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Mnesiloco “eroe/eroina tragicomica”

2. Intorno alle Tesmoforiazuse di Aristofane: il travestimento tragico nella Commedia Attica

2.2.2. Travestimento tragico, paratragico e tragicomico: meccanica e teoria

2.2.2.4. Mnesiloco “eroe/eroina tragicomica”

L’intervallo di tempo fra le uscite di Agatone, rientrato insieme al tableau nella propria abitazione [Thesm. 265] ed Euripide [Thesm. 278] e l’ingresso del Coro di donne [Thesm. 295] vede Mnesiloco nei panni di un attore en travesti pronto a entrare in scena, un frangente che gioca in chiave parodica e metateatrale con la prassi comune al fenomeno drammatico attico, che prevede l’impiego di interpreti di genere maschile per ruoli femminili.

Il travestimento da donna del parente, architettato da Euripide e allestito grazie al contributo materiale della dotazione di Agatone, si presta a interessanti considerazioni se posto in rapporto di derivazione diretta rispetto alla dichiarazione di poetica di Agatone.

A differenza di quanto rilevato in merito al travestimento tragico di Diceopoli negli Acarnesi, dove la richiesta del protagonista era indirizzata verso uno specifico insieme di costume e attrezzeria, inteso all’interpretazione di un altrettanto specifico personaggio, Telefo, l’operazione di allestimento in scena nelle Tesmoforiazuse appare volutamente “generica”. L’aggettivo posto tra virgolette è da intendersi in accezione pienamente polisemica: il travestimento femminile, insieme metateatrale e paratragico, di Mnesiloco assomma e compone in sé le categorie di “genere biologico” e “genere poetico”.

In assenza di riferimenti mitici e mediazioni onomastiche, la nuova identità scenica del parente di Euripide, realizzata con l’apporto concreto e congiunto di due autori di teatro, fa di Mnesiloco non già e non solo una donna, bensì tout court un’eroina tragica ed euripidea, la personificazione antonomastica di un intero repertorio drammaturgico e spettacolare, materializzato in difesa del suo artefice. Da ciò deriveranno il potenziale creativo e il carattere metamorfico delle risorse materiali e retoriche messe in campo da Mnesiloco, in vesti tanto di attore quanto di effettivo “compositore in itinere” delle µαχαναί escogitate per ottenere l’assoluzione di Euripide e la propria libertà, come di seguito argomentato.

tracia recante un canestro di offerte e la sua invocazione a Demetra e Persefone, che propizino la buona riuscita del piano di salvataggio di Mnesiloco-interprete e, con improvvisa torsione metateatrale, assicurino un futuro felice ai presunti figli di Mnesiloco-personaggio, sono contestuali all’ingresso del Coro e al conseguente cambio di ambientazione scenica, dall’abitazione di Agatone al santuario del Tesmoforio [Thesm. 279-284].

La menzione dell’attendente, da considerarsi come un elaborato esercizio attoriale di Mnesiloco, un momento dialogico in assenza di destinatari sulla scena, arricchisce la costruzione del personaggio di utili elementi caratterizzanti, rimarcandone distinzione e levatura sociale non umile, in linea con il lignaggio elevato tradizionalmente proprio dei personaggi della tragedia. La menzione della κίστη [Thesm. 284], a sua volta, offre alla nuova dotazione di costume e attrezzeria di Mnesiloco un nuovo σκεῦος rituale – materiale e/o verbale – funzionale all’integrazione e all’ingresso della “nuova donna” fra le altre donne riunitesi nel contesto della celebrazione religiosa e festiva.

Il ricorso allo strumentario tragico da parte di Mnesiloco è, in prima battuta, verbale. Il parente di Euripide, travestito da eroina tragica, si appropria delle capacità retoriche e sofistiche di tante eroine tragiche, citando eroine tragiche nel proprio discorso [Thesm. 466-565]. L’arringa in difesa di Euripide è sapientemente impostata su un insistito impiego della litote: Mnesiloco ribalta e rende ingegnosamente non sussistenti le accuse mosse dall’assemblea confessando una serie di azioni deprecabili di cui sono solite macchiarsi le donne, peggiori di quelle poste in tragedia da Euripide.

L’ammissione di colpevolezza condotta in prima persona da Mnesiloco, “donna” ossia fittizia rappresentante tanto del genere biologico quanto del genere tragico femminile, combina vicende e figure del mito “non dette” da Euripide insieme con aneddoti e pettegolezzi ugualmente “non detti” dal parente: così Fedra è appaiata a una moglie fedifraga che fa fuggire l’amante imbaccuccato distraendo il marito [Thesm. 497-501], una soluzione che plausibilmente richiama, comicamente distorti, i

motivi e le situazioni occorrenti nel perduto Ippolito velato40. Ancora, dietro a un’altra sposa, assassina del proprio uomo per mezzo di una scure [Thesm. 560-561], si cela un possibile riferimento indiretto al trattamento euripideo riservato al personaggio di Clitemnestra, come avanzato già in uno scolio antico ad locum: τοῦτο διὰ τὴν Κλυταιµνήστραν, οὐκ ἀπὸ ἱστορίας, “questo in ragione di Clitemnestra, non da avvenimenti di cronaca” [Σ. Vet., Thesm. 560 Dübner].

Stupefatte e indignate, le donne intendono neutralizzare fisicamente e rendere inoffensiva una tale sovversiva “voce fuori dal coro”. Mnesiloco, ormai perfettamente e pericolosamente calato nel ruolo, si appresta a battersi contro Mica, una tra le sue più agguerrite avversarie, e seguendo l’esempio di questa, riportato testualmente, plausibilmente rimuove il proprio mantello [Thesm. 568]41. Tale gesto, compiuto da Mnesiloco allo scopo di avvantaggiarsi atleticamente contro la propria antagonista, rappresenta per il parente di Euripide un’anticipazione della successiva manomissione del suo travestimento, del fallimento e del disvelamento del carattere artificioso della sua nuova identità superimposta.

Il disinnesco del sistema di costume e attrezzeria femminile di Mnesiloco è determinato dall’ingresso di Clistene. A dispetto della sua relativamente breve estensione, il frangente [Thesm. 574-654] costituisce una delle più riuscite espressioni del potenziale metateatrale in gioco nelle Tesmoforiazuse. Con l’arrivo del cinedo, sulla medesima scena il travestimento femminile “professionistico” e paratragico è affiancato dal travestitismo, destinati presto alla collisione e al cortocircuito. Dopo un’iniziale confusione, il genere maschile di Clistene è correttamente riconosciuto dal Coro – da cui l’apostrofe ὦ παῖ, “ragazzo” [Thesm. 582] – a dispetto delle informazioni possibilmente comunicate dal suo costume femminile; ciò rende paradossale il mancato riconoscimento iniziale della vera identità biologica di Mnesiloco, personaggio che condivide, sia pur temporaneamente e per differenti motivazioni l’habitus, l’aspetto e le attitudini del cinedo.

La tenuta e l’efficacia del travestimento del parente di Euripide – già privo

40 Così Cowan 2008. Su un possibile caso di paratragedia iconografica del personaggio di Fedra, tra Euripide e Aristofane, Green 2014.

plausibilmente del suo strato più esterno, il mantello – sono definitivamente minate non già dal riscontro di incoerenza “cosmetica” tra il costume e il suo portatore, quanto piuttosto dalla corrispondenza mancata tra il costume e il possesso di abilità e competenze proprie della relativa identità: interrogato sui misteri delle Tesmofore, Mnesiloco si rivela così non “abbastanza donna” da conoscere i dettagli delle cerimonie segrete, dissacrate e ridotte comicamente a una successione di brindisi, e riconduce le conseguenze fisiologiche di tali bagordi a una dimensione simposiale prettamente maschile [Thesm. 626-635].

Smascherato come impostore, il parente di Euripide è perquisito e sottoposto a una parziale svestizione da Clistene. Il processo di scomposizione logica e descrittiva funzionale al riconoscimento dell’identità di Agatone compiuto in precedenza da Mnesiloco è ora riprodotto concretamente e da questi subìto. L’attenzione di Clistene e del Coro è rivolta ai medesimi tratti anatomici la cui assenza aveva impedito l’assegnazione definitiva di Agatone al genere maschile ovvero femminile, in accordo con la presenza simultanea di attributi propri di entrambi i generi nel composito sstema di costume e attrezzeria del poeta: a differenza di Agatone, il corpo scenico di Mnesiloco è chiaramente privo di caratteri femminili, manca il seno sotto la fascia che stringe la tunica [Thesm. 638-640]; parimenti, il personaggio rivela vistosi e inequivocabili caratteri maschili, il membro virile del parente, costretto finora a rimanere celato dalle pieghe della tunica, prorompe incontrollabile, comicamente dotato di vita e movimento propri [Thesm. 643-648].

L’esortazione rivolta dalla Corifea alle altre donne registra una sequenza di gesti e operazioni compiute sui rispettivi costumi che reduplica di fatto la perquisizione corporale di Mnesiloco. Ciò conferma la non completa svestizione del personaggio, un’informazione corroborata nel prosieguo dell’azione scenica, caratterizzata nuovamente e a più riprese dall’impiego attivo del travestimento paratragico femminile:

Χο. ἡµᾶς τοίνυν µετὰ τοῦτ' ἤδη τὰς λαµπάδας ἁψαµένας χρὴ ξυζωσαµένας εὖ κἀνδρείως τῶν θ' ἱµατίων ἀποδύσας ζητεῖν, εἴ που κἄλλος τις ἀνὴρ ἐσελήλυθε,

Corifea: A noi, dopo quanto è successo, non resta che accendere le fiaccole, rimboccare per bene la tunica nella cintura, alla maniera degli uomini, toglierci i mantelli e cercare, si sa mai che un altro uomo si sia infiltrato!

[Thesm. 655-657]

Mnesiloco approfitta del momento di frenetica e coreografica agitazione delle donne, impegnate in una nuova caccia all’uomo/donna [Thesm. 663-685], per attuare un primo tentativo di salvataggio paratragico, prendendo in ostaggio la figlia di Mica e minacciando di sgozzarla sull’altare, alla maniera di Telefo con Oreste neonato nell’omonima tragedia di Euripide [Thesm. 689-761]42. La scelta dello specifico segmento, già rilevata in precedenza negli Acarnesi con Diceopoli e il canestro dei carboni, è determinata dall’insorgenza di una situazione potenzialmente pericolosa per i due protagonisti comici, in maniera analoga alla vicenda del condottiero di Misia titolare del dramma euripideo.

Ancor più che per gli Acarnesi, la ripresa parodica dell’ostaggio di Oreste nelle

Tesmoforiazuse emerge come particolarmente riuscita per il riscontro di numerosi

punti di contatto nel trattamento parallelo di Telefo e Mnesiloco: come l’eroe tragico risolve di attentare alla vita di Oreste a seguito del riconoscimento della sua vera identità, non più celata sotto le mentite spoglie del mendicante, così l’eroe “paratragico” o “tragicomico” si avvale del medesimo espediente per ovviare all’insuccesso del proprio travestimento femminile, riproducendo un modulo tragico con esiti comici tanto più efficaci quanto non preventivati dal loro interprete.

La presa in ostaggio della figlia di Mica si rivela nulla a seguito della svestizione della piccola vittima. Da artefice e interprete di una para-rappresentazione, Mnesiloco diviene a sua volta spettatore e vittima della µηχανή architettata dalle donne per onorare degnamente (e comicamente), a suon di bevute – µηχανώµεναι πιεῖν [Thesm. 736] – la celebrazione delle Tesmoforie: privata della sua veste, la bambina si rivela così essere nient’altro che un otre rigonfio di vino, abbigliato con indumenti e

42 Sulla parodia del Telefo euripideo nelle Tesmoforiazuse, ex all., Rau 1967, 42-49; Austin, Olson 2004, lvi-lviii; Mastromarco, Totaro 2006, ad loc.

calzature alla maniera di una neonata [Thesm. 730-736].

La trovata realizza un sistema di deformazioni parodiche a disvelamento progressivo, concentriche e concatenate, impostate sull’abbassamento di tono rispetto al modello e al precedente euripideo. Con attenzione ai materiali di scena adoperati dal parente, il trattamento aristofaneo dell’ostaggio di Oreste da parte di Telefo nelle

Tesmoforiazuse si avvale della sostituzione di elementi previsti con altrettanti inattesi,

il cui impiego è rifunzionalizzato in maniera originale: così un coltellaccio – µάχαιρα [Thesm. 694] – supplisce come strumento di offesa in luogo di più tragiche ed eroiche armi; ancora, la combinazione degli stessi meccanismi soggiace al trattamento dell’ostaggio, comico non già perché oggetto di minaccia bensì perché protagonista

en travesti di una “parodia nella parodia” – Oreste > neonata > otre.

Il fallimento dell’espediente paratragico di Mnesiloco si configura come il risultato del fallimento dello stratagemma para-teatrale escogitato dalle donne per introdurre il vino nel santuario, sintetizzato dallo svelamento dell’otre. Il parente di Euripide, in tal senso, è tradito dalle sue stesse armi, ingannato da uno σκεῦος: l’operazione di svestizione della “bambina”, infatti, decisiva per il riconoscimento della vera natura dell’ostaggio, riproduce in scala microscopica la procedura subita poco prima da Mnesiloco, ribadendo la centralità della manipolazione di costume, attrezzeria e relative identità quale motivo conduttore dell’intera azione comica in gioco nelle Tesmoforiazuse.

La correlazione tra Mnesiloco e la neonata qui suggerita è segnalata e ulteriormente ribadita dall’ipotetica ricostruzione performativa realizzata dallo scolio antico al corrispondente luogo testuale, una glossa esplicativa che prevede per l’otre e il parente di Euripide la condivisione del medesimo capo di abbigliamento, il κροκωτός: ἁρπάζει παιδίον µιᾶς γυναικὸς, καὶ καταφεύγει ἐν τῷ ἱερῷ, […]. ἀντὶ δὲ παιδίου ἀσκὸν οἴνου λαµβάνει, καὶ αὐτὸν ἐνδύει κροκωτὸν, καὶ ποιεῖ αὐτῷ χεῖρας καὶ πόδας, καί φησιν αὐτὸ παιδίον, “rapisce [scil. Mnesiloco-Telefo] il neonato di una donna, e ripara nel santuario … al posto del neonato, recupera [Aristofane?] un otre di vino, mette addosso a questo una veste color zafferano, gli fa mani e piedi e lo chiama neonato” [Σ. Vet., Thesm. 688 Dübner].

La notorietà della parodia aristofanea è sancita da un’importante trasposizione iconografica, la scena del Telephus travestitus che figura su cratere a campana apulo a figure rosse, attribuito al Pittore di Schiller, datato alla prima metà del quarto secolo a.C. e conservato a Würzburg43 [Fig. 7].

Come osservato a proposito del cratere (già) berlinese in rapporto al prologo delle

Rane, la relazione tra codice iconografico e intero scenico-drammaturgico di

riferimento è fondata su criteri sinottici e sintetici. Specifici particolari del segmento comico – elementi di costume e attrezzeria quali l’abbigliamento femminile di Mnesiloco-Telefo, le guance malamente sbarbate del suo volto/maschera, il coltellaccio, l’otre/neonato con le scarpine – trovano puntuale confronto in altrettanti attributi iconografici. La presenza, nella raffigurazione dipinta, di uno specchio, insieme con la specifica tipologia del recipiente sorretto dalla donna per raccogliere il sangue/vino dell’otre, un ingombrante vaso potorio e non il bacile da sacrificio, σφαγεῖον, richiesto da Mica nella commedia [Thesm. 754], a loro volta, fungono da rimando verso situazioni occorse in precedenza nell’intreccio comico – la rasatura e il travestimento di Mnesiloco – ovvero amplificano visivamente il portato di soluzioni e trovate comiche non esperibili/registrate per tramite testuale, suggerendone una potenziale resa agita in regime di controscena.

Per Mnesiloco/Telefo, ancora, la riproposizione dello schema inginocchiato della vittima/supplice già osservato nel guttus a rilievo raffigurante Diceopoli/Telefo, una configurazione occorrente anche nei monumenti ceramografici ispirati direttamente all’argomento tragico euripideo, tra i quali un cratere a calice attico a figure rosse, attribuito al Pittore di Londra F64, datato al primo quarto del quarto secolo a.C. e conservato a Berlino44 [Fig. 8]. Ciò consente di istituire un sistema di relazioni e di

reiproche derivazioni su base quadruplice, tra due prodotti drammaturgici/performativi – l’una a modello e precedente dell’altra – e due parallele, tangenti e intersecanti seriazioni di transcodificazione iconografica.

43Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität, Antikensammlung H5697. Ex all.,

Csapo 1986; Taplin 1993, 36-40; Csapo 2010, 52-58.

L’interpretazione paratragica di Telefo, successiva al riconoscimento di Mnesiloco come uomo, non prevede l’impiego strumentale del suo travestimento femminile, una presenza comunque costante e che pur amplifica il carattere paradossale e iperbolico della citazione. Tale condizione di momentanea amnesia costumistica permane anche per il secondo cammeo tragico inscenato dal parente per richiamare l’attenzione di Euripide e invocare il suo soccorso.

A differenza di quanto avvenuto per il Telefo, la nuova µηχανή tragica euripidea [Thesm. 765] è dichiarata esplicitamente fin dalla menzione del titolo del dramma, il

Palamede, parte di una tetralogia comprendente i perduti Alessandro e Sisifo satiresco

e le conservate Troiane (primo allestimento 415 a.C.) [Thesm. 765-784]45. Altrettanto esplicito, e come tale verbalizzato, è il ricorso alla già notata combinazione dei meccanismi di sostituzione e di originalità d’impiego, tra elementi noti e altrettanti inattesi, tanto sul versante drammaturgico quanto su quello spettacolare della parodia. L’operazione aristofanea interviene con disinvoltura sul materiale dell’intreccio tragico. Mnesiloco compone comicamente due distinti personaggi, il protagonista titolare della vicenda – eroe greco inventore della scrittura, impegnato nella spedizione contro Troia e condannato a morte dietro inganno per aver svelato la falsa pazzia di Odisseo, obbligandolo a salpare – e il fratello Eace, indiretto messaggero del fatale destino di Palamede, una notizia incisa su remi gettati nell’Egeo e giunti così al padre Nauplio.

Minacciato come Palamede, sebbene non altrettanto dotato di competenze e abilità ortografiche [Thesm. 781-782], Mnesiloco si avvale, alla maniera di Eace, di ex-voto in legno, ἀγάλµατα [Thesm. 773], realizzati nello stesso materiale dei remi della tragedia [Thesm. 775], reimpiegati come tavolette scrittorie, πίνακες, δέλτοι [Thesm. 778], su cui incidere maldestramente la propria richiesta di aiuto, utilizzando come stilo, σµίλη [Thesm. 779], il coltello da sacrificio adoperato in precedenza per “sgozzare” l’otre di vino e recuperando così, rifunzionalizzata, parte dell’attrezzeria scenografica che completa l’ambientazione santuariale dell’episodio.

45 Sul Palamede euripideo e sulla sua parodia nelle Tesmoforiazuse, ex all., Rau 1967, 51-53; Falcetto 2002; Austin, Olson 2004, lviii-lx; Mastromarco, Totaro 2006, ad loc.

La Parabasi del Coro [Thesm. 785-845] separa le due riprese paratragiche “al maschile” finora osservate da altri due segmenti tratti da γυνακεῖα δράµατα, di più lunga estensione e più complessa architettura poetica e spettacolare, nei quali il travestimento da eroina tragica – tuttora indossato da Mnesiloco – torna a svolgere ruolo attivo. Convinto dell’inefficacia degli espedienti messi in campo fino a quel momento, il parente risolve di inscenare una propria versione della recentissima Elena euripidea46, nuova, καινή [Thesm. 850] per prossimità e vicinanza cronologica (primo

allestimento 412 a.C., precedente di un anno rispetto alle Tesmoforiazuse) e per l’originalità nella scelta innovativa di presentazione e trattamento della protagonista, vittima innocente mai giunta a Troia e sostituita da un fantasma d’aria plasmato da Era a sua immagine e somiglianza, e non già traditrice e consenziente artefice della disfatta dei Greci [Thesm. 855-928].

Mnesiloco dimostra di aver bene appreso la lezione di poetica dell’immedesimazione teatrale per materiali di scena ricevuta da Agatone all’inizio della commedia. La battuta che detta l’avvio alla parodia è costruita su un uso consapevole e quasi tecnico di risorse lessicali allineate al manifesto programmatico di Agatone: l’interpretazione paratragica procede così attraverso “l’imitazione” di Elena vel dell’Elena – un’apparente ambiguità risolta dal carattere simbolico della corrispondente σκευή tragica, correlativo oggettivo tanto dell’intreccio quanto dell’omonimo personaggio titolare –; l’efficacia della procedura, ancora, è garantita proprio dall’apparato di costume e attrezzeria, una dotazione di per sé “sufficiente, prossima e già a disposizione” del parente di Euripide: Μν. ἐγᾦδα· τὴν καινὴν Ἑλένην µιµήσοµαι [= µίµησις, Thesm. 156]. πάντως <δ’> ὑπάρχει µοι [= ἔνεσθ’ ὑπάρχον, Thesm. 155] γυναικεία στολή, “Mnesiloco: Ci sono! Imiterò l’ultima Elena. Ho qui con me tutto ciò che mi occorre, un costume da donna!” [Thesm. 850-851]

Come già notato a proposito del Telefo, la scelta dello specifico precedente drammaturgico e spettacolare, da riprodurre in comica distorsione, è particolarmente notevole proprio perché ricade su un prodotto teatrale di per sé costruito su motivi strutturali a forte connotazione metateatrale, impostato sul tema del doppio e del

46 Sulla parodia dell’Elena euripidea nelle Tesmoforiazuse, ex all., Rau 1967, 53-64; Austin, Olson 2004, lx-lxii; Mastromarco, Totaro 2006, ad loc.

rapporto tra le categorie di originale e sua copia o riproduzione, e ancora giocato su travestimento, disvelamento e riconoscimento dell’identità47.

La fluidità nella ripresa comica degli originali tragici osservata a proposito del

Palamede emerge con ancora maggior risalto a proposito della nuova para-citazione

agita, per la possibilità di apprezzare la portata dell’operazione aristofanea data dal possesso integrale della drammaturgia euripidea di riferimento. In tal senso la recita allestita da Mnesiloco – vestiti i panni della protagonista – condensa l’intreccio tragico intorno alle figure di Elena e Menelao – interpretato da Euripide, giunto in soccorso del parente – attribuendo a questi ultimi battute riferite nella tragedia ad altri personaggi.

Il carattere sintetico del riferimento all’originale euripideo – non per questo meno godibile o efficace – riscontrabile in ambito poetico trova plausibile riflesso anche nella dimensione performativa, fin nei concreti materiali che la compongono. Per imitare la “nuova Elena”, donna mitica e tragica par excellence, così, basta la veste color zafferano, abbigliamento altrettanto iconico e correlativo oggettivo del “teatro al femminile”, sebbene altri siano i riferimenti cromatici testualmente registrati nell’Elena euripidea per il costume della protagonista, vesti chiare alternate a vesti scure e luttuose, un travestimento consono all’interpretazione del ruolo della vedova a seguito della finta morte di Menelao insieme alle chiome recise e alle guance graffiate, secondo lo stratagemma architettato dalla stessa eroina per fuggire lontano dall’Egitto e dalle mire di Teoclimeno, sovrano del paese, insieme al suo sposo:

Ελ. ἐγὼ δ' ἐς οἴκους βᾶσα βοστρύχους τεµῶ πέπλων τε λευκῶν µέλανας ἀνταλλάξοµαι παρῆιδί τ' ὄνυχα φόνιον ἐµβαλῶ †χροός†,

Elena: Rientrata in casa, taglierò i riccioli, cambierò le vesti bianche con

vesti nere e righerò a sangue †la pelle† con le unghie.

[Hel. 1087-1089 Diggle]

Θε. αὕτη, τί πέπλους µέλανας ἐξήψω χροὸς λευκῶν ἀµείψασ' ἔκ τε κρατὸς

εὐγενοῦς κόµας σίδηρον ἐµβαλοῦσ' ἀπέθρισας χλωροῖς τε τέγγεις δάκρυσι σὴν παρηίδα κλαίουσα;

Teoclimeno: Tu, perché hai allacciato sul corpo vesti nere in cambio di

vesti bianche, perché imbracciato il ferro hai tagliato via le chiome dal tuo nobile capo e piangendo bagni le gote di lacrime?

[Hel. 1186-1190 Diggle]

Altrettanto degno di attenzione è il trattamento riservato da Aristofane al costume e all’attrezzeria degli altri due interpreti, consapevoli e inconsapevoli, della ripresa in parodia dell’Elena, Euripide e Critilla, la donna cui è affidata la custodia di Mnesiloco. Euripide alias Menelao, non riconosciuto dal Coro, accorre in scena a soccorso del parente nelle vesti di naufrago:

Μν. ἐγὼ δὲ Μενελέῳ σ' ὅσα γ' ἐκ τῶν ἀµφίων,

Mnesiloco-Elena: Io [ti vedo molto simile] a Menelao, almeno stando agli

stracci che indossi48.

[Thesm. 910]

Κρ. νὴ Δί' ὡς νυνδή γ' ἀνὴρ ὀλίγου µ' ἀφείλετ' αὐτὸν ἱστιορράφος.

Critilla: Per Zeus, c’è mancato poco a che un ‘rammendavele’ me lo

portasse via!

[Thesm. 934-935]

I suoi indumenti strappati, analoghi a quelli del personaggio tragico interpretato – Με. χρεία δὲ τείρει µ'· οὔτε γὰρ σῖτος πάρα οὔτ' ἀµφὶ χρῶτ' ἐσθῆτες· αὐτὰ δ' εἰκάσαι πάρεστι ναὸς ἐκβόλοις ἁµπίσχοµαι. πέπλους δὲ τοὺς πρὶν λαµπρά τ' ἀµφιβλήµατα χλιδάς τε πόντος ἥρπασ'[ε], “Menelao: Il bisogno mi logora: non ho cibo con me, né abiti intorno al corpo: queste cose che indosso sono i resti della nave. Le vesti di un

48 Si accoglie qui, seguendo Mastromarco, Totaro 2006, ad loc., la proposta di emendazione congetturale di Grégoire ἀµφίων rispetto al tràdito ἀφύων. Vedi Austin, Olson 2004 ad loc.