ottenuto buon esito, si è concluso positivamente.

Altri termini della sfera sacrale sono preces (v. 299) e prece commovebo (v. 302). Su quest’ultima espressione c’è innanzitutto da segnalare un problema filologico. Al v. 302 i codd. PTCSV (=A) hanno praecommovebunt, mentre E ha prece commovebo e i recentiores hanno prece movebunt.144

Zwierlein predilige la lezione di E, Nenci145 afferma di seguirlo anche se a testo scrive praece commovebo (sic). Nenci critica la lezione di A poiché le sembra forzato il passaggio di preces oggetto di spernet a soggetto di praecommovebunt. Tarrant invece difende la lezione di A e segnala che praecommovere, per quanto non attestato altrove,

139 Cf. Lucano 1. 556-7.

140

Cf. e.g. Med. 224, Oed. 258.

141

HF 917, Phoen. 344, Ag. 392a.

142Cf. sull’argomento Picone, Il significato politico di alcuni anacronismi nel Thyestes di Seneca. 143

HF 86 Adsint ab imo Tartari fundo excitae/ Eumenides, ignem flammae spargant faces,/ viperae saevae

verbera incutiant manus.

144 Cf. Monteleone, Sentieri ermeneutici, p.148 n.62; Tarrant ad l.; Zwierlein, L. Annaei Senecae Tragoediae,

p.305.

145

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rimanda a una costruzione comune sia in Seneca che nella letteratura latina146. Inoltre per Tarrant l’unicità di questo termine è un’altra prova a favore della sua autenticità dal momento che difficilmente un interpolatore avrebbe osato inventarla.

Mi limito a segnalare che nella descrizione del sacrificio della porca precidanea di Catone147 si trova commoveto (134. 2) e commovenda (134.3). Non intendo dare maggiore importanza a questa possibile affinità sia perché il testo di Catone viene corretto in ommoveo dalla maggior parte degli editori sia per i problemi filologici del testo di Seneca sopra riportati. Nondimeno l’esistenza di tale possibile analogia va segnalata e presa in considerazione.

Ci sono ancora due termini che possono riferirsi anche all’ambito del sacrificio. Essi sono magister (v. 311) e minister (v. 308, 326 e 333). Il magister era colui che si poneva a capo del sacrificio, anche se non agiva necessariamente sul piano fisico; il sacrificante, non il sacrificatore. La base religiosa della parola è confermata dall’Ernout-Meillet che sotto la voce magis recita: “Le mot, dont le sense général est “maitre, chef”, appartient d’abord à la langue du droit e de la religion: m. sacrorum, m. Arvalium”.

Per quanto riguarda minister, anche in questo caso dobbiamo confrontarci prima con un problema filologico. Al v. 326 E presenta patrisciens mentre A patris cliens. Fratri sciens a testo è congettura di Bentley. La lezione di E, se scissa, non è impossibile, ma dato che Atreo non sarà presente all’incontro, fratri si adatta di più ad adsit di patri. Soprattutto, come nota la Nenci,148 è coerente con il contesto sacrale di cui ormai sappiamo essere impregnata la tragedia. Infatti il sacrificio prevedeva la presenza di un sacerdos, di un minister149 e di attendenti. Ai vv. 691 ss. viene messo in risalto il fatto che non ci siano diverse persone a ricoprire questi ruoli, ma il solo Atreo. In questo momento del rito invece, Atreo si prefigura come il sacerdos che dirige il rito; Agamennone, primogenito, come il minister che tratta la vittima, e Menelao come l’attendente che assiste (adsit). Dunque Atreo, scegliendo o meno di far collaborare i propri figli, sta scegliendo se farli partecipare a un rito cerimoniale. La sfumatura sacrale data al contesto dall’uso del

146

Praedomare Sen. Ep. 1. 13. 27; praecompositus Ov. Fas. 6. 634, praeconsumere Met. 7.489,

praedelassare Met. 11. 731. 147 Cato, De agri cul. 134 148 Nenci, p. 134-6 n. 54. 149

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termine minister è comunque indipendente dall’aver accolto o meno la congettura di Bentley.

In effetti, come ministri, i figli di Atreo accompagneranno la processione che condurrà Tieste e i suoi figli ad Argo.

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