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2. Intorno alle Tesmoforiazuse di Aristofane: il travestimento tragico nella Commedia Attica

2.2.2. Travestimento tragico, paratragico e tragicomico: meccanica e teoria

2.2.2.2. La poetica di Agatone

La risposta di Agatone all’interrogatorio di Mnesiloco risolve parte delle contraddizioni e delle incoerenze riscontrate dal parente di Euripide nella scomposizione logica che accompagna la descrizione del singolare costume del poeta con un a fondo metateatrale. A tale dimensione, peraltro, già lo stesso Mnesiloco aveva fatto implicito riferimento in clausola alla propria battuta, indicando i canti di Agatone quale mezzo per procedere alla propria indagine, in risposta al perdurante silenzio del loro autore [Thesm. 144-145].

La formulazione di Agatone si configura come una vera e propria esposizione di poetica del travestimento teatrale28. Le soluzioni lessicali prescelte costituiscono il fondamento terminologico a supporto degli esempi performativi di travestimento in azione sulla scena nel corso del successivo svolgimento dell’intreccio delle

Tesmoforiazuse, un precedente teorico il cui portato di implicazioni semantiche risulta

accuratamente rispettato ovvero deliberatamente sovvertito nel trattamento comico del costume tragico.

L’argomentazione avanzata da Agatone muove dalla dichiarazione di corrispondenza tra l’abbigliamento indossato, ἐσθής, e il proprio pensiero, le proprie inclinazioni, intenzioni e proposizioni, γνώµη [Thesm. 148; cfr. LSJ, sub vocibus]. Termine medio imprescindibile tra l’autore, di genere maschile, e le proprie opere è costituito dai τρόποι, “modi” e disposizioni interiori riflesse in determinate, corrispondenti configurazioni concrete, esteriori e come tali riconoscibili [Thesm. 149-150].

In questo senso, la composizione di tragedie femminili, γυναικεῖα δράµατα [Thesm. 151] richiede la partecipazione e la comunione, µετουσία [Thems. 152] del corpo maschile del poeta con specifici modi adeguati al suo prodotto drammaturgico. La ricerca di aderenza è meno problematica per i drammi maschili: la persona fisica dell’autore è già di per sé dotata di “ciò che occorre e che rende possibile”

28 Sull’argomento, ex all., Cantarella 1967; Mazzacchera 1999; Duncan 2001; Saetta Cottone 2003; Saetta Cottone 2011; Sissa 2012.

l’operazione di composizione, di “quanto è proprio” e “appartiene” tanto al poeta quanto al risultato della sua creazione, da cui l’uso polisemico di ὑπάρχω [Thesm. 155; cfr. LSJ, sub voce]. L’appropriazione di elementi estranei – quali quelli propri del genere opposto a quello del poeta – è invece ottenuta attraverso il ricorso all’imitazione, µίµησις [Thesm. 156], concetto la cui esposizione si avvale di un lessema primario nell’elaborazione di critica e teoria drammaturgica per la tragedia formulata in seguito da Aristotele nella sua Poetica.

La validità di un tale modus operandi è esemplificata con la menzione di autori di poesia lirica e teatrale, Ibico, Anacreonte, Alceo e Frinico, usi a curare tanto il loro aspetto quanto le loro creazioni [Thesm. 159-166] – a questo corrisponde, in termini analoghi sia pur invertiti, l’elenco di drammaturghi sgradevoli tanto quanto le loro opere, Filocle, Senocle e Teognide, avanzato da Mnesiloco – realizzando così nuovamente l’accordo tra la naturale disposizione, φύσις [Thesm. 166] del compositore e la composizione stessa. Tale correlazione, infine, si svolge entro vincoli di obbligatorietà, imprescindibile bisogno e stringente necessità, come lessicalmente rimarcato a più riprese: χρὴ [Thesm. 149]; δεῖ [Thesm. 150; 152]; ἀνάγκη [Thesm. 167; 171].

La peculiare caratterizzazione dei τρόποι – in accezione tanto psicologica ed etica quanto estetica e cosmetica – come elementi di snodo tra l’autore e i propri drammi nella dichiarazione di Agatone, trova conferma e riscontro diretto in altre due occorrenze lessicali del termine e nelle corrispondenti situazioni sceniche, relative al trattamento delle figure di Clistene e dello stesso Euripide.

Il personaggio del cinedo, intervenuto per denunciare le mosse di Euripide, si presenta affermando di condividere gli stessi modi del Coro di donne cui si rivolge [Thesm. 574]. Pur in assenza di indicatori testuali che descrivano e permettano di visualizzare il costume di Clistene – unico elemento utile in tal senso è costituito dal riferimento alle guance [Thesm. 575; 583] e quindi all’assenza di barba, confermata dal disorientamento di Mnesiloco appena rasato, la cui immagine allo specchio riflette il volto dell’effeminato [Thesm. 234-235] – l’annuncio del suo trafelato ingresso in scena da parte della Corifea menziona effettivamente una donna [Thesm. 571-572]. Ciò consente dunque di ipotizzare ragionevolmente il ricorso a un abbigliamento

adeguato all’ambiguità di genere del personaggio.

Analogamente, l’escamotage del travestimento femminile architettato da Euripide per scampare alla propria condanna è considerato da Mnesiloco come perfettamente euripideo per lo stile, caratterizzato dal suo stesso τρόπος [Thesm. 93]. L’aderenza dell’autore alle specifiche concrete del proprio stratagemma è in tal senso fisicamente inscenata nel finale della commedia: a seguito dei ripetuti fallimenti di Mnesiloco, è infatti lo stesso poeta a vestire in scena abiti da donna [Thesm. 1172- 1204] garantendo così la salvezza per sé e per il parente.

Quale esempio concreto e incarnazione del proprio manifesto programmatico, il peculiare habitus di Agatone, da intendersi come vera e propria “divisa professionistica”, traduce scenicamente e visivamente le caratteristiche della sua attività poetica. L’insieme composito di costume e oggetti di attrezzeria scenica diviene così tangibile materializzazione di una determinata prassi compositiva e della corrispondente disposizione mentale. In accordo con il proprio pensiero, Agatone impersona e acquisisce modi interiori ed esteriori adeguati alla composizione di “drammi femminili” per tramite del proprio peculiare corredo, uno strumentario collezionato ad arte cui rivolgere di necessità cure e attenzioni, mezzo privilegiato a disposizione del poeta atto a garantire, per simmetria e corrispondenza transitiva, qualità e conseguente successo competitivo al prodotto poetico in corso di creazione.

Procedendo alla ricerca di possibili confronti per la dichiarazione di poetica del travestimento di Agatone nell’ambito della produzione comica aristofanea, una più sintetica versione occorre negli Acarnesi. In principio della scena di elemosina di costume e attrezzeria tragica presso l’abitazione di Euripide – precedente comico per l’analoga situazione nelle Tesmoforiazuse, i cui motivi sono oggetto di successivo approfondimento – un icastico commento di Diceopoli permette di visualizzare il singolare aspetto del poeta29:

Δι. ἀναβάδην ποεῖς, ἐξὸν καταβάδην. οὐκ ἐτὸς χωλοὺς ποεῖς. ἀτὰρ τί τὰ

29 Le citazioni testuali degli Acarnesi seguono l’edizione Olson 2002. Eventuali discostamenti sono segnalati ad locum. Altre edizioni e commenti consultati: Mastromarco 1983.

ῥάκι' ἐκ τραγῳδίας ἔχεις, ἐσθῆτ' ἐλεινήν; οὐκ ἐτὸς πτωχοὺς ποεῖς,

Diceopoli: Componi a pancia in su, pur potendo stare con i piedi per terra.

Non per nulla realizzi storpi… E ancora, perché indossi i brandelli della tragedia, un abbigliamento miserabile? Non per nulla realizzi mendicanti!

[Ach. 410-413]

Euripide, impegnato come Agatone nella creazione di un nuovo dramma, è abbigliato con un costume tragico sbrindellato alla maniera di numerosi suoi personaggi, una condizione che costituisce il precedente necessario e l’immediata conseguenza dell’attività poetica in fieri.

La stretta correlazione tra compositore e composizione mediata attraverso il costume quale emerge dal confronto tra i due passaggi permette dunque di identificare, fra i materiali di scena menzionati da Mnesiloco addosso e intorno ad Agatone, gli oggetti di attrezzeria necessari alla costituzione del costume di un personaggio tragico femminile. In tal senso, Agatone è travestito non già e non semplicemente da donna, bensì da personaggio femminile teatrale, specificamente da eroina tragica. Gli σκεύη che realizzano la σκευή di un personaggio teatrale, funzionali in qualità di γνωρίσµατα e σύµβολα rispetto alla sua identità, divengono così elementi del costume dell’autore, suoi propri attributi di riconoscimento; come espressione materiale di una specifica prassi compositiva, ancora, gli stessi acquisiscono carattere simbolico e sintetico tanto in rapporto al genere poetico – nello specifico, la “tragedia femminile” – cui rimanda il prodotto drammaturgico e performativo, quanto rispetto al singolo dramma entro cui agisce il personaggio “indossato” dal poeta.

Insieme alla risorsa lessicale e/o scenica della piattaforma mobile, l’impiego di costumi teatrali come capi di vestiario qualifica così i poeti tragici sulla scena di

Acarnesi e Tesmoforiazuse a un tempo come artefici e primi interpreti dei propri

drammi.

I ritratti di Euripide e Agatone offerti da Aristofane si fondano sulla distorsione comica dell’effettivo possesso e della disponibilità a titolo privato, da parte dei

tragediografi, di dotazioni di costumi e oggetti di attrezzeria scenica “da baule”. Tale prassi, impostata con ragionevole probabilità sull’identificazione, storicamente documentata, tra le figure professionali di autore e interprete teatrale, costituisce il precedente per la creazione del motivo del “poeta costumista” – come di seguito approfondito nella sezione riguardante il travestimento di Mnesiloco – e di altri topoi letterari di lunga e fortunata tradizione, tra cui la figura del teatrante caduto in disgrazia e costretto a disfarsi del proprio armamentario per soddisfare i più miseri bisogni quotidiani.

Testimoniata dal già menzionato epigramma di Lucillio, questa invenzione rimonta a moduli propri del fenomeno teatrale attico di quinto e quarto secolo a.C., come riporta il commento esplicativo dell’anonimo scoliasta che glossa il riferimento al poeta tragico Stenelo, “pelato dei suoi oggettini di scena” – Σθενέλῳ τε τὰ σκευάρια διακεκαρµένῳ – quale occorre nelle Vespe aristofanee (primo allestimento 422 a.C.) [Vespae 1313 Coulon-Van Daele]:

τραγικὸς ὑποκριτὴς ἦν ὁ Σθένελος, ὃς διὰ πενίαν τὴν τραγικὴν ἀπέδοτο σκευὴν κακῶς πράττων ἐν τῇ τέχνῃ,

Stenelo era un attore tragico che per la povertà cedette il costume tragico, poiché riusciva male in quell’arte.

[Σ Vet. Ve. 1313 Koster]

L’episodio, a carattere aneddotico, è passibile di interpretazione secondo il modello ricavato dalla presentazione aristofanea di Euripide e Agatone: in tal senso l’abbandono del proprio costume sancisce per Stenelo il termine della propria attività di interprete e compositore, un insuccesso competitivo cui corrisponde, come causa prima e diretta conseguenza, l’inadeguatezza del poeta-attore, indegno di continuare a rivestire la propria divisa professionale, di creare e interpretare nuovi ruoli.

Rilevante in termini di poetica, l’espediente metateatrale dell’autore tragico “travestito” da suo personaggio quale occorre nella produzione aristofanea non è privo di implicazioni notevoli anche sul versante performativo. La presenza sulla scena comica di poeti identificati attraverso costumi e attrezzeria esplicitamente

riferiti alla rispettiva produzione drammaturgica e spettacolare propone, come peraltro già per i segmenti costruiti su meccanismi paratragici, la questione relativa al reimpiego potenziale di effettivi materiali scenici delle tragedie oggetto di ripresa in parodia, ovvero di elementi concreti percepiti come tali dagli spettatori.

Questa informazione, di fatto non esperibile a livello testuale, è oggetto di rielaborazione e transcodificazione iconografica in almeno un monumento ceramografico dell’ampio repertorio di vasi a soggetto teatrale di produzione italiota, il cratere a campana apulo a figure rosse eponimo del Pittore del Corego, datato al 380 a.C. e conservato a Napoli30 [Fig. 4].

Nella raffigurazione, tre personaggi comici – due ΧΟΡΗΓΟΙ e ΠΥΡΡΙΑ[Σ] – e un personaggio tragico – ΑΙΓΙΣΘΟΣ – condividono il medesimo palcoscenico sopraelevato, riconoscibili e identificati inequivocabilmente da elementi di costume e attrezzeria standard, propri dei rispettivi generi teatrali di appartenenza: σωµάτια imbottiti, maschere comiche, chitone corto, bastoni e mantelli per i comici coreghi e Pirria, in piedi su un canestro rovesciato, versus chitone lungo e decorato con maniche aderenti, calzature stringate al polpaccio, lungo mantello, cintura e falere borchiate, elmo e doppia lancia per il tragico Egisto.

30 Napoli, Museo Archeologico Nazionale 248778, ex Malibu, J.P. Getty Museum 96.AE.29, ex New York, Fleischmann coll. F93. Ex all., Taplin 1993; Todisco 2016, con relativa bibliografia.

Come testimoniato da fonti documentarie a carattere letterario, lessicografico ed epigrafico, ancora, il riscontro di forme di circolazione e commercio, affitto e compravendita di materiali scenici nelle fasi successive alle rappresentazioni – differentemente rispetto ad altre testimonianze che riportano invece la dedicazione votiva e santuariale degli stessi – permette di suggerire tentativamente il recupero di originali elementi di costume e attrezzeria tragica quale medium concreto a supporto tanto delle citazioni paratragiche attestate in Commedia, quanto dei rimandi a personaggi, scene e situazioni occorrenti nell’ambito della stessa produzione tragica, come frequentemente osservato in rapporto all’operazione di variatio in imitando condotta da Euripide su precedenti modelli eschilei31.

La graduale costituzione e la fissazione di un immaginario tragico e di corrispondenti paradigmi iconici, tuttavia, insieme al carattere assertivo proprio del linguaggio poetico e performativo teatrale – le parole e i gesti che animano costume e attrezzeria in azione nell’ambito della finzione scenica costituiscono garanzia sufficiente a fondamento della loro autenticità – rendono comunque tale ricerca di ipotetici originali tragici riciclati, oggetto di recupero e reimpiego comico, seppur suggestiva di fatto non necessaria.

Oltre ai sintetici passaggi desunti dagli Acarnesi e dalle Vespe, è possibile considerare come altro locus parallelus aristofaneo per la dichiarazione di poetica di Agatone un frammento del “discorso sullo stile” pronunciato da Eschilo, estrapolato dall’agone che lo contrappone a Euripide per il trono di miglior poeta tragico nelle

Rane aristofanee: Αι. ἀλλ', ὦ κακόδαιµον, ἀνάγκη µεγάλων γνωµῶν καὶ διανοιῶν ἴσα καὶ τὰ ῥήµατα τίκτειν. κἄλλως εἰκὸς τοὺς ἡµιθέους τοῖς ῥήµασι µείζοσι χρῆσθαι· καὶ γὰρ τοῖς ἱµατίοις ἡµῶν χρῶνται πολὺ σεµνοτέροισιν. ἁµοῦ χρηστῶς καταδείξαντος διελυµήνω σύ. | Ευ. τί δράσας; | Αι. πρῶτον µὲν τοὺς βασιλεύοντας ῥάκι' ἀµπισχών, ἵν' ἐλεινοὶ τοῖς ἀνθρώποις φαίνοιντ' εἶναι.

31 Per le testimonianze, ex. all. Csapo, Slater 1995. Sulla dedicazione del materiale scenico, ex all., Ghiron Bistagne 1976, 103-110; Green 1982. Sul recupero paratragico del materiale scenico, ex all., Duncan 2016 (per gentile concessione dell’autore).

“Eschilo: Disgraziato, è necessario produrre discorsi adeguati a grandi pensieri e grandi ragionamenti! Del resto, è naturale che i semidèi usino più alte parole, così come indossano costumi molto più maestosi dei nostri! Lo avevo mostrato per bene, e tu hai rovinato tutto! | Euripide: Come? Che cosa avrei fatto? | Eschilo: Come prima cosa, hai messo addosso gli stracci ai sovrani, cosicché apparissero miserabili alla gente.”

[Ra. 1058-1064]

Nelle battute riportate, allineate al manifesto programmatico esposto nelle

Tesmoforiazuse per argomento e tenore prescrittivo – come ribadito dall’impiego

formulare di costrutti nominali in dipendenza da ἀνάγκη – pur senza la triangolazione intorno e addosso alla persona fisica del poeta, si rileva ugualmente il ricorso ai materiali scenici in qualità di correlativo oggettivo di specifici modi di far tragedia.

Le vesti divine sono così intese come risorsa a un tempo concreta e figurale per l’individuazione di precise strategie stilistiche. A contenuti elevati, secondo la posizione espressa da Eschilo, devono obbligatoriamente corrispondere adeguate forme espressive, composte e allestite per essere pronunciate da personaggi la cui levatura sia necessariamente veicolata, in termini spettacolari, mediante un habitus esteriore altrettanto adeguato. Per converso, l’incongruità e l’inadeguatezza manifestate da Eschilo a proposito di stracci e brandelli con cui Euripide ha rivestito i propri personaggi – costumi inappropriati al lignaggio che per consuetudine contraddistingue gli eroi tragici – traducono e riportano sul piano scenico concreto, pur esagerate e assolutizzate dall’interpretatio comica, le critiche tradizionalmente rivolte alle innovazioni formali, contenutistiche e tematiche che distinguono la produzione euripidea dalla precedente tradizione tragica.

Lo sconfinamento reciproco tra le dimensioni poetica e performativa operato per tramite di costumi e attrezzeria costituisce una risorsa metateatrale e paratragica privilegiata fra i meccanismi di costruzione dell’azione comica in gioco nelle Rane. Avvalendosi di un espediente in linea con questa formulazione, nel prosieguo dell’agone Eschilo primeggia contro Euripide ritorcendo a danno del rivale un arsenale di “armi” desunte dalla stessa pratica teatrale del suo concorrente:

Αι. καὶ µὴν µὰ τὸν Δί' οὐ κατ' ἔπος γέ σου κνίσω τὸ ῥῆµ' ἕκαστον, ἀλλὰ σὺν τοῖσιν θεοῖς ἀπὸ ληκυθίου σου τοὺς προλόγους διαφθερῶ. | Ευ. ἀπὸ ληκυθίου σὺ τοὺς ἐµούς; | Αι. ἑνὸς µόνου. ποεῖς γὰρ οὕτως ὥστ' ἐναρµόττειν ἅπαν, καὶ κῳδάριον καὶ ληκύθιον καὶ θυλάκιον, ἐν τοῖς ἰαµβείοισι. δείξω δ' αὐτίκα.

Eschilo: Per Zeus, non sminuzzerò ogni tua parola un verso dopo l’altro,

ma con il favore degli dèi distruggerò i tuoi prologhi per mezzo di un’ampollina! | Euripide: Con un’ampollina? Tu? I miei? | Eschilo: Con una soltanto! Componi in modo che ci si possa adattare qualunque cosa - una pelliccetta, un’ampollina, una borsetta! - nei tuoi giambi! Ti faccio vedere io!

[Ra., 1198-1204]

L’ampollina, ληκύθιον, la pelliccetta, κῳδάριον e la borsetta, θυλάκιον nominate da Eschilo rientrano a pieno titolo nell’insieme di articoli e utensili che soggiace alla definizione di σκευάρια, minuti instrumenta domestica e contemporaneamente effettivi “oggetti(ni) di scena”. L’impiego della forma alterata in diminutivo – tipica risorsa lessicale adoperata da Aristofane con riferimento all’attrezzeria scenica, come osservato in seguito a proposito dell’elemosina di costume e attrezzeria tragica negli

Acarnesi – sembra tradire la scarsa considerazione nutrita dal più anziano poeta nei

confronti di tali materiali teatrali; contemporaneamente, la medesima strategia linguistica rimarca in negativo il loro considerevole “potenziale distruttivo”: essi corrispondono, infatti, all’apparato concreto a corredo degli οἰκεῖα πράγµατα, “fatti e azioni comuni” consapevolmente introdotti da Euripide nella drammaturgia e sulla scena delle proprie tragedie [Ra. 959], elementi di scarto che, pur devianti ed estranei rispetto alla consuetudine poetica e performativa della Tragedia, proprio in Euripide trovano spazio e modo di espressione.

La versatilità e l’eccentricità intenzionale dell’operazione euripidea, in termini di soprendente concordia oppositorum, sono da Eschilo esasperate e condotte al paradosso: i versi incipitari di sette prologhi tragici euripidei sono così bruscamente interrotti e completati dal sintagma ληκύθιον ἀπώλεσεν, “ruppe/smarrì l’ampollina”

[Ra. 1205-1248]32. Il ricorso a tale formula verbale e poetica – seppur capace, potenzialmente, di generare più che efficaci soluzioni in regime di controscena agita – facendo leva sulla presunta monotonia metrica dei versi, “disperde” e “frantuma” dall’interno la coerenza narrativa delle situazioni ivi presentate, realizzando un improvviso quanto sorprendente abbassamento di tono in clausola, col risultato di produrre un’inaspettata, ridicola e fallimentare deviazione comica impostata per iperbole proprio sulla “coerente incoerenza” tra i µέρη, le “parti costitutive” e le risorse poetiche quanto sceniche di cui si compone la produzione drammaturgica e spettacolare euripidea.

In conclusione, il repertorio di confronti e paralleli costituito intorno alla dichiarazione di poetica di Agatone permette di rilevare, per la riflessione teorica e poetica aristofanea condotta su costume e attrezzeria tragica, un sistema di rimandi reciproci ad andamento concentrico che compone le categorie di personaggio, interprete, tragedia, autore, genere e stile poetico, entità accomunate dal ricorso e dal riscontro, ora materiale ora retorico, dei medesimi attributi quale tratto distintivo e identificativo. Questo l’assunto teorico su cui sono impiantate le operazioni metateatrali di travestimento e le situazioni paratragiche che vedono tali travestimenti in azione sulla scena delle Tesmoforiazuse.

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