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Le popolazioni germaniche denotavano un rapporto diverso con l'atto di ultima volontà e con la successione mortis causa in genere, ponendosi in antitesi rispetto al principio di unitarietà della successione romana67. A Roma68, infatti, la successione comprendeva

la totalità dei beni: “si trattava di un unico complesso di beni, il quale passava all'erede nel suo insieme e in tutte le sue parti, quante erano: cose e diritti, crediti e debiti, senza alcun riguardo alla varia natura dei beni, alla loro provenienza, alla inerenza, o alla relazione dei

1996, p.128.

66 S. Kursa, La diseredazione nel diritto giustinianeo, Bari, 2012 p. 202.

67 D. 27,1,30,1.

68 Lo deduciamo già dalle XII tavole (tab.V, 4 e 5): si intestato moritur, cui

suus heres nec escit, adgnatus proximus familiam habeto e si adgnatus nec escit, gentiles familiam habento. E' chiaro come si pensasse alla successione

debiti con certe parti dell'asse69”.

E non è un caso che il concetto di riserva ereditaria – come porzione del patrimonio da accantonare per le generazioni successive – sorge nel diritto consuetudinario francese, partendo da una concezione dei beni in proprietà della famiglia caratteristica dei popoli germanici (Hausgemeinschaft), la quale, a dir la verità, non fu totalmente estranea neanche al mondo romano.

Ogni popolazione conosciuta, e non solo quella dell'Urbe, apprezzava tutto ciò che di materiale la sostentava: la casa in cui dormire, il gioiello di famiglia da tramandare, il bestiame da cui trarre i mezzi per nutrirsi. Un tempo i patrimoni, principalmente fondiari, erano il frutto del lavoro delle generazioni precedenti: da qui possiamo ricavare un dovere morale di impegnarsi a far sì che fossero trasmesse alle successive.

Nelle fonti romane70 ritroviamo copiosamente, a proposito della

chiamata dei sui heredes, il “concetto di una specie di dominio di questi sul patrimonio familiare, mentre è ancora in vita il loro genitore. Risaliva ad un'antica idea gentilizia quella secondo la quale la proprietà collettiva stava alla base dell'assegnazione dei beni familiari a tutti coloro che alla morte de de cuius sarebbero divenuti

sui iuris”71.

Non è un caso, infatti, che originariamente, a Roma, a seguito della morte del pater familias i figli divenivano contitolari del patrimonio ereditario attraverso l'antichissimo istituto del consortium

èrcto non cìto, in modo da non procedere alla divisione dello stesso,

69 F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici, con speciale riguardo

all'Italia. IV. Il diritto ereditario, Città di castello, 1909, p. 4.

70 Gaio 2,157; J. 2,19,2; J. 3; D. 28,2,11.

71 Cfr. J. Boissonade, Histoire de la réserve héréditaire et de son influence

ma piuttosto alla sua conservazione all'interno del nucleo familiare72.

Semmai il problema di un mancato sviluppo di tale concezione nel diritto romano è da indicarsi nel suo limitato impiego volto a erigere un mero requisito formale affinché la diseredazione dei sui

heredes potesse considerarsi valida: essi, secondo l'antico principio

dello ius civile che abbiamo più volte ricordato, dovevano essere inevitabilmente citati nel testamento, sia che venissero nello stesso diseredati sia che venissero istituiti.

Al di là delle Alpi invece si trovavano genti che per tradizione dovettero principalmente far leva sulla cellula organizzativa costituente la società, ossia la famiglia, il principale momento aggregativo dei popoli germanici.

Un vero e proprio “altro mondo”, che non concepiva – almeno in origine – né testamento né diseredazione, e dove non vi era un sistema giuridico compiuto (anzi, dove chi portava le armi aveva il diritto di farsi giustizia, e dove i concetti di giustizia e faida erano indissolubili), dove non si conosceva la scrittura73, caratterizzato da

popolo composto da un re scelto tra i migliori guerrieri e tribù organizzate in famiglie – molto spesso – imparentate tra loro.

Tenendo conto della “necessità di una forte organizzazione dei vincoli di sangue per la difesa e, all'occorrenza, anche per l'aggressione; la conseguente concezione solidaristica della famiglia; infine il vincolo ulteriore di solidarietà creato tra gli appartenenti al

72 Gaio, in Inst., scrive che “[...] mortuo patre familias inter suos heredes

quaedam erat legitima simul et naturalis societas, quae appelabatur erctum non citum […] In hac autem societate fratrum […] illud proprium erat unus quod vel unus ex sociis communem servum manumittendo liberum faciebat et omnibus libertum adquierbat: item unus rem comunem mancipando eius faciebat qui mancipio accipiebat”.

73 La società dei popoli germanici era caratterizzata non da un diritto scritto, ma da norme consuetudinarie, usi e costumi tramandate oralmente di generazione in generazione.

medesimo lignaggio del sacro dovere della vendetta privata (faida)74,

attribuirono all'idea della comunione familiare dei beni un valore più profondo75”, che originariamente si traduceva nella regola tramandata

da Tacito76: “Heredes tamen successoresque sui cuique liberi et

nullum testamentum” (ciascuno ha come eredi e successori i propri

figli, anche in assenza di testamento)77.

Andava di pari passo con quest'ultima convinzione il principio consuetudinario secondo il quale “solus Deus heredem facere potest,

non homo” (soltanto Dio, e non l'uomo, può creare gli eredi). Ciò

significava che “l'ordinamento giuridico consuetudinario non riconosceva al padre nessuna libertà di disporre dei beni che, dopo la

74 Questo carattere della famiglia germanica è segnalato dallo storico Tacito, Germania, 21: “...suspicere tam inimicitias seu propinqui quam

amicitias necesse est”. Per l'epoca feudale cfr. M. Bloch, La société féodale, I,

Parigi, 1984, p. 195.

75 L. Mengoni, op. cit., p. 19.

76 Lo storico scrive a proposito dell'educazione dei figli presso i Germani:

“In omni domo nudi ac sordidi in hos artus, in haec corpora, quae miramur,

excrescunt. Sua quemque mater uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur. Dominum ac servum nullis educationis deliciis dignoscas: inter eadem pecora, in eadem humo degunt, donec aetas separet ingenuos, virtus adgnoscat. Sera iuvenum venus, eoque inexhausta pubertas. Nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas: pares validaeque miscentur, ac robora parentum liberi referunt. Sororum filiis idem apud avunculum qui ad patrem honor. Quidam sanctiorem artioremque hunc nexum sanguinis arbitrantur et in accipiendis obsidibus magis exigunt, tamquam et animum firmius et domum latius teneant. Heredes tamen successoresque sui cuique liberi, et nullum testamentum. Si liberi non sunt, proximus gradus in

possessione fratres, patrui, avunculi. Quanto plus propinquorum, quanto maior adfinium numerus, tanto gratiosior senectus; nec ulla orbitatis pretia”.

77 Tacito compie in questa maniera un paragone implicito con Roma esaltando la linearità e la semplicità di vita dei popoli germani contro l'avidità delle società più civilizzate

sua morte, facevano parte della massa ereditaria78”.

I figli sono non solo eredi delle sostanze patrimoniali, ma anche successori – nel vero senso della parola – nella direzione della famiglia, perché essi sono coloro che rimangono in vita a seguito della scomparsa dei padri. Di conseguenza, se a Roma non si può fare a meno di un atto di ultima volontà, con tutte le conseguenze – e soprattutto litigi79 – che ne derivano, non occorre un tale istituto nei

territori germanici perché è già noto a chi devono essere assegnati i beni: ai discendenti.

Lo storico menziona anche quale conseguenza si verificava in caso di assenza di figli: l'eredità rimaneva “in famiglia” devolvendosi ai fratelli (fratres), gli zii paterni (patrui), e gli zii materni (avanculi).

Col finire del IV sec. d.C. le popolazioni barbariche (che fin da due secoli prima avevano cominciato a creare i primi grattacapi all'impero80) riuscirono non solo ad oltrepassare i limes, ma anche a

stabilirsi nei territori precedentemente difesi da Roma, e quindi entrando definitivamente in contatto con la sua civiltà. E purtuttavia il diritto romano non riuscì mai – almeno fino al Code Civil81 – a

eliminare del tutto queste regole “nei paesi della Gallia in cui si insediarono i Franchi, e che più tardi (dal duecento in poi) furono detti di diritto consuetudinario, perché in essi le consuetudini franco-

78 S. Cierkowski, L'impedimento di parentela legale. Analisi storico-

giuridica del diritto canonico e del diritto statale polacco, Roma, 2006, p. 143.

79 Come dimenticare la rappresentazione dei “cacciatori di eredità” in

Satyricon, di Petronio?

80 Si narra che lo stesso Marco Aurelio sia stato costretto a risiedere e combattere per anni lungo il fronte della Pannonia, senza mai poter far ritorno a Roma.

81 J. Viollet, Precis de l'historie du droit français, II, Parigi, 1886, p. 749: “Ici la forte constitution de la fmille opposa au driot de teste une digue

puissante: cette dique jusu'au Code Civil ne fut pas rompue; elle ne fut qu'entamée”.

germaniche prevalsero sul diritto romano precedentemente osservato dalle popolazioni gallo-romane82”.

Tuttavia, ciò che inizialmente era un divieto assoluto di fare testamento (nullum testamentum apud Germnanos) venne inevitabilmente temperato a seguito dei primi contatti tra le due popolazioni. Anche a seguito della commistione vennero però rifiutati i cardini del testamento romano, non potendosi far luogo né all'istituzione di eredi né all'individuazione di successibili esterni al nucleo familiare: in altre parole, la successione si limitava ai parenti più stretti, i quali potevano essere gravati soltanto da legati.

La Coutume di Parigi (art.299) e di Orlèans (art.287) specificheranno, secoli dopo, che l'istituzione di erede “n'a lieu” (ossia, non ha luogo).

L'idea di poter scorporare dal patrimonio familiare una porzione da destinare tramite testamento a chi più aggradava il testatore comincia a farsi strada nei popoli germanici di pari passo con il movimento di cristianizzazione attuato dai romani. Tale processo prese le mosse dagli innumerevoli scontri ai confini dell'impero: il prestigio della civiltà romano cattolica permise un'opera di lenta ma inesorabile conversione per coloro che vi entravano in contatto83.

Comincia così a fare la propria comparsa, all'incirca nel VI secolo d.C., nella legislazione di quelle civiltà barbare che più erano state influenzate da quella romana, sotto il nome di “portio patris” (indicando la porzione di cui il padre poteva disporre) una quota di patrimonio che il de cuius era autorizzato a lasciare a terzi. Ne era inizialmente beneficiario la Chiesa: chi – soprattutto in punto di morte – desiderava scontare i propri peccati era disposto a lasciare in

82 L. Mengoni, op. cit., p. 19.

83 Goti, Vandali e Longobardi abbracciarono l'Arianesimo, mentre i Franchi, rimasti per lungo tempo di religione pagana, furono gli unici tra i popoli germanici a convertirsi al cattolicesimo dopo aver rifiutato la dottrina di Ario.

suffragio della propria anima (pro redemptione animae suae) parte dei propri beni.

Ma non appena i Visigoti – la prima popolazione barbarica a cimentarsi nella raccolta di leggi scritte – cercarono di unificare il diritto da applicare nei rapporti tra Goti e romani attraverso un'opera di codificazione passata alla storia come Forum Iudicum (642/643), si poté constatare, nero su bianco, come non interessava tanto ancorare, con donazioni e opere pie, parte dei beni familiari alle istituzioni ecclesiastiche, quanto configurare una porzione disponibile (nella misura di un quinto del patrimonio) da poter attribuire, con un atto di ultima volontà, anche ad estranei84.

Gli storici più accorti ritengono, infatti, che non solo il testamento, ma anche la diseredazione fosse un istituto comune e diffuso nel periodo di convivenza tra i Longobardi e tra la popolazione romana.

L'Editto di Teodorico (Edictum Theodorici regis, chiamato anche

Lex Romana Ostrogothorum85), databile tra il 493 e il 526, aveva

sicuramente ammesso i barbari – seppur sotto la condizione di militare per la Repubblica – a fare testamento.

E ancora, nell'Editto di Rotari – costituente la prima raccolta scritta di leggi dei Longobardi – databile nel 643, nessun dubbio vi era sulla legittimità della exheredatio (sia che questa concernesse l'esclusione del padre nella successione dei figli, sia l'esclusione dei figli nella successione del padre). Siffatta esclusione era ammessa soltanto ove fondata su una iusta causa aut culpa: questi casi di

ingratitudo – specificati tuttavia solo per la diseredazione di un figlio

– consistevano ad esempio nel tentativo di omicidio del genitore,

84 Forum Iudicum, IV, 5, 1.

85 In realtà, in queste disposizioni edittali, mancavano le parole

corrispondenti a "testamento", "eredità", o "erede", ma si trattava di una mera deficienza terminologica e non concettuale.

nelle lesioni volontarie, o nell'aver voluto peccare con la matrigna. Con similari caratteristiche l'istituto si trovava in varie altre leggi c.d. barbariche, precedenti. Liutprando, Re dei Longobardi e Re d'Italia dal 712 al 744, per esempio, conferì al padre, e persino al fratello della donna che abbia agito contro il volere di essi, il potere di escluderla dalla successione.

Si tratta generalmente di un periodo in cui, nelle fonti tardo- romane del Medioevo, e quindi nelle fonti post-giustinianee86, si

seguono in modo diretto le disposizioni presenti nella Novella 115, ripetendo e ritoccando, non senza qualche errore, l'elenco delle quattordici fattispecie di ingratitudine giustificanti la diseredazione del figlio da parte del padre, e le otto altre fattispecie per la diseredazione del padre da parte del figlio87.

86 Su tutte, l'Epitome Juliani, la Lex romana canonice compta, il Liber

legum e le Exceptiones Petri.

CAPITOLO II

La clausola di diseredazione: l'epoca moderna

SOMMARIO: 2.1 Assenza di un riferimento normativo – 2.2 Definizione

dell'istituto – 2.3 Diseredazione e indegnità – 2.4 Preterizione, revoca di precedenti disposizioni ereditarie, clausola penale testamentaria e art. 733 c.c.: punti di contatto e differenze – 2.5.1 Il dibattito dottrinale: la diseredazione del successibile non legittimario – 2.5.2 Orientamento contrario alla validità del testamento che si esaurisce con la sola clausola di diseredazione – 2.5.3 Validità della clausola di diseredazione: l’orientamento favorevole – 2.6.1 La diseredazione in

giurisprudenza – 2.6.2 Il punto di svolta: la sentenza n. 8352/2012 – 2.6.3 I problemi interpretativi suscitati dalla la sentenza n. 8352/2012: la questione dell’operatività della rappresentazione a favore dei discendenti dell’escluso – 2.6.4 – La diseredazione del coniuge: Cassazione, sent. n. 25240 del 2013.

2.1 Assenza di un riferimento normativo

Per mezzo della clausola di diseredazione il testatore redige una scheda testamentaria inserendovi una disposizione con la quale espressamente esclude uno, o alcuni, dei successibili ex lege, privandoli della possibilità di venire alla successione. Più precisamente, è “lo strumento giuridico con cui il de cuius dichiara di non volere che alla sua successione prenda parte un determinato soggetto, il quale, in forza delle norme sulla successione legittima, avrebbe invece titolo a prendervi parte”88.

88 A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2017, p. 1172.

Al momento – e ciò costituisce il principale motivo della nascita di tutta una serie di questioni dalle quali è scaturito un ampio dibattito – nessuna norma del nostro ordinamento giuridico esplicita la previsione di una clausola di tal fatta. A ben vedere, è passato ben più di un secolo e mezzo dall'ultima volta in cui nessun dubbio veniva paventato sulla validità della diseredazione, essendo quest'ultima stampata nero su bianco, da ultimo, nel Codice dello Stato di Modena del 1851.

Infatti, seguendo la tradizione romanistica, la disciplina della clausola negativa (che si affiancava a quella dell'indegnità) venne mantenuta per tutto il diritto intermedio salvo poi cedere di fronte all'entrata in vigore del primo codice civile unitario, il Codice Pisanelli del 1865. Emblematici, a tal proposito, alcuni codici pre- unitari: quello del Regno delle due Sicilie del 1819, il quale disciplinava l'istituto agli artt. 848-854; il Codice degli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla del 1820 sanciva all'art. 653 che: “II figlio o discendente al quale è dovuta la legittima, può esserne privato in testamento...[...]” procedendo ad elencare le cause tassative89; il Codice Albertino del 1837 ammetteva la diseredazione

nel Regno di Sardegna all'art. 737: “Oltre le cause per le quali qualunque erede può rendersi indegno di succedere, le persone, a

89 a) Se avrà gravemente percosso il testatore, attentalo alla di lui vita, o trascurato per non lieve colpa di difenderlo, quand'egli era in pencolo di gravi percosse, o di morte;

b) Se essendo maggiore, o emancipato e potendo redimere il testatore dal carcere abbia omesso di farlo;

c) Se avrà intentato contro il testatore un' accusa, per cui questi fosse esposto a pena afflittiva ed infamante;

d) Se avrà tentato d'impedirgli di far testamento;

e) Se abbia apostatato dalla Cattolica Religione professata dal testatore, e non sia ritornato alla medesima prima della morte del testatore;

vantaggio di cui la legge stabilisce una porzione legittima, possono essere private con una dichiarazione espressa del testatore, e per una causa ammessa dalla legge e spiegata nello stesso testamento”; le cause tassative che erano ammesse dalla legge venivano indicate agli articoli seguenti, il 73890 e il 73991; infine, come previamente citato, il

codice dello Stato di Modena del 1851 costituisce l'ultimo esempio della lunga stagione della clausola negativa, stabilendo all'art. 841 che: “Le persone, a vantaggio delle quali la legge stabilisce una quota legittima possono esserne private con una dichiarazione espressa del testatore, e per una causa ammessa dalla legge e spiegata nello stesso testamento” procedendo, anch'esso a specificare quali ragioni potevano condurre il de cuius a sancire l'esclusione dalla

90 L'art. 738 si riferiva alla diseredazione del discendente ed indicava i seguenti motivi:

1) Se abbia apostato dalla Chiesa Cattolica, e non vi sia tornato prima della morte del testatore. Lo stesso sarà ove abbia rinunciato alla Religione Cristiana, se questa era professata dal testatore;

2) se abbia irragionevolmente negato gli alimenti al testatore;

3) Se divenuto il medesimo furioso o demente lo abbia abbandonato senza prenderne cura;

4) Se potendo redimerlo dalla prigionia abbia senza ragionevole motivo omesso di farlo;

5) Se siasi reso colpevole verso uno dei genitori di sevizie o di altro delitto;

6) Se si trovi nei casi contemplati dagli articoli 109 e 110; 7) Se la figlia o discendente sia pubblica meretrice.

91 L'art. 739 si riferiva soltanto alla diseredazione del padre e della madre, aggiungendo rispetto ai motivi dell'art.738 i seguenti:

1) Se abbia trascurato interamente l'educazione del figlio, e gli abbia irragionevolmente negato gli alimenti;

2) Se abbia attentato alla vita di alcuno dei propri figli;

3) Se uno dei genitori abbia attentato alla vita dell'altro, o lo abbia oltraggiato atrocemente.

successione92.

Occorre però precisare che i codici pre-unitari contemplavano, sempre al verificarsi di determinate situazioni, un'esclusione dalla successione dovuta all'applicazione della disciplina dell'indegnità. Ad esempio, l'art. 709 del Codice Albertino, definiva incapaci di ricevere per testamento, come indegni, “1°. Chi avrà volontariamente ucciso, o tentato di uccidere il testatore, eccetto che il testamento sia posteriore al delitto, ed il testatore conoscesse il colpevole; 2°. L'erede in età maggiore, che essendo consapevole della sua qualità di erede, ed informato della uccisione del testatore, non l'avrà denunziata alla giustizia entro sei mesi dal giorno della scienza; 3°. Colui che ha intentato contro il testatore un'accusa di un delitto punibile con pena capitale, od infamante, quando l'accusa fu dichiarante calunniosa in giudizio; 4°. Chiunque ha impedito il defunto, che aveva già testato, di fare nuovo testamento, o di revocare il già fatto, od ha soppresso, cancellato, falsificato il testamento posteriore; 5°. Chiunque ha costretto, o indotto alcuno con dolo, a fare un testamento, od a cangiarlo” quasi come a voler limitare l'ambito di operatività della diseredazione a quelle cause non così gravi da poter far scaturire un giudizio di indegnità.

Infatti, si prevedevano una serie di casi in cui l'esclusione dalla

92 a) Se ha apostatato dalla Cattolica Religione, e non sia ritornato alla medesima prima della morte del testatore;

b) Se si è reso colpevole verso uno dei genitori di sevizie o di. altro delitto; ovvero se ha trascurato, per non lieve colpa, di difenderlo, quando egli era in pericolo di gravi percosse, o di morte;

c) Se essendo maggiore, o emancipato, e potendo redimere il testatore dal carcere, ha omesso di farlo;

d) Se ha intentato contro il testatore un' accusa, per cui questi fosse esposto a pena afflittiva per delitto infamante;

e) Se ha tentato d'impedirgli di far testamento; f) Se la figlia o discendente è pubblica meretrice.

successione conseguiva all'integrazione di cause tassative di indegnità indicate dalla legge, le quali, come abbiamo letto, costituivano per lo più atti abietti come l'omicidio, la calunnia, la falsificazione del testamento, mentre altre cause tassative, stavolta di diseredazione, comportavano l'esclusione della successione in casi in cui, ad esempio, il discendente fosse un apostata o dedito ad attività di prostituzione.

Pur avendo gli stessi effetti, il Codice Albertino sottolineava che mentre la diseredazione necessitava dell'espressa volontà del testatore, l'indegnità operava automaticamente, ipso iure, al verificarsi delle cause sancite dal legislatore93. Restava fermo,

tuttavia, il potere del testatore di evitare l'applicazione della sanzione, riabilitando l'indegno.

Ciò che causò la scomparsa delle norme sulla clausola negativa è da ricercare nei tumulti susseguitesi in Francia alla fine del XVIII

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