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L’interrogatorio di Mnesiloco ad Agatone

2. Intorno alle Tesmoforiazuse di Aristofane: il travestimento tragico nella Commedia Attica

2.2.2. Travestimento tragico, paratragico e tragicomico: meccanica e teoria

2.2.2.1. L’interrogatorio di Mnesiloco ad Agatone

Il tenore metateatrale e paratragico della scena di Agatone οccorrente nelle

Tesmoforiazuse – in linea con il carattere generale e complessivo della commedia,

esplicito fin dalla presenza tra le dramatis personae di due autori teatrali attivi sulle medesime scene di Aristofane13 – emerge già dal ricorso di Euripide ad apposizioni

che dichiarano il professionismo del più giovane collega, “compositore” e “maestro di tragedie” [Thesm. 30; 88] ed è ribadito dall’impiego, per l’ingresso e l’uscita di scena del poeta, dell’espediente lessicale e/o scenοtecnico dell’ἐκκύκληµα, di chiara derivazione tragica14. Questa trovata propone nuovamente un’analoga soluzione ricorrente nella scena di Euripide e Diceopoli negli Acarnesi di Aristofane (primo allestimento 425 a.C.), e rappresenta uno tra i precedenti a consentire la lettura sinottica dei due momenti comici, come proposto e argomentato più dettagliatamente in seguito.

A ingresso avvenuto, Mnesiloco produce e registra testualmente un inventario dei materiali scenici che accompagnano Agatone, elencando un eterogeneo insieme di capi di vestiario, strumenti musicali, articoli da palestra e da toeletta, armi di sua pertinenza, localizzati plausibilmente entro l’orbita prossemica più vicina al personaggio, disposti indosso e attorno a questi [Thesm. 137-140].

Il primo tentativo di riconoscimento dell’identità di Agatone operato da parte del parente di Euripide attraverso un processo descrittivo di scomposizione logica e decodifica della sua σκευή subisce dapprima una brusca battuta di arresto. L’incertezza di Mnesiloco di trovarsi davanti a un uomo o a una donna – da cui già la menzione della cortigiana Cirene [Thesm. 97-98] e la contraddizione di genere tra l’appellativo maschile e il pronome femminile nel sintagma di apostrofe ὦ νεανίσκ' ἥτις εἶ [Thesm. 134] – si fonda sul riscontro di τάραξις τοῦ βίου, “disordine, confusione di vita” per la presenza simultanea, all’interno del composito apparato a

12 Sull’ingresso di Agatone e la scena in generale, ex all., Muecke 1982; Zeitlin 1996, 375- 416; Sissa 2012; Imperio 2016.

13 Sui poeti tragici come personaggi comici, ex all., Marelli 2006; Tammaro 2006.

14 Sull’ἐκκύκληµα e sul suo impiego aristofaneo, ex all., Di Benedetto, Medda 1997, 22-24, 32-33; Mastromarco, Totaro 2006, ad loc.; Bonanno 2006.

corredo del personaggio, di attributi riferiti per tradizione e consuetudine tanto alla sfera maschile – due strumenti musicali a corda (βάρβιτος, λύρα), un’ampolla per gli olî (λήκυθος), una spada (ξίφος) – quanto a quella femminile – una veste color zafferano (κροκωτός), una reticella per il capo (κεκρύφαλος), una fascia reggiseno (στρόφιον), uno specchio (κάτοπτρον).

Il caotico assemblaggio produce così un risultato all’apparenza incoerente e vistosamente incongruo, ulteriormente complicato a seguito del riscontro, da parte di Mnesiloco, di assenza di attributi specifici, tanto anatomici (pur relativi al corpo scenico alias posticcio del personaggio), – il fallo (πέος) versus i seni (τιτθία) – quanto costumistici – mantello da uomo (χλαῖνα), calzature spartane maschili (Λακωνικαί) – che dichiarino inequivocabilmente il genere da assegnare ad Agatone.

L’interrogatorio condotto dal parente di Euripide si apre con l’esplicita menzione della Licurgia di Eschilo [Thesm. 134-135], una tetralogia perduta di cui fanno parte gli Edoni, tragedia cui appartiene il passaggio riportato da Mnesiloco, secondo l’informazione glossata in uno scolio ad locum15. Nella tragedia, l’apostrofe presa a

prestito da Mnesiloco è rivolta al dio Dioniso, temporaneamente prigioniero del re di Tracia – una situazione sostanzialmente analoga, pur con variazioni, a quanto attestato nelle Baccanti di Euripide (primo allestimento 403 a.C.), come di seguito approfondito:

τὴν τετραλογίαν λέγει Λυκουργίαν, Ἠδωνοὺς, Βασσαρίδας, Νεανίσκους, Λυκοῦργον τὸν σατυρικόν. λέγει δὲ ἐν τοῖς Ἠδωνοῖς πρὸς τὸν συλληφθέντα Διόνυσον «ποδαπὸς ὁ γύννις;» [= Aesch., F 61 Radt]

Dice [scil. Mnesiloco] la tetralogia Licurgia, composta dagli Edoni, dalle

Bassaridi, dai Giovani e dal satiresco Licurgo. Dice [scil. Licurgo] negli Edoni, riferendosi a Dioniso imprigionato “da dove arriva questo

effeminato?”

[Σ Vet. Thesm. 135 Dübner]

Un altro frammento, riferito da Radt alla medesima tragedia, presenta una costruzione sintattica analoga al ductus per coppie antinomiche rilevabile nel prosieguo della battuta di Mnesiloco: τί δ’ ἀσπίδι ξύνθηµα καὶ καρχησίῳ; “che cosa c’entra lo scudo con la coppa?” [Aesch., F 61a Radt = CPG Suppl. 1, 41] = τί βάρβιτος λαλεῖ κροκωτῷ; τί δὲ λύρα κεκρυφάλῳ; τί λήκυθος καὶ στρόφιον; […] τίς δαὶ κατόπτρου καὶ ξίφους κοινωνία, “che cosa c’entra il barbitos con la veste color zafferano? Cosa la lira con la reticella per i capelli? Cosa, ancora, l’ampolla per gli olî della palestra con la fascia per tenere su il seno? … Cos’hanno in comune spada e specchio?” [Thesm. 137-140]. Il confronto permette di estendere l’apporto tragico oltre la menzione esplicitamente dichiarata, e di riferire già al modello eschileo di riferimento l’impianto strutturale e tematico che caratterizza il segmento comico.

Nei TrGF Radt estende la citazione tratta verbatim dagli Edoni fino a comprendere per intero Thesm. 135, includendo così anche τίς πάτρα; τίς ἡ στολή, “qual è la sua terra d’origine? Che cosa significa il suo costume?”. Il verso, nella ricostruzione complessiva proposta dall’editore, condensa e sintetizza così altri luoghi eschilei di più ampio respiro, impostati sugli stessi motivi.

Tra questi, si vedano le battute pronunciate da Pelasgo dopo il suo ingresso in scena nelle Supplici di Eschilo, riferite al singolare aspetto del Coro delle Danaidi, frutto della commistione di elementi di costume e attrezzeria noti, dunque riconoscibili, e sconosciuti in quanto estranei. Anche in questo caso l’alterità delle straniere è rapportata in primis alla provenienza geografica, come denota l’impiego dell’aggettivo in genere neutro ποδαπὸν in funzione avverbiale e interrogativa:

Πε. ποδαπὸν ὅµιλον τόνδ' ἀνελληνόστολον πέπλοισι βαρβάροισι κἀµπυκώµασι χλίοντα προσφωνοῦµεν; οὐ γὰρ Ἀργολὶς ἐσθὴς γυναικῶν οὐδ' ἀφ' Ἑλλάδος τόπων. […] κλάδοι γε µὲν δὴ κατὰ νόµους ἀφικτόρων κεῖνται παρ' ὑµῶν πρὸς θεοῖς ἀγωνίοις· µόνον τόδ' Ἑλλὰς χθὼν συνοίσεται στόχῳ.

Pelasgo: da dove viene questa folla di gente non greca, superba di vesti e

ornamenti barbarici sul capo, cui rivolgiamo le nostre parole? Di certo non un abito di donne argive, né di alcun altro luogo della Grecia. … Eppure

accanto a voi giacciono ramoscelli, per gli dèi riuniti, secondo l’uso dei supplici: soltanto questo fa pensare alla terra greca.

[Su. 234-243 Murray]

Il riferimento indiretto a Dioniso rintracciato nell’interrogatorio di Mnesiloco amplia di connotazioni paratragiche ciò che in prima istanza, nell’attribuzione dell’identità ad Agatone per tramite degli σκεῦη che costituiscono la sua σκευή, si configura come secca opposizione binaria tra i generi maschile e femminile. Nell’insieme dei materiali teatrali che traducono scenicamente il carattere ambiguo e non definito del poeta, l’elemento che opera da termine medio tra l’autore tragico e il dio e legittima la citazione eschilea è con tutta probabilità rappresentato dalla veste color zafferano, il κροκωτός.

Capo d’abbigliamento femminile teatrale per eccellenza [LSJ, sub voce], il κροκωτός è adoperato, fra gli altri, a proposito di personaggi di genere fluido come l’eroe Ceneo (già Cenis, giovane Lapitessa amata da Poseidone e da questi trasformata in un uomo) nell’omonima commedia di Araros, figlio di Aristofane, stando alla testimonianza presente in Polluce, significativamente allineata alla sostanza lessicale relativa al travestimento di Agatone:

θύσανοι δ' οἱ καλούµενοι κροσσοί [...] καὶ αὐτοὶ δ' οἱ κροσσοὶ δοκοῖεν ἂν ὠνοµάσθαι, Ἀραρότος εἰπόντος ἐν Καινεῖ ‘παρθένος δ' εἶναι δοκεῖ, φορῶν κροσωτοὺς καὶ γυναικείαν στολήν’ [= Araros, F 4 Kassel-Austin]· ἔνιοι γὰρ οὕτω γράφουσιν ἀντὶ τοῦ κροκωτούς.

Le nappe sono chiamate krossoi … alcuni ritengono che debbano essere chiamate krossoi, come diceva Araros nel Ceneo: “sembrava una fanciulla, con indosso krossoi e un abito da donna”. Alcuni infatti scrivono così in luogo di krokotous [da cui “sembrava una fanciulla, con indosso vesti color zafferano e un costume da donna”].

[Poll. 7.64-65 Bethe]

Il medesimo capo di abbigliamento, ancora, rappresenta uno degli elementi costitutivi del costume teatrale di Dioniso nella tradizione comica e tragica attica: “the

only men who wear the κροκωτός are Dionysus and effeminates” [Stone 1981, 174].

Indirettamente suggerito come µέρος del costume dionisiaco negli Edoni di Eschilo dalla citazione paratragica presente nelle Tesmoforiazuse, il κροκωτός è menzionato in uno dei frammenti del perduto Dionisalessandro del commediografo Cratino tra i componenti della στολή del dio, in un elenco di articoli che comprende anche il καρχήσιον, un vaso potorio già notato nel F 61a Radt dagli Edoni:

A. στολὴν δὲ δὴ τίν' εἶχε; τοῦτό µοι φράσον. | Β. θύρσον, κροκωτόν, ποικίλον, καρχήσιον,

A: Che costume indossava? Dimmelo! | B: Un tirso, una veste color

zafferano, un abito variopinto, una coppa.

[Cratinus, F 40 Kassel-Austin]

La validità di tale informazione, ancora, è avvalorata e registrata anche nel già citato paragrafo sul travestimento teatrale dell’Onomasticum: Διόνυσος δ' αὐτῷ [scil. τῷ κροκωτῷ] ἐχρῆτο καὶ µασχαλιστῆρι ἀνθινῷ καὶ θύρσῳ, “la porta Dioniso [scil. la veste color zafferano], insieme a una fascia fiorata e a un tirso” [Poll. 4.116.8-117.2 Bethe]. A seguito di questi e analoghi confronti, è possibile dunque intendere il costume femminile di Agatone in senso dionisiaco e pienamente paratragico.

Sulle implicazioni di questa relazione si fonda la congettura avanzata da Roscher, una proposta di normalizzazione testuale a sostituzione del tràdito λύρα, “lira” [Thesm. 138] con δορὰ, “pelle, pelliccia”, ovviando all’apparente ridondanza data dalla presenza di due strumenti musicali simili – una βάρβιτος è menzionata al verso precedente – nell’apparato di oggetti a corredo di Agatone con l’introduzione di un altro, differente attributo. L’emendazione di Roscher, pur non necessaria, non è parimenti priva di spunti meritevoli di menzione. La pelle screziata (δορὰ) è invero attestata insieme al tirso come σκεῦος | γνώρισµα di Dioniso nel primo verso dell’Ipsipile di Euripide, riportato per bocca dello stesso compositore nelle Rane di

Aristofane (primo allestimento 405 a.C.)16:

Ευ. Διόνυσος, ὃς θύρσοισι καὶ νεβρῶν δοραῖς καθαπτὸς ἐν πεύκῃσι Παρνασσὸν κάτα πηδᾷ χορεύων,

Εuripide: Dioniso, che con indosso tirsi e pelli di cerbiatto, tra fiaccole

preme col piede danzando presso il Parnaso.

[Ra. 1211-1213 = Eur., F 752 Kannicht]

Proprio nelle Rane, commedia interamente fondata su strategie metateatrali e caratterizzata da una rilevante successione di segmenti paratragici, il κροκωτός occorre, insieme ai κόθορνοi, specifiche calzature, tra gli elementi di cui si compone il costume di Dioniso.

Intenzionato a recarsi nell’Ade, accompagnato dal proprio servo “portapacchi” Xantia, allo scopo di trarne via Euripide, in avvio di commedia il dio fa il suo ingresso camuffato da Eracle. Con buona probabilità, questa trovata comica riprende in parodia una soluzione in scena nel Piritoo, tragedia frammentaria la cui paternità è contesa tra Euripide e Crizia, che prevedeva il semidio tra le sue dramatis personae, nell’Oltretomba per catturare Cerbero e assolvere così l’ennesima fatica impostagli da Euristeo, una cornice mitica e narrativa entro cui s’inseriva l’incontro con l’eroe titolare Piritoo, punito con l’imprigionamento per aver tentato, insieme a Teseo, di rapire Persefone17.

Interpellato da Dioniso al fine di ottenere indicazioni di viaggio, plausibilmente in scena accompagnato dagli attributi tradizionali che lo connotano, l’“autentico” Eracle reagisce al maldestro spettacolo offerto dalla presenza del proprio doppio, visualizzando tramite registrazione verbale il travestimento erculeo indossato da Dioniso al di sopra del suo proprio, consueto “costume”: Ηρ. Ἀλλ' οὐχ οἷός τ' εἴµ' ἀποσοβῆσαι τὸν γέλων ὁρῶν λεοντῆν ἐπὶ κροκωτῷ κειµένην. Τίς ὁ νοῦς; Τί κόθορνος

16 Le citazioni testuali delle Rane seguono l’edizione Dover 1993. Eventuali discostamenti

sono segnalati ad locum. Altre edizioni e commenti consultati: Coulon, Van Daele 1928; Paduano 1998; Mastromarco, Totaro 2006.

καὶ ῥόπαλον ξυνηλθέτην; “Eracle: Ma non riesco a trattenere le risate, vedendo la pelle di leone stesa su una veste color zafferano… Qual è il senso? Perché il coturno va insieme con la clava?” [Ra. 45-47].

Nella battuta di Eracle sopra riportata è possibile evidenziare alcuni tratti formali e sostanziali già rilevati in merito all’interrogatorio condotto da Mnesiloco ad Agatone. Il costume erculeo è sintetizzato nella clava e nella pelle di leone, attributi tradizionali d’invenzione stesicorea, secondo la notizia tarda riportata da Ateneo (II- III d.C.) – οἱ νέοι ποιηταὶ κατασκευάζουσιν ἐν λῃστοῦ σχήµατι µόνον περιπορευόµενον, ξύλον ἔχοντα καὶ λεοντῆν καὶ τόξα· καὶ ταῦτα πλάσαι πρῶτον Στησίχορον τὸν Ἱµεραῖον, “i nuovi poeti lo rappresentano [scil. Eracle] andandosene in giro da solo, in costume da brigante, fornito di clava, pelle di leone e arco; gli stessi affermano anche che il primo a plasmarlo in questa guisa fu Stesicoro di Imera” [Deipnosophistae 12.6 Kaibel] – riferiti al semidio anche a teatro, e come tali catalogati da Polluce nel già citato elenco di costume properties che costituiscono i µέρη τραγικῆς ἀνδρείας σκευῆς, le “parti del costume tragico maschile” [Poll. 4.117.4-118.1 Bethe].

Sul versante iconografico, la clava e la pelle di leone corredano l’interprete erculeo di un dramma satiresco su uno fra i più celebri monumenti ceramografici di argomento teatrale, il cratere attico a volute a figure rosse, eponimo del Pittore di Pronomos, proveniente da Ruvo di Puglia, datato alla fine del quinto secolo e conservato a Napoli18 [Fig. 1]. La pelle di leone, in particolare, è coinvolta in un interessante gioco di duplicazione, drappeggiata sul braccio e sulla spalla sinistri dell’attore e, ancora, presente sul capo della maschera sorretta da questi con la mano destra. L’aderenza e la fusione dell’interprete col personaggio, fisicamente realizzata per tramite dell’imposizione di maschera e costume, ancora, è epigraficamente segnalata dall’iscrizione οnomastica ΗΡΑΚΛΗΣ, distinguendo la figura da quella dei coreuti (già Satiri), accompagnati dai loro nomi propri19.

18 Napoli, Museo Archeologico Nazionale 81673 ex H3240. Beazley Archive Pottery Database Vase Number 217500, con relativa bibliografia. Ex all., Taplin, Wiles 2010.

19 Sul costume tragico nel cratere di Pronomos, ex all., Wyles 2007; Wyles 2010; Wyles 2013.

Nelle Rane, clava e pelle leonina male interagiscono con i coturni e la veste color zafferano: come Mnesiloco, così Eracle riscontra e manifesta l’incongruità e l’incoerenza dell’accordo tra i differenti materiali scenici concreti – erculei versus dionisiaci, virili ed eroici versus molli e femminili/effeminati – proponendo per clava e coturni un nuovo sintagma antinomico, formulare rispetto agli analoghi attestati nelle Tesmoforiazuse e negli Edoni.

Capovolgendo i termini dell’equazione semantica fin qui osservata, il carattere eccentrico dell’insieme stratificato di attributi indossato da Dioniso consente il riconoscimento dell’identità del suo possessore attraverso direttrici logiche a percorrenza biunivoca e diametralmente opposta. Scambiato per il vero Eracle camuffato – da Dioniso? Da donna? – e non viceversa, Dioniso subisce così il fraintendimento del suo travestimento, accusato e minacciato da due ostesse infernali per non avere onorato il conto di un’impegnativa “fatica” edifagetica e gastronomica: Πα. Αʹ Οὐ µὲν οὖν µε προσεδόκας, ὁτιὴ κοθόρνους εἶχες, ἂν γνῶναί σ' ἔτι, “Ostessa I: Pensavi forse che io, dato che indossi i coturni, non riconoscessi chi fossi?” [Ra. 556- 557].

La contrapposizione sulla scena di due “Eracli”, possibilmente dotati dei medesimi attributi caratterizzanti, testimonia per l’operazione di riconoscimento dell’identità tramite descrizione, scomposizione logica e decodifica del travestimento nei singoli costituenti che lo realizzano occorrente nelle Rane il ricorso congiunto di due dei meccanismi comici sopra enucleati, la presenza simultanea di elementi previsti e inattesi e la duplicazione di elementi esclusivi.

Quest’ultima risorsa costituisce il motore comico di un frammento del perduto dramma satiresco Inaco di Sofocle, costruito sulle implicazioni dell’appartenenza indispensabile di uno σκεῦος alla σκευή di un determinato personaggio, a garanzia del riconoscimento dell’identità e del ruolo da questi rivestito, una situazione possibilmente riecheggiata nell’ingresso ex machina di Iride negli Uccelli di Aristofane (primo allestimento 414 a.C.):

Πι. Αὕτη σύ, ποῖ ποῖ ποῖ πέτει; Μέν' ἥσυχος, ἔχ' ἀτρέµας αὐτοῦ· στῆθ'· ἐπίσχες τοῦ δρόµου. Τίς εἶ; Ποδαπή; Λέγειν ἐχρῆν ὁπόθεν πέτει. | Ιρ.

Παρὰ τῶν θεῶν ἔγωγε τῶν Ὀλυµπίων. | Πι. Ὄνοµα δέ σοι τί ἐστι; Πλοῖον ἢ κυνῆ; | Ιρ. Ἶρις ταχεῖα.

Pisetero: Tu, proprio tu, dove dove dove voli? Sta’ calma, fermati, non ti

muovere: rimani qui, frena la corsa! Chi sei? Di che regione? Di’ da dove vieni! | Iride: Io? Vengo da parte degli dèi dell’Olimpo! | Pisetero: E qual è il tuo nome? ‘Vascello’ o ‘Cappello’? | Iride: Iride veloce!

[Av. 1189-1204 Coulon, van Daele]

Nel passaggio riportato, costume e attributi di Iride si sovrappongono all’identità del personaggio che li indossa, sostituendosi a essa e determinandola onomasticamente: la messaggera divina è così ribattezzata da Pisetero in virtù delle sue vesti, gonfiate dal vento alla maniera di una vela, e del suo copricapo. Questo accessorio costituisce il termine medio tra l’operazione aristofanea e il precedente satiresco di Sofocle, come riportato in una glossa a corredo del testo:

κυνῆ δὲ, ὅτι ἔχει περικεφαλαίαν τὸν πέτασον, ὡς ὁ Ἑρµῆς ἄγγελος ὢν παρὰ Σοφοκλεῖ ἐν Ἰνάχῳ τῆς Ἴριδος «γυνὴ τίς ἥδε; κυκλὰς Ἀρκάδος κυνῆς.» [ = F 272 Radt] φασὶ δὲ καὶ κυνέαν τὸν πέτασον λέγεσθαι ἐν Πελοποννήσῳ.

“Cappello”, poiché indossa un petaso intorno alla testa; così Ermes, il messaggero, nell’Inaco di Sofoce [dice] di Iride: “Chi è questa donna, che porta un rotondo cappello arcade?”

[Σ Vet. Av. 1203 Dübner]

L’editore dello scolio riproduce il testo accogliendo la congettura avanzata da Toup. Questi corregge in κυκλάς la lezione manoscritta συληνᾶς, voce che riferisce a Iride un’azione prossima per etimo e morfologia a συλάω, da intendersi come “spoglio, sottraggo, porto via”. L’intervento di Toup è discusso nelle sue possibili accezioni da Pearson, il quale propone invece il recupero della lezione tràdita a seguito di minimi adattamenti formali e morfologici:

‘there’s a round Arcadian hat’. (2) κυκλάς may be an adjective, = ‘encompassed’ or ‘covered’. Neither supposition is quite satisfactory. […] Further, it may be inferred […] that both in Sophocles and in Aristophanes Iris appeared on the stage in a broad-brimmed hat […]. Such a head-gear, a travelling hat for a journey, would be appropriate to Iris in her capacity of messenger, being a variety of the πέτασος which was worn by Hermes […] If we might assume that γυνή was no part of the original text, it would be possible to read τίς ἥδε συλήσασὰ µ’ Ἀρκάδος κυνῆς, as if Hermes resented the appropriation of his own emblem.

[Pearson 1917, I.202-203]

Sulla soluzione ecdotica di Pearson è basata l’emendazione di Pfeiffer, συλὰς. Il verso così ricostruito – Ερ. γυνὴ τίς ἥδε, συλὰς Ἀρκάδος κυνῆς; “Ermes: Chi è questa donna, che ruba il cappello arcade?” – è accolto da Radt nei TrGF, e ancora da Lloyd Jones, che offre traduzione e commento in linea con la convincente contestualizzazione drammaturgica del frammento suffragata da Pearson:

‘Who is this woman, who has stolen the Arcadian cap?’ – It seems that Hermes, who was born in Arcadia, has sighted Iris, messenger of Hera, wearing a cap like his own, and jocularly accuses her of stealing it.

[Lloyd-Jones 1996, 272]

Come in generale l’intero interrogatorio di Agatone, così il confronto fra Dioniso/Eracle e le ostesse infernali, a sua volta, realizza sia pur indirettamente e parzialmente un ritratto dell’eroe in abiti da donna, dotando il computo dei materiali di scena che compongono il costume e il relativo processo di attribuzione dell’identità della combinazione, con differente gradazione d’intensità, dei meccanismi di presenza

simultanea e sostituzione fra elementi previsti ed elementi inattesi.

Il motivo di Eracle en travesti, individuabile in nuce al corrispondente passaggio delle Rane, non è estraneo alla drammaturgia attica. L’argomento di un perduto dramma satiresco, l’Onfale, ascritto a Ione di Chio, con tutta probabilità presentava al pubblico lo spettacolo del semidio schiavo della regina di Lidia, privato dei propri attributi tradizionali, sostituiti da altrettanti femminili: Οµφ. ἀλλ' εἶα, Λυδαὶ ψάλτριαι,

παλαιθέτων ὕµνων ἀοιδοί, τὸν ξένον κοσµήσατε, “Οnfale: Orsù, Arpiste di Lidia, voi che intonate canti antichi, agghindate l’ospite straniero!” [F 22 Snell]20.

Sul versante iconografico, lo scambio di costumi fra Eracle e la regina di Lidia occorre, stando a una delle possibili ipotesi di lettura e interpretazione, su una pelike attica a figure rosse, attribuita al Pittore Washing, proveniente da Nola, datata alla seconda metà del quinto secolo a.C. e conservata a Londra21 [Fig. 2].

L’impianto piramidale della scena, dalle direttrici simmetricamente convergenti verso l’asse verticale, occupato dagli involti della pelle di leone e dell’indumento femminile e prolungato dalla clava, conferma per posizione la centralità degli attributi nella raffigurazione. Fortissime, ancora, sono le analogie strutturali rilevabili tra questa immagine e la scena di vestizione di due coreuti in abiti femminili riprodotta su una pelike attica a figure rosse attribuita al Pittore della Phiale, proveniente da Cerveteri, datata alla seconda metà del quinto secolo a.C. e conservata a Boston22

[Fig. 3].

Anche in questo caso, la localizzazione degli effettivi materiali scenici, un involto di costume e una maschera, sottolinea il loro carattere non accessorio nell’economia della composizione iconografica, come assoluti comprimari e accessori fondamentali per il travestimento e l’immedesimazione dei due interpreti.

20 Sull’Onfale di Ione di Chio, ex all., Easterling 2007.

21London, British Museum E370. Beazley Archive Pottery Database Vase Number 215017,

con relativa bibliografia. Ex all., Todisco 2003, Ap 58; Grilli 2015, 128-131; Baggio 2016, 407-411.

22Boston, Museum of Fine Arts 98.883. Beazley Archive Pottery Database Vase Number

Il fortissimo potenziale scenico della vicenda di Eracle e Onfale, ancora, è rintracciabile nelle scelte lessicali a carattere teatrale che occorrono nella versione ecfrastica dell’episodio offerta da Luciano (II d.C.):

ἑωρακέναι γάρ σέ που εἰκὸς γεγραµµένον, τῇ Ὀµφάλῃ δουλεύοντα, πάνυ ἀλλόκοτον σκευὴν ἐσκευασµένον, ἐκείνην µὲν τὸν λέοντα αὐτοῦ περιβεβληµένην καὶ τὸ ξύλον ἐν τῇ χειρὶ ἔχουσαν, ὡς Ἡρακλέα δῆθεν οὖσαν, αὐτὸν δὲ ἐν κροκωτῷ καὶ πορφυρίδι ἔρια ξαίνοντα καὶ παιόµενον ὑπὸ τῆς Ὀµφάλης τῷ σανδαλίῳ. καὶ τὸ θέαµα αἴσχιστον, ἀφεστῶσα ἡ ἐσθὴς τοῦ σώµατος καὶ µὴ προσιζάνουσα καὶ τοῦ θεοῦ τὸ ἀνδρῶδες ἀσχηµόνως καταθηλυνόµενον.

Avrai forse visto qualche immagine dipinta di Eracle schiavo presso Onfale, travestito con un costume a lui per nulla usuale: quella avvolta della sua pelle di leone, tenendo in mano la clava, quasi fosse ella stessa Eracle, questi invece, abbigliato di vesti zafferano e porpora, carda la lana, colpito dal sandalo di Onfale! Spettacolo vergognoso e disonorevole a vedersi, la veste tanto distante ed estranea al corpo, che per nulla vi si addice, e la virilità del dio indegnamente e indecorosamente effeminata.

[Quomodo historia conscribenda sit 10.17-25 Kilburn]

La cardatura dei bioccoli di lana per ottenerne filato da tessere, mansione domestica tradizionalmente femminile e a carattere fortemente “generico” e connotante che impegna Eracle nel passo lucianeo, ritorna a proposito di un’altra figura eroica e teatrale en travesti, Achille alla corte di Licomede re di Sciro – lì nascosto in vesti femminili dalla madre Teti per impedire la sua partecipazione alla guerra contro Troia, un inganno svelato dall’astuzia di Odisseo – in una citazione tramandata degli Sciri, tragedia euripidea nota per frammenti e testimonianze, contenente un’apostrofe di Odisseo ad Achille in un momento successivo al riconoscimento della vera identità di quest’ultimo:

Οδ. σὺ δ' ὦ τὸ λαµπρὸν φῶς ἀποσβεννὺς γένους ξαίνεις ἀρίστου πατρὸς Ἑλλήνων γεγώς;

Odisseo: E tu, capace di estinguere la luce splendente della stirpe, tu cardi

la lana, nato dal più nobile padre tra i Greci?

[F 683a Kannicht].

Lo stato di conservazione altamente precario degli Sciri non consente di apprezzare per intero lo sviluppo drammaturgico e scenico dell’intreccio tragico euripideo23. Per quanto probabile e suggestiva, la presenza visibile di Achille in abiti

femminili e l’assetto in regime di presenza scenica del suo riconoscimento, con conseguente cambio di costume, permane come puramente ipotetica; quale possibile elemento a favore di tale ricostruzione, una “veste da ragazza” – κόρης ἠστῆτ[ι –, con riferimento al travestimento di Achille, è menzionata dalla hypothesis papiracea nell’esposizione dell’antefatto tragico [Eur., Scyrii test. iia.15 Kannicht = PSI 1286.15].

L’attribuzione del F 683a Kannicht agli Sciri, inoltre, consente di proporre l’assegnazione alla medesima tragedia di un fragmentum incertae fabulae euripideo tematicamente affine, da localizzarsi presumibilmente nell’ambito del medesimo