• Non ci sono risultati.

2.2 Definizione dell'istituto

3.4.1 L'introduzione dell'art 448 bis c.c.: prospettive d

La riforma in materia di filiazione, operata con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, su delega contenuta nell’art. 2 l. 10 dicembre 2012, n. 219, ha introdotto, nell’ambito del Titolo VIII del libro I del codice civile, una nuova norma, l'art.448-bis, la quale ha riacceso il dibattito nella dottrina a causa della sancita possibilità di escludere dalla propria successione, a determinate condizioni, un particolare soggetto legittimario.

Se, infatti, il recente recepimento giurisprudenziale degli indirizzi dottrinali volti a riconoscere la validità di un testamento avente contenuto meramente negativo – sulla base di una rilettura della formula di cui all’art. 587, comma 1, c.c., in virtù della quale, l’affermazione testuale che descrive il negozio di ultima volontà come l’atto attraverso cui taluno “dispone” delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere, dovrebbe intendersi come espressiva della complessiva funzione regolativa della devoluzione ereditaria, non limitata al solo profilo attributivo – ha ormai reso pacifica l’ammissibilità della disposizione di esclusione del successibile ab intestato, permane un atteggiamento di chiusura con riguardo all’analoga clausola testamentaria finalizzata alla destituzione di un legittimario. In questo panorama, si colloca l'innovativa disposizione in esame, la quale ci pone un interrogativo sia sugli spazi – per la verità, sempre più ampi – da riconoscere all'autonomia privata, sia sulle conseguenze che una scelta del genere può produrre nel panorama della successione necessaria, da sempre caratterizzata – nonostante le spinte in senso contrario dell'unione Europea e le prospettive di riforma nel tempo avanzate – da una sua monolitica staticità.

In realtà, l'art. 448 bis c.c. oltre ad avere un contenuto eterogeneo, prevedendo novità sia per quanto riguarda la disciplina

degli alimenti che la materia successoria, è espressione di una tecnica legislativa imprecisa, considerata la sua (impropria) collocazione sistematica e la sua formulazione testuale che “si rivela poco chiara negli intenti e nei presupposti applicativi224”.

Più precisamente, la disposizione recita: “Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione”.

La disposizione de quo interviene da un lato sull'art. 433 c.c., che prevede l’obbligo a prestare gli alimenti in capo ai figli, obbligo che, secondo l’interpretazione della dottrina, permaneva anche in caso di decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale, e dall'altro restringendo la categoria dei successibili necessari in caso di dichiarazione di decadenza dalla stessa.

Dobbiamo innanzitutto premettere che i tentativi di introdurre tale disposizione nel nostro ordinamento risalgono alla XIV Legislatura, quando, ad iniziativa dei deputati Montecchi, Magnolfi, Castagnetti, Lucidi, veniva presentato, il 21 aprile 2004, il ddl n. AC 4908, che recitava: “il figlio legittimo o legittimato o naturale o adottivo e, in sua mancanza, i discendenti prossimi anche naturali, possono sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà, nonché, per i fatti che non integrano i casi d’indegnità di cui all’articolo 463, escluderlo dalla successione”.

Il disegno di legge era accompagnato dalla Relazione illustrativa

224 M. Paradiso, Decadenza dalla potestà, alimenti e diseredazione nella

riforma della filiazione (art. 448 bis c.c., inserito dall’art. 1, comma 9°, l. n. 219/12), in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 557.

la quale chiariva che lo scopo della norma era quello di attribuire al discendente la possibilità di escludere il genitore dalla successione quando quest'ultimo si fosse macchiato di comportamenti costituenti grave violazione dei doveri genitoriali, al di là di quanto già prevedeva la disciplina dell'indegnità.

Nella XV Legislatura, il testo (sia del ddl che della Relazione illustrativa) venne ripreso puntualmente nel momento in cui i deputati Marchi, Castagnetti, Samperi, Velo, presentano il 12 giugno 2007, il ddl n. AC 2756.

Passata un'altra Legislatura senza che il disegno venisse approvato, l'On. M. Marchi, primo proponente del ddl del 2007, presenta un emendamento (il numero 1.110) nel corso della seduta della Camera del 30 giugno 2011 – nella quale si stava discutendo del testo della riforma della filiazione – così da incorporare la disposizione a quella che diventerà la legge n. 219 del 2012225.

Tuttavia, il nostro ordinamento giuridico aveva nel frattempo introdotto, con legge 137 del 2005, una nuova causa di indegnità all'art. 463 c.c., al numero 3 bis concernente “chi, essendo decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell’articolo 330, non è stato reintegrato nella potestà alla data di apertura della successione della medesima”, così da ridimensionare la premessa su cui si reggeva l'intera proposta di legge. In altre parole, la disposizione proposta, concernente un'esclusione volontaria del genitore, risultava già assorbita dall'esclusione legale prevista dall'art. 463 c.c.

Parte della dottrina non ha tuttavia mancato di segnalare come il riferimento all'art. 463 c.c. contenuto nell'art. 448 bis sia prova di una “volontà del legislatore di collegare il testo dell’articolo in esame con

225 Per una precisa ricostruzione storica, cfr. F. Gigliotti, L'esclusione dalla

successione nell'art. 448 bis c.c. Luci (poche) ed ombre (molte) di una disposizione scarsamente meditata, in Rass. dir. Civ., 2014.

quello che, nel 2005, introdusse la previsione di un nuovo caso di indegnità226”. In tal modo, la ratio dell'art. 448 bis risiederebbe nella

scelta discrezionale effettuata dal figlio volta ad escludere l'ascendente.

Un ulteriore difetto congenito della disposizione concerne, come abbiamo anticipato, la sua collocazione sistematica: l'art. 448

bis è contenuto all'interno del Libro primo del codice civile sotto il

titolo “Degli alimenti” nel contesto dei rapporti familiari, e non nel Libro II dedicato alla disciplina successoria. Probabilmente si è voluto in questo modo sottolineare quella parte della disposizione che incide sull'obbligo dell'adempimento della prestazione alimentare, piuttosto che su quella relativa all'esclusione del genitore.

Ciò che non si può non sottolineare è che la norma, rubricata “Cessazione per decadenza dell’avente diritto”, malgrado sia espressione di una tecnica legislativa a dir poco confusionaria, ha il merito di aver positivizzato, per la prima volta nell’ordinamento italiano, la possibilità di diseredare, in ricorrenza di talune condizioni, un erede riservatario tramite apposita ed espressa disposizione inserita nel testamento.

Lungi dall'ampliare la casistica della indegnità, la disposizione introduce nel nostro ordinamento la figura della clausola di diseredazione, della cui ammissibilità a lungo si è dibattuto (sia in dottrina, sia in giurisprudenza) e che, solo recentemente, la Suprema Corte ha ritenuto valida, seppur nei limiti della successione ab

intestato227.

Il profilo di novità consiste nel soggetto nei cui confronti la clausola negativa opera: se la citata sentenza della Cassazione faceva salvi i diritti dei legittimari, l’art. 448 bis c.c. è destinato ad incidere

226 G. Salito, La successione dei figli nati fuori del matrimonio. Prime

riflessioni, 2013, p. 13.

anche sui diritti successori del genitore che, in presenza di determinati presupposti, sia un erede legittimario228. Occorre infatti

ricordare che le norme civilistiche attribuiscono al genitore del de

cuius la qualità di legittimari solo in assenza di discendenti, che

altrimenti escluderebbero gli avi (cfr. art. 568 cc).

L'inevitabile conseguente espansione dell'autonomia privata – la quale si può ora esprimere escludendo l'ascendete della successione – comporta una rivisitazione dei temi classici della successione necessaria e delle sue rigide regole, originariamente volte alla protezione della quota di riserva229.

3.4.2 L'ambito soggettivo di applicazione

Una prima questione che si presenta all'interprete, alla luce della formulazione testuale della norma in commento, concerne, la determinazione del suo ambito soggettivo ed oggettivo di

228 M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, p. 17 ss., il quale rileva come, in tale fattispecie, a differenza di ciò che avveniva nel diritto romano, in cui il pater familias era dotato del potere di escludere dalla successione i propri eredi necessari, con l’intenzione di sanzionarli per le offese ricevute, il potere privativo dei diritti successori sia attribuito al figlio; invero, pare chiaro che, sotto questo profilo, il legislatore abbia attuato una vera e propria inversione di poteri, a testimonianza dell’ormai integrale spodestamento del padre.

229 M. Cinque, Sulle sorti della successione necessaria, in Riv. dir. civ., 2011, 521 ss., secondo la quale l’assetto dei diritti derivanti dalle regole di successione necessaria guadagnerebbe flessibilità se al testatore fosse permesso sanzionare quei comportamenti dei legittimari, ora irrilevanti, ma

oggettivamente e significativamente riprovevoli. In particolare, sarebbe auspicabile consentire una reazione verso determinate condotte del legittimario, reintroducendo cause tipiche di diseredazione.

applicazione.

Con riguardo al primo, la disposizione di cui all’art. 448 bis attribuisce la facoltà di esclusione dalla successione al figlio, anche adottivo, o, in sua mancanza, ai discendenti prossimi del genitore nei confronti del quale sia stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

L'infelice formulazione normativa si presta ad essere criticata nella misura in cui in essa vengono menzionati, potremmo dire in modo anomalo, due soggetti: il figlio adottivo e i discendenti prossimi del figlio.

Ora, per quanto riguarda il riferimento al “figlio anche adottivo”, esso si rileva superfluo, ed anzi, pleonastico se letto alla luce della disciplina dell'adozione piena del minore: è proprio il medesimo provvedimento normativo che ha provveduto ad inserire nel codice civile l’art. 448 bis – la l. 10 dicembre 2012, n. 219 – ad aver sancito il principio di unicità dello status di figlio e ad aver novellato l’art. 74 c.c. statuendo che il rapporto di parentela si costituisce altresì “nel caso in cui il figlio è adottivo”, sicché anche in assenza della citata precisazione “nessun dubbio avrebbe potuto sussistere con riferimento alla legittimazione del figlio adottato con adozione piena a escludere dalla successione il genitore privato della responsabilità230”.

Neanche si può sostenere una sua applicazione alla disciplina dell'adozione dei maggiorenni, perché in quest'ultima, ex. art. 304 c.c., l'adottante non vede attribuirsi alcun diritto di successione sull'adottato.

Rimarrebbe da esaminare l'adozione in casi particolari di un minore231, ma anche in questo caso la clausola diseredativa non trova

230 F. Oliviero, Decadenza dalla responsabilità genitoriale e diritti

successori: il nuovo art. 448 bis c.c., in Riv. dir. civ., I, 2014, p. 35 ss.

cittadinanza per la medesima ragione: l’adottante è privo di diritti successori nei confronti dell’adottato.

Si capisce allora che la clausola in commento avrebbe, comunque, potuto trovare la stessa applicazione anche senza contemplare l’origine adottiva del rapporto di filiazione. Anzi, tale citazione, – specificando una situazione divergente dall’ormai unitario status di figlio – si pone semmai ad una certa distanza di ordine metodologico rispetto allo spirito della riforma di cui alla l. 10 dicembre 2012, n. 219.

Concentrandoci invece sul riferimento ai “discendenti prossimi del congiunto”, sembra impossibile immaginare un potere dei discendenti (quindi, dei nipoti) di escludere l’avo dalla successione paterna o materna. A questa conclusione si perviene attraverso ragioni di tipo dogmatico e pragmatico.

Invero, com’è stato opportunamente segnalato dalla più attenta

un minore è consentita in nei seguenti casi:

a) se il minore è orfano di entrambi i genitori, può essere adottato da un parente entro il sesto grado, oppure da persona che abbia con lui un preesistente rapporto stabile e duraturo (come amici di famiglia). Se l’adottante è un parente, questa adozione crea problemi limitati, perché la famiglia non cambia, ma cambia soltanto la posizione singola del minore adottato: se gli adottanti sono gli zii, l’adottato da nipote diventa figlio, ma i nonni sono gli stessi;

b) se il genitore, con un figlio minore avuto da una precedente relazione o da un precedente matrimonio si sposa o risposa, il coniuge può adottare il minore;

c) se il minore è disabile e orfano;

d) quando vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo: ciò può accadere nel caso di bambini grandicelli, o ragazzi, per i quali è

impossibile trovare una coppia avente i requisiti di legge disposta ad adottare; oppure quando il minore ha instaurato con la famiglia affidataria, che si è presa cura di lui per un tempo prolungato, legami affettivi che sarebbe

dottrina232, il dato letterale potrebbe aver risentito dell’attenzione

rivolta dal legislatore – sul versante alimentare – all’elencazione recata dall’art. 433 c.c. Infatti, nella Relazione illustrativa dei diversi ddl non c'è traccia del potere di diseredazione attribuito al discendente. Acquisito il fatto che l'art. 448 bis è stato inserito nel titolo degli alimenti, e che l'art. 433 nell'elencare i soggetti obbligati all'adempimento dell'obbligo alimentare cita i figli e in loro mancanza, i discendenti prossimi, ci sono abbastanza ragioni per sostenere, ancora una volta, una “svista” dovuta ad un'inadeguata tecnica redazionale.

Anche a prescindere da ciò è da rilevare che i diritti personalissimi non si trasmettono con la morte del proprio titolare, con la conseguenza che la morte del de cuius non permette di sostituire la volontà di terzi alla sua in relazione alla devoluzione ereditaria. Ciò significa che se il figlio premorto non abbia manifestato la sua intenzione di voler escludere il proprio genitore (magari non includendo la clausola negativa nel testamento o, addirittura, non redigendo affatto lo steso), tale facoltà non può essere né desunta né ritenersi traslata ai discendenti, se non a rischio di violare il principio di personalità della volontà del testatore (art. 631 c.c.) e i principi regolatori del diritto successorio. Sarebbe del tutto “irrazionale l'attribuzione al discendente di una facoltà di diseredazione nei confronti del progenitore, in ordine ad illeciti da quest'ultimo perpetrati, per ipotesi, nei confronti del figlio, che, a ben vedere, peraltro è terzo nei rapporti successori tra il futuro ereditando ed il progenitore medesimo, con una sorta di spersonalizzazione e trasmigrazione generazionale dei motivi di risentimento, davvero non giustificabile233

232 M. Paradiso, op. cit., p. 560; F. Oliviero, op. cit., p. 43.

233 M. Galletti, La violazione dei doveri genitoriali: la nuova stagione

3.4.3 Uno strumento sanzionatorio unidirezionale

Nel primo capitolo abbiamo sottolineato come la facoltà di diseredazione fosse riconosciuta al pater familias al fine di escludere dalla successione i propri eredi.

Tenendo a mente ciò, non si può negare come la riforma legislativa ha realizzato un vero e proprio “spodestamento dei padri”: “si passa da una famiglia patriarcale di stampo verticistico, in cui il capofamiglia godeva di ampi ed invasivi poteri sui parenti/sottoposti (si pensi al caso estremo dello ius vitae ac necis), ad una famiglia a struttura comunitaria e regolamentazione elaborata in maniera ascendente, che parte dal basso, dove i figli rappresentano il centro nevralgico, il cuore pulsante234”. Sembra cioè inevitabile una

rivoluzione profonda rispetto a ciò che avveniva in passato: la disposizione dell'art. 448 bis c.c. se da un lato consente al figlio di escludere il genitore, dall'altro non opera viceversa, al contrario di ciò che avveniva nell'antica Roma e che, di solito, si pensa debba avvenire: la prospettiva viene interamente rovesciata.

L'unidirezionalità dello strumento giuridico in commento comporta una asimmetria nel rapporto genitori-figli che, se ben si

749.

234 In tal senso M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti

delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 231 ss., ove l’A. afferma che “È

singolare notare che nel diritto romano il pater familias era dotato del potere di escludere dalla successione i propri eredi necessari (che voleva evidentemente sanzionare per offese ricevute), mentre adesso questo potere è attribuito al figlio: sotto questo riguardo, la novella ha quindi attuato una vera e propria inversione di poteri, a testimonianza dell’ormai integrale consumazione dello spodestamento dei padri”.

concilia con “con la trasformazione del concetto di potestà genitoriale nella ben diversa nozione di responsabilità genitoriale, ma in evidente contrasto con il sostrato sostanziale del principio di solidarietà, il quale, pur nella sua unitarietà dogmatica, presenta non solo una dimensione pretensiva, quanto anche un inteso reticolato di obblighi e doveri, che ne contribuiscono a definire la fisionomia complessiva235”.

Una asimmetria che si ritiene conseguente alla mutata coscienza sociale, la quale si è posta alla base della sostituzione della “potestà genitoriale” con la “responsabilità genitoriale”, permettendo così al nostro ordinamento di adeguarsi al panorama europeo236. Una

sostituzione che va al di là del mero significato letterale, e che ha contribuito a porre sempre più l'attenzione sui doveri genitoriali in un'ottica di primaria tutela del figlio. E quindi famiglia come “formazione di rilevanza sociale, nell'ambito della quale la protezione dei figli, tout court, senza alcun distinguo, ha assunto un valore centrale, promosso attraverso la responsabilizzazione del ruolo genitoriale, sempre più coinvolto, funzionalmente, nell'assolvimento di quei doveri inderogabili di solidarietà, a presidio della sfera esistenziale e realizzativa di tali soggetti, in ragione della loro debolezza, legata alle peculiari esigenze dell'età evolutiva237

Arrivati a questo punto, possiamo affermare con certezza che l'assenza di reciprocità propria dell'art. 448 bis c.c. segna chiaramente il discrimine tra il nuovo strumento di diseredazione

235 P. Laghi, op. ult. cit., p. 82.

236 Cfr. in particolare, l'art. 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione Europea e l'art. 14 , art.8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, concernenti la non discriminazione, e l'art. 8 della stessa Convenzione che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

rispetto al suo omonimo vigente in epoca romana, perché l'exheredatio, nonostante venisse in considerazione, almeno in periodo giustinianeo, solo al verificarsi di determinate ipotesi tipizzate238, non ammetteva distinzione alcuna con riguardo a chi

poteva usufruirne. In altre parole, alla diseredazione poteva attingere sia il genitore per escludere il figlio, sia il figlio al fine di escludere il genitore.

Ad oggi invece il figlio che commetta atti parimenti disdicevoli verso il padre vede essere salvati – illogicamente – i propri diritti successori. Ben si potrebbe dare anche al genitore, vittima di soprusi da parte del figlio, la facoltà di escluderlo dalla sua successione, anche perché il fattore tempo gioca un ruolo importante: sono di gran lunga maggiori i casi in cui il genitore non sopravvive al figlio, rispetto ai casi in cui si troverebbe ad operare la disposizione de quo, e cioè in caso di apertura della successione del figlio (peraltro, senza che quest'ultimo abbia generato, a sua volta, prole) a favore dei genitori.

A quest'ovvia constatazione, se ne accompagna un'altra relativa alla funzione preventiva a cui questa disposizione mira: il genitore sarà maggiormente scoraggiato dal tenere comportamenti disdicevoli nei confronti del figlio a seconda del valore del patrimonio ereditario, in quanto è chiaro che di fronte ad un figlio che non versa in agiate condizioni economiche, l'esclusione dalla successione non ha lo stesso significato che potrebbe avere se a venire in considerazione fosse una consistenza patrimoniale del tutto diversa.

La disposizione dell'art. 448 bis c.c. non sembra tener conto di un criterio fondamentale, quello della ragionevolezza, perché, determinando una distonia nel rapporto padre-figlio, soluzioni diverse vengono previste per casi identici. La violazione dei doveri

gravanti su ciascuno dei familiari dovrebbe invece poter dare luogo al ricorso a strumenti sanzionatori – la cui opportunità di applicazione sia rimessa esclusivamente alla valutazione del titolare della situazione giuridica lesa – aventi un’operatività bilaterale.

L’incongruenza logica che risulta dal testo dell’art. 448 bis c.c. è nata dallo slancio dell’accentuazione degli obblighi genitoriali senza prestare la minima attenzione ai doveri dei figli verso i propri ascendenti; quindi non permette di valorizzare la “reciprocità obbligatoria della relazione familiare239”.

3.4.4 L'ambito oggettivo di applicazione

Stante l'imprecisione con cui la norma è stata formulata, tentare di individuare l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 448 bis c.c. si rivela impresa non facile.

In dottrina, sul punto, si sono sviluppate teorie diverse.

Punto di partenza è la lettera della disposizione, la quale consente la diseredazione nel caso in cui il genitore sia stato dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale per fatti diversi da quelli di cui all'art. 463 c.c.

In quest'ultimo articolo, tra le varie cause di indegnità, riveste

Documenti correlati