Le amputazioni maggiori sono quelle che, a partire della caviglia, interessano in senso disto-prossimale l’arto inferiore. Questo intervento risulta indicato quando nessuna parte del piede rimane vitale e la sua esecuzione impedisce al paziente un’autonomia deambulatoria e la stazione eretta, se non con l’ausilio di protesi.
Differiscono dalle amputazioni minori che invece lasciano al paziente la capacità di camminare, mantenere la stazione eretta, avere appoggio bipodalico senza dover ricorrere all’ausilio di una protesi.
Sono interventi estremamente demolitivi pertanto vi si ricorre generalmente in caso di fallimento di un’amputazione minore o nel caso in cui i parametri clinici ed i risultati pre-operatori siano sfavorevoli all’esecuzione di una procedura di salvataggio del piede. È sempre necessario inoltre valutare e tentare un intervento di rivascolarizzazione dell’arto attraverso le tecniche di angioplastica, posizionamento di stent o arterectomia meccanica endovascolare. (29)(18)
Secondo lo studio “Risk factors for major limb amputations in diabetic foot gangrene patients” i fattori di rischio maggiori che predicono la probabilità che il diabetico subisca un intervento amputativo maggiore sono i livelli di HbA1c, la presenza di arteriopatia ostruttiva periferica degli arti inferiori (A.O.A.I.) con stenosi multiple e il ricorso all’emodialisi per insufficienza renale. Secondo questo studio l’A.O.A.I. è presente nel 98% dei diabetici sottoposti ad amputazione maggiore e nel 64% negli amputati minori o non amputati. I livelli di HbA1c allo stesso modo sono più elevati negli amputati maggiori. Non sono state invece individuate differenze tra gli amputati maggiori e quelli minori per i seguenti fattori di rischio: età di diagnosi del diabete,
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sesso, durata diabete, presenza o meno di retinopatia, neuropatia, nefropatia, tempo alla dialisi e cardiopatia ischemica. Uno studio di tali fattori nel diabetico può quindi predire il rischio per un intervento d’amputazione maggiore e consentire l’attuazione di interventi di prevenzione per evitarlo. (25)
Poiché l’amputazione influisce drammaticamente sulla funzionalità e sulla psiche del paziente, riducendone sensibilmente la qualità di vita, è sempre preferibile, ove possibile, conservare l’articolazione del ginocchio, aumentando così la probabilità di deambulazione come si evidenzia in alcuni studi secondo i quali fino al 52% degli amputati sotto il ginocchio possono utilizzare appieno una protesi mentre appena il 25% degli amputati di coscia è in grado di farlo a causa dell’enorme dispendio energetico richiesto.
Le tipologie di intervento più frequentemente utilizzate, soprattutto nel paziente diabetico, sono la disarticolazione di caviglia secondo Syme, l’amputazione transtibiale, la disarticolazione di ginocchio e l’amputazione transfemorale.
L’amputazione secondo la tecnica di Syme, così come la disarticolazione del ginocchio, non vengono utilizzate nel nostro reparto e pertanto non verranno trattate.
La scelta del livello a cui amputare richiede un’attenta valutazione di numerosi fattori tra cui l’handicap permanente che andrà ad interessare il paziente e la necessità di re intervenire chirurgicamente su di un paziente già amputato.
I pazienti candidati all’intervento possono essere suddivisi in tre categorie in base al rischio operatorio:
1) Pazienti ad elevato rischio con importanti comorbidità, tipo insufficienza respiratoria, insufficienza renale, cardiopatia o ipertensione arteriosa.
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evitare un reintervento che potrebbe risultare fatale.
2) Pazienti a basso rischio. In questi casi è necessario conservare al massimo le strutture quindi l’intervento verrà eseguito a livello quanto più distale possibile.
3) Pazienti senza rischio. Si può tentare una toilette chirurgica nella zona infetta e necrotica lasciando aperta la ferita, nella speranza che guarisca correttamente, evitando così di dover ricorrere ad un intervento di chirurgia maggiore. È inoltre importante cercare di valutare attentamente eventuali deformità residue poiché potrebbero rappresentare un rischio per possibili danni ulcerativi da protesi e portare così il paziente ad un reintervento.
3.1 Amputazione trans tibiale o di gamba
Questa tipologia di intervento è quella maggiormente utilizzata ove possibile per garantire un miglior recupero funzionale al paziente. (Fig. 9)
In seguito alle revisioni di Burgess e di altri autori che hanno ottenuto buoni risultati in oltre l’85% dei pazienti con vasculopatie periferiche operati di amputazione al di sotto del ginocchio, questa tecnica è divenuta l’amputazione più eseguita. Anche se molte sono le tecniche utilizzabili, per semplicità possono essere raggruppate in quelle eseguite in arti non ischemici e quelle in arti ischemici.
Nei pazienti con arti non ischemici vengono generalmente scolpiti lembi cutanei antero-posteriori di uguali dimensioni e i muscoli sezionati vengono poi collegati al moncone mediante miodesi in tensione, cioè una sutura dei muscoli sezionati al piano osseo, in tensione fisiologica, oppure mediante mioplastica, nella quale il muscolo viene suturato ai gruppi muscolari dell’altro lato o della fascia.
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Negli arti ischemici, come nel caso di pazienti diabetici, la miodesi in tensione è controindicata poiché compromette ulteriormente l’apporto ematico che già è scadente. È invece preferibile utilizzare esclusivamente un lembo miocutaneo posteriore oppure anche un lembo anteriore purché di limitate dimensioni, in quanto nella regione anteriore e antero-laterale della gamba l’apporto ematico è minore rispetto ai distretti circostanti. (1)(5)
Figura 9 Tecnica di Burgess
3.2 Amputazione trans femorale o di coscia
L’amputazione trans femorale o di coscia risulta essere un intervento abbastanza frequente. Il moncone dovrebbe essere il più lungo possibile per permettere una maggiore probabilità di utilizzo della protesi e un minor dispendio energetico nel suo utilizzo e comunque mai inferiore a 5 cm dal piccolo trocantere, poiché a tale livello è sovrapponibile per funzionalità e tipo di protesi alla disarticolazione dell’anca (Fig 10)
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quelle sopra descritte, a seconda che esso sia eseguito in pazienti con arto ischemico o meno. (5)(1)
3.3 Prognosi del paziente amputato
I pazienti diabetici candidati all’intervento di amputazione sono solitamente pazienti con grave patologia aterosclerotica, specie in distretti vitali come vasi coronarici e cerebrali, e con diabete scarsamente controllato.
La mortalità perioperatoria colpisce circa un 10% dei pazienti, principalmente a causa delle perdite ematiche. Altri decessi avvengono negli anni successivi a causa di altre patologie, quali cardiopatia ischemica o insufficienza cardiaca nel 37% dei casi circa, morte improvvisa nel 22%, sepsi nel 19%, polmonite nell’11% , tumori maligni nel 7% ed infarto cerebrale nel 4%, correlate prevalentemente alla patologia aterosclerotica. Attenti follow-up a tre anni rivelano una sopravvivenza in solo il 24%
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dei pazienti sottoposti ad amputazione maggiore contro il 93% di quelle minori. (13)
3.4 Costi
Uno studio completo condotto nel 1998 in Italia “the cost of type 2 diabetes mellitus in Italy”, ha valutato i costi diretti e indiretti associati al DM2. Il costo medio annuo per la cura di un paziente con DM2 era 2991 euro, mentre la spesa complessiva per la cura di tali pazienti era di 5170 milioni di euro l’anno, pari al 6,65% della spesa sanitaria totale (pubblica e privata). Di questa spesa il 28,9% veniva utilizzato per il trattamento del diabete, il 38,5% per il trattamento delle complicanze, il 32% per spese sanitarie non attinenti al diabete. Per quanto riguarda i costi delle complicanze il 39,9% derivava dall’ospedalizzazione di tali pazienti, il 35,4% dalle visite ambulatoriali e il 46% dall’utilizzo di farmaci.
Il costo di ogni amputazione, che va dai 16488 ai 66215 dollari circa, secondo alcuni studi, varia tuttavia in relazione ai parametri considerati, siano essi i percorsi di riabilitazione ed i dispositivi protesici oltre al percorso ospedaliero pre- e postchirurgico. I valori più bassi dell’intervallo si riferiscono solo ai costi dell’intervento e dell’ospedalizzazione, mentre i valori più alti includono anche i costi di riabilitazione, delle protesi e delle eventuali visite successive.
Un ulteriore studio sui costi è stato eseguito da Apelqvist et al. e condotto in Svezia nel 1990 secondo il quale i costi totali dalla comparsa dell’ulcera nel piede diabetico alla guarigione dopo l’amputazione, includendo anche la possibilità di ricomparsa dell’ulcera con le cure conseguenti, sono stati di 354894 corone svedesi per paziente. (26)(12)
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